Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore

dalle note del prof. Elio del Favero  - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale

prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini  

 

Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario,  è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.

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vàča sf. (pl. vàče) mucca, fig. persona seduta in modo scomposto. N čàpo o na màndra de vàče una mandria di mucche; vàča da làte mucca lattifera; la vàča matéa la mucca è in calore; menà la vàča condurre la mucca dal toro; monteà le vàče condurre le mucche all'alpeggio; di a pasón ko le vàče condurre le mucche al pascolo; te ses kóme na vàča śbràgažàda sei seduta in modo scomposto, sei stravaccata. Il colore del mantello dava anche la classificazione delle mucche: vàča làura mucca pezzata bianca e rossa, vàča olandéśe mucca pezzata bianca e nera, vàča svitž mucca grigio chiaro, vàča mòra mucca nostrana grigio scuro, marron e nero, vàča bìśa mucca bruno alpina color grigio medio.

 

vàče sf. (solo pl.) chiazze irregolari di colore rosa. Il termine si riferisce alle macchie rossastre che appaiono sulle gambe a chi soffre di problemi circolatori o quando si rimane troppo a lungo attorno al fuoco per riscaldarsi. Avé le vàče avere macchie rosse sulle gambe

 

vadìa sf. (pl. vadìe) multa per i reati di abuso della proprietà regoliera1.

 

vàida, vèida sm. (pl. vàide, vèide) aiuto pastore. Colui che assiste il pastore durante l'alpeggio del bestiame.

 

vaità vb. trans. (vàito; vaitèo; vaitòu) aspettare qualcuno di nascosto per sorprenderlo. Són stòu dùta la nuóte a vaitàlo ma no són stòu bon de čapàlo ho vegliato tutta la notte per sorprenderlo, ma non ci sono riuscito (v. nbaità).

 

vàka  sf. (solo sig.) rovina. Di n vàka finire male, fallire; bičàla n vàka darsi alle gozzoviglie, lasciare che tutte le cose vadano in rovina. Stasiéra me èi bičòu n vàka mi sono concesso una serata di svago, una serata scaccia pensieri.

 

vàka  sf. (pl. vàke) donna di facili costumi. Unito ad altri sostantivi, il termine connota di un senso di enormità o di faciloneria un'azione. Kéla la e stàda na vàka quella è stata una donna di facili costumi; il termine assume un valore ancora più offensivo; čòko kóme na vàka ubriaco fradicio; laurà a la vàka fare le cose alla meno peggio; pòrka vàka porca miseria.

 

vakèr sm. (inv.) commerciante, chi compra, vende o custodisce bovini. L a fàto l vakèr par n grùmo de àne, daspò l e du n Svìžera ha fatto il commerciante di vacche per diversi anni e poi è emigrato in Svizzera.

 

vàl  sf. (inv.) valle. Ricordiamo i nomi delle valli più importanti nel territorio di Lozzo: Val de Festìn, Val de Tomàs, Val de Krós, Val dei Àune, Valmaò o Malvaò, Val Častelìn, Val Čanpeviéi, Val de Faé, Valdarìn, Valdažéne, Valgrànda, Valsàlega o Varsàlega, Valpèlego, Valotié; Val déi Nasalùke, Val del Bò, Val de Moló, Val Lonğarìn, Val déle Autrìe, Val de Čóne, Val Skùra, Val déi Čavài, Val de Sandolès, Val de Kuóilo, Val da Pòrte, Val del Mìstro, Val Čarnèra, Val de Nariéto, Val de i Sanbugèi, La Val, Valžalìna, Val de Pomadòna, Val del Trìbol, Valśgriói; dim. valeśèla valletta o avvallamento del terreno.

 

Vàl  sf. (top.) località a nordovest del paese poco sopra S. Rocco, a nord dell'incrocio tra la strada del “Genio” e la mulattiera che sale verso Kuóilo. In questa valle sgorga anche una piccola sorgiva.

 

valàda sf. (pl. valàde) vallata. Da kasù se véde dùta la valàda da quassù si vede tutta la vallata; loc. veñì da le valàde de Bèrgamo fraintendere, farneticare; ma veñésto da le valàde de Bèrgamo? ma cosa dici?, parli di altre cose, sei fuori tema.

 

valé vb. trans. (vàlo; valèo; valésto) giovare, valere. Valé póčo valere poco; valé n grùmo valere molto; sta ròba no val tré skèi questa cosa non vale tre soldi, non vale nulla; fèise valé farsi valere, rendersi protagonista; no val a dì non vale la pena di parlare, non giova dire; tànto valèa ke no dése tanto valeva, era meglio che non ci andassi; prov. val pì n forèsto davežìn ke n fardèl lontàn nelle necessità vale più un estraneo che è vicino che un fratello lontano.

 

Vàle, Le Vàle sf. (top.) località che si trova a est di Mižói e a sud di Sómakuóilo ad una quota di circa 1500 m. Si raggiunge attraverso una mulattiera ripidissima con molti tornanti che serviva per il passaggio delle luóide che trasportavano d'inverno in paese il fieno stivato, durante l'estate, nei numerosi fienili della zona. Lungo la salita della mulattiera si attraversano infatti una serie di piccoli avvallamenti intervallati da ripidissimi costoni. Dall'orografia di questi terreni presumibilmente deriva il toponimo Le Vàle.

 

vàlia sm. (pl. i vàlia) vaglia postale. Nkuói èi čapòu n vàlia da la màre oggi ho ricevuto un vaglia postale dalla mamma.

 

valìs sf. (inv.) valigia. L e partìu kon na valìs de kartón e l e tornòu ko l londò è partito con la sola valigia di cartone ed è ritornato con il calesse, ha fatto fortuna.

 

Vàlis sm. soprannome di famiglia.

 

valón sm. (pl. valói) vallone. Tomà dó pa l valón scivolare, cadere lungo il vallone.

 

Valón, Ğàvo de l Valón sm. (top.) Avvallamento che inizia nella zona di Travesìne e passando vicino alla Kròda déla Žénğa arriva sulla strada romana dopo l lavinà déla Čùśa nella località detta le Čaučère. La parte a monte di questo canale è coperta da una folta vegetazione che nella parte bassa si fa più rada e brulla. Un tempo per questo canale veniva calato tutto il legname di Poleśìn, Piàn d'Adàmo e le altre zone circostanti.

 

valór sm. (inv.) valore, prezzo. Késta e ròba de valór questa è cosa di valore; va là ke te ses n valór va là che non vali proprio niente, espressione ironica.

 

valùda sf. (pl. valùde) valore, durata. Késta e ròba ke no a nisùna valùda questa cosa non ha alcun valore, oppure questa è cosa che non durerà a lungo, che si consumerà presto.

 

vàn sm. (inv.) attrezzo agricolo usato come ventilabro. Ampio cesto a forma di catino aperto da un lato costruito con strisce di nocciolo; viene utilizzato per separare la pula delle biade che, per essere allontanata, si lascia spargere al vento. Veniva usato inoltre per far asciugare i króstoi. A Lozzo il vàn si adopera soprattutto per granoturco e fagioli. Va a tòle l vàn ke e pikòu su nte sofìta va a prendere il vaglio che è appeso in soffitta. Fig. n vàn de króstoi una grande quantità di galani.

 

vandà vb. trans. (vandéo; vandèo; vandòu) ventilare, ripulire le biade o i semi col vaglio. Vandà l sórgo, l òrğo, i faśuói ventilare, ripulire dalle impurità il granoturco, l'orzo e i fagioli (v. dreà, dreià).

 

vànde vb. trans. (vandéo; vandèo; vandòu) passare al vaglio. Dón a vànde l'òrğo e l sórgo andiamo a passare al vaglio l'orzo e il granoturco. Per compiere questa operazione, si doveva aspettare che ci fosse una giornata di vento per permettere alla pula di volare via.

 

vanovà avv. di tanto in tanto, ogni tanto. Vanovà nevéa ogni tanto nevica.

 

vànpa sf. (pl. vànpe) vampa, fiammata. A l me a tànto nsoreòu, ke me a dòu su na vànpa mi ha talmente sconvolto che mi sono venute le vampe al viso.

 

vanpàda sf. (pl. vanpàde) vampata di fuoco o di fumo. Na vanpàda de fuóu una vampata di fuoco.

 

vantadà, vantadàse vb. intr. e rifl. (me vantadéo; vantadèo; vantadòu) avvantaggiare, trarre profitto, avvantaggiarsi. A fòrža de laurà, èi vantadòu n tin a forza di lavorare, ho avuto finalmente qualche buon profitto; me èi vantadòu n grùmo, ma nò asèi mi sono avvantaggiato di molto, ma non è sufficiente.

 

vantàdo sm. (pl. vantàde) vantaggio, guadagno, convenienza. Avé vantàdo avere vantaggio, guadagnare; da vantàdo a ki da Lóže dare vantaggio, agevolare quelli di Lozzo; èse n vantàdo essere in vantaggio, essere riuscito a risparmiare qualche lira; de vantàdo in più, in abbondanza.

 

vanžà vb. intr. (vànžo; vanžèo; vanžòu) avanzare, rimanere, essere in credito. Te vànželo àlgo de skèi? ti rimangono un po' di soldi, mi puoi prestare un po' di soldi?; màña, ma vànža àlgo pa l ğàto mangia, ma lascia qualcosa per il gatto; vànžo nkóra àlgo da ti avanzo, sono ancora in credito di qualcosa da te; fa e vànža ce n'è in abbondanza tanto che ne avanza; par te ste skàrpe fa e vànža a te queste scarpe sono più che sufficienti; prov. dùto kél ke e de pì vànža il troppo stroppia.

 

vanžadùra sf. (pl. vanžadùre) avanzo, rimasuglio di cucina. Parkè làsesto sènpre vanžadùre nte l piàto? perché lasci sempre rimasugli nel piatto?; ió no màño le tó vanžadùre io non mangio i tuoi avanzi; pòrta le vanžadùre al kùčo porta gli avanzi di cucina al maiale.

 

vàra sf. (pl. vàre) prato coltivato ad erba. La vàra viene concimata e falciata tre volte in un anno, contrariamente al prà che viene falciato una sola volta all'anno durante l'estate, perché si trova ad alta quota e l'erba non cresce più di tanto. La vàra si trova sempre nelle vicinanze del paese ed è quindi raggiungibile in poco tempo, tanto da permettere il ritorno in paese per il pranzo. Di a seà le vàre andare a falciare i prati attorno al paese; fién da vàra fieno ottenuto dalla falciatura dell'erba della vàra. Vàra è anche il campo che viene seminato con erba allo scopo di far riposare il suolo ottenendo poi una maggior resa delle coltivazioni. (v. nvarà, prà).

 

Vàra de la Skòla sf. (top.) Zona prativa sulla strada che porta a Faé in corrispondenza del sentiero che si stacca da questa per raggiungere i fienili di Velèža.

 

Vàra Grànda sf. (top.) Bellissima valle prativa che si trova ai piedi del ghiaione di Sorakròde, di fronte alla partenza della ex teleferica di Kòl Vidàl, in località Le Spése.

 

Vàra Pìzola sf. (top.) Piccola valle boscata che affianca la Vàra Grànda, sulla sinistra del sentiero che porta a Pian dei Buoi partendo da Vàl. La kòsta che delimita la parte a est della valle è denominata Kòsta Mùla.

 

vardà vb. trans. (vàrdo; vardèo; vardòu) guardare, sorvegliare, osservare. Vàrda sta čaméśa se la te piàśe guarda, dimmi se questa camicia ti piace; èi da di a guarnà, vàrda n tin ki tośàte devo andare a governare le bestie, dai tu un'occhiata ai miei bambini; vàrda ke te čàpo stai attento che ti prendo; vàrdete dal mal guardati dal male, è anche un saluto con l'augurio di non farsi male sul lavoro o durante il viaggio; vardà fòra par fenèstra curiosare, oziare; tó fìa vàrda bèlo ìnte órto tua figlia fa già la civetta; vardà ìnte órto detto dell'età adolescenziale quando si incomincia ad interessarsi all'altro sesso; vàrda! stai attento; čò, vàrda ki ke se véde che sorpresa vedervi; vàrda n tin kél ke l me konbìna guarda un po' quello che mi combina; vàrda tu, se dovèa kapitàme késta guarda un po' se questa mi doveva capitare; prov. vàrdete da ki ke pìsa àga sànta guardati bene dai bigotti; prov. vàrdete dài galantòmin ke dòrme de dì guardati dai galantuomini che dormono di giorno e... rubano di notte; prov. vàrdete dài dènte déi čàn e da ki ke tién sènpre la koróna nte man stai alla larga da cani e bigotti; loc. vardà fòra pa la stemàna detto che significa prendere tempo, espressione rivolta a chi non vuol mangiare e cerca qualsiasi scusa per evitare di farlo; loc. vàrda fòra pa la stemàna cercare di distribuire il lavoro lungo tutto l'arco della settimana, oppure razionalizzare il cibo che duri l'intera settimana; te as vòia de vardà fòra pa la stemàna come è lunga la settimana, non vedo l'ora che passi (v. àrda).

 

vardàda sf. (pl. vardàde) occhiata, modo di guardare. I èi dòu na vardàda ke lo èi bruśòu gli ho dato un'occhiataccia tanto da zittirlo; da na vardàda a le me pìte da un'occhiata alle mie galline; dài na vardàda a l mè luógo se i konfìn e a pósto da un'occhiata al mio podere e vedi se i pali dei confini sono a posto.

 

vargòña sf. (pl. vargòñe) vergogna, pudore. No te as vargòña de nùia non hai vergogna di nulla, non hai alcun pudore; késta e na vargòña màrža questa è una vera vergogna, una cosa inconcepibile; loc. skuèrde le so vargòñe coprire le parti intime del proprio corpo.

 

vargoñàse vb. rifl. (me vargòño; vargoñèo; vargoñòu) vergognarsi. Te dovaràe vargoñàte de kel ke te fas dovresti vergognarti di quello che fai; tu te te vargòñe par nùia tu ti vergogni, arrossisci per nulla; vargòñete, vargoñéve vergognati, vergognatevi; me vargòño de parlà mi vergogno di parlare (v. svargoñà).

 

vargoñós agg. (pl. vargoñóśe, f. vargoñóśa) scostumato, vergognoso, timido. Te ses pròpio n vargoñós sei davvero uno scostumato; parkè sésto sénpre kosì vargoñós kon tó pàre? perché sei sempre così timido con tuo padre?

 

varòla sf. (pl. varòle) vaccinazione antivaiolosa, cicatrice prodotta dalla vaccinazione. Fèise la varòla farsi la vaccinazione antivaiolosa; avé le varòle avere sul braccio le cicatrici lasciate dalla vaccinazione; le varòle a čapòu la vaccinazione ha reagito provocando febbre e pustole che lasciano cicatrici profonde dopo la guarigione.

 

Varsàlega, Valsàlega sf. (top.) valle molto grande tra la Val de Čanpeviéi e la Val de Poórse. Rappresenta con quest'ultima la parte migliore del patrimonio boschivo comunale che fino a qualche tempo fa era la vera ricchezza della comunità di Lozzo. A fondo valle si ha il Ğòu Maèstro che riceve le acque dei numerosissimi ğàve che vi confluiscono e che sono: Ğòu déi Penìže, Ğòu Kròda dela Màndra, Ğòu Fràne, Ğòu de Foržèla Bàsa, Ğòu déle Mòle, Ğòu Fontànabòna, Ğòu Palù, Ğòu Piàn déle Àste, Ğòu Kóda Možìna, Ğòu Pònte de Benardìn, Ğòu de Patèrna. In fondo valle, in prossimità del confine col comune di Auronzo, sorge il Kaśón de Valsàlega ora usato come ricovero dai boscaioli. Dal Kaśón si dipartono due lunghissime kòste (Kòsta Lònga e Kòsta Kòmoda) che raggiungono rispettivamente il Colle dei Buoi e il Kaśón de Foržèla Bàsa.

 

varsón sm. (pl. varsói) contrabbasso. Kuàn ke èra la bànda, dèo a sonà l varsón quando c'era la banda, andavo a suonare il contrabbasso.

 

varsór sm. (inv.) fendineve, punta terminale dell'aratro. Dì kol varsór passare col fendineve a ripulire le strade (v. arèr).

 

Varsùre sm. (top.) località che si trova in territorio del comune di Domegge di Cadore al confine con Lozzo, si può identificare nel territorio posto all'incirca alla sommità di Valžalìna e del Ğòu déle Tàpe in prossimità del sentiero che giunge da Prapiàn e prosegue verso Dumèle. Trovasi a quota di 1600 m perciò da considerarsi zona a prato d'alta montagna. Alcuni fabbricati rurali testimoniano come per molte altre località la presenza di una passata attività agricola.

 

vas sm. (inv.) vaso, barattolo, recipiente. Al vas dei ğerànie il vaso dei gerani; èi n vas pién de fiór ho un vaso pieno di fiori; vèrde l vas del miél apri il barattolo del miele; la me a dòu n vas de làte mi ha dato un recipiente pieno di latte; vas da mónde secchio che si adopera per mungere le mucche (v. pitèr).

 

vàska sf. (pl. vàske) vasca. La vàska del brénte la vasca della fontana, il lavatoio; la vàska de la kośìna la vasca dell'acqua nella cucina economica; la vàska de l àga čàuda il recipiente metallico dell'acqua calda che si adopera a letto per scaldarsi i piedi o il ventre.

 

vatečàva escl. vai a farti benedire. Vatečàva tu e la tó ròba vai a farti benedire con tutti i tuoi averi; loc. a la vatečàva alla carlona; tu te fas dùto a la vatečàva tu fai tutto alla carlona, senza andare troppo per il sottile.

 

vatikàno sm. (inv.) usato nella frase ka te as n vatikàno hai una casa molto grande.

 

pron. pers. rifl. vi. Vé dìgo dùta la verità vi racconto tutta la verità; parkè vé vargoñéu tànto? perché vi vergognate tanto?; vargoñéve vergognatevi; dovesà vargoñàve dovreste vergognarvi; nella forma enclitica il pronome si unisce al verbo (v. tabella pronomi).

 

véa sf. (pl. vée) vigilia. Me fiól tórna a čàśa la véa de Nadàl mio figlio torna a casa la vigilia di Natale; nkuói e véa e pàuso n tin oggi è la vigilia della festa e allora riposo un po'; laurà fèsta e véa lavorare tutti i giorni dell'anno; sonà vée suonare vigilia: l'espressione si riferisce alla tradizione di annunciare il giorno della festa facendo suonare le campane alla vigilia. Tra véa e sòn tra veglia e sonno, nel dormiveglia; prov. la véa de la Madòna de Aósto, dùna ànke l aužèl del bósko la vigilia dell'Assunzione della Madonna per tradizione si era tenuti al digiuno.

 

veà vb. trans. (veéo; veèo; veòu) vegliare. Di a veà andare a vegliare un morto durante la notte; secondo la tradizione parenti e amici del paese si recano a recitare il rosario in suffragio del morto presso la sua abitazione; a mezzanotte la recita delle preghiere si interrompe per uno spuntino.

 

veàutre, voi pron. sogg. compl. voi, voialtri. Veàutre si ke me volé bén voi si che mi volete veramente bene; véño ànke o kon veàutre vengo anch'io con voi; da del vói dare del voi. Fino a poco tempo fa l'uso del pronome “tu” era solitamente usato tra coetanei, dai genitori verso i figli e nipoti, dagli anziani verso i giovani. Il “voi” dei giovani verso quelli più anziani, parenti e non, era rigorosamente d'obbligo e chi si sottraeva veniva tacciato da maleducato. Ió te dào del vói sólo a ti, siór kuràto io dò del Voi solo a te signor parroco, detto di chi tratta tutti con eccessiva confidenza; veàutre se stàde pì fortunàde de neàutre voi siete stati più fortunati di noi; a veàutre a točòu l pèdo luógo a voi è toccato in sorte l'appezzamento peggiore. Veàutre avé vu la pèdo voi siete stati più sfortunati (v. tabella pronomi).

 

vèča  sf. (pl. vèče) vecchia. Loc. La me vèča usato per dire la mia cara a tutte le età.

 

vèča  sf. (pl. vèče) vecchia, pupazzo che raffigura la befana. La befàna e na vèča skàrmola parkè la da di do pài kamìn la befana è una vecchia molto magra perché deve scendere lungo le canne fumarie; bruśà la vèča bruciare la vecchia; per tradizione a metà Quaresima in paese si brucia un pupazzo di paglia vestito da vecchia megera. Il grande falò viene acceso poco sopra il paese n Kòsta, lungo la “strada del Genio”, in precedenza veniva bruciata n Kródego. Questa tradizione intendeva eliminare il vecchio e aprirsi al nuovo.

 

Vèča3 sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

večàia sf. (solo. sing.) vecchiaia. Nàni a pasòu na bèla večàia Giovanni ha trascorso una bella vecchiaia.

 

vèčo agg. (pl. vèče, f. vèča) vecchio. Késte skàrpe e bèlo vèče queste scarpe sono ormai vecchie; i nòstre vèče i nostri vecchi, i nostri antenati; prov. ko se sta polìto, no se e mài vèče quando si è in salute, anche la vecchiaia pesa di meno; prov. karnavàl da dóvin karéśema da vèče baldoria in gioventù, sofferenza in vecchiaia; prov. ki ke stràža l tènpo da dóvin, piànde da vèčo chi spreca il tempo quando è giovane, poi lo rimpiange quando è vecchio; prov. deventà vèče e la sóla maniéra de vìve de pi diventare vecchi è il solo modo di vivere più a lungo; l e veñù vèčo ñànte l óra malanni, preoccupazioni, gran lavoro, l'hanno invecchiato; gli attribuisci molti più anni di quanti ne abbia normalmente. Prov. i vèče no se li kostuméa pì non è possibile correggere gli anziani; dim. večùto; dispr. večàto; accr. večón. Quando è riferito ai bambini, il termine vèčo acquista valore vezzeggiativo; al mé vèčo, al mé večùto il mio caro bambino.

 

véde vb. trans. (védo; vedèo; vìsto, vedù) vedere. No védo nùia non vedo nulla; véde śbìrlo vedere doppio, essere ubriaco; fèi véde far vedere, dimostrare; te fàžo véde ió ki ke komànda ka ti faccio vedere io chi comanda qui; sta a véde stare a vedere; staśón a véde ki ke a reśón staremo a vedere chi ha ragione; vedarón, vedarón vedremo, vedremo, espressione per precisare che non si teme la minaccia di qualcuno; no véde pi perdere il lume della ragione; da ditolfàto no èi pì vìsto nùia, e alóra i èi dòu na kàrega ad un tratto ho perso il lume della ragione e gli ho dato un sacco di legnate; no véde l óra non vedere l'ora, essere impaziente; védesela bèla vedersela bella, trovarsi in un bel pasticcio; kéla òta me la èi vìsta pròpio bèla quella volta me la son vista proprio brutta, cioè mi sono trovato in un bel pasticcio, in pericolo; èra da védesela ho qualche dubbio che sia andata proprio così, oppure era da sapere che c'era del pericolo, delle difficoltà; fin ke se vedón, e bón séño finché ci si vede, vuol dire che siamo ancora vivi.

 

véde sm. (inv.) aspetto, apparenza. Késto no e n bèl véde questa è una cosa brutta da vedersi.

 

vedèl sm. (pl. vediéi, f. vedèla, pl. vedèle) vitello. Arlevà n vedèl allevare un vitello; tòčo de vedèl spezzatino fatto con carne di vitello; braśuóla, bistèka de vedèl braciola, bistecca di vitello; Fèi na vedèla fare una indigestione o una gran fatica. Secondo la tradizione a Lozzo quando il figlio è battezzato dopo il rinnovo del fonte battesimale del sabato Santo, i genitori erano tenuti a portare in dono al parroco un quarto di vitello, tradizione tolta dal Sinodo Diocesano nell'immediato dopoguerra; se véde da vedèl ke bò ke vién già da giovane si intravede come sarà in età matura; dim. vedelùto; accr. vedelón; dispr. vedelàto (v. kauré).

 

vedelàda sf. (pl. vedelàde) indigestione. Al di de Nadàl èi fàto na vedelàda il giorno di Natale ho fatto una gran indigestione.

 

vedelàme sm. (solo pl.) vitellame. Detto dei vitelli giovani, e per est. di altri animali giovani, fig. ragazzini. Vàrda kuànto vedelàme guarda quanta gioventù.

 

védovo sm. (pl. védovi, f. védova, pl. védove) vedovo. Me nòra e restàda védova màsa dóvena mia nuora è rimasta vedova troppo giovane; a na védova fa paùra ànke le père de la stràda una vedova, specialmente quando deve crescere i figli, teme imbrogli e intrighi da parte di tutti, anche dei parenti più stretti.

 

veğà vb. trans. (véğo; veğèo; veğòu) vegliare, stare sveglio, vigilare. Èi veğòu dùta la nuóte sono stato sveglio tutta la notte; sta nuóte me tóča a mi veğà l nòno stanotte tocca a me assistere il nonno; véğa ke no véñe su l làte stai attento che il latte non trabocchi; prov. ki ke véğa de nuóte dòrme de dì chi gozzoviglia di notte, non è poi in grado di lavorare di giorno; ki ke véğa la lùna, dòrme l sól chi veglia di notte, dorme di giorno, frase rivolta ai nottambuli.

 

velàda sf. (pl. velàde) zimarra, giacca lunga. Añó vàsto kon kéla velàda? dove vai così conciato?; fig. mèda velàda espressione usata per chi si dà delle arie inutilmente, uomo di costituzione fragile; fig. e óra ke te śgórle la velàda è ormai tempo che tu ti dia una mossa.

 

velén sm. (inv.) veleno, odio. Al velén pa le sorìže il veleno per i topi; èse pién de velén essere pieno di cattiveria, di odio; prov. òñi bìsa a l sò velén ciascun uomo ha il suo lato cattivo.

 

velenós agg. (pl. velenóśe, f. velenóśa) velenoso, astioso. Fóngo velenós fungo velenoso; parkè sésto kosì velenós? perché sei così astioso, così pieno di cattiveria?

 

veléta sf. (pl. veléte) veletta. Piccolo velo che le donne mettevano sulla testa prima di entrare in chiesa, in segno di devozione; ke vargòña, la èra dùda a tòle la komunión žènža veléta che vergogna, era andata a ricevere la comunione senza tenere il velo in testa.

 

Velèža  (top.) Si tratta di una località prativa, ad una quota di circa 1000 m, dove esistono ancora parecchi tabiàs. Come in tutte le zone dove è stata abbandonata qualsiasi attività agricola, assistiamo ad un graduale rimboschimento della zona, mentre sui prati incolti stanno crescendo in particolare cespugli di lamponi (Rubus idaeus L.). La località si trova dirimpetto a Cima Gogna, a nord del ponte di Čanpo, all'inizio della Val de Faé dove scorre il Rin de Velèža affluente dell'Ansiei.

 

Velèža, Rin de Velèža (top.) Torrente che raccoglie le acque della conca di Pian dei Buoi, scende lungo la Val de Čanpeviéi che gli dà il primo nome (Rin de Čanpeviéi) e poi scende a Velèža, dove prende il nome definitivo, prima di gettarsi nell'Ansiei vicino a Cima Gogna.

 

veliğànte sm. (inv.) villeggiante, turista. Stan e veñésto n grùmo de veliğànte nte l nòstro paés quest'anno nel nostro paese sono venute molte persone in villeggiatura.

 

vèlma agg. (pl. vèlme) carico di legna o di fieno, fig. persona grassa che si muove con difficoltà. Quando c'è il bisogno di trasportare a valle la legna lungo un prato in discesa o attraverso il bosco, si prendono rami di abete o di nocciolo con le fronde ancora attaccate, si appoggiano a terra e su questa base si fanno scivolare carichi di legna o fieno. Quando il percorso è molto ripido, i rami sollevati dal guidatore fungono anche da freno per cui si evita il pericolo di caduta e l'eccessiva fatica. Va precisato che in tali circostanze il carico viene disposto più sulla coda. Te ses pròpio na vèlma nei movimenti sei davvero impacciato .

 

vélmaréža sf. (pl. vélmaréže) valletta stretta e lunga. Viene chiamato così il tratto in discesa privo di ostacoli e pietre lungo il quale si fa scendere la vèlma. La vélmaréža de Tamarì valletta molto ripida in località Tamarì (v. Tamarì).

 

vèlo avv. esc. (pl. vèli; f. vèla; pl. vèle) ecco, eccolo. E dùto n vèlo vèlo è tutto un accorrere di gente, tutti si danno da fare per accorrere in aiuto; vèlo ke l vién ecco che viene; vèlo ke, vèla ke, vèli ke, vèle ke ecco che lui, ecco che lei, ecco che essi, ecco che esse; vèli ke i vién ecco che arrivano; contrazione di vèlo è l'esclamazione èlo.

 

veludìna sf. (pl. veludìne) striscia di velluto da portare attorno al collo. To nòna avèa na bèla veludìna négra ko la krós de òro tua nonna aveva una bella striscia di velluto nero con la croce d'oro (v. kolarìna).

 

velùdo sm. (pl. velùde) velluto. Bràge de velùdo pantaloni di velluto; l e lìs kóme l velùdo è liscio come il velluto.

 

véna  sf. (pl. véne) vena d'acqua, vaso sanguigno, fibra del legno. Bàsta sta véna par béve basta questa piccola sorgente per bere; le véne déi pès le vene dei piedi; le véne del lén rigature del legno; fig. laurà de véna lavorare con lena; avé la véna essere arrabbiato; èi na véna nkuói ho una rabbia addosso oggi; avé na véna de matità esser disposti a fare sciocchezze; sto kafè a na véna de amàro questo caffè è un po' amaro; sto vin a na véna de dólže questo vino è leggermente dolce.

 

véna  sf. (inv.) avena, (bot. Avena sativa). Dài véna ai čavài, se te vós ke i laóre dà avena ai cavalli, se vuoi che lavorino, nutri bene i cavalli se vuoi che rendano.

 

venà vb. intr. (venéo; venèo; venòu) sciamare delle api. Le àve a bèlo venòu le api hanno già sciamato (v. samà).

 

vénde vb. trans. (véndo; vendèo; vendésto, vendù) vendere. Kè véndesto de bèl? che cosa vendi di bello?; véndese ànke le bràge vendere tutto quello che si possiede; kél la vendaràe ànke só màre pa la ròba quel tipo venderebbe anche sua madre pur di accrescere i suoi averi; dì a vénde fare il venditore ambulante; prov. mèo konprà mal ke vénde ben meglio un cattivo acquisto che una vendita fruttuosa; prov. no se vénde l sčodìžo par konprà l kùčo non ha senso privarsi di qualcosa per acquistare qualcos'altro che ha valore solo se abbinato a ciò che si aveva prima.

 

vèndre sm. (inv.) venerdì. Nè de vèndre nè de màrte se se marìda o se pàrte non ci si sposa e non si parte né di venerdì, né di martedì; secondo la tradizione infatti questi due giorni della settimana sono di cattivo auspicio; prov. vèndre kél ke l nprométe ntènde se la giornata di venerdì incomincia male, si mantiene così per tutto il giorno.

 

venežiàn sm. (pl. venežiàne) veneziano. Con questo termine si vuole indicare qualsiasi persona che proviene dalla pianura, soprattutto quando si tratta di turisti. Ka de n tin rùa i venežiàne fra un po' arriveranno in villeggiatura gli abitanti della pianura veneta; valore simile è l'appellativo napoletàne, per indicare chi proviene dall'Italia meridionale, senza distinguere la regione di provenienza.

 

veñì vb. intr. (véño; veñèo; veñésto, veñù) venire, diventare, provenire. Veñì da čàśa venire da casa; veñì su salire; veñì dó scendere; veñì ìnte entrare; veñì fòra uscire; veñì da sóra n dó scendere; veñì da sóte n su venire dal basso in alto; l e veñù bon kóme l pan è diventato buono come il pane; veñì da bòna faméa provenire da una buona famiglia; veñì su crescere, spuntare; vién su pa la Mónte kon me vieni a Pian dei Buoi con me; kél tośàto vién su polìto quel ragazzo cresce bene; al piànde parkè i vién su i dènte piange perché gli stanno spuntando i denti; veñì fòra de čòu impazzire; veñì par sóra venire a galla, traboccare; la bràma vién par sóra la panna affiora sulla superficie del latte; al làte vién par sóra o vién su il latte quando bolle trabocca; me vién da piànde mi commuovo; me vién mal sto per svenire; veñì òrbo diventare cieco; stan le patàte e veñéste pròpio bèle quest'anno le patate sono belle e grosse; veñì polìto riuscire proprio bene; késto vestì e veñù pròpio polìto questo vestito è riuscito proprio bene; veñì mal riuscire male; veñì da nùia crescere poco e male; kóme mài kél tośàto vién su da nùia? come mai quel bambino fatica a crescere?; màrte ke vién martedì venturo; màrte ke vién òto il martedì che cade fra otto giorni; màrte ke vién kuìndeśe il martedì che cade fra quindici giorni.

 

venkèi sm. (inv.) giuncheto. Su pa i Rin e dùto n venkèi lungo il Rio Rin ci sono molte siepi di giunco.

 

vénko sm. (pl. vénke) giunco (bot. Lunkus effusus), fig. frusta, sferza. Normalmente si intende il ramo del salice. N žésto de vénke un cesto fatto di giunchi, di vimini; se no te tàśe tòlo su l vénko se non taci prendo un giunco e ti frusto; al e kóme n vénko è flessibile come un giunco, detto di una persona agile e laboriosa. Pòrteme doi vénke da béte ntórno l ruośèr portami alcuni giunchi da mettere attorno al roseto (v. vìska).

 

vénta sf. (pl. vénte) forza, irruenza, occasione. Òñi tànto l a la vénta de komandà ogni tanto ha la pretesa di comandare; se me kàpita la vénta, i dìgo ió kél ke l se mèrita se mi capita l'occasione gli dico io quello che si merita; žèrte òte l a na vénta ke fa paùra certe volte ha una forza, un'irruenza che fa paura.

 

ventà vb. imp. (ventéa, vènta; ventèa; ventòu) il tirar del vento. Siénte kóme ke l vènta senti come soffia il vento; se l ventéa nkóra n tin, domàn l fa bèl se il vento soffia ancora un po', domani il tempo sarà bello.

 

vènta sf. (inv.) vento brutto, insidioso. Si dice, con ironia, vènta, girando il termine al femminile, quando il vento è forte o cattivo.

 

ventàda sf. pl. (ventàde) ventata, colpo di vento. E veñù na ventàda ke a levòu le sàndole dal kuèrto è venuta una tale ventata che ha sollevato le scandole dal tetto.

 

venténa sf. (inv.) ventina. Na venténa de féde una ventina di pecore.

 

vènto sm. (pl. vènte) vento. Vènto fòrte, lediér, frésko, čàudo vento forte, leggero, fresco, caldo; al vènto a rebaltòu i kogolùže il vento ha rovesciato i covoni di fieno; se tìra vènto, faśón fién se soffia il vento, riusciremo a raccogliere il fieno secco; vènto śgìrlo vento turbinoso, a mulinello; prov. al vènto pàsa sète mùre la maldicenza supera ogni ostacolo e colpisce sempre, la locuzione fa tornare alla mente la celebre aria di Rossini:”La calunnia è un venticello...”; prov. al vènto no dùra pì de tré dis il vento non durà più di tre giorni; vezz. venteśèl venticello; dispr. ventàto ventaccio.

 

vèntola sf. (pl. vèntole) ventola, ventaglio. Si chiama così anche l'arnese concavo di legno simile ad una paletta che si adopera per maneggiare la farina o altri prodotti in polvere, usato in particolare dal commerciante di alimentari per raccogliere zucchero, farina, crusche, pasta piccola e corta, tutti prodotti un tempo venduti sfusi. Siénte ke stonfàžo: diraràe pròpio polìto la vèntola senti che afa, ci vorrebbe proprio il ventaglio; manadà la farìna, l sórgo, l òrğo la siàla ko la vèntola rimuovere la farina, il granoturco, l'orzo, la segala con la vèntola.

 

veñùda sf. (pl. veñùde) crescita, sviluppo. Késte e patàte de bòna veñùda queste sono patate che daranno una buona produzione; tośàto de bèla veñùda ragazzo che sta crescendo bene bene.

 

véra sf. (pl. vére) anello matrimoniale. Késta e la véra de la màre questo è l'anello matrimoniale della mamma defunta (v. réta).

 

vèrbumkàro sm. (solo sing.) ramanzina, rimprovero. L'espressione riprende le parole del Vangelo: “Et Verbum caro factum est, ... (Gv 1,14)”, che si canta in chiesa. Kuàn ke te ruaràs a čàśa, te sientaràs l vèrbumkàro quando arriverai a casa sarai rimproverato duramente.

 

vérda sf. (pl. vérde) zigolo giallo-marrone (zool. Emberiza Citrinella).

 

vèrde vb. trans. (vèrdo; verdèo; verdésto, verdù) aprire. Vèrde la pòrta, le fenèstre, i skùre aprire la porta, le finestre, le imposte; al tènpo se vèrde il tempo si apre, il cielo torna sereno; no sta vèrde bóča non aprire la bocca, taci; vèrde la lùśe accendere la luce; vèrde botéga aprire bottega, aviare un nuovo negozio; vèrde n kónto aprire un conto, intestare un conto.

 

verdeğà vb. imp. (verdeğéa; verdeğèa; verdeğòu) verdeggiare. Le vàre skomìnžia a verdeğà i prati cominciano a verdeggiare; prov. kuàn ke Kolói verdeğéa, Peniéde semenéa quando nella località di Kolói i prati cominciano a verdeggiare, a Peniéde è ormai tempo di seminare, questo è determinato dalla contrapposta posizione di due zone vicine, la prima esposta a nord e l'altra a sud.

 

verdìžo agg. (pl. verdìže, f. verdìža) verdiccio, che tende al verde. Patàte verdìže patate verdicce, sono chiamate così perché lasciate esposte al sole assumono un colore verde; la tònega de kàlke prè e tànto vèča, ke l e deventàda verdìža alcuni preti hanno la tonaca talmente vecchia e consunta, che è diventata verdina.

 

vérdo agg. (pl. vérde, f. vérda) verde, acerbo. Èi konpròu na karpéta vérda ho comperato una sottana verde; i póme vérde fa mal de pànža le mele acerbe provocano male alla pancia; fig. són bèlo vérdo sono già senza soldi, non ho più niente da spendere. Te me fàs veñì vérdo mi fai arrabbiare.

 

vergón sm. (pl. vergói) bastoncino su cui si innestano le visčàde per catturare gli uccelli. Paréča l vergón ko le visčàde prepara il bastone con le panie.

 

verità sf. (inv.) verità. Kontà la verità dire la verità; te dìgo la pùra verità quello che ti dico è assolutamente vero; prov. la verità mài dìla dùta, mài sènpre, mài a dùte la verità non deve essere mai raccontata per intero, sempre e a tutti, perché, come insegnavano i vecchi, va detta a tempo e luogo; prov. tra bauśìe e verità se fa su čàśe e ànke tabiàs chi si barcamena tra bugie e verità riesce ad ottenere ciò che si prefigge.

 

vèrmo sm. (pl. vèrme) verme, lombrico (zool. Lumbricus terrestris, verme da terra ad anelli), per est. tutti gli altri vermi e gli stati larvali dei lepidotteri. Kél tośàto a sènpre i vèrme quel bimbo ha sempre i vermi; i vermi intestinali colpivano soprattutto i bambini che giocando razzolavano a terra; al formài kói vèrme e de segùro formài vèčo il formaggio coi vermi è di sicuro formaggio stagionato; késti póme a dùte l vèrmo queste mele hanno tutte il verme, sono tutte bacate; vèrmo solitàrio tenia; stan no se čàpa i vèrme quest'anno fa tanto freddo che i vermi non possono proliferare.

 

Vèrna (top.) Si tratta di una località di prati di alta quota, dove si nota chiaramente, ancor oggi, che la zona un tempo era completamente sfalciata per la presenza di numerosi fienili e per la rara vegetazione di larici. Il costone Kòsta de Vèrna è completamente esposto al sole e vi passa un antico sentiero da luóide che serviva i tabiàs di Sóramižói. Vi passa la strada militare Lozzo Kòl Vidàl che in questa località fa un ampio tornante prima di raggiungere i tabiàs di Čampo de Krós.

 

vernìs sf. (inv.) vernice, smalto, colore in genere. Èi dòu na man de vernìs a la bànča ho passato una mano di vernice alla panca.

 

véro agg. (pl. vére, f. véra) vero, certo. Késta e véra làna questa è vera lana, lana autentica; di l véro dire il vero, dire la verità; élo véro ke te ses du a Venèžia? è vero che sei andato a Venezia?; de véro davvero; son stòu de véro n preśón sono davvero stato in prigione.

 

vèrso  sm. (pl. vèrse) smorfia. Fèi vèrse fare versi, fare smorfie; fèi i vèrse a kàlkedùn fare i versi, imitare gli atti, la cadenza di voce di qualcuno, sbeffeggiare; fèi l vèrso déi aužiéi cercare di imitare il canto degli uccelli; fèi l vèrso de piànde fingere di piangere; loc. te fas i vèrse de bručinèla gesticoli imitando scioccamente la commedia della maschera Pulcinella.

 

vèrso  prep. verso, contro. Ió no èi nùia vèrso de te io non ho nulla contro di te; di vèrso i otànta avvicinarsi agli ottant'anni; di vèrso čàśa andare verso casa.

 

vèrta sf. (pl. vèrte) apertura. Sta kànbra a debeśuói de na vèrta questa stanza ha bisogno di essere arieggiata; al tènpo va vèrso la vèrta si va rasserenando; beàta kéla vèrta grazie al cielo c'è una soluzione.

 

Vèrtafedèra (top.) Il sito è posto su un pianoro sovrastante il precipizio chiamato Piónbade de Vèrtafedèra, occupato da un piccolo gruppo di fienili. Vi passa la vecchia strada detta de le féde che portava alla vecchia Kaśèra de Sorakrépa prima della costruzione della strada “militare”. Si può localizzare a nord di Laržéde, a ovest del Rodolésko e a sud dei Tabiàs de Sorakrépa. Presumibilmente il nome sta ad indicare che in questa località il pascolo diventava libero e senza restrizioni (Vèrte=aperte), infatti da questo punto iniziava la proprietà collettiva fruibile per il pascolo di monte.

 

vèrto agg. (pl. vèrte, f. vèrta) aperto. Pòrta vèrta porta aperta; teñì i òče vèrte tenere gli occhi aperti, rimanere sveglio.

 

vertù sf. (inv.) virtù, pregio, dote. N òn pién de vertù un uomo pieno di virtù, di pregi, di buone qualità; la vertù de le èrbe l'efficacia delle erbe.

 

vertuós agg. (pl. vertuóśe, f. vertuóśa virtuoso, galantuomo. Okóre èse vertuóśe par di n paradìs per poter andare in paradiso bisogna essere virtuosi.

 

Vèržo, Rònko del Vèržo sm. (top.) località umida e boscosa la cui vegetazione arborea è composta da abete rosso e bianco, nel sottobosco invece crescono le eriche e nelle zone più umide le felci. Si può localizzare sul costone che da Vàl Čarnèra raggiunge quota 1400 m in prossimità del sentiero che giunge da Prapiàn ed è diretto in Valžalìna e Dumèle. In questa zona venivano portate al pascolo pecore e capre, infatti sul piccolo pianoro tra il Kòl de Val Čarnèra e la Kòsta de Rònko del Vèržo il gregge si fermava per un'altra pàusa de le fède.

 

vès  prep. verso. Vién vès de me vieni verso di me; par nisùn vès a nessun modo, niente affatto (v. vèrso, vès).

 

vès  sm. (inv.) parte, direzione, verso. Vién da sto vès vieni da questa parte, in questa direzione; di da n àutro vès andare da un'altra parte, in direzione opposta; ki pa n vès, ki pa n àutro chi per una ragione, chi per un'altra; dal vès nel senso giusto; te as fàto n laóro dal vès hai fatto un buon lavoro, ben congegnato; loc. fèi l vès davòi imitare qualcuno in modo canzonatorio.

 

vesìa sf. (pl. vesìe) vescica, bollicina. Èi mal a la vesìa ho male alla vescica; na vesìa de poržèl una vescica di maiale. La vescica di maiale, una volta pulita e seccata, viene riempita di strutto o di carne macinata per farne insaccati; me èi skotòu e èi le man piéne de vesìe mi sono scottato ed ho le mani piene di vesciche, di bollicine.

vesigànte sm. (inv.) vescicante, vescicatoio. Ka okóre béte su n vesigànte qui c'è bisogno di applicare un vescicante, piante vescicanti come l'ortica o rubefacenti come l'arnica venivano usati per la cura della pelle.

 

veśìn  agg. (pl. veśìn, f. veśìna, pl. veśìne) vicino. Neàutre son veśìn de čàśa noi siamo vicini di casa; Pàska e veśìna Pasqua è vicina; son veśìn a maridàme sto per sposarmi, mi sto avvicinando al giorno delle nozze (v. daveśìn).

 

veśìn  prep. e avv. vicino, presso. La mè vàra e veśìn a la tóa il mio prato è vicino al tuo; no sta sta da veśìn del fuóu, se nò te te brùśe non rimanere troppo vicino al fuoco altrimenti ti scotti, ti bruci (v. daveśìn).

 

veśinànža sf. (pl. veśinànže) vicinanza, contiguità. Èse de veśinànža essere vicini di casa, abitare vicino; al me òn a da èse nte le veśinànže mio marito si deve trovare qui vicino; prov. se puó vìve žènža dùte, ma nò žènža viśinànža si può fare a meno di tutti, ma non dei vicini di casa. L'accordo col vicinato era indispensabile per le urgenti necessità.

 

véskovo sm. (pl. véskove) vescovo, fig. chi picchia per correggere. Quando il vescovo amministra il sacramento della Cresima, dà un piccolo schiaffo simbolico al cresimando, da qui il termine è passato a definire anche chi, ogni tanto, è costretto ad alzare le mani. Àsto vedù l véskovo? hai visto il vescovo?; òñi tànto ànke la màre fa da véskovo ogni tanto anche la mamma picchia i suoi figli.

 

vèspa sf. (pl. vèspe) vespa, (zool. Vespa vulgaris), per est. chi ama punzecchiare il prossimo. Me a bekòu na vèspa mi ha punto una vespa; àsto fenìu de fèi la vèspa? hai finito di punzecchiarmi?; nsoreà l vespèi provocare la reazione delle vèspe, in senso figurato stuzzicare qualcuno, momentaneamente tranquillo, tanto da suscitarne la reazione irritata.

 

vespèi sm. (inv.) vespaio, gruppo di foruncoli in poco spazio, fig. brusio, chiacchiericcio. Nte tabià èi čatòu n vespèi nel fienile ho trovato un vespaio, un nido di vespe; par kurà i vespèi okóre n tin de ràśa per curare i grossi foruncoli bisogna applicare un po' di resina; la resina d'abete era infatti ritenuta una panacea per tanti mali; vespèi de père spazio riempito di pietrame allo scopo di far filtrare velocemente l'acqua.

 

véspola sf. (pl. véspole) ceppo di faggio destinata a essere spaccata in śbrége. Àsto vedù ke véspole? hai visto che bei tronchi di faggio? (v. śbrégo de fagèra).

 

vespolèi sm. (inv.) faggeta, bosco di faggi. Su a Rònkole e n vespolèi de lùso in località di Rònkole c'è una bella faggeta .

 

vèspro sm. (pl. vèspre) vespro, funzione religiosa del pomeriggio letta e cantata. Il vespro è la penultima ora canonica, dopo la nona (le tre di pomeriggio) e prima della compieta (l'ora di andare a dormire). Di a vèspro recarsi alla funzione religiosa del pomeriggio; čantà vèspro cantare i salmi del vespro.

 

vestì sm. (pl. vestìs) vestito. Vestì da prèe vestito da prete, abito talare; vestì vèčo vestito vecchio; vestì nuóu vestito nuovo; vestì da plào vestito che si indossa normalmente nei giorni di libertà dal lavoro o la sera quando si esce di casa, non è curato come quello indossato la festa; vestì daidaòre vestito da lavoro; vestì da le fèste vestito per i giorni di festa; le léñe se viéste da prèe la legna annerisce e fatica a bruciare perché tagliata fuori stagione.

 

véta sf. (pl. véte) gugliata. Na véta de fìlo una gugliata di filo (v. tròu).

 

vetràs sm. (solo pl.) tendine delle finestre a vetro. Lavà i vetràs lavare le tendine delle finestre; soprèsa i vetràs e bételi su stira le tendine delle finestre e mettile su.

 

vetupèrio sm. (inv.) vituperio. Fèi dùto n vetupèrio distruggere tutto, mettere tutto in disordine; èse n vetupèrio essere uno che combina solo guai.

 

véžo sm. (pl. véže) cattiva abitudine, boria, vizio. Avé l véžo de...! avere la cattiva abitudine di..., avere la boria di...

 

vìa  sf. (pl. vie) modo, via, strada. No e stòu vìa de kapìse non c'è stato modo di capirci, non si era della stessa idea.

 

vìa  avv. via. Dì vìa andare via; mandà vìa cacciare; portà vìa rubare; béte vìa mettere via, risparmiare, seppellire un morto; béte vìa sta ròba riponi questa roba; tu te béte sènpre vìa tu risparmi su tutto; nkuói i a betù vìa la màre oggi hanno sepolto la mamma; da vìa na ròba regalare una cosa; vìa ka nelle vicinanze; mé fiól e vìa ka mio figlio è nei paraggi; vìa kolà lontano, all'estero; só pàre e du vìa kolà suo padre è emigrato, è andato molto lontano; vìa par pède vìa nelle vicinanze, in prossimità, approssimativamente; vìa n čòu all'altro capo, in fondo; netà vìa pulire; sfreà vìa togliere le macchie; di vìa svenire; kéla la va vìa kói suói quella sta per svenire; bičà vìa buttare via; parà vìa cacciare via; di fòra vìa andare molto lontano; mañà fòra vìa mangiare lontano dai pasti; di vìa ko l čòu dimenticare; vìa pa l dì, via pa la nuóte durante il giorno, durante la notte; sta vìa rimanere lontano; par vìa de kè sésto veñésta? par vìa de tó fiól per quale ragione sei venuta? sono venuta a causa di tuo figlio; sié vìa sié fa trèntasié sei per sei fa trentasei; na òta vìa pa l an una sola volta durante l'intero anno; veñarèi pì n vìa verrò più in là; veñarèi vìa pa la stemàna verrò durante la settimana; di vìa de menonèra non ricordare, perdere la memoria; fèi le ròbe ntin par pède vìa fare i lavori alla svelta con una certa approssimazione, non nei minimi particolari.

 

viadà vb. intr. (viàdo; viadéo; viadèo; viadòu) viaggiare. Èi viadòu dùta la nuóte ho viaggiato, ho camminato tutta la notte.

 

viàdo sm. (pl. viàde) viaggio, volta. Èi da fèi nkóra dói viàde e pò èi fenìu devo fare ancora due viaggi e poi ho finito; sto viàdo no puói fermàme: me fermarèi n àutro questa volta non posso fermarmi, mi fermerò un'altra volta; se la va, la va, se nò bón viàdo se questa cosa funziona, va bene, altrimenti bisognerà avere pazienza; partón mò, ke avón davànte n viàdo ke no te dìgo partiamo, che la strada è ancora lunga; fèi sànto bon viàdo ti auguro un viaggio tranquillo.

 

Vialóna sf. (top.) bellissima zona prativa che una volta era completamente sfalciata. Si trova alla confluenza del Rodolésko con il Rio Rin e vi passa l'attuale strada che attraversa tutta la Vàl Lonğarìn. Molti sono ancora i tabiàs esistenti, alcuni purtroppo sono andati in rovina. Con l'alluvione del 1966 la vecchia strada che seguiva il corso del Rio Rin è stata completamente distrutta, negli anni 70 è stata ricostruita nell'attuale percorso. Nella zona prativa sempre più ristretta e incolta prende il sopravvento il lampone mentre il bosco circostante è coperto di abeti e larici.

 

vianèla sf. (pl. vianèle) budella di maiale usate per insaccare le salcicce. Késte e le vianèle pa le lugànege queste sono le budella per preparare le salcicce.

 

Vičén sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

vičinìa sf. (pl. vičinìe) unità territoriale costituita da una o più regole che compongono il Centenaro. A conferma di tale definizione E. Baldovin afferma che la vičinìa è formata da una o più regole.2

 

vìda sf. (pl. vìde) vite, freno, ingranaggio. Le vìde tién pì déi čòde le viti tengono più dei chiodi; sèra la vìda del čar stringi il freno del carro; le vìde de l arlòio gli ingranaggi dell'orologio.

 

vidiàda sf. (pl. vidiàde) vitalba (bot. Clematis alpina). Rampicante di montagna. Questo rampicante si trova facilmente lungo la parte grigia del fusto dell'albero e le sue piccole foglie vengono raccolte in primavera per preparare risotti, frittate e minestre. Loc. Don a pipàse na vidiàda andiamo a fumare un po' di vitalba. Gli adolescenti, un tempo, in mancanza d'altro, usavano la vidiàda essicata come sigaretta.

 

Vìdo, Sanvìdo sm. (top.) San Vito. Comune del Cadore, lungo la Val del Boite poco a est di Cortina d'Ampezzo, a una trentina di chilometri da Lozzo.

 

viéra sf. (pl. viére) ghiera. La viéra de la fàu la ghiera della falce; in questo caso si tratta dell'anello che tiene stretta la falce al faučà cioè al manico; la viéra de la bagolìna il cerchietto che rinforza la punta del bastone da passeggio.

 

viéro sm. (pl. viére) vetro. N gòto de viéro un bicchiere di vetro; me èi taiòu ko n viéro mi sono tagliato con un pezzo di vetro; sta tènti ài viére stai attento a dove metti i piedi per non ferirteli con i pezzi di vetro; i viére de la fenèstra i vetri, le vetrate della finestra; e dùto n viéro la strada è tutta una lastra di ghiaccio.

 

viestì, viestìse vb. trans. e rifl. (viésto; vestìo; vestìu, viestìu) vestire, vestirsi. La forma del verbo viestì, insieme ad altri come sientì, presenta il dittongo mobile; viéste n tin ki tośàte vesti un po' quei bambini; vestìse da fèsta indossare l'abito della festa; vestìse da laóro indossare l'abito da lavoro; vestìse n màskera indossare abbigliamento carnevalesco, mascherarsi; vestìse de négro vestire a lutto. Kel tośàto e bèlo grandùto e no l e nkóra bon de viestìse quel ragazzo è già grandicello, eppure non è ancora capace di vestirsi.

 

viéstra sf. (pl. viéstre) bracciata di fieno ben pressata con il rastrello che costituiva un elemento per allestire i fàs. A fèi n fàs okóre undese viéstre un fàs è composto da undici viéstre.

 

Vìgo sm. (top.) Zona che si trova a ridosso del centro abitato della borgata di Pròu, nel pianoro che si estende sotto la strada militare all'altezza del Kòl Medàn e tra le due strade che dalla Manadóira conducono rispettivamente a Kuóilo e Le Spése. Si dice che un tempo in questa zona esistesse una antica borgata (Baldovin ed. 1983 pag.18). Attualmente è una delle poche zone ancora ben coltivate e sfalciate. Lo stesso toponimo indica anche il comune di Vigo di Cadore nel territorio dell'Oltrepiave.

 

vìla  sf. (pl. vìle) villa, casa signorile circondata da terreno e isolata, borgata. Késta no e na čàśa, e na vìla questa non è una casa, è una villa.

 

Vìla , Mèda Vìla sf. (top.) Parte del paese, borgata che si trova tra Pròu e Lagùna.

 

vilàn agg. (pl. vilàne, f. vilàna) villano, screanzato, rozzo. Parkè sésto kosì vilàn? perché ti comporti sempre in modo così villano, così rozzo?

 

vilanàda sf. (pl. vilanàde) villania, sgarberia. Késta vilanàda ió no me la spietèo da ti questa sgarberia non me l'aspettavo proprio da te.

 

vilò avv. qui vicino, nelle vicinanze. Èi portòu dùto vilò ho portato tutto qui vicino; su vilò lassù nelle vicinanze; do vilò laggiù vicino; ìnte vilò lì dentro, nelle vicinanze; fòra vilò là fuori. Accompagnato da alcuni avverbi vilò viene adoperato per indicare i diversi movimenti che si possono eseguire, sempre però senza allontanarsi molto. Pòrta su vilò le léñe porta la legna lassù; di fòra vilò andare in un luogo vicino, in direzione ovest rispetto a Lozzo; di ìnte vilò andare in un luogo vicino, in direzione est rispetto a Lozzo (v. kolà, ìnte kolà, fòra kolà, su kolà, dó kolà).

 

vìn sm. (inv.) vino. Vìn biànko vino bianco; vin négro vino rosso; vìn burlè vino caldo aromatizzato; vìn de melùže vino ricavato con le mele selvatiche, cioè vino poco alcoolico; vìn fàto kol bastón vino fatto col bastone, vino prodotto con le polverine, vino sofisticato; késto mò, e vìn de ùa questo sì che è vino d'uva, questo sì che è vino genuino; prov. al vìn e l làte déi vèče il vino è il latte dei vecchi.

 

vìna sf. (pl. vìne) particolare forma di pane. Kónpreme tré vìne de pan comperami tre vìne di pane; kél tośàto se màña na vìna de pan a kolažión quel ragazzo a colazione mangia una vìna intera di pane, per la sua età mangia molto (v. bìna).

 

vìña sf. (pl. vìñe) vigna, fig. abbondanza. Da neàutre no e vìñe parkè e màsa frédo da noi le vigne non crescono perché c'è troppo freddo; fig. va là ke te as čatòu la vìña va là che hai trovato l'abbondanza.

 

vinkón avv. con forza, con irruenza. No sta dì de vinkón se nò te te fas mal non correre con tanta irruenza altrimenti ti fai male.

 

vìnti agg. num. (inv.) venti. Dàme vìnti frànke dammi venti lire; te as fàto vìnti, fèi vintiùn hai quasi ultimato il lavoro, cerca di finirlo, hai sgrossato il lavoro, fai anche le finiture (v. nùmero).

 

vìnže, vìnžese vb. trans. e rifl. (me vìnžo; vinžèo; vinžésto) vincere, superare, vincersi, dominarsi. Vìnže la guèra, na partìda, na skomésa vincere la guerra, una partita, una scommessa; okóre vìnžese bisogna vincersi, bisogna dominare le proprie passioni.

 

vìnžita, vinžésta sf. (pl. vìnžite, vinžéste) vincita, vittoria. Késta e la to vìnžita questo è quanto hai vinto tu.

 

viòla sf. (pl. viòle) viola (bot. Herpatica triloba). Di a viòle andare a raccogliere viole, oppure in senso figurato, vaneggiare; n bokè de viòle un mazzo di viole; prov. San Bastiàn ko la viòla n man il giorno di San Sebastiano, che cade il 20 gennaio, in alcuni posti attorno al paese più esposti al sole spuntano le prime viole.

 

vìola sf. (pl. vìole) livido lasciato da una frustata. Èi čapòu tànte de kéle viskažàde, ke èi le ğànbe piéne de vìole ho preso tanti colpi di frusta che ho le gambe segnate da lividi.

 

violìn sm. (inv.) violino. Sonà l violìn suonare il violino; loc. al va kóme n violìn procede molto bene; loc. na pisàda žènža n péto e kóme na sonàda de violìn žènža arkéto la soddisfazione fisiologica della pisciata accompagnata dal peto è paragonabile al suono del violino emesso con l'ausilio dell'archetto.

vìs sm. (inv.) viso, faccia. Lavàse l vìs lavarsi la faccia; di le ròbe sul vìs dire le cose in faccia, parlare francamente (v. mùśo).

 

viśà vb. trans. (vìśo; viśèo; viśòu) avvisare, annunziare. Vìśa la màre ke rùo domàn avvisa la mamma che arrivo domani.

 

visčàda sf. (pl. visčàde) rametto di salice cosparso di vischio con cui si catturano gli uccelli. Fig. chi si attacca alla presa e non la molla più; fig. ragazza in cerca di marito; tènde ko le visčàde cacciare gli uccelli con le panie; vàrda ke kéla tóśa e kóme la visčàda guarda che quella ragazza è come la pania, se si attacca, non ti lascia più (v. vénko).

 

vìsčo sm. (solo sing.) vischio (bot. Viscum album); pania. La pania è una sostanza appiccicosa prodotta dalle bacche del vischio che viene adoperata per preparare le visčàde.

 

vìśiga sf. (pl. vìśige) cesena (zool. Turdus pilaris L.) passeraceo con piumaggio cenerino, aranciato, marrone, cacciato per la sua carne pregiata.

 

viśindiér sm. (pl. viśindiére) amministratore della Regola. Erano chiamati viśindiére alcuni amministratori nominati per elezione. La maggior parte degli altri incarichi andava invece a ròdol, la nomina cioè spettava alla fàula, l'assemblea, e durava un anno. Alcuni visindieri, Marìgo, Laudadóre, Saltàre erano eletti nella fàula di San Marco; altri, Bólke, Kuiétre, Mónego, Giuràti, i Terminadóre e l Sìndiko de la čéśa de San Laurènžo venivano eletti invece durante altre assemblee.

 

vìśita sf. (pl. vìśite) visita medica, visita militare, visita religiosa. Di a la vìśita andare alla visita militare; al dotór no a volésto nùia pa la vìśita il medico non ha voluto alcun compenso per la visita; fèi na vìśita a Loréto recarsi in visita al Santuario di Loréto.

 

viśità vb. trans. (viśitéo; viśitèo; viśitòu) visitare. Al dotór me a viśitòu il dottore mi ha visitato; vàdo tré òte al di a viśità la Madòna tre volte al giorno vado a far visita alla Madonna.

 

vìska sf. (pl. vìske) sferza, frusta. Ramoscello di nocciolo o di giunco flessibile che si adopera per guidare le pecore e veniva adoperato anche come mezzo di correzione. Se no te stas bón, tòlo su la vìska se non stai buono, afferro la sferza e ti percuoto; kon te okoraràe la vìska per farti filare diritto, ci vorrebbe la frusta. La vìska veniva suggerita come mezzo per colpire le vipere in quanto più del bastone rigido, si adatta alle gobbosità del terreno.

 

viskažà vb. trans. (viskazéo; viskažèo; viskažòu) frustare, sferzare con la vìska. Tàśe se nò te viskažéo taci altrimenti ti frusto; prov. kuàn ke se vó viskažà, se čàta sènpre na vìska quando si vuol fare del male, si trova sempre il modo per farlo.

 

viskažàda sf. (pl. viskažàde) frustata, sferzata data con la vìska. Ko na viskažàda l èi fàto tàśe con una sferzata l'ho fatto tacere.

 

vìsta sf. (pl. vìste) vista, panorama, attenzione, perspicacia. Avé bòna vìsta avere buona vista, vedere bene; fèi bèla vìsta fare bella figura; pèrde de vìsta perdere i contatti; késta mò e na bèla vìsta questo si che è un bel panorama; èse pién de vìste avere ogni attenzione; no avé nisùna vìsta non avere alcuna cura; sàne a prìma vìsta arrivederci al prossimo incontro; dal mé pùnto de vìsta dal mio punto di vista, secondo la mia opinione; n vìsta de... in considerazione di...; ke Santa Lužìa te protèğe la vìsta che Santa Lucia ti protegga la vista, detto scherzosamente a chi si abbuffa a tavola.

 

vìta sf. (pl. vìte) vita, corpo, cintola. Vìta lònga, kùrta, bèla, brùta vita lunga, corta, bella, brutta; fèi na vìta da čàn fare una vita da cane; tośàto pién de vìta ragazzo pieno di vitalità; me fa mal vìa pa la vìta mi fa male alla schiena, mi fanno male le anche; la vìta e kàra vivere costa molto; àga de vìta acquavite, grappa; dàme n sčùpo de àga de vìta dammi un sorso di acquavite; tòle la vìta esasperare.

 

vìu agg. (pl. vìve, f. vìva) vivo, vivace. Al pàre e nkóra vìu mio padre è ancora vivo; kéla e na tośàta màsa vìva quella è una ragazza troppo vivace; avé l ardènto vìu ndòs avere l'argento vivo addosso, essere molto vivace; kóme vìu come vivo, da vivo, intercalare molto comune in uso in tutto il Cadore; la màre, kóme vìva, èra na bòna fémena la mamma era una buona donna; prov. ki ke e vìve màña pan, ki ke e mòrte so dan per chi è morto purtroppo non c'è più niente da fare, chi è vivo invece deve cercare di farsi coraggio.

 

viùdola sf. (pl. viùdole) erbaccia infestante e strisciante del campo che si inerpica sui gambi di patate fagioli e granoturco, con una radice di colore giallo molto lunga e sottile. Se no te ğàve le radìs de le viùdole, no te te ğàve pì i pès se non togli le radici delle erbacce, non riuscirai a eliminarle del tutto; di a ğavà le viùdole andare a ripulire il campo dalle viùdole.

 

vìva escl. evviva. Vìva i spóśe evviva gli sposi.

 

vìve vb. intr. (vìvo; vivèo; vivésto) vivere. Vìve da bèstia vivere molto male; a kel puaréto i rèsta póčo da vìve a quel poveretto resta ben poco da vivere, ha i giorni contati; no sta pensà ke èi nkóra da vìve non preoccuparti, perché ho ancora di che vivere; nseñà l vìve del móndo insegnare come ci si deve comportare con la gente; loc. se vìve na òta sóla si vive una volta sola, così si dice quando ci si concede una spesa straordinaria; prov. ñànte se vìve e pò se muóre nella vita non ci si può privare di tutto per paura di una vecchiaia senza risorse; prov. fin ke se vìve, se a sènpre da nparà àlgo nella vita non si finisce mai d'imparare.

 

vivužà vb. intr. (vivužéo; vivužèo; vivužòu) vivacchiare, vivere tra stenti e pene. Son vèčo e no me rèsta ke vivužà sono vecchio e ormai non mi resta che tirare avanti; tó fardèl a vivužòu žènža mài fèi nùia de bón tuo fratello ha sempre vivacchiato senza combinare mai niente di buono; vivužà a la mèo tirare avanti alla meglio.

 

vìža sf. (pl. vìže) vizza. Bosco vincolato con taglio controllato delle piante. A volte, a seconda delle necessità, il ricavato della vizza viene destinato a favore della chiesa o a favore della comunità per la costruzione di case e ponti. La vìža de San Ròke il bosco destinato al mantenimento della chiesa di San Rocco; vìža de Loréto, vìža de Čanpeviéi. Làris de vìža larice cresciuto in mezzo agli abeti e perciò dritto. È particolarmente indicato per lavori di falegnameria in quanto è senza rami e quindi privo di nodi. Il larice in mezzo al bosco cerca sempre di crescere verso l'alto per cercare la luce, quindi cresce molto bene anche perché protetto dai venti.

 

vižà vb. trans. (vižéo; vižèo; vižòu) ridurre un terreno a vizza. Il verbo indica anche la destinazione di un terreno al non uso e al non godimento, per proibire cioè che vengano fatti dei tagli o che il bosco venga danneggiato. I a vižòu l bósko de Kornón hanno vizzato il bosco di Kornón .

 

Viženžìno sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Vižènžo sm. (nome) ipoc. di Vincenzo.

 

vižià vb. trans. (vìžio; vižièo; vižiòu) viziare. Kéla fémena a vižiòu màsa i so fiói quella donna ha viziato troppo i propri figli (v. nvižià).

 

vìžio sm. (pl. vìžie) vizio, capriccio, cattiva abitudine. Kel tośàto e pién de vìžie quel ragazzo è pieno di vizi; l a čapòu l vìžió de biastemà ha preso la cattiva abitudine di dire bestemmie; avé dùte i vìžie de Bručinèla avere tutti i vizi.

 

vižiós agg. (pl. vižióśe, f. vižióśa) vizioso, chi ha cattive abitudini, capriccioso. Nte la so vìta l e sènpre stòu n vižiós nella sua vita è sempre stato pieno di vizi.

 

voèse vb. (imp.) vuol essere, bisogna, occorre. Voèse ke te pàrte occorre, bisogna che tu parta; a késto móndo voèse dì pa stràda dréta a questo mondo bisogna comportarsi correttamente (v. kóñe, bisòña, okóre, avé da).

 

vòia sf. (pl. vòe) voglia, desiderio, appetito. Nkuói no èi vòia de laurà oggi non ho voglia di lavorare; avaràe vòia de na gèra de menèstra de faśuói mi piacerebbe mangiare un po' di minestra di fagioli; nkuói no èi vòia oggi non mi sento tanto bene; e na stemàna ke la màre no e de vòia è da una settimana che la mamma non si sente troppo bene; ste patàte le me fa vòia queste patate mi fanno venire l'acquolina; l a na vòia de vin sul mùśo ha una voglia di vino sulla faccia; nùia me fa vòia non c'è niente che desideri, nessun cibo mi attira; èse de bòna vòia star bene di salute; avé sólo vòia de fèi l màto avere voglia di fare cose bizzarre, di evadere dalla quotidianità. Prov. añó ke no se avaràe vòia de di se kóñe kóre spesso si è costretti a fare proprio quello che non si vorrebbe.

 

vóito, vuóito agg. (pl. vóite, f. vóita) vuoto. Al séčo e vóito: va a tòle n tin de àga il secchio è vuoto, va a prendere un po' d'acqua; èi la pànža vóita sono affamato; avé la mažùia vóita essere imbecille; vóito par pién vuoto per pieno; nella stesura del contratto per la realizzazione di opere in muratura o di tinteggiatura, si considerano come pieni i muri senza tener conto di aperture come porte o finestre. Kuàn ke i śbiànkedéa, i se fa pagà vóito par pién quando si imbiancano le stanze, gli imbianchini si fanno pagare il vuoto come fosse pieno.

 

volé vb. servile (vói, volèo; volésto; volù) volere. Vói partì voglio partire; nisùn te vo tànto ben kóme to màre nessuno ti vuole tanto bene quanto te ne vuole tua madre; volarà di ke dirarèi ió vorrà dire che ci andrò io; volèo dì pò volevo ben dire, era proprio come dicevo; par ke l vòe neveà sembra che stia per nevicare; kosì ci vuole; par ğenpì l vas vó nkóra n tin de àga per riempire il vaso ci vuole ancora un po' d'acqua; volèa nkóra késta ci voleva ancora questa; kè vósto? ma che cosa vuoi mai?; kè vósto, al dì de nkuói le ròbe va kosì è inutile prendersela, oggi le cose sono cambiate; no te volaràs mia ke... non penserai mica che..., non crederai mica che...; dùte la vo, ma nisùn la tòle tutti la desiderano, ma nessuno la sposa; detto di una ragazza che, pur avendo molti pretendenti, non riesce a sposarsi; vói e mòrto l'erba voglio non cresce neppure nel giardino del re. La parola voglio non era tollerata dagli educatori di un tempo. Prov. ki ke no vó, mànde se qualcuno vuole qualcosa, non mandi un altro, sia lui stesso a procurarsela, più chiaramente ki ke vó, vàde, ki ke no vó, mànde chi vuole veramente, vada, chi non vuole, mandi; prov. ki ke vó, puó chi vuole, può oppure kél ke se vó, se puó la volontà vince qualsiasi ostacolo; prov. kè ke se vó no e mài de màsa quando si persevera negli errori è ovvio pagarne le conseguenze.

 

volenterós agg. (pl. volenteróśe, f. volenteróśa) zelante, volenteroso. No èi mài visto na tośàta pì volenteróśa de éla non ho mai conosciuto una ragazza più volonterosa di lei.

 

volentiéra avv. volentieri. Mañaràe volentiéra dói ñòke mangerei volentieri un po' di gnocchi.

 

voltà, voltàse vb. trans. e rifl. (me vòlto; voltèo; voltòu) voltare, rivoltare, rivoltarsi. Voltà l fién voltare il fieno perché si secchi del tutto; voltà pàğina voltare pagina, cambiare discorso; voltà la čaméśa rivoltare la camicia; voltà ğakéta cambiare opinione, partito; no sèrve ke te la vòlte è inutile che cerchi di cambiare discorso; par ke l l tènpo se vòlte pare che il tempo cambi; voltà la péta cambiare le carte in tavola; la mèrda pì te la vòlte e pì la spùža se continui a parlare di una cosa che di per se stessa è brutta, la rendi ancora più brutta; no sèi da ke pàrte voltàme non so che pesci pigliare; voltàse ndavòi voltarsi all'indietro, ricordare il passato; fèi la vòlta andare a male; al làte a fàto la vòlta il latte è inacidito; la malatìa a fàto la vòlta la malattia ha superato il momento di crisi; adès te puós di a voltà i mànde si dice a chi, ben ristorato, ha la forza necessaria per incatenare dei buoi; loc. voltà sàndola giocare alle carte; voltà kuèrto girare le scandole dei tetti, operazione che si faceva ogni due anni circa, si voltavano le scandole e si sostituivano quelle guaste.

 

voltàda sf. (pl. voltàde) svolta, curva, girata. La me čàśa e daspò kéla voltàda la mia casa si trova dopo quella svolta; késta e na stràda piéna de voltàde questa è una strada piena di svolte; la nòna e kéla la voltàda la nonna è quella girata dall'altra parte.

 

vòlto  sm. (pl. vòlte) maschera di legno o di altro materiale usata a carnevale per coprirsi il viso. Vòlto da òn maschera con fattezza maschili; vòlto da fémena maschera con fattezza femminili (v. smotažìn).

 

vòlto  sm. (pl. vòlte) porticato, galleria, arco d'entrata sull porta. Al vòlto de l portón l'arco del portone.

 

vòstro agg. pron. (pl. vòstre, f. vòstra) vostro. Daśéme n tin del vòstro botìro datemi un po' del vostro burro; no èi mài visto na vàča bèla kóme la vòstra non ho mai visto una mucca bella come la vostra; al vòstro ciò che vi appartiene; nisùn vo al vòstro nessuno pretende ciò che è di vostra proprietà (v. tabella pronomi).

 

vóže sf. (inv.) voce. Siénto la so vóže sento la sua voce, riconosco la sua voce; siénte ke vóže senti che voce, senti come urla; loc.àuža la vóže se te vos fèite ntènde; alza il tono della voce se vuoi essere più autorevole.

 

vrès avv. adatto, giudizioso, giustamente, positivamente. Èse dal vrès essere giudizioso, essere adatto; to fiól e pròpio n tośàto dal vrès tuo figlio è proprio un ragazzo giudizioso; èra óra ke te faśése àlgo dal vrès era ora che facessi qualcosa di buono; dal vrès, l avarà pensòu ke ... probabilmente avrà pensato che ...; da dùte i vrès da tutti i lati, da ogni parte.

 

vuóu sm. (pl. vuóve) uovo. Dùte le bonóre me bévo n vuóu ogni mattina bevo un uovo; le me petùse fa bèlo vuóve le mie giovani galline fanno già le uova; vuóu žinkuàntìn uovo cinquantino, uovo piccolo; secondo una credenza locale dopo aver deposto quarantanove uova normali, le galline depongono un uovo molto piccolo, più simile a quello di un piccione che a quello di una gallina; ko sti vuóve fèite n òčo de bò o na fortàia con queste uova preparati un occhio di bue o una frittata; béve l rós e bičà vìa l biànko bere il tuorlo e buttare l'albume; loc. l a fàto l vuóu ha fatto l'uovo, finalmente ha completato il lavoro o qualcosa altro; prov. al vuóu vién dal bèko un uovo è proporzionato alla quantità del becchime; prov. mèo n vuóu nkuói ke na pìta domàn meglio un uovo oggi che una gallina domani; loc. pién kóme n vuóu pieno come un uovo, fig. ubriaco fradicio; prov. al vuóu no nséñe a la pìta i giovani non devono pretendere di dare consigli a chi è più vecchio e saggio.

 

 

 

 

 

eof (ddm 02-2009)