Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore

dalle note del prof. Elio del Favero  - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale

prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini  

 

Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario,  è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.

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IL FIENILE, LA STALLA E LA LAVORAZIONE DEL LATTE

 

La stàla è il luogo della stabulazione invernale del bestiame, in questo luogo il bestiame passa i lunghi mesi invernali che vanno dalla smonticazione (desmonteà) alla monticazione (monteà) dell'anno successivo. Quasi sempre fa parte della casa rurale di tipo "cadorino" caratterizzata da più unità abitative con la cucina e il fuoco al piano terra e le altre stanze dislocate su piani diversi, raggiungibili tramite scale esterne e ballatoi, le quali costituiscono una intelaiatura lignea che nasconde in parte il muro della casa. Le stàle sono generalmente localizzate nella parte nord del fabbricato, parzialmente interrate e con accesso diretto dall'esterno. Nella colonna sopra ad esse, disposto anche su più piani, c'è il tabià. Il fién fatto nel periodo del pascolo di monte e stivato nei vari tabià, nelle méde e ìnte i penìže, viene trasportato a valle con le luóide nel tabià principale mano a mano che le scorte vengono a mancare. Altra caratteristica di questo tipo di abitazione è il pònte de tabià che serve a superare, con le luóide o i karéte, il dislivello esistente tra il piano del tabià stesso e la strada.

Essendo al piano terreno la stàla è costruita in muro con il soffitto in travi di larice su cui sono fissate delle spesse tavole in legno che formano l siòlo del tabià; le finestre, se presenti, sono molto piccole, hanno il riquadro in legno o in trovanti lavorati e inferriata in ferro battuto, la porta comunica direttamente con l'esterno. Il tabià invece è interamente costruito in legno con una struttura a colonne controventate nascoste da una immantellatura di tavole; su queste tavole sono ritagliate delle aperture di svariate forme per facilitare il passaggio dell'aria, e quindi la ventilazione, allo scopo di prevenire l'autocombustione del fién in fase di fermentazione (la bóia).

Il pavimento della stalla (salído) è in ciottoli di pietra, altre volte è fatto di ceppi di legno accostati l'uno all'altro, è lievemente pendente dove sostano gli armenti per far sì che la gràsa scivoli facilmente nella kunéta dove viene raccolta. Da un lato della stanza c' è la mangiatoia o čanà fatta in sassi e legno; una trave di larice è disposta per tutta la sua lunghezza ed in essa, attraverso dei fori, viene fissata la čadéna. Quest'ultima, ad una estremità, è munita di una sbarretta di ferro per evitarne la fuoriuscita dalla trave, con la conseguente liberazione dell'animale. Il rifornimento del fién dal tabià avviene attraverso il feníl che collega il tabià stesso con la stàla. Generalmente è costruito in un angolo per usufruire di due pareti esistenti, mentre le altre due vengono fatte con tavole di legno poste verticalmente a formare un parallelepipedo con una base delle dimensioni di circa cm 80 x 80 ed una altezza uguale alla stanza. Su un lato viene ricavata una piccola porticina dove si preleva il fién fatto scendere dal tabià attraverso un foro sul pavimento, foro che viene poi chiuso, ad operazione ultimata, con una rebàlta di legno. Altro particolare dela stàla è il recinto adibito a deposito della fòia (di faggio o di nocciolo) raccolta in autunno e utilizzata per fare la lettiera agli animali; esso è generalmente realizzato con una parete in tavole di legno, talvolta intrecciando ramaglia da foglia, e delimita una piccola porzione della stàla; a questo servizio, nelle stàle più grandi, è adibita una stanza attigua alla stàla stessa.

Ci si reca nella stalla con il feràl che è l'unico mezzo di illuminazione prima dell'avvento della corrente elettrica nei primi anni del 1900; essendo un ambiente caldo, nelle lunghe sere invernali è anche luogo di ritrovo per conversare e lavorare. Nella stàla c' è sempre una barèla che serve al trasporto dello stallatico (menà fòra de stàla) nella kórte o concimaia; nell'impossibilità di adoperare la barèla si usa la žuliéra che altro non è che una barella fatta con tavole di legno e munita di manopole. In un apposito scaffale si trovano la striglia e la brusca con le quali si tiene pulito il bestiame e i séče per abbeverare gli animali. L'acqua viene presa alla fontana (ce n'era una ogni borgata) con i séče i quali vengono portati a spalla con l'ausilio del ženpedón, un bastone di legno ricurvo con due uncini alle estremità. Nelle belle giornate, ed in particolare in primavera prima della monticazione, le mucche vengono portate ad abbeverare nella più vicina fontana.

Altri arnesi indispensabili nella stàla sono il badì e la fórča con i quali si pulisce la lettiera degli animali e si carica lo stallatico nella barèla o nella žuliéra; inoltre troviamo al skài sul quale ci si siede a mungere.1 Nel fienile invece si usano i seguenti arnesi: la fórča da fién a due denti per sistemare il fién, il trinciafieno, la falce a panca per tagliare la paglia e le canne di granturco. Sebbene la funzione principale del fienile è quella dello stoccaggio del fién, esso viene anche usato come aia per la lavorazione dei prodotti dei campi (faśuói, sórgo, čanèipa, ecc).

La kórte de gràsa è il luogo di deposito del letame e anche se staccata dalla stalla-fienile ne fa, funzionalmente, parte integrante; se il fabbricato ha più stalle sono presenti anche più kórte disposte una accanto all'altra. Queste si trovavano nelle immediate vicinanze della stàla sullo stesso terreno di pertinenza del fabbricato che è comune a tutti i proprietari. Quando il recinto della kórte è pieno di stallatico lo si svuota utilizzando quest'ultimo per concimare i campi, i prati e gli orti. Spesso anche le galline (pìte) sostano nella stàla dove, generalmente, dormono sopra il deposito della fòia, su un bastone orizzontale detto amadón posto sotto il soffitto; una tavola di legno impedisce che i skíte dele pìte arrivino sulla fòia. Su questo bastone le pìte giungono attraverso una specie di scala detta sála dele pìte; per la cova (pónde) invece, viene preparata una kóa e posato un uovo nella fòia o sotto il feníl.

Nella stalla, oltre alle vàče, vi sostano anche le čàure e le féde; in taluni casi questi animali sono accostati l'uno all'altro, altre volte invece sono separati da una paretina di tavole di legno alta circa 1,50 m, altre volte ancora sistemati nella parte opposta della čanà dele vàče. Di regola, ci si reca nella stalla a governare il bestiame (guarnà) due volte al giorno, alla mattina e alla sera. Nel periodo estivo si inizia alle 5 del mattino e intorno alle 17.30 la sera, durante l'inverno invece alle 5,30-6 del mattino e 16-16,30 della sera. Appena entrati nella stalla si dà alle bestie una bracciata di fieno di prima falciata (bražo de fién), si pulisce la lettiera e si porta il letame in concimaia (portà fòra de stàla). Alle bestie viene poi somministrato il beverón2; mentre la vàča mangia l beverón si procede alla sua mungitura (mónde). Se a governare il bestiame concorrono più persone, una fra queste, alla fine della mungitura, si reca in latteria portando il latte appena munto; nel caso di una sola persona, la stessa si reca in latteria e poi torna immediatamente nella stalla per ultimare le operazioni. Dopo la mungitura alla vàča viene dato un altro bražo de fién seguito da un piccolo bražo de autivói3; infine viene somministrata l'acqua.

Quando la vàča partorisce al vedèl, si va nella stalla una volta in più, precisamente a mezzogiorno dando alla mucca un po' di fién, al beverón e l àga in dosi ridotte rispetto agli altri pasti; il vitello invece succhia il latte dalla madre (tetonà). Generalmente si sceglie di far partorire le vàče nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, le féde e le čàure invece nei primi mesi dell'anno (febbraio o marzo); infatti l'agnello e il capretto, come è consuetudine, viene mangiato a Pasqua. La vàča viene portata dal toro quando va in calore e ciò lo si deduce dal comportamento nervoso e insofferente dell'animale, la vàč&a mateéa. Dopo nove mesi di gravidanza nasce il vitello; in questo periodo l'animale diminuisce sempre più la quantità di latte prodotto fino ad esaurirla completamente all'approssimarsi del parto. Le pecore e le capre partoriscono invece dopo 5 mesi di gravidanza. Particolare curioso è che se il parto è stato difficile, e l'animale risulta sfinito, gli viene somministrato del caffè con vino oppure del pane inzuppato nel vino. Il vitello viene lasciato con la madre per circa 15-20 giorni per essere poi venduto; talvolta, in presenza di una vitella di ottima costituzione, la stessa viene allevata per dare il ricambio alla madre. Dopo il parto non si può, per almeno 10 giorni, portare il latte in latteria, essendo la duìsa giallognola. La quantità di latte che resta dopo che il vitello ha mangiato, viene usato in casa per fare la péta o i pestariéi con la duìsa o altri tipi di dolci. Anche le capre e le pecore vengono guarnàde come le vàče, ma naturalmente mangiano una quantità minore di fieno e di bevéron. Le čàure vengono munte contrariamente alle pecore allevate solamente per la lana e per l'agnello. Il latte di capra viene adoperato per i bisogni di casa in quanto è proibito portarlo in latteria o ancor peggio mescolarlo con quello di mucca; qualcuno lo porta invece in una latteria privata (da Bepi dele féde o da ki dei Žèrve). Le pecore vengono tosate due volte all'anno, una prima volta in primavera e una in autunno quando scendono dalla montagna; la lana viene poi lavorata in casa.

La latteria sociale di Lozzo di Cadore è nata come società il 6 ottobre 1884 in risposta ad una esigenza della popolazione che in quelli anni viveva prevalentemente di agricoltura e di allevamento del bestiame. Fino ad allora in paese non esisteva nessuna organizzazione che praticasse in forma associata la lavorazione del latte per ottenerne i prodotti derivati (botìro, puína, formài), ma il latte veniva portato in casa di qualche esperto del paese che disponeva della attrezzatura necessaria. Nel nostro paese esistevano pertanto più latterie ognuna di piccole dimensioni, ciò creava notevoli disagi per gli allevatori, da qui la necessità di fondare una unica latteria dotata di propria sede e statuto a cui potessero accedere tutti i soci. Non bisogna dimenticare che nell'anno della fondazione (1884) Lozzo contava 563 bovini e 642 animali minuti (capre e pecore); inoltre dal libro dei soci del 1970, risultano esistenti in paese circa 400 mucche con altrettante azioni della latteria sociale.

Da appunti datati 11 novembre 1934 e firmati dal maestro Edoardo Zanetti, coadiuvato dal sig. Melchiorre Baldovin fu Giuseppe, si legge:

"La prima latteria sociale cominciò a funzionare il 4 Novembre 1884 nella casa Fuga (attuale casa della famiglia Del Puppo). Il giorno dell'apertura del caseificio venne fatta celebrare una S. Messa alle anime del purgatorio. Il primo consiglio di amministrazione era così composto: Presidente - Baldovin Monego Giuseppe fu Mariano, Consiglieri - Bortolo Zanella Fu Lorenzo, Marta Valentino fu Giuseppe, De Diana Michele fu Valentino e Lovarini Lorenzo. Casaro nel 1884 era Calligaro Giuseppe Nodaro, segretario e pesatore del latte era Zanella Bortolo fu Lorenzo. Il 7 Giugno 1891 si riunirono alcuni soci con lo scopo di nominare una commissione incaricata di presiedere all'acquisto dei materiali e alla relativa provvista di fondi per la costruzione di un nuovo caseificio sociale, progetto del perito agrimensore Zanetti Lorenzo fu Giobatta Antonio. Sei furono le persone nominate per detto scopo. Il 14 Giugno successivo fu nominata un' altra commissione di 33 fideiussori volontari che si resero responsabili dei pagamenti dei dipendenti dei lavori del nuovo fabbricato. Il 21 giugno viene stipulato un contratto d' appalto per un importo preventivato di lire 6271.21, firmato dagli amministratori Baldovin Giuseppe fu Mariano, Barnabò Francesco fu Barnaba, Del Favero Giovanni fu Giuliano e Da Pra Giovanni fu Lucio. Assuntore dei lavori era Zanella Antonio Fu Gaspare. I lavori dell'edificio che venne costruito in piazza (attuale vecchia latteria) finirono in breve tempo, grazie alla collaborazione dei tanti Lozzesi che prestarono gratuitamente la loro manodopera".

Il primo statuto venne approvato il 10 dicembre 1891 con 33 soci, il secondo il 25 marzo 1905 ed il terzo il 6 giugno 1926. Da una relazione del 13 giugno 1962 fatta dal dott. Giorgio Zorzi, nominato revisore dal ministero del lavoro, si legge:

"La vecchia latteria (Latteria sociale di Lozzo, società di fatto costruita il 6-10-1884) rammodernò gli impianti a proprie spese. Ha in atto la permuta del fabbricato sociale ed ha già occupato il nuovo edificio che entrerà in sua proprietà. Si tratta di un moderno caseificio costruito dalla locale Parrocchia, in cambio della vecchia sede, sulla cui area sorgerà una chiesa. Capacità dei nuovi impianti che funzionano da qualche settimana, q. 25. Media giornaliera di latte lavorato q. 10". Nel luglio 1962 avviene una scrittura privata tra la Parrocchia e la Latteria per una permuta con la quale la chiesa cede alla latteria il fabbricato di nuova costruzione in località Mezzavilla e la latteria cede alla chiesa il vecchio fabbricato in piazza IV Novembre.

Il latte viene portato in latteria due volte al giorno, nel periodo autunno inverno l'orario è dalle 6.30 alle 7.30 la mattina e dalle 18 alle 19 la sera; nella stagione estiva invece viene anticipato di mezz'ora la mattina e posticipato di mezz'ora la sera. Deve essere conferito in recipienti igienicamente adatti, non essere filtrato, e al momento della pesatura deve essere ancora caldo ossia appena munto. Il latte viene pesato con una apposita bilancia e il relativo peso segnato su un libretto lìbro dela latarìa che è personale di ogni produttore, nello stesso tempo viene anche filtrato e qualche volta, a sorpresa, controllato con il densimetro per verificare che non sia stata aggiunta dell'acqua (provinà). Ultimate queste operazioni preliminari il latte viene versato in vasche di rame o anticamente in mastelle di legno messe a bagno nell'acqua corrente per circa dodici o più ore fino a quando affiora la panna (bràma). La lavorazione del latte inizia generalmente verso le 4-4.30 del mattino togliendo con la spanaròla la bràma del latte conferito il giorno prima, l místro poi la versa nella žànkola o péña che con il suo movimento manuale o meccanico produce il botìro. Questo viene tolto e messo in appositi stampi di legno decorati con stelle alpine; nella žànkola rimane il latticello (nìda) che viene distribuito ai poveri o aggiunto allo skòlo de mùl per fare la ricotta. Procedendo quindi in questo modo il botìro fresco è già a disposizione dei soci della latteria la mattina, quando si recano a portare il latte appena munto.

Il latte privato della componente grassa viene messo nella kaliéra e portato alla temperatura di 32 °C circa per l'aggiunta del caglio (konàğo); il místro, a sua discrezione, può aggiungere nella kaliéra una certa quantità (circa il 10%) di latte intero per dare maggiore bontà al formaggio. La lavorazione prosegue poi con la rottura della cagliata utilizzando la lìra e la cottura a circa 40 °C fino a quando si forma il formaggio che, tolto dallo skòlo con dei sacchetti di tela e spremuto per la fuoriuscita dello skòlo residuo, viene messo in appositi skàtoi, faśère o mùl e anche qui compresso con delle pietre o più recentemente con il torchio. Lo skòlo che fuoriesce dai fori del mùl (perciò chiamato skòlo de mùl) va a finire in uno scolatoio per essere poi recuperato. Nella kaliéra rimane lo skòlo e sul fondo si deposita la mósa che viene raccolta, strizzata e mangiata. Nella kaliéra viene aggiunto lo skòlo de mùl recuperato nello scolatoio e il tutto viene portato alla temperatura di circa 90°C per l'aggiunta della tènpra, formando così la ricotta (puína); questa viene messa nei sacchetti che permettono, sempre in seguito a spremitura, l'eliminazione del liquido eccedente oltre a conferirle la caratteristica forma. La resa di questo prodotto è circa il 3% del prodotto conferito. Ultimamente, in latteria, non si produce più ricotta e lo skòlo viene posto nella scrematrice dando origine ad una panna da cui si ottiene il burro di scrematrice o botìro de sekónda; questo rende circa 350 g per quintale di latte conferito. Lo skòlo che rimane dopo tutte queste operazioni viene chiamato puarón ed è distribuito ai soci della latteria per l'allevamento dei maiali. Il lavoro del místro si conclude verso mezzogiorno con la pulizia di tutti gli attrezzi.

 Dopo 49 ore dalla fattura, il formaggio viene messo in salamoia per la salatura quindi viene immagazzinato nel želèi disponendolo su tavole di abete pulite ed asciutte. Tutte le forme, a giorni alterni, devono essere capovolte e bagnate con acqua leggermente salata o siero (skòlo de mùl), avendo sempre cura che la parte che appoggia sulla tavola rimanga sempre asciutta. Ogni due mesi il segretario fa il conteggio di tutto il latte conferito e dei prodotti da esso ottenuti ricavando quindi la resa per quintale che si aggira, mediamente, intorno ai 2 kg di burro di affioramento, 350 g di burro di scrematrice e 7,8 kg di formaggio. Il formaggio viene distribuito ai soci in un giorno fra il 12 ed il 15 dei mesi dispari cercando possibilmente di dare ad ognuno il formaggio prodotto nel periodo in cui ha conferito il latte. Una mucca, in un anno, da circa 30 quintali di latte corrispondente a 240 kg di formaggio, 60 kg. di burro e 15-20 kg. di ricotta. Nella latteria di Lozzo negli anni '50 si arrivava ad una punta massima di latte conferito giornalmente di circa 17-18 q. nei mesi invernali, ed una minima di 7-8 q. nei mesi estivi quando le mucche erano all'alpeggio.

 

Autore della scheda: Giovanni De Diana Bórča.    

   

 

eof (ddm 02-2009)