Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore

dalle note del prof. Elio del Favero  - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale

prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini  

 

Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario,  è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.

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LA CASA

 

1 - Le case di Lozzo

 

L'attuale abitato di Lozzo si è sviluppato lungo il corso del Rio Rin, partendo probabilmente dall'antica borgata dei Žèrve, sopra l'abitato di Pròu. Che questa borgata fosse il centro amministrativo non ci sono dubbi, infatti qui si svolgevano le riunioni dei capi famiglia nella piazza detta appunto delle Fàule, che successivamente prese il nome di piazza Da Rin. La borgata aveva anche una sua chiesa, la chiesa di S. Rocco, eretta probabilmente sul posto della più antica chiesa di S. Lorenzo. Poche sono le costruzioni antiche, che per semplicità definiamo in "stile cadorino", caratterizzate da più unità abitative con la cucina al piano terra e le camere dislocate su più piani e raggiungibili attraverso scale e ballatoi esterni che mascherano il muro della casa, fatto generalmente in pietra del luogo. La stalla invece è sempre a nord del fabbricato, in parte interrata, con entrata direttamente dall'esterno; ad essa è sovrastante il tabià, costituito da una complessa struttura portante lignea a travi controventati, chiusa da una immantellatura in legno. La soffitta risulta interamente aperta sul lato esposto al sole, per permettere l'essiccazione delle biade e la maturazione del granturco. I pochi esemplari rimasti si possono ammirare ancora nella piccola porzione di abitato, scampata ai vari incendi, che dalla canonica e casa Zanetti si estende verso piazza da Rin alla sinistra dell'attuale via Da Rin.

Il nostro paese, in soli 43 anni, ebbe a soffrire quattro grossi incendi. Il primo il 2 ottobre 1833, in cui furono distrutte le case di 45 famiglie con 21 stalle e fienili nella borgata Stèfin. Il secondo il 18 ottobre 1847 nel quale furono distrutte 42 abitazioni con 55 stalle e fienili nella borgata che dalla fontana dei Danèla va verso S. Rocco, con il successivo progetto di rifabbrico dell'ing. Sandi e ricostruzione della chiesa di S. Rocco su progetto dell'architetto Segusini. Il più vasto e terribile rimane comunque il terzo, sviluppatosi nella notte tra il 15 e il 16 settembre 1867 che incenerì in poche ore la parte inferiore del paese distruggendo 443 abitazioni. Nella catastrofe rimasero danneggiate la chiesa parrocchiale, il campanile, la casa comunale e si ebbero tre vittime, due coniugi con una loro figlia. Circa 900 abitanti furono danneggiati dei quali 795 rimasero senza tetto. L'ultimo incendio, in ordine di tempo, è quello che distrusse l'intera borgata Zanella il 9 marzo 1876 cui seguì progetto di rifabbrico dell'ing. Pilotti.

Già la repubblica Veneta aveva emanato disposizioni sui metodi di costruzione per evitare questi disastrosi incendi. Una disposizione del governo austriaco di Venezia, datata 15 maggio1845, impone in caso di incendio, per tutte le nuove costruzioni e per le parti da ricostruire, l'uso della pietra. Il Regno d'Italia riprende e rinforza le stesse norme, per cui quando il 15 settembre 1867 scoppia quello che rimarrà alla memoria come l'ultimo grande incendio del paese di Lozzo, viene adottato un piano di ricostruzione nel quale le case ricostruite sono completamente esenti da legno tranne le strutture del tetto.

Di fatto intervengono nella ricostruzione fenomeni anche più vasti. In questa seconda metà dell'ottocento alcuni architetti, pervasi da entusiasmo illuministico e spirito di perfezione, si erano prefissi di ricostruire i paesi e le città come opere perfette, con case tutte uguali secondo modelli prefissati, chiese grandi, belle come templi greci, strade diritte, larghe, allineate, parallele o disposte a raggiera a partire dalla chiesa. Per questo tipo di pianificazione si parla di "rifabbrico", non solo nel senso di ricostruzione, ma per un insieme di norme stabilito da una commissione cittadina preposta alla ricostruzione, quello che oggi è il Piano Regolatore (vedere quanto riportato alla voce refàbriko). Questo tipo di intervento appare anche in altri paesi della parte orientale del Cadore, di fatto si diffonde un po' dappertutto ma qui è più evidente e ancor oggi facilmente leggibile. Così il termine refàbriko, che in origine indicava il quantitativo di legname che ogni regoliere riceveva di diritto dalla Regola per la costruzione della propria casa, (I me a dòu vinti tae, su a Daósto, pal refàbriko de l tabià) è usato prima per indicare i materiali destinati dalla comunità alla ricostruzione (non è possibile infatti pensare a un lavoro così imponente senza sostegno da parte della comunità), poi il piano stesso di ricostruzione.

Propugnatore di tali schemi in Cadore è l'architetto Segusini che opera in Comelico, in Auronzo ed a Lorenzago appoggiandosi nell'esecuzione all'ingegner Palatini. Si aggiunga inoltre, per permettere il completamento dell'opera, quello spirito solidale che esisteva ancora in paese grazie alle tradizioni regoliere, per cui una volta arrivati ad un accordo su di una linea d'azione tutto il paese si adeguava. Solo così ci si può spiegare la grandiosità di alcuni piani di ricostruzione impostati e in buona parte realizzati indipendentemente dal verificarsi degli incendi. Piani di rifabbrico appaiono così a Lorenzago, Padola, Auronzo, non come ricostruzioni da incendio, ma come piani preventivi che prevedono la demolizione delle vecchie case in legno e loro ricostruzione in pietra, comprendendovi i problemi di lottizzazione, approvvigionamento dei materiali e trasferimento nelle nuove case in pietra. Sono piani impensabili al giorno d'oggi perché sostituendo le case in legno con righe parallele di case tutte uguali, in sassi, vengono trasformati radicalmente i caratteri dell'abitato; gli eventi successivi hanno ulteriormente trasformato i paesi, un esempio ancor oggi facilmente leggibile è quello dell'abitato a lato della chiesa di Lorenzago. Il progetto di ricostruzione delle case di Lozzo fu impostato su edifici a modulo fisso, disposti per vie parallele.

Una parte del paese, le case di Ğòuda, Bróilo e Mèdavìla portano ancora oggi tracce evidenti del progetto. Il refàbriko, in questo caso, sta ad indicare sia il progetto di ricostruzione definito dall'ing. Simeone Zanetti, e successivamente rivisto dall'ing. Palatini, sia le norme poste agli abitanti di Lozzo, all'epoca (1867) non più regolieri. Con questo piano di rifabbrico l'area urbana è aumentata considerevolmente rispetto alla precedente, sottraendo alla campagna parecchi ettari di terreno agricolo e ciò per rispettare le distanze tra i singoli edifici e per progettare una comoda viabilità interna. Anche la strada di collegamento con Auronzo, che prima dell'incendio passava per la piazza Vecchia, con il piano di rifabbrico è prevista nella sede attuale, passando tra la ex chiesa parrocchiale e palazzo Pellegrini. In questo piano sono stati previsti quattro tipi di costruzioni, di I, II, III e IV classe ciascuno disposto su tre piani più soffitta.

La prima classe è formata da sei stanze e una loggia per ciascun piano, ed occupa con l'esterno dei muri l'area di 194,4 m2 (13,50 x 14,40 m). La seconda classe è di quattro stanze e una loggia per ogni piano, ed occupa, compresi i muri, la superficie di 105,02 m2; la parte retrostante e contigua è adibita a stalla, con sopra il fienile e soffitta e occupa un'area di 48,38 m2 (11,80 x 4,10 m) compresi i muri. La classe terza ha tre stanze, la loggia tra le prime due e la stalla al piano terra. In corrispondenza nei due piani superiori ha due stanze per ciascuno ed il fienile sopra la stalla; tale costruzione ha una superficie di 110,2 m2 (11,60 x 9,50 m) compresi i muri. La classe quarta è composta di una loggia al piano terreno e così anche nei piani superiori e serve per una sola famiglia; di lato alla loggia ne viene però affiancata un'altra, delle medesime dimensioni, composta da altre due stanze per alloggiare un'altra famiglia. Nel complesso le quattro stanze con due logge occupano una superficie di 101,83 m2 (12,65 x 8,05 m). Ciascuna delle tre ultime classi ha focolare e latrina all'esterno. In realtà questi tipi di costruzione standardizzati non sono stati interamente rispettati, in quanto si è preferito in moltissimi casi, all'atto della costruzione, trasformare i previsti tetti a padiglione a pianta rettangolare con quattro falde, con tetti sempre a padiglione ma a tre falde con il caratteristico colmo smusso. Ciò non per capriccio ma per l'esigenza della popolazione di avere una soffitta aperta per mettere a seccare le granaglie e le biade, in contrasto con le rigide regole del rifabbrico che prevedevano costruzioni murate fino al tetto. Ecco allora delinearsi lo stile della tipica casa di Lozzo con loggia centrale, una o due stanze ai lati, giroscale in fondo alla loggia, cinque fori sulla facciata principale, due in corrispondenza delle stanze e una nella loggia; molte volte compare un minuscolo balcone in corrispondenza della finestra centrale del terzo piano. La soffitta sul fronte principale è aperta e si notano le due travi verticali che poggiano sui muri portanti della loggia a formare il castello che sostiene il tetto trifalde con colmo smusso. Lungo tutta la lunghezza del fronte c'è un balcone di legno a filo muro, lavorato con le più svariate forme di disegno. Alcuni esemplari di queste costruzioni si possono ancora vedere nella loro interezza, le altre sono state modificate con ristrutturazioni che ne hanno cambiato la forma e l'aspetto originario.

In tempi più recenti subentrano altre tecniche costruttive ed altri materiali, che portano a risultati ancora diversi. Già verso fine ottocento, importata dalla città, sorge la moda di intonacare le case esternamente, cambia la tecnica di costruire e le dimensioni di porte e finestre. Le case si fanno con strutture reticolari in cemento armato, i muri non sono più di sassi a vista ma di mattoni, esternamente intonacati, su progetti che ripetono il modello della casa di città.

Rimangono testimonianze del passato precedente agli incendi le costruzioni in stile "cadorino", casa Zanella Paolino, casa De Diana Bóro e Zanella Valentino Madèrlo, i bei rustici, tabià ex De Meio Siortìta e le case signorili già interamente in muro, casa Barnabò ora De Meio Burigèla, casa de ki de Balduìn, casa De Meio Siortìta detto Siór dei Sióre, casa Zanetti, casa delle Sióre. Nella parte dell'abitato che costeggia il rio Rin si insediarono attività che richiedevano lo sfruttamento dell'acqua, mulini, segherie, filande, folli, fucine con le tipiche costruzioni.

L'architettura sacra è rappresentata dalla ex chiesa parrocchiale di S. Lorenzo ristrutturata dopo il rovinoso incendio del settembre 1867, dalla chiesa di S. Rocco ricostruita dopo l'incendio del 1847 su disegno dal famoso architetto feltrino Giuseppe Segusini, dalla chiesa di Loreto, eretta nel XVII sec. sulla vecchia strada romana che conduceva ad Auronzo. Ci sono poi le opere militari fatte in pietroni squadrati, frutto della migliore ingegneria edile militare di fine ottocento (Forti di Kòl Vidàl, ricovero Čaréido, Caserma di Sorakrépa, stazione della teleferica con partenza alle Spése e arrivo a Piàn de Formài). Non vanno poi dimenticate le casere e tutti i fabbricati rurali sparsi a centinaia per tutto il territorio descritti e trattati su altre schede.

Vale la pena di aggiungere due parole sull'uso della calce e del legname. La calce è materiale molto antico e proviene dalla calcinazione a 800°C delle pietre calcaree, ricche di carbonato, distinguibili per il loro colore bianco. La disponibilità di calce in paese era praticamente continua; c'era sempre una buca dove trovare un po' di calce spenta utilizzabile per i lavori in una o nell'altra delle case dell'abitato. Quando c'era una nuova casa o un fienile da costruire, si preparava un nuovo quantitativo di calce. Per le costruzioni da fare nel bosco, o comunque fuori paese, ad esempio per la Kaśèra dele Vače a Pian dei Buoi, si approntavano calchere nelle immediate vicinanze del luogo di costruzione, compatibilmente con l'esigenza di avere a disposizione pietre calcaree e legna in buona quantità. Viene usata per legare tra loro i sassi del muro, per intonacarlo, come protettivo igienico per la parte bassa dei muri e nella tinteggiatura dei muri interni. Nei vecchi muri di sostegno la calce non si usava preferendo erigerli a secco (muri lungo la strada del Genio e i muretti di sostegno dei tabiàs). Nelle case in paese, gli interstizi tra pietra e pietra sono chiusi con un impasto di calce e sabbia che assume il colore leggermente rosato di quest'ultima. La calce esiste come calce aerea, viva o spenta, e come calce idraulica, che fa presa sott'acqua. La malta è un impasto di acqua, sabbia ed un legante, calce o cemento, usata dai muratori per legare mattoni o sassi uno all'altro o per intonacare.

Sia la calce che il cemento sono leganti; disporre di leganti, cioè di materiali che permettano di unire piccoli pezzi per avere un grande muro, è il segreto base delle costruzioni. Calce e cemento non sono materiali molto dissimili; la calce è ottenuta per calcinazione di pietre composte da carbonato di calcio piuttosto puro, mentre il cemento è ottenuto dalla cottura, a temperature superiori, di carbonato di calcio con notevoli parti di argille marnose. Dal primo tipo si ottiene la calce aerea, che fa presa all'aria, dal secondo un legante che per far presa deve rimanere continuamente bagnato. Il cemento non solidifica in acqua, ma deve essere bagnato, tenuto umido per diverse ore, in pratica per tutto il periodo di solidificazione. La calce è un legante piuttosto fragile che si sgretola facilmente, mentre il cemento, quando fa presa, genera dei blocchi solidi come la pietra. Per ottenere la calce bisogna costruire una calchera, grande quasi come una piccola stanza, dove si pongono le pietre a calcinare per almeno un paio di giorni. Per produrre il cemento invece sono necessari forni che raggiungono temperature molto elevate, non ottenibili nella pratica quotidiana artigianale. Dovunque appaia il cemento si può tranquillamente pensare ad apporti esterni, successivi alla prima guerra mondiale. L'unica costruzione antecedente fatta con il cemento è il forte di Kòl Vidàl.

Il legname era senza dubbio una materia prima molto abbondante nel territorio comunale di Lozzo, tanto che l'amministrazione comunale possedeva una segheria funzionante ad acqua detta siéga de Komùn, che è stata molto utile per la ricostruzione seguita all'incendio del 1867. Per la costruzione di una casa servivano parecchi metri cubi di legname, basti pensare alle scale, ai solai di ogni piano, al tetto ed ai serramenti. Le travi del tetto e dei solai erano generalmente squadrate da bravi artigiani del luogo, non erano però spigolate come in uso ai nostri giorni. In molti casi le travi rimanevano rotonde e veniva squadrata solamente la parte dove dovevano essere fissate altre tavole o travi. I pavimenti e le scale invece, venivano fatti con assi di larice o abete ottenuti in segheria, dello spessore di circa 25-30 mm, così pure i serramenti. Le scandole per il tetto venivano fabbricate in loco con il procedimento già descritto nella costruzione del tabià.

 

   

2 - Le fasi di costruzione di una casa

 

Si diceva che per fare una casa ci volessero, grosso modo, tre anni: uno per procurarsi i sassi, uno per il legname ed uno per la costruzione vera e propria. Un detto che indica in modo semplice quali erano i problemi e i tempi per costruire una casa.

Nel periodo di amministrazione regoliera il territorio apparteneva alla Regola, ma è del tutto semplicistico supporre che chiunque avesse voluto avrebbe potuto costruire casa nei prati disponibili intorno al paese o disboscando un tratto di bosco. Al contrario, esistevano norme molto vincolanti sull'uso del territorio, tanto più su quelli prossimi al paese. La costruzione di una casa richiedeva l'assenso della Regola sia per ottenere il luogo che i materiali. Tutte le decisioni venivano prese tra le famiglie che erano nella Regola e ciò avveniva in tempi brevi. La concessione di un nuovo spazio per costruire una casa era un problema non da poco. Il numero dei fuochi all'interno della Regola era chiuso, fisso, e solo il responsabile di un fuoco poteva avere una casa e la stalla. Il problema di un giovane che voleva, come si dice oggi, "metter su casa", cioè sposarsi ed andare ad abitare per conto proprio, non era di facile soluzione. O la famiglia aveva a disposizione un terreno sufficientemente ampio per costruire un nuovo edificio oppure doveva procurarselo con contrattazioni. Era notevole, inoltre, la tendenza dei capofamiglia a mantenere il controllo sui propri figli, cercando di mantenere tutti sotto lo stesso tetto, quindi la loro casa diventava un bene secolare.

Descriviamo ora la sequenza delle fasi antiche di costruzione di una casa. Una volta individuato il sito dove costruire, aveva inizio lo scavo di livellamento in quanto il terreno, vista la tormentata morfologia del territorio, è in pendenza nella maggior parte dei casi; successivamente veniva affrontato lo scavo delle fondamenta. Questa operazione veniva eseguita con piccone e badile ed il materiale veniva trasportato con le carriole. Durante lo scavo venivano messe da parte le pietre che, una volta lavate, servivano per fare le massicciate del piano terra, della stalla e dei marciapiedi.

Logicamente, prima di iniziare a costruire una casa bisognava reperire tutto il materiale necessario; il legname veniva concesso dalla Regola ad ogni regoliere, le pietre venivano prese nelle cave vicine e portate sul posto dalle donne con le gerle, la sabbia invece veniva presa sul greto del Piave, do da la Piave. La calce viva, prodotta nei parecchi forni da calce (čaučère) presenti in paese, veniva spenta nelle buche approntate appositamente nelle vicinanze del cantiere.

Una volta ultimato lo scavo, si iniziava a costruire le fondazioni partendo dai sassi più grossi, così da distribuire il peso della erigenda costruzione sulla maggior superficie possibile. Normalmente le fondazioni coincidevano con la pianta dell'edificio, in quanto tutti i muri divisori erano muri portanti. Ultimate le fondazioni si iniziavano a costruire le murature con le pietre squadrate in loco; negli angoli venivano posate le pietre di pezzatura più grossa, che venivano intercalate una rispetto all'altra, in modo da formare una specie di incastro a pettine tra i due lati del muro da unire, dando così compattezza alla struttura. Le pietre del muro venivano legate fra loro con una malta di sabbia e calce, e posate in modo tale da non far mai coincidere le fessure dei corsi. Dove erano previsti i fori, sopra le porte e le finestre, venivano costruiti gli archi di scarico che distribuivano lateralmente il peso del muro soprastante. L'arco veniva spesso sostituito da travi di legno (remenàti), che avevano la funzione delle attuali architravi armate.

Raggiunta l'altezza del piano, si inserivano le travi dei solai che penetravano all'interno del muro di circa 20-30 cm e veniva posato il pavimento (siòlo) formato da tavole di larice o di abete. Nei fori delle porte e delle finestre venivano inserite direttamente le casse in legno (postèrne) sulle quali, in un secondo momento, venivano fissati i serramenti. Sul portone di ingresso venivano fissate le mostre in legno (érte) con una presa di luce soprastante (luminàl). Nelle case signorili, o di una certa importanza, le mostre delle porte in legno erano sostituite da quelle in pietra viva lavorata a mano. A questo punto si poteva dare inizio alla costruzione del piano superiore, che veniva innalzato allo stesso modo, e così pure i successivi. Per tenere unite le mura perimetrali e rendere compatta la struttura, venivano inserite delle graffe in ferro (àrpes) sugli angoli della costruzione, collegate fra loro con dei tiranti in ferro. Giunti all'ultimo piano iniziava la costruzione del tetto che, a seconda del tipo di perimetratura, quadrata o rettangolare, era rispettivamente bifalde (tipica casa cadorina) o a padiglione a quattro falde.

Le finiture consistevano nella posa dei serramenti, nella costruzione delle scale di accesso ai vari piani, nella costruzione dei soffitti (kon le kantinèle e la màlta) e delle tramezze interne (gardìž). I lavori di costruzione dei serramenti venivano fatti nei periodi invernali nelle botteghe degli artigiani utilizzando la materia prima fornita dai committenti. è interessante riportare integralmente un passo del regolamento vigente a Lozzo per la riedificazione delle case perdute a seguito dell'incendio del 15 settembre 1869.

 

omissis..."La demolizione delle vecchie muraglie, ad eccezione di quelle che potessero rimanere, come si dirà al capo V, la riduzione delle aree per l'impianto delle fabbriche, per strade, piazze, ecc., la costruzione dei muri perimetrali delle fabbriche nuove fino a fior di terra, il taglio delle piante e della legna, la riduzione e fabbricazione dei tronchi corrispondenti agli usi cui devono servire, il disbosco e trasporto ai luoghi che verranno destinati dalla commissione, l'approntamento dei sassi pei forni da calce nei siti che pure verranno destinati, ed ogni altro lavoro manuale relativo ai detti lavori, verranno eseguiti in società dalle famiglie incendiate, lavorando uno per tutti e tutti per ciascuno. Sarà dovere quindi di ogni famiglia di prestarsi con fedeltà e amore coi propri individui uomini, donne ed anche con animali a fare tutti quei lavori, che a seconda dell'attitudine individuale saranno destinati ogni qualvolta venga ordinato dalla Commissione, o suo incaricato. Le famiglie, od individui che si rifiutassero, saranno esclusi dalla compartecipazione dei sussidi comunali e dalla somministrazione di legnami e calce". omissis ...

 

ancora dal regolamento:

omissis... "All'esecuzione della grand'opera occorrono manovali, muratori, falegnami e denari. Nessuna, o qualche rara famiglia, possiede tutte le accennate occorrenze; ma unite come una sola, le possiedono tutte. Ad oggetto quindi che possano impiegarsi tutte le braccia e tutti i mezzi locali, e rimangano possibilmente i vantaggi in Comune, sarà bene che tutti i lavori si facciano in società, prestandosi uno per tutti e tutti per ciascuno. Per tal modo le forze si uniscono e a vicenda si rendono attive, e dall' unione si ha la forza, giacché il manovale ha bisogno del muratore e del falegname, e questi hanno bisogno di quello, e tutti hanno bisogno del denaro". omissis...

 

3 - Elenco voci: casa e altri edifici

 

- bar, osteria - ostarìa

- campanile - kanpanì, čanpanì

- capitello, edicola - kapitèl

- casa in genere - čàśa

- case militari di Col Vidal - kaśèrme

- casera - kaśèra

- chiesa - čeśa

- fabbrica - fàbrika

- fienile - tabià

- follo - fól, folèi

- fortificazioni di Col Vidal - fòrti

- fucina - fośìna

- laboratorio - botèga

- latteria - latarìa

- mulino - molìn

- negozio - botèga

- opificio - fàbrika

- segheria - siéga

- stalla con fienile annesso - gàina

 

4 - Elenco voci: pertinenze, stanze

 

- ambiente dove si prepara il mangiare - čàśa, kuśìna

- area fabbricabile - sedìme

- camera da letto - kàmbra

- camerino, piccolo ripostiglio - kanberìn

- cantina - čàneva

- cantina, angolo della cantina - gravèi; angolo scuro della cantina, dove si possono stivare le patate evitando che germoglino. Ei ğenpìu l gravèi de patàte apèna ğavàde ho riempito l'angolo della cantina di patate appena raccolte.

- cantina, ripostiglio per stoccare il formaggio - želèi

- corridoio lungo e buio - landrón, landróna

- corridoio, disimpegno - lòda

- cortile - kortìvo

- deposito di granturco, granaio - biavèr

- dispensa, ripostiglio, sbrattacucina - spažakośìna

- focolare - fogèr; la parte della cucina costituita dal larín con le tre bánče attorno e la nàpa con la čadéna. è il luogo dove si cucinava, dove si stava seduti per mangiare con il piatto sulle ginocchia, dove si rimaneva al caldo quando c'era brutto tempo e faceva freddo, dove si poteva riposare rimanendo sdraiati sulla bánča con la testa appoggiata sulla skañèla. Nel fogèr quindi, si svolgeva la vita dell'intera famiglia. Il fogèr era generalmente una costruzione esterna alla casa, appoggiata al muro maestro, fornita di finestre per dar luce all'interno e di un grosso camino che restava al di fuori del muro maestro; il larín è la piastra da fuoco in pietre all'interno del fogèr.

- gabinetto - kòmedo; costruito all'esterno dell'abitazione generalmente in un angolo dell'orto a servizio di più famiglie

- gabinetto, cesso - čèso

- letamaio - kórte

- luogo dove viene fatto il bucato - lesivèra; può essere una stanza del piano terra del fabbricato oppure una costruzione separata dove si fa la lesìva

- stanza adibita a soggiorno - stùa; locale rivestito di legno, provvisto di stufa o del forno in cui si cuoceva il pane. Sta nte stùa al čiàudo stare nel tinello al calduccio

- magazzino - magadèn

- piano terra - piantèra

- piccola stanza usata anche come guardaroba - stanžìn

- porticato - pòrtego

- ripostiglio - kanberòto

- scale - sàle

- soffitta - sofìta

- soffitta chiusa senza aperture e finestre, soppalco - sofìta mòrta

- stanza piccola e angusta, ripostiglio, legnaia - gabiòto

 

5 - Elenco voci: tetto

 

- abbaino, uscita sul tetto per eseguire la manutenzione - luminàl

- ala del tetto - spòrto

- architrave, balaustra, stanga trasversale del tetto - barkón

- canaletta in lamiera per convogliare l'acqua di due falde convergenti del tetto - konvèrsa

- capriata del tetto - kaveriàda

- castello del tetto - kastèl

- cerniera del tetto - pontàl

- chiodo - čòdo

- contraffi, controventature, travi che dal monaco poggiano sul puntone - saéte, frontói

- corrente del tetto - degorènte

- grondaia - górna

- grosso chiodo a sezione quadrata - kòntena

- imbragatura in ferro - bràga

- insieme delle tavole e dei listelli su cui poggiano le tegole o le sàndole - làta

- lamiera - làta

- listello in legno - listèl

- monaco - ométo, omenéto

- puntello - pontèl

- puntone trasversale che parte dal monaco che sostiene il colmo e si incastra sulla catena del tetto - pontón

- scandola di legno - sàndola; scandola, assicella ricavata dalle bóre di larice. Vengono usate come tegole per tetti, sovrapposte l'una sull'altra in modo tale da non lasciar filtrare l'acqua piovana. Sàndola dordolàda, assicella fatta a mano con l'ascia

- staffa in ferro - stàfa

- tavola, asse - bréa

- tegola arcuata - kóp

- tetto di lamiera - kuèrto de lamiéra

- trave orizzontale alla base del tetto detta anche catena - bànča, piàna

- trave rompitratta tra il colmo e il prefìl - terzèra

- ultima trave del tetto che poggia sui muri portanti dell'edificio dal lato degli spioventi dove vengono fissati i correnti - prefìl

 

6 - Elenco voci: materiali usati

 

- asta di legno usata per fare soffitti e graticci - kantinèla

- calce spenta - čaužìna

- calcestruzzo - petùme

- detriti - materiàl

- filo di ferro - fìlo de fèr

- ghiaia - ğàra

- ghiaia minuta - ğarìn

- ghiaia grossa - ğarón

- graffe di ferro per tener legati i muri - àrpes

- lastre di pietra usate per pavimentare la cucina - làsta, lastón

- legname - leñàme

- legno - lén

- malta - màlta

- materiale per l'edilizia - materiàl

- mattone - matón

- mattone forato - foratón

- mucchio di pietre - maśiéra

- piccola pietra piatta - skàia

- pietra - pèra

- putrella - potrèla

- sabbia - sàbia

- sabbia fine - sabión

- sabbia finissima per fare la malta da intonaco - lìdo

- sasso, macigno - perón, klàper, klòmer, krépo

- trave - tràvo

- terreno - tèra, tarén

 

7 - Elenco voci: elementi di una casa

 

- apertura sul muro per far uscire il fumo - fumèi

- architrave di legno della porta o della finestra - remenàto

- balcone - barkón

- balcone, poggiolo - piól

- botola - rebàlta

- cappa del camino - nàpa

- cardine della porta - pòlis

- cardine in legno della porta dei fienili - ğardenì

- cassa della porta o della finestra - postèrna

- chiavistello, catenaccio - santarèl

- chiavistello, paletto - sklòk

- cornicione della casa- korniśón

- davanzale della finestra - balkón, barkón

- fondamenta - fónde

- inferriata - firiàda, nferiàda

- muro - mùro

- parapetto in muratura - spaléta

- parete divisoria - tramìda, tramedèra

- parete divisoria costituita da intrecci di legno, paglia e malta - gardìž

- parete, muro divisorio - paré

- parte interna del davanzale della finestra - bankàl

- pavimento in legno - siòlo

- pilastro di rinforzo - barbakàn

- poggiolo - pòdo

- porta a vetri - portiéra

- portone - portón

- secchiaio - seğèr

- selciato, acciottolato - salìdo

- serratura - seradùra

- soffitto - sofìto

- solaio - solèr

- stipite della porta - érta

- stipite della porta del fienile - palastàdia

- telaio, intelaiatura - telèr

- telaio della finestra - telerìn

- trave su cui appoggiano i sostegni terminali superiori della scala- čavaról

 

8 - Elenco voci: attrezzature, attrezzi, lavorazioni

 

- argano, carrucola - àrgin

- assicella per livellare pavimenti e pareti - stàda

- badile, pala - badì

- barella per il trasporto del materiale - žuliéra ko le spalànğe

- betoniera - petumiéra

- calcinaio - čaužinèra

- carriola - barèla

- cassa in legno per contenere la malta - kasèla de la màlta

- cassa per portare a spalla la malta fresca - kažuól

- cazzuola - kažòla

- chiodo - čòdo

- chiudere una finestra o una porta con un muro - murà, nmurà

- costruire, fabbricare - fabrikà

- cunei di legno o ferro per spaccare i sassi - koñèra

- forno da calce, calchera - čaučèra

- graffa di ferro - klàmera

- impalcatura - armadùra

- leva in ferro per schiodare le tavole e levare i chiodi - leverìn

- livella - livèl

- martellina - martelìna

- martello - martèl

- mazza in ferro per spaccare pietre e conficcare pali - màža

- mazzuola - màžòto

- pennello - penèl

- piccone - pikón

- ridurre la calce viva a calce spenta - deśgalà

- riempire di malta le fessure tra i sassi - fugà

- secchio per la malta - kalderèla

- frettazzo - fratón

- frettazzino - fratonžìn

 

Autore della scheda: Giovanni De Diana Bórča.  

   

   

eof (ddm 02-2009)