Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore

dalle note del prof. Elio del Favero  - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale

prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini  

 

Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario,  è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.

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sàbia sf. (pl. sàbie) sabbia. Fèi màlta ko la sàbia fare la malta con la sabbia; mànda n tin ki tośàte, do dàla Piàve a tòle n tin de sàbia fina par sfreà i séče manda i ragazzi alla Piave a prendere un po' di sabbia fine per pulire i secchi.

 

sabión  sm. (pl. sabiói) sabbia fine. Sfreà i séče kol sabión lucidare i secchi con la sabbia fine per farli diventare lucidi (v. lido).

 

Sabión , Rìva del Sabión sm. (top.) Tratto di strada molto ripida che è parte della mulattiera detta “della Montagna” che inizia dalla strada del Genio poco sopra il paese, all'altezza di Rònko e sale fino a Pian dei Buoi attraversando Piàn d'Adàmo e Kuóilo. Il toponimo deriva dalla conformazione sabbiosa del terreno originato dalla frana di Sórakròde.

Questa mulattiera e quella detta Bóa de le féde erano le principali vie che portavano ai pascoli alti prima della costruzione della strada militare.

 

sàbo sm. (pl. sàbe) sabato. Ió sfréo i siòle dùte i sàbe io pulisco i pavimenti ogni sabato.

 

sàča sf. (pl. sàče) ritorta, legaccio per fascine. Vien fatta di solito con un ramo di nocciolo che viene ritorto su se stesso fino a snervarlo, dopo di che può essere usato come se fosse una funicella. Si dice anche tòrta. Leà le fasìne ko le sàče legare i fasci di legna con le corde di giunco o di nocciolo; èse leòu ko le sàče essere ozioso, indolente; muóvete n tin o sésto leòu ko le sàče datti da fare o anche tu sei senza nerbo.

 

saéta  sf. (pl. saéte) saetta, fulmine. Ió èi paùra de le saéte io ho paura dei fulmini; al veñèa dó kóme le saéte scendeva veloce come una saetta; la dèa do kóme na saéta do pài làris scendeva veloce come il fulmine che spacca il larice da cima a fondo, detto di cibo o bevanda ingoiata con molta avidità; fig. kel tośàto e na saéta quel ragazzo è veloce come un fulmine, è furbo, capisce al volo.

 

saéta  sf. (pl. saéte) traverso, controventatura, tavola o trave di legno messa all'interno di un angolo per fissarne la cerniera. È un elemento tipico delle strutture in legno, una trave che ne fissa altre due congiunte ad angolo, ma lo si può trovare anche come tavola messa in diagonale, dal traverso superiore a quello inferiore di una porta, e che collega e fissa le tavole verticali che altrimenti potrebbero muoversi, lo si trova come traverso obliquo tra pilastro e trave orizzontale di sostegni in galleria per bloccare qualsiasi possibilità di inclinazione del pilastro, oppure come trave messa in orizzontale da un corrente all'altro del tetto, sotto il colmo, che fissa l'angolo delle falde del tetto.

 

saetà vb. intr. (saetéo; saetèo; saetòu) lampeggiare, saettare, muoversi velocemente. L a saetòu dùta la nuóte il temporale è durato tutta la notte con ininterrotti fulmini e tuoni; l a saetòu dùto l di si è dato da fare correndo avanti e indietro da mattina fino a sera.

 

saetàda sf. (pl. saetàde) saetta, fulmine, spaccatura prodotta dal fulmine. Àsto vedù ke saetàda? hai visto che fulmine?

 

sagaià vb. trans. (sagaéo; sagaèo; sagaiòu) sistemare. Ñànte de lasà l laóro, sagaéa n tin ntórno prima di lasciare il lavoro, metti un po' di ordine attorno.

 

sagaiòu agg. (pl. sagaiàde, f. sagaiàda) sistemato. Mal sagaiòu mal sistemato, malvestito; ma ki élo ke te a sagaiòu kosì? ma chi è stato a sistemarti in questo modo?

 

sàgra sf. (pl. sàgre) sagra, festa del santo patrono del paese, festa solenne. A Lozzo la sàgra più importante dell'anno è quella del 10 agosto, giorno di San Lorenzo, patrono del paese e quella dell'ottava del Rosario. La sàgra de San Laurènžo, la sàgra de la Madòna la sagra di San Lorenzo, la sagra della Madonna; fèi sàgra fare una grande festa. Sàgra nkuói ? festa oggi? Spesso detto in senso ironico quando il padrone trova i dipendenti con le mani in mano.

 

sagrà sm. (inv.) sagrato della chiesa. Na òta i mòrte i le sepelìa nte l sagrà una volta i morti venivano sepolti nel sagrato della chiesa. A Lozzo erano sepolti attorno alla vecchia chiesa di San Lorenzo, oggi sconsacrata.

 

sagrestàn sm. (pl. sagrestàne) sacrestano, addetto ai servizi di chiesa. Colui che suona le campane, raccoglie le offerte, accende le candele e, all'occorrenza, allestisce i preparativi per la celebrazione della Messa, aiuta alla vestizione il celebrante. Kuàn ke l a molòu i čànpe e i pras, l a takòu a fèi l sagrestàn quando ha abbandonato il lavoro dei campi, si è dedicato a fare il sacrestano (v. mónego).

 

sagrestìa sf. (pl. sagrestìe) sacrestia, la stanza dove il prete si veste prima della messa e dove ci sono i paramenti sacri. Son du nte sagrestìa a ordenà mése pài mòrte sono andato in sacrestia a ordinare delle messe per i defunti.

 

sağà vb. trans. (sàğo; sağèo; sağòu) assaggiare, provare. Sağà la menèstra, l formài assaggiare, assaporare la minestra, il formaggio; sağà la fàme, la séide provare, sentire fame, sete (v. žerčà).

 

Sài sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

saìme sm. (solo sing.) strutto. Frìde le lugànege ko l saìme friggere le salcicce nello strutto; konžà la péta kol saìme condire la focaccia con lo strutto.

 

sakañà vb. trans. (sakañéo; sakañèo; sakañòu) rovinare, picchiare con violenza, sconquassare. Kuàn ke l laóra, l sakañéa su dùto quando lavora, rovina tutto; i lo a sakañòu a fòrža de bòte l'hanno picchiato e ridotto assai male.

 

sakañàda sf. (pl. sakañàde) conseguenza di una bastonatura, malanno, faticaccia, fig. rovescio fisico o economico. Èi čapòu na bèla sakañàda mi sono buscato una solenne carica di bastonate, oppure ho avuto un grave tracollo economico. La malattia mi ha ridotto assai male.

 

sakañón agg. (pl. sakañói, f. sakañóna, pl. sakañóne) disastroso, maldestro, sbadato. Chi si muove rovinando sempre qualcosa, sia in casa sia al lavoro. Nte dùte i laóre to òn e n sakañón in tutti i lavori tuo marito è maldestro.

 

sakañòu agg. (pl. sakañàde, f. sakañàda) rovinato, malconcio. I atréže i èra dùte sakañàde gli attrezzi erano tutti rovinati, mal ridotti; l e tornòu a čàśa dùto sakañòu è tornato a casa tutto malconcio.

 

śaketàk inter. voce onomatopeica detto fatto, in un attimo. Alcuni vorrebbero che l'espressione derivi dal tedesco “gesagt getan” (detto fatto) ma probabilmente è solo voce onomatopeica. L a fàto dùto nte n śaketàk ha fatto tutto in un attimo; śaketàk, e dùto e prònto detto fatto, e tutto è pronto.

 

sàko sm. (pl. sàke) sacco. N sàko de farìna, de patàte, de faśuói un sacco di farina, di patate, di fagioli; mañà fòra de sàko mangiare a spese degli altri; la bóča del sàko l'apertura del sacco; al ku del sàko il fondo del sacco; téla de sàko iuta; prov. sàko vóito no sta n pè chi non mangia non è in grado di lavorare; sàko róto escl. accidenti, questa non ci voleva; dim. sakéto sacchetto; di kol sakéto chiedere l'elemosina, essere povero in canna; al se a mañòu dùto e adès l va kol sakéto ha dilapidato tutta la sua sostanza e adesso è in miseria.

 

sakrabòlta escl. accidenti. Imprecazione che si dice per evitare una bestemmia, fig. niente; no l fa mài n sakrabòlta non fa mai niente, è un fannullone.

 

sakraboltà vb. intr. (sakraboltéo; sakraboltèo; sakraboltòu) imprecare. To pàre l sakraboltéa par nùia tuo padre impreca per nulla.

 

sakramentà vb. intr. (sakramentéo; sakramentèo; sakramentòu) bestemmiare, imprecare. Te ses sólo bón de sakramentà sei capace solo di bestemmiare (v. biastemà, porkonà).

 

sakraménto sm. (pl. sakraménte) sacramento. Da i sakraménte dare l'Estrema Unzione; sakraménto esclamazione che viene considerata una imprecazione pesante, quasi una bestemmia.

 

sakranón  sm. (pl. sakranói) rompiscatole, disastro. Te ses n sakranón sei un rompiscatole; fèi n sakranón combinare un disastro.

 

sakranón  escl. accidenti. Sakranón, élo mài posìbile ke te àbie sènpre da fèi na màndra nte čàneva accidenti, è mai possibile che tu debba sempre ridurre la cantina a un porcile.

 

sakrefìžio, sakrafìžio sm. (pl. sakrefìžie) sacrificio, rinuncia. La vìta e piéna de sakrefìžie la vita comporta continue rinunce e sacrifici.

 

sakrefikà, sakrefikàse, sakrafikà, sakrafikàse vb. trans. e rifl. (me sakrefikéo; sakrefikèo; sakrefikòu) sacrificare, sacrificarsi, sostenere grandi sacrifici per qualcuno. Èi sakrefikòu dùto par te ho sacrificato tutto per te; vòstra màre se a sakrefikòu dùta la vìta par veàutre vostra madre ha sempre sostenuto grandi sacrifici per voi.

 

sakrefikòu, sakrafikòu agg. (pl. sakrefikàde, f. sakrefikàda) scomodo, sacrificato. Ka te stas sakrefikàda qui stai scomoda.

 

sakrosànto agg. (pl. sakrosànte, f. sakrosànta) sacrosanto. Verità sakrosànta verità sacrosanta: fatto certo, parole degne di rispetto; na śbèrla sakrosànta un ceffone dato a dovere per correzione, come punizione meritata.

 

sàl sm. (pl. sài) sale. Sàl gròs sale grosso non macinato, è l sàl pa la menèstra, la polènta o pa le bèstie, invece l sàl fin sale macinato è l sàl pa la salàta, i vuóve. Per raffinare il sale, si ricorreva al pestasàl, un mortaio di legno col pestello, si prendeva una manciata di sale grosso e in pochi minuti lo si riduceva a sale fino, l'operazione di solito era svolta dai bambini di casa. Chi non possedeva un mortaio metteva il sale grosso sul tagliere e lo schiacciava facendo rotolare avanti e indietro una bottiglia. Pestà sàl pestare, raffinare il sale nel mortaio; sàl de kanàl sale inglese, sale amaro, si tratta dell'epsomite, solfato di magnesio di colore bianco dal nome di Epson, località inglese dove viene estratto il minerale; na préśa de sàl un pizzico di sale; sta menèstra no sa nè da sàl nè da saór questa minestra è del tutto insipida; te ses sènpre stòu žènža sàl hai sempre avuto poco giudizio; prov. ko mànča sàl, mànča saór senza un po' di buon senso si ottengono solo cose fasulle; prov. ki ke e de sàl, no vàde sóte la pióva e ki ke a la kóda de pàia no vàde davežìn al fuóu chi ha delle debolezze stia attento a non esporsi troppo; no l e ñànke l sàl de so fardèl non assomiglia in nulla a suo fratello, più che fisicamente si intende per carattere e capacità. Sàl de sòda solfato di magnesio usato in veterinaria (v. pestasàl).

 

sàla sf. (pl. sàle) scala. Di su pa le sàle salire le scale; di dó pa le sàle scendere le scale; na sàla de pékoi una scala a pioli di legno; na sàla de brée una scala fatta di assi; tomà dó pa le sàle cadere dalle scale; ruà in žima la sàla arrivare al massimo della carriera, della felicità; dal pè de la sàla ai piedi, all'inizio della scala. Te ses bèlo tomàda do pa le sàle frase con allusione all'inizio dell'adolescenza delle ragazze.

 

salà vb. trans. (sàlo; salèo; salòu) salare, fig. zuccherare il caffè. Salà la menèstra, la salàta, la polènta salare la minestra, l'insalata, la polenta; màsa salòu, póčo salòu troppo salato, poco salato; fig. salà l kafè zuccherare il caffè.

 

salàme sm. (inv.) salame, fig. uomo sciocco, ingenuo. Mañà polènta e salàme mangiare polenta e salame; te ses n salàme sei un ingenuo; salàme de poržèl, de mus, de čavàl salame fatto esclusivamente con il maiale o con aggiunta di carne di manzo asino cavallo o altro; tomà ìnte kóme n salàme cadere in un tranello come un allocco.

 

salamóra sf. (solo sing.) salamoia, cibo troppo salato. Béte le pèže de formài nte salamóra metti in salamoia le forme di formaggio, il formaggio si mette a salare in vasche d'acqua molto salata.

 

salarìna sf. (pl. salarìne) saliera. Dàme la salarìna, ke èi da konžà i radìče dammi la saliera che devo condire il radicchio.

 

salàso sm. (pl. salàse) salasso, fig. rovina, perdita. Daspò l salàso, l e stòu derèto mèo dopo il prelievo di sangue si è sentito subito meglio; le malatìe e n salàso pa le famée le malattie sono una rovina anche economica per qualsiasi famiglia.

 

salàta sf. (pl. salàte) insalata (bot. Lactuca sativa). Béte dó la salàta, tòle su la salàta trapiantare l' insalata, raccogliere insalata; kurà la salàta pulire e preparare l'insalata prima di condirla; konžà la salàta condire l'insalata; loc. la salàta e bòna pa le vàče l'insalata è poco nutriente per chi deve andare a lavorare. Detto da quanti non amavano la verdura.

 

saratàda sf. (pl. saratàde) sgridata, rimprovero, fregatura. Čapà na saratàda beccarsi un rimprovero solenne, venir ripreso pesantemente.

 

saldà vb. trans. (sàldo; saldèo; saldòu) saldare, fissare. Saldà n dèbito saldare un debito, chiudere il conto; saldà n kalierìn fare una saldatura sul paiolo; saldà na bréa kói čòde fissare un'asse con i chiodi.

 

sàldo  agg. (pl. sàlde, f. sàlda) saldo, solido, robusto. Sto tràvo e sàldo questa trave è solida, robusta, resistente.

 

sàldo  sm. (pl. sàlde) saldo, pagamento di un debito. Késto e l sàldo del mè dèbito questo è il saldo del mio debito.

 

Sàle sf. (top.) antica borgata di Lozzo, di cui è rimasto solo il nome Sórasàle, in posizione dominante sull'attuale abitato.

 

salèra sf. (pl. salère) gronda in legno per l'acqua, cannella di sorgente o fontana ottenuta da un tronco incavato. Ìnte da la Čùśa okóre kanbià la salèra ke la e dùta màrža alla Chiusa c'è bisogno di sostituire la cannella dell'acqua perché è tutta marcia. Localmente il lemma stava anche ad indicare le erosioni provocate da acquazzoni su mulattiere e strade sterrate in genere,(v. górna, salòta).

 

saléta  sf. (pl. saléte) scaletta. Fèi saléte sui čavéi tagliare i capelli scalati. Taglio di capelli fatto con imperizia, probabilmente non da persona di mestiere ma in casa, alla buona, per risparmiare.

 

saléta  sm. (nome) soprannome di famiglia.Ki de saléta La famiglia dei saléta.

 

salìdo sm. (pl. salìde) selciato, acciottolato. Nte čàneva e nkóra l salìdo il pavimento della cantina è tuttora di ciottoli.

 

salimàndra sf. (pl. salimàndre) salamandra (zool. Salamandra maculosa e Salamandra atra). Le salimàndre pòrta pióva le salamandre annunciano la pioggia; quando questi rettili escono dalle loro tane è indizio di pioggia imminente.

 

salìn sm. (inv.) scalino, gradino. Di su pài salìn salire gli scalini; nžupàse nte l salìn inciampare nel gradino; di n salìn pì n su progredire nella carriera; fig. tomà dó dal salìn cadere dallo scalino, si dice così del primogenito alla nascita di un secondo figlio; prov. no e da fèi pì de n salìn a l òta in ogni situazione bisogna cercare di procedere con prudenza e buon senso.

 

salòta sf. (pl. salòte) piccolo tronco incavato, grondaia, pezzo di corteccia d'albero che viene adoperato per attingere più facilmente l'acqua dalle sorgenti. Èi fàto na salòta de na skòrža de pežuó par čapà l àga ko la barìža ho fatto una cannella di corteccia d'abete per attingere l'acqua con la botticella.

 

saltàr sm. (pl. saltàre) saltaro, guardia boschiva. Il saltàr veniva eletto insieme al Marigo e ai laudadori, in assemblea, nel giorno di di S. Marco (25 aprile) su proposta del Marigo uscente; il saltàr aveva il compito di sorvegliare le vizze e i boschi di proprietà della Regola.

 

saludà vb. trans. (salùdo; saludèo; saludòu) salutare, riverire. Èi saludòu dùte da pàrte tóa ho salutato tutti a nome tuo; čò, parkè no se salùda? beh, perché non si saluta?; te salùdo, Ninéta accipicchia che roba.

 

salùdo sm. (pl. salùde) saluto. Tànte salùde da tó fardèl! tanti saluti da parte di tuo fratello; a kel la i èi tolésto l salùdo a quella persona ho tolto il saluto.

 

salùte sf. (inv.) salute, salvezza, fortuna. Avé salùte godere buona salute; e stòu la tó salùte è stata la tua fortuna; salùte salute, detto a chi starnutisce; un tempo si rispondeva e pan grànde, frase tramandata da epoca in cui il pane certamente non abbondava la salùte no e òro ke la pàge non c'è niente che valga tanto quanto la salute.

 

salvà vb. trans. (sàlvo; salvèo; salvòu) salvare, mettere da parte, conservare. E stàda la Madòna ke me a salvòu è stata la Madonna che mi ha salvato; okóre salvà le patàte da séme bisogna mettere da parte le patate per la semina; se te puós, sàlveme dói radìče se puoi mettimi da parte un po' di radicchio.

 

salvanèl sm. (inv.) selvanello. È il nome attribuito ad un personaggio della fantasia popolare, una specie di orco o di gnomo che, secondo la leggenda, vive nei boschi e popola molte fiabe ambientate in montagna.

 

salvaregìn sm. (solo sing.) Sapore di selvatico sto tòčo sa ntin da salvaregìn. Questo spezzatino ha uno strano sapore di selvatico, va precisato che è un sapore naturale della cacciagione.

 

salvàrego agg. (pl. salvàrege, f. salvàrega) selvatico, fig. poco socievole. Ğàto salvàrego gatto selvatico; fiór salvàrege fiori selvatici; pužà o savé da salvàrego puzzare di selvatico; no èi mài vedù n salvàrego kóme te non ho mai conosciuto un individuo poco socievole come te.

 

salvéža sf. (pl. salvéže) salvezza, fortuna, via di scampo. No èra salvéža non c'era via di scampo; te ses la mè salvéža sei la mia salvezza, la mia ultima speranza.

 

salviéta sf. (pl. salviéte) tovagliolo, asciugamano. Bétete la salviéta mettiti il tovagliolo (v. toaiól).

 

sàlvo agg. (pl. sàlve, f. sàlva) salvo, incolume. I e dùte sàlve sono tutti salvi, incolumi; béte n sàlvo mettere in salvo, al sicuro.

 

samà vb. intr. (saméo; samèo; samòu) sciamare. Le àve a samòu le api sono sciamate (v. venà).

 

sàmo sm. (pl. sàme) sciame. N sàmo de àve uno sciame di api; te ses kóme sàmo rintracci tutto ciò che c'è di buono, sei sempre insistente quando vuoi mangiare qualcosa. Detto anche di persona che è sempre con le carte da gioco in mano.

 

sàn  agg. (pl. sànte, f. sànta) santo. San Laurènžo, Sànta Lužìa, Sant'Antòne San Lorenzo, Santa Lucia, Sant'Antonio; la Stemàna Sànta, Vèndre Sànto la settimana santa, venerdì santo; sànto paradìs, fenìsela santo paradiso, finiscila, detto da chi sta perdendo la pazienza; i le èi dade de sànta reśón gliele ho date di santa ragione (v. sànto).

 

sàn  agg. (pl. sàne, f. sàna) sano. Èse sàne essere sani, godere di buona salute; sta sàn mantieniti sano; sènpre sàne no se pó stà non c'è da meravigliarsi se ogni tanto ci si ammala; san patòko in piena forma. San kóme n pés, sanissimo.

 

sanbugèi sm. (inv.) sambuco (bot. Sambucus nigra). I fiór de sanbugèi i fiori di sambuco che vengono usati per le inalazioni; sčoparuól de sanbugèi piccola cerbottana lunga una ventina di centimetri che si ricavava da un ramo di sambuco; come proiettili venivano usati batuffoli di stoppa bagnata che si lanciavano da uno stantuffo di legno o soffiati; con i frutti maturi del sambuco si prepara la mostàrda.

 

sandìže sf. (solo pl.) rimasugli di legna adatti per accendere il fuoco. Venivano chiamate così anche le sàndole marce che si toglievano dal tetto. Nvidà fuóu kon dóe sandìže accendere il fuoco con rimasugli di legna; fig. fèi sandìže de dùto frantumare tutto riduncendo in tanti pezzettini inutili.

 

sàndola sf. (pl. sàndole) scandola, assicella ricavata dalle bóre di larice. Vengono usate come tegole per i tetti, sovrapposte l'una sull'altra in modo tale da non lasciar filtrare l'acqua piovana. Sàndola dordolàda assicella fatta a mano con l'ascia; kuèrto de sàndole tetto coperto di assicelle; fig. dréta kóme na sàndola avere poco seno; prov. kuàn ke pióve dùte le sàndole se biànda quando succede una disgrazia tutti i familiari ne subiscono le conseguenze; te as le man kóme le sàndole hai le mani molto grandi come scandole; prov. na sàndola biànda kél àutra come dice il detto analogo: chi va col lupo impara a urlare.

 

sandolàse (raro) vb. rifl. (me sandoléo; sandolèo; sandolòu) slittare. Don a sandolàse andiamo a slittare. (v. ślisàse).

 

Sandolés , Val sm. (top.) Valle molto umida e ricca di felci e farfaraccio, tutto intorno abeti rossi e bianchi e qualche acero. Inzia appena sotto le Kròde déla Màndra, Navói e finisce nei pressi déla Poiàta sulla strada carrozzabile che porta a Faé. La valle sembra quasi una mano scavata che raccoglie dall'alto la acque che scorrono nel Ğòu de Stamižói e Piavèrto e delle Val déi Sambùge e déi Čavài separate dalla Kòsta déi Avedìs. In questa zona si trova anche il sàuto dela begužèra de komùn che ostacolava non poco la discesa del legname che qualche volta andava in pezzi.

 

sandolés  sm. (solo pl.) abile artigiano che ricavava le scandole o tegole di legno con l'accetta. Nei tempi più antichi venivano ricavate con molta abilità direttamente con la mannaia dal tronco e meglio precisate come sàndole dordolàde. Si ricorre ancora a questo sistema quando ci si trova in luoghi impervi e scomodi. (v. sàndola).

 

sandoléta sf. (pl. sandoléte) scandoletta, assicella più sottile e più leggera della sàndola. La čéśa de Loréto a l kuèrto dùto de sandoléte la chiesa di Loréto ha il tetto di scandolette.

 

sàne escl. arrivederci, state sani. È l'espressione di saluto più frequente nel commiatarsi. Sàne a daspò arrivederci a più tardi.

 

sanfasón, sarfasón avv. alla carlona, in disordine. Dal francese “sans façon”; ka e dùto n sanfasón si è fatto tutto alla carlona.

 

sàngo sm. (pl. sànge) sangue. Sàngo de nas sangue di naso; ğavà sàngo levare sangue, salassare; nvelenàse l sàngo guastarsi il sangue, arrovellarsi; avé l sàngo čàudo avere il sangue caldo, essere suscettibile; al sàngo no e àga i vincoli di sangue si fanno sempre sentire; fèise l sàngo tristo arrovellarsi per qualcosa; prov. kuàn ke se piànde, se véde l sàngo i veri parenti si riconoscono nelle avversità.

 

sangonà vb. intr. (sangonéo; sangonèo; sangonòu) sanguinare. Kè àsto ke te sangonée? che cosa ti succede, che stai perdendo sangue?; vo sàngo par sangonà i consanguinei maggiormente risentono delle disgrazie dei propri parenti; èi la man ke sangonéa ho la mano che sanguina; i lo a sangonòu l'anno picchiato a sangue.

 

sanguéta sf. (pl. sanguéte) sanguisuga (zool. Hirudo medicinalis), fig. avido, esoso. Béte su la sanguéta applicare una sanguisuga per fare un salasso; te ses na sanguéta sei una sanguisuga, sei uno sfruttatore.

 

sanpòña sf. (pl. sanpòñe) campanaccio portato al collo dalle mucche quando sono al pascolo. Il campanaccio serve per riconoscere i diversi proprietari dei capi del bestiame e per rintracciare le bestie quando si allontanano dalla mandria. Kéla vàča la e méa parkè la a la sanpòña de fèr kol kolàr de koràme lauròu quella mucca è mia perché ha il campanaccio di ferro con il collare in cuoio lavorato (v. kanàula, tantèl).

 

sanpoñà vb. tr. (sanpoñéo; sanpoñèo; sanpoñòu) spifferare, spiattellare. Parkè vàsto sènpre a sanpoñà n ğìro le tó ròbe? perché vai sempre a spiattellare in giro i tuoi affari?

 

sanpoñèi agg. (pl. sanpoñèi, f. sanpoñèra, pl. sanpoñère) chi non è capace di mantenere un segreto, chiacchierone. Tó suó e la sòlita sanpoñèra tua sorella è la solita chiacchierona.

 

sansarìa sf. (pl. sansarìe) mediazione. Kuànto àsto pagòu de sansarìa? quanto hai pagato per la mediazione?

 

sansèr sm. (inv.) sensale, mediatore. Tra de neàutre no okóre sansèr: bàsta la paròla tra noi non c'è bisogno di alcun mediatore: basta la parola. L'uso di tale termine veniva dato, non senza ironia, a coloro che si prestavano a combinare matrimoni.

 

santarèl, saltarèl sm. (pl. santariéi, saltariéi) chiavistello, catenaccio, paletto. Serà la pòrta kol santarèl chiudere la porta col chiavistello, tirare il paletto.

 

santifižètur agg. (inv.) bigotto, ipocrita, bacchettone. Te ses n santifižètur sei un bigotto; fig. ke žiéra da santifižètur come sei pallido, cereo.

 

sànto  agg. (pl. sànte, f. sànta) santo, grande. loc. kel ke te dìgo e la sànta verità quello che ti dico è la pura verità. Dai Sànte in occasione della festa di Ognissanti; la nòna a l lìbro da Mésa pién de Sànte la nonna ha fra le pagine del libro della Messa molte immagini sacre; prov. dài Sànte ài Mòrte l néve e su le pòrte ai Santi e ai Morti, ai primi di novembre, la neve è alle porte; prov. pasòu l Sànto, pasòu l miràkol nella vita la fortuna si presenta una volta sola; accr. santìsimo, col significato di enorme, grandissimo, solenne: èi fàto na mañàda santìsima ho fatto una incredibile scorpacciata; fèi na čòka santìsima fare una sbornia solenne (v. san).

 

Sànto  sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

sàntol sost. agg. (pl. sàntoi, f. sàntola, pl. sàntole) padrino, madrina di Battesimo o di Cresima. A volte il termine sàntol indica anche il testimone di nozze dei genitori. Secondo la tradizione, il sàntol di Cresima al raggiungimento della maggiore età, regala al proprio figlioccio un orologio o altro regalo di equivalente valore. Il giorno della Cresima invece regala una collana di bužolài. Ki ke a sàntoi a ànke bužolài colui che ha delle conoscenze altolocate è sicuramente agevolato nella vita.

 

saón sm. (pl. saói) sapone. Lavà la ròba kol saón lavare la biancheria col sapone.

 

saonéta sf (pl. saonéte) saponetta, sapone profumato. Làvete polìto ko la saonéta lavati bene con la saponetta.

 

saonà vb. trans. (saonéo; saonèo; saonòu) insaponare. Saonéa polìto kel koléto, se nò no l vién néto insapona bene quel colletto, altrimenti non diventa pulito (v. nsaonà).

 

saonàda sf. (pl. saonàde) insaponata. Ka okóre na bèla saonàda qui c'è bisogno di una buona insaponata, una bella lavata.

 

saór sm. (inv.) sapore, gusto. Siénte ke bón saór? senti che buon sapore?; saór da puìna, da formài sapore di ricotta, di formaggio. dispr. saoràto saporaccio, sapore cattivo. saór de mufa, de bruśòu sapore di muffa, di bruciaticcio.

 

saorìn sm. (inv.) sapore leggermente cattivo. Čapà n saorìn prendere cattivo sapore, alimento che sta andando a male.

 

saorìu agg. (pl. saorìde, f. saorìda) saporito. Sta menèstra e màsa saorìda questa minestra ha un sapore troppo forte, è troppo salata.

 

sàpa sf. (pl. sàpe) zappa. Al mànego de la sàpa il manico della zappa; dim. sapùta piccola zappa usata dai bambini, che veniva loro data per abituarli sin da piccoli al suo uso.

 

sapà vb. trans. (sàpo; sapèo; sapòu) zappare. Sapà l čànpo, l órto, l èra zappare il campo, l'orto, l'aiola; sapà fòra riordinare con la zappa i bordi del campo.

 

sapadìn agg. (pl. sapadìne, f. sapadìna) sappadino, abitante di Sappada. La fìa de so suó e dùda a maridàse n sapadìn la figlia di sua sorella è andata in sposa a un sappadino.

 

sapientón agg. (pl. sapientói, f. sapientóna, pl. sapientóne) saccente, chi vuol far credere di sapere tutto. Te ses l sòlito sapientón, te sas na kàrta pì del lìbro sei il solito saccente, sai più di un libro.

 

sapón sm. (pl. sapói) piccone. Grosso piccone a lama arcuata sui due lati del manico, da una parte appuntito, dall'altra con una stretta e robusta pala, ciascun arco lungo più di 30 cm, è adatto a smuovere i sassi. Dòra l sapón a desfèi kéla maśiéra adopera il piccone per demolire quel mucchio di sassi.

 

saponà vb. trans. (saponéo; saponèo; saponòu) lavorare col piccone. Il piccone serve per rompere il terreno, demolire muri, acciottolati e talvolta anche per scalzare piante. Saponà l salìdo demolire l'acciottolato; saponà le radìs de na piànta scalzare le radici di una pianta; saponà la vàra rimuovere le zolle del prato per ridurle a campo.

 

saputà vb. trans. (saputéo; saputèo; saputòu) zappettare, rincalzare le aiole, lavorare la terra in superfice. Saputà l èra de la salàta zappettare l'aiuola della insalata, rincalzare le piantine d'insalata (v. sarì).

 

saràka sf. (pl. saràke) bestemmia. L a tiròu do na saràka davòi kelàutra ha detto una bestemmia dietro l'altra.

 

sarakà vb. intr. (sarakéo; sarakèo; sarakòu) bestemmiare. Parkè sarakéesto de kontìnuo? perché bestemmi sempre?

 

sarakàda sf. (pl. sarakàde) serie di imprecazioni, temporale, tempesta. L èra tànto ngrintòu ke l a dìto do na sarakàda era talmente arrabbiato, che ha urlato una serie di imprecazioni; a dòu do na sarakàda ke a śbragažòu dùte i faśuói c'è stata una tempesta a seguito di un violento temporale che ha abbattuto tutte le piante di fagioli.

 

sarén agg. (pl. saréne, f. saréna) sereno, tranquillo. No èi mài vedù n òn kosì sarén non ho mai visto un uomo così sereno, così tranquillo; e dùto sarén il cielo è tutto sereno; e tornòu sarén è tornato il sereno; e veñù sarén il cielo si è rasserenato; prov. sarén de nuóte, na vèča ke tròte, na mùla ke kóre no dùra tré óre certe cose, per loro stessa natura, non possono durare; sarén de nuóte, no val tré pére kuóte quando il cielo si rasserena durante la notte, il bel tempo è destinato a durare poco; lùna piéna, sarén la ména la luna piena porta il bel tempo; se de nuóte fa sarén, da domàn no se fa fién se il cielo si rasserena di notte, il giorno dopo non si potrà raccogliere il fieno perché il tempo sarà brutto; prov. par sarén ke l sée e sènpre kàlke nùvola anche nella vita apparentemente più felice c'è sempre qualche motivo di tristezza.

 

sarenèla sf. (pl. sarenèle) stellata, serenata. E dùto na sarenèla il cielo è completamente sereno e tutto coperto di stelle; vàrda ke te fas sarenèla fig.è un' esclamazione di commento detta a una ragazza che lasciava inavvertitamente intravedere le mutandine sotto la gonna.

 

sarì vb. trans. (sarìso; sarìo; sarìu) sarchiare: Ripulire le piantine dalle erbacce e rincalzare la terra. Il lavoro deve esser fatto nei campi e negli orti coltivati. Sarì le patàte, l sórgo, i faśuói sarchiare le patate, il granoturco, i fagioli.

 

sarìda sf. (pl. sarìde) sarchiatura. Al čànpo a debeśuói de na bòna sarìda il campo ha bisogno di una buona sarchiatura.

Sàrio sm. nome ipoc. di commissario.

 

saròte, i sm. (top.) piccola sorgente d'acqua in località i Saròte verso est rispetto alla mulattiera che sale a Pian dei Buoi nelle vicinanze di Poleśin. Probabilmente il termine deriva da pisaròte cioè lo scorrere di poca acqua.

 

saróio sm. (solo sing.) sole, per est. sereno. Ka e sènpre saróio qui batte sempre il sole, questo è un luogo veramente soleggiato.

 

sartór sm. (pl. sartóre) sarto. Kél là, mò, e n brao sartór quello si, che è un bravo sarto Loc. l fèr e l rufiàn del sartór il ferro da stiro è il ruffiano del sarto in quanto elimina piccoli difetti delle cuciture.

 

Sartó sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

sarvìśo sm. (pl. sarvìśe) servizio, lavoro domestico, impegno. Fèi i sarvìśe sbrigare i lavori di casa; di pa n sarvìśo andare a fare una commissione; fèime n sarvìśo fammi un piacere; vàdo a fèi i mé sarvìśe vado al gabinetto; vàdo a fèi kel sarvìśo e pò tórno vado a sbrigare quella faccenda che conosci e poi torno; fèi n òra e dói sarvìśe prendere due piccioni con una fava; fig. puaréta, la se a tolésto pròpio n bèl sarvìśo poverina, non ha certo combinato un buon matrimonio; késto sarvìśo pròpio no me okorèa questo impiccio proprio non mi doveva capitare; fig. i sarvìśe gli attrezzi del mestiere; avé dùte i sarvìśe avere tutto l'occorrente.

 

sarvitù, sarvetù sf. (inv.) servitù, personale di servizio. Avé tànta sarvitù avere personale di servizio numeroso; fig. l a debeśuói de tànta sarvetù ha bisogno di tante cure, di tante attenzioni, detto di chi è infermo e quindi non autosufficente.

 

sarvižiévol agg. (pl. sarvižiévoi, f. sarvižiévola, pl. sarvižiévole) cortese, servizievole, compiacente. Kél òn e sènpre stòu sarvižiévol ko neàutre quell'uomo è sempre stato servizievole con noi.

 

sarvižiós agg. (pl. sarvižióśe, f. sarvižióśa) servizievole, compiacente. Èse sarvižiós essere servizievole, cortese.

 

sasìn agg. (pl. sasìne, f. sasìna) assassino. Il termine è usato sia per identificare l'omicida, per qualificare una persona dura di cuore, cattiva, ma spesso nel senso di birbaccione e monellaccio. È il modulare della voce che ne determina il vero senso della parola. Kel sasìn a dòu tànte de ki despiažér a só màre quel diavolo ha dato grossi dispiaceri a sua madre; te ses n sasìn sei un birbaccione, un monellaccio; te ses n sasìn da stràda sei davvero una grande birba; fig. al pióve, l nevéa kóme n sasìn piove a dirotto, nevica a larghe falde.

 

sasinà vb. trans. (sasinéo; sasinèo; sasinòu) assassinare, uccidere, fig. rovinare. Se te fas kosì te sasinée dùto l laóro sei fai così, rovini tutto il lavoro.

 

sàta sf. (pl. sàte) mucca. Termine vezzeggiativo tipico della parlata dei bambini; àsto vedù kuànte sàte? hai visto quante mucche?

 

saudelàse vb. rifl. (saudeléo; saudelèo; saudelòu) slittare. Di a saudelàse andare a divertirsi con lo slittino (v. audetàse).

 

sautà vb. trans. (sàuto; sautèo; sautòu) saltare, schizzare via, scavalcare. Sautà dó dal liéto saltare giù dal letto; sautà l rin scavalcare il ruscello; sautà i pàste saltare i pasti; e sautòu via l bolón il bullone è schizzato via; sautà fòra comparire improvvisamente o intervenire in un discorso; sautà su arrabbiarsi, intromettersi; se me sàuta su i žìnke menùte, te dào na kàrega se mi arrabbio ti picchio.

 

sautèi sm. (inv.) cavalletta (zool. Tettigonia viridissima, Locustidae in genere). Vàrda kuànte sautèi guarda quante cavallette.

 

sàuto sm. (pl. sàute) salto, caduta, burrone. Tirà n sàuto fare un salto; fèi n sàuto spiccare un salto; tìro n sàuto fin vìa da mé fiól faccio una capatina da mio figlio; sta atènti al sàuto stai attento al burrone, al precipizio; sta bréa e piéna de sàute quest'asse è levigata male, è mal piallata; di a fèi kuàtro sàute andare a ballare.

 

sàuto del čavàl sm. (top.) canalone in forte pendenza sulla sinistra della Val Lonğiarìn nelle vicinanze déle Tàpe. Si racconta che un cavallo fosse precipitato in quella zona che poi ha dato origine al toponimo.

 

savanà vb. intr. (savanéo; savanèo; savanòu) arrovellarsi, non darsi pace, sbraitare. Tó pàre savanéa n kontinuažión sul laóro tuo padre sbraita sempre quando è intento al suo lavoro, non si dà mai pace (v. tavanà).

 

savanón agg. (pl. savanói, f. savanóna, pl. savanóne) agitato, chi non si dà mai pace, è sempre in moto, si arrovella vociando per nulla. È inteso anche nel senso di chi ingrandisce tutto ciò che deve fare lui, mentre non è la stessa cosa per gli altri. Te ses pròpio n savanón kóme tó pàre sei proprio un urlatore come tuo padre.

 

savé vb. trans. (sèi; savèo; savésto, savù) sapere, aver sapore. Savé i fàte sapere le cose; savé liéde e skrìve essere capaci di leggere e scrivere; savé vìve saper vivere adeguandosi alle situazioni, conoscere il mondo; savé a ménte sapere a memoria; no savé nè liéde nè skrìve non sapere né leggere né scrivere, essere un ignorante; savéla lònga essere molto loquace; savéle dùte essere molto astuto; savé l fàto sò essere pratico di un mestiere; fèi savé far sapere, informare; savé fèi essere accattivante; savé na kàrta pì de l lìbro essere saputelli, presuntuosi; savé tòle saper prendere pel verso giusto, saper trattare col prossimo; te as da savé di a to màre ke ka mànča nkóra dói sàke devi riferire a tua madre che qui mancano ancora due sacchi; no savé nè parlà nè taśe parlare a vanvera; sèi ió kè ke te me kóste lo so ben io quello che mi costi; sta menèstra no sa da nùia questa minestra non sa di nulla, è insipida; savé da bruśòu, da rànžego, da mùfa, da formài aver sapore di bruciato, di rancido, di muffa, di formaggio; savé teñìse riguardarsi.

 

sàvio agg. (pl. sàvie, f. sàvia) savio, assennato. Èse sàvio essere assennato, prudente; prov. sa pì n màto a čàśa sóa, ke n sàvio a čàśa de kiàutre chi non conosce bene un argomento, è meglio che taccia.

 

savòia escl. grido d'assalto delle truppe del re. L'esclamazione veniva usata durante la guerra. Fig. fèi dùta na savòia fare un finimondo, un grande scompiglio, una chiassata.

 

sažià, sažiàse vb. trans. e rifl. (me sàžio; sažièo; sažiòu) mangiare a sufficienza, saziare, saziarsi. Kel tùto no te lo sàžie mài quel bimbo vuole sempre mangiare; bàsta póče frégole par sažiàme bastano poche briciole per saziarmi.

 

sàžio agg. (pl. sàžie, f. sàžia) sazio a sufficienza, satollo, soddisfatto. No son mài sàžio de polènta e tòčo non sono mai sazio di mangiare polenta e spezzatino; loc. l tèmpo no l e nkóra sàžio pioverà ancora a lungo (v. pasù).

 

śbàa sf. (pl. śbàe) bava, saliva, fig. acquolina in bocca. Kel bavarìn e pién de śbàe quel bavaglino è tutto bagnato di saliva; kéla péta me fa veñì le śbàe quella torta mi fa venire l'acquolina in bocca; n òta i puaréte mañèa śbàe una volta i poveri mangiavano ciò che rimaneva del latte già sfruttato; le śbàe déi sčós le bave delle lumache; avé le śbàe avere le bave alla bocca, avere l'acquolina in bocca.

 

śbaà vb. intr. (śbaéo; śbaèo; śbaòu) sbavare, desiderare ardentemente. Àsto fenìu de śbaà? hai finito di sbavare, di sporcarti di bava?; al śbaéa par di n òta a balà desidera molto di andare una volta a ballare (v. sčupà).

 

śbadilà vb. intr. (śbadiléo; śbadilèo; śbadilòu) sbadilare, lavorare col badile. Śbadilà da stéla a stéla lavorare con il badile dalla mattina alla sera.

 

śbàe sf. (solo pl.) bave, schiuma. Dapò avé fàto la puìna, restèa le śbàe dopo aver ottenuto la ricotta dalla lavorazione del latte, rimaneva la schiuma (v. làte).

 

śbafà vb. intr. (śbàfo; śbafèo; śbafòu) sbafare, mangiare con ingordigia. Don a śbafà andiamo a farci una bella mangiata.

 

śbafàda sf. (pl. śbafàde) grande mangiata. Ke śbafàda che mangiata.

 

śbàfo avv. solo nella loc. a śbàfo a scrocco, senza pagare.

 

śbagadènte sm. (inv.) ceffone, manrovescio. Se no te tàśe, te dào n śbagadènte se non taci, ti dò un ceffone.

 

śbaketà vb. trans. (śbaketéo; śbaketèo; śbaketòu) sbacchettare, fig. lavorare in fretta, darsi da fare. Èi śbaketòu dùta la dornàda ho sfaccendato tutto il giorno.

 

śbaketàda sf. (pl. śbaketàde) sbacchettata, colpo di bacchetta. Na òta, a skòla, le maèstre daśèa śbaketàde do pa le màn una volta a scuola le maestre davano le sbacchettate sulle mani.

 

śbalià, śbaliàse vb. trans. intr. e rifl. (me śbàlio; śbalièo; śbaliòu) sbagliare, errare, fig. lasciarsi sedurre. Èi śbaliòu i kónte ho sbagliato i conti; me son śbaliòu mi sono sbagliato; dùte puó śbaliàse tutti possono sbagliare; kéla tóśa a śbaliòu quella ragazza si è lasciata sedurre (v. falà).

 

śbàlio sm. (pl. śbàlie) sbaglio, errore. La tó vìta e piéna de śbàlie la tua vita è piena di errori; se te fas kosì, te fas n śbàlio se fai così, commetti un errore; no ntivà ñànke par śbàlio non azzeccare neppure per sbaglio.

 

śbalotà vb. trans. (śbalotéo; śbalotèo; śbalotòu) scuotere a malo modo, malmenare. Te me śbalotée kel puóro pùpo malmeni, agiti quel povero bambino.

 

śbančà vb. (śbančéo, śbančèo, śbančòu). Termine usato in segheria. Quando c'erano dei tronchi di grosso diametro, prima di tagliarli in assi, si tagliavano lo skòrž e la prima tavola, dopodiché il tronco veniva appoggiato al carro della segheria dalla parte tagliata come base e si procedeva al resto del taglio. Ste tàe e dùte gròse, okóre śbančàle questi tronchi sono troppo grossi occorre śbančàrli.

 

śbaós agg. (pl. śbaóśe, f. śbaóśa) bavoso, chi si sporca di bava, fig. smorfioso, schizzinoso. Kel pìžol e tànto śbaós parkè al béte su i dènte quel bimbo è tanto bavoso, perché gli stanno spuntando i denti; te ses sènpre pì śbaós sei sempre più smorfioso.

 

śbaośà vb. trans. (śbaośéo; śbaośèo; śbaośòu) sbaciucchiare. Dùte i parènte śbaośéa l mè tùto tutti i parenti sbaciucchiano il mio bambino.

 

śbàra sf. (pl. śbàre) stanga. Èi vendésto le tàe e me a vanžòu n póče de śbàre ho venduto i tronchi e mi sono rimaste alcune stanghe.

 

śbarà vb. tr. (śbàro; śbarèo; śbaròu) sparare, fig. sbottare. Śbarà kol sčòpo sparare con lo schioppo; fig. no èi podésto pì teñìme e alóra èi śbaròu non mi sono più potuto trattenere e allora ho dato sfogo gridando tutte le mie ragioni; fig. śbaràle gròse spararle grosse, raccontare fandonie.

 

śbaràda sf. (pl. śbaràde) sparo, scoppio, sfogo. Àsto sientìu ke śbaràda? hai sentito che sparo?; daspò kéla śbaràda me son sientùda mèo dopo quello sfogo mi sono sentita meglio; fig. de sòlito, daspò de na śbaràda l tènpo se béte n sèsto di solito, dopo un temporale, il tempo si mette al bello, torna il sereno.

 

śbarbà, śbarbàse vb. trans. e rifl. (me śbàrbo; śbarbèo; śbarbòu) sbarbare, radersi, fig. mangiare avidamente. E la mé fémena ke me śbàrba è mia moglie che mi fa la barba; ió me śbàrbo n di si e n di nò io mi rado a giorni alterni; i tó fiói se a śbarbòu fòra dùto kel ke èra su la tòla i tuoi figli hanno mangiato tutto quello che c'era in tavola (v. śbafà).

 

śbarbàda sf. (pl. śbarbàde) rasatura della barba, fig. grossa mangiata, sbafata. Almànko ñànte de maridàte, fèite na bèla śbarbàda almeno prima di sposarti, datti una bella sbarbata (v. śbafàda).

 

śbarlèfo sm. (pl. śbarlèfe) grosso pezzo, grande fetta. N śbarlèfo de formài una grossa fetta di formaggio.

 

śbàro sm. (pl. śbàre) sparo, scoppio. Ió no èi sientìu nisùn śbàro non ho sentito sparare.

 

śbasà, śbasàse vb. trans. e rifl. (me śbàso; śbasèo; śbasòu) abbassare, tirare giù, abbassarsi, fig. umiliarsi. Śbàsa le koltrìne abbassa le tendine; śbàsa l čòu, se nò te péte ìnte abbassa la testa altrimenti vai a sbattere; fig. śbasà la krésta, le àle abbassare la cresta, le ali, cioè umiliarsi; ió no me śbàso davànte a nisùn io non mi umilio davanti a nessuno (v. arbasàse).

 

śbaśì vb. intr. (śbaśìso; śbaśìo; śbaśìu) venire meno, intirizzire, zittire qualcuno. Śbaśìu dal frédo essere intirizzito per il freddo.

 

śbaśìu agg. (pl. śbaśìde, f. śbaśìda) debilitato. Fiàko śbaśìu sfinito dalla fame, completamente digiuno. Da kéla kaminàda son tornòu fiàko śbaśìu dalla camminata sono ritornato sfinito dalla fame. Al me la a takàda e l èi śbaśìu mi ha importunato e allora ho reagito.

 

śbàte vb. trans. (śbàto; śbatèo; śbatésto, śbatù) sbattere. Di a śbàte andare a sbattere; śbàte la pòrta sbattere la porta; śbàtete do i pès ñànte de veñì nte čàśa pulisciti le scarpe prima di entrare in casa.

 

śbatevuóve sm. (inv.) battiuova, frullatore a mano. Par śbàte polìto i vuóve, okóre n śbatevuóve per sbattere bene le uova c'è bisogno di un frullatore.

 

śbatočà vb. tr. (śbatočéo; śbatočèo; śbatočòu) sbatacchiare, picchiare su qualcosa senza andare troppo per il sottile. No sta śbatočà kel vas, se nò te lo spàke non sbatacchiare quel vaso, altrimenti lo rompi. L tò vas del làte e dùto śbatočòu Il tuo vaso del latte è tutto sbatacchiato, rovinato.

 

śbatočón agg. (pl. śbatočói, f. śbatočóna, pl. śbatočóne) blaterone, chiacchierone. To madòna e sènpre stàda na śbatočóna de prìma kategorìa tua suocera è sempre stata una blaterona di prima categoria.

 

śbatù agg. (pl. śbatùde, f. śbatùda) abbattuto, magro, pallido. Kè àsto ke te ses kosì śbatù? che cosa hai che sei così pallido? Anche nella loc. te fàdo n vuóu śbatù ti preparo un uovo sbattuto.

 

śbatudìn, śbatodìn sm. (inv.) zabaione. Uova sbattute con lo zucchero con l'aggiunta di un po' di vino o marsala. N śbatodìn te béte a pósto lo zabaione ti dà energia.

 

śbaužà, śbaužàse vb. intr. e rifl. (me śbaužéo; śbaužèo; śbaužòu) sbavare, sporcarsi di saliva. Te ses bèlo grandùto e te te śbaužée nkóra sei ormai grandicello e sbavi ancora.

 

śbaužòu agg. (pl. śbaužàde, f. śbaužàda) sporco di saliva. Detto anche del cibo assaggiato e poi lasciato da parte; sto pan e dùto śbaužòu questo pane è tutto sporco di saliva.

 

śbavà vb. (śbavéo, śbavèo, śbavòu) levare le bave rimaste dalla troncatura di un pezzo di metallo con la lima o la smerigliatrice. Lùne èi da śbavà dùte i fèr ke èi taiòu lunedì devo togliere le sbavature dei ferri che ho tagliato.

 

śbažegà vb. intr. (śbažegéo; śbažegèo; śbažegòu) smaniare, agitarsi, comportarsi in modo dissennato. Òñi tànto te śbažegée ogni tanto ti agiti; ma kè śbažegéesto? ma stai diventando pazzo? i ğàte śbažegéa i gatti vanno in calore.

 

śbažegón agg. (pl. śbažegói, f. śbažegóna, pl. śbažegóne) tipo strano, mattoide. No èi mài vedù na śbažegóna kóme tó madòna non ho mai visto un tipo strano come tua suocera.

 

śbegarà vb. intr. (śbegaréo; śbegarèo; śbegaròu) urlare, gridare. Kè ala kéla fémena ke la śbegaréa kosì? cosa ha quella donna che urla in quel modo?; pi śbegarèa éla, pì śbegarèo ió più urlava lei, più urlavo anch'io (v. begarà).

 

śbegaràda sf. (pl. śbegaràde) urlo, grido. Le śbegaràde de la màre me faśèa kóre il richiamo urlato di mia madre mi faceva rincasare di corsa.

 

śbegarón agg. (pl. śbegarói, f. śbegaróna, pl. śbegaróne) chi urla, chi parla sempre ad alta voce. Te ses n śbegarón parli ad alta voce, sbraiti.

 

śbekotà  vb. trans. (śbekotéo; śbekotèo; śbekotòu) beccare, colpire col becco, mangiucchiare, fig. essere brilli. A fòrža de śbekotà, l pigòto śbùśa la piànta a forza di beccare, il picchio buca il tronco; se a da mañà, nò śbekotà par veñì grande per diventare grandi bisogna mangiare veramente, non mangiucchiare qua e là; è il tipico rimprovero rivolto ai bambini che hanno poca voglia di mangiare; l e ruòu a čàśa n tin śbekotòu è arrivato a casa un po' brillo (v. bekolà).

 

śbekotà  vb. trans. (śbekotéo; śbekotèo; śbekotòu) sbeccare bicchieri, tazze, piatti di ceramica o oggetti in vetro. A lavà do te me as śbekotòu dùte i piàte lavando, hai sbeccato tutti i piatti.

 

śbekotàda sf. (pl. śbekotàde) beccata, colpo di becco. Al ğàl me a dòu na śbekotàda il gallo mi ha dato un colpo di becco; čìkera śbekotàda tazzina con il bordo un po' incrinato.

 

śbèrla sf. (pl. śbèrle) sberla, ceffone, schiaffo, una buona quantità; fig. disappunto, insuccesso, sfortuna, fallimento. Da na śbèrla dare uno schiaffo; čapà na śbèrla prendere uno schiaffo; te dào na śbèrla, ke te vòlto l mùśo da kelàutra ti dò un ceffone che ti farà voltare la faccia dall' altra parte; te dào na śbèrla ke l mùro te da n àutra ti dò un ceffone così forte, che il muro te ne darà un altro di rimbalzo; mùśo da śbèrle faccia da schiaffi; kéla śbèrla l a ruinòu quell'insuccesso l'ha mandato in rovina; al màña žèrte śbèrle de polènta mangia certe fettone di polenta. Daspò kéla śbèrla no l a pì aužòu l čòu dopo quell'insuccesso negli affari non si è più rimesso in sesto.

 

śberlàse vb. rifl. (me śbèrlo; śberlèo; śberlòu) deformarsi, incurvarsi. Detto specialmente delle travi o dei manufatti di legno non ben stagionato che essicandosi si torcono e si deformano (v. nberlàse).

 

śberlón sm. (pl. śberlói) ceffone, schiaffone. Fenìsela, se nò te te čàpe n śberlón taci, altrimenti ti prendi un ceffone.

 

śberlotà vb. trans. (śberlotéo; śberlotèo; śberlotòu) schiaffeggiare. Io śberlotéo i mé tośàte, ma i e sènpre konpài anche se continuo a prendere a schiaffi i miei figli, loro non sembrano mai migliorare.

 

śberlòto sm. (pl. śberlòte) schiaffo non violento. Se no te tàśe, te dào n śberlòto se non la smetti ti dò uno schiaffo.

 

śberlòu agg. (pl. śberlàde, f. śberlàda) sformato, fuori centro. Sti telerìn e dùte śberlàde questi infissi delle finestre sono tutti deformati e fuori centro (v. ràula, nberlòu).

 

śbèsola sf. (pl. śbèsole) mento allungato e sporgente, bazza, fig. contegno superbo. Kel la a fàto la śbèsola quello perdendo tutti i denti ha provocato un pronunciamento del mento; kè kredésto de oteñì kon kéla śbèsola? che cosa credi di ottenere con quel atteggiamento sprezzante?

 

śbebučà, śbevučà, śbeužà vb. intr. (śbebučéo; śbebučèo; śbebučòu) bere fino ad ubriacarsi, bevazzare, sorseggiare. Tó mesiér a śbeučòu n grùmo tuo suocero ha sbevazzato molto; a fòrža de śbeučà l se a nbreagòu a forza di bere si è ubriacato.

 

śbebučón, śbevučón, śbeužón agg. (pl. śbeučói, f. śbeučóna, pl. śbeučóne) inteso come buon bevitore, chi non disdegna assolutamente una bevuta. Kéla la e sènpre stàda na śbeučóna ha sempre apprezzato un buon bicchiere di vino.

 

śbiankedà vb. trans. (śbiankedéo; śbiankedèo; śbiankedòu) imbiancare. Śbiankedà le kànbre imbiancare le camere.

 

śbiankedàda sf. (pl. śbiankedàde) imbiacatura, nevicata leggera. Ka okoraràe na bèla śbiankedàda qui ci sarebbe bisogno di una bella imbiancatura; ke bèla śbiankedàda ke a fàto stanuóte stanotte è caduta un po' di neve. Detto principalmente quando si è fuori stagione e la neve ha imbiancato le montagne circostanti.

 

śbiégo agg. (pl. śbiége, f. śbiéga) sbieco, storto. Béte de śbiégo, n śbiégo, par śbiégo mettere di sbieco, trasversalmente; vardà de śbiégo guardare bieco, torvo; al travo e n śbiégo, par śbiégo la trave è di sbieco, è fuori squadra; le rìge del čànpo e dùte par śbiégo i solchi del campo sono stati tracciati obliquamente.

 

śbìgola sf. (pl. śbìgole) paura, terrore. L a čapòu na śbìgola ke i bastèa mèda ha preso tanta paura che mezza era ancora troppa.

 

śbinfà vb. trans. (śbìnfo; śbinfèo; śbinfòu) assalire con le parole, fulminare con lo sguardo in senso di minaccia. Se no te tàśe te śbìnfo se non taci, ti fulmino con lo sguardo.

 

śbìrlo agg. (pl. śbìrle, f. śbìrla) strabico. Kéla e na faméa de śbìrle quella è una famiglia di strabici; òčo śbìrlo occhio strabico.

 

śbìro agg. (pl. śbìre, f. śbìra) vivace, birichino, fig. ingegnoso, intraprendente. No èi mài vedù n śbìro kóme tó fiól non ho mai visto un bambino vivace come tuo figlio; nte l sò laóro l e n śbìro nel suo lavoro è sbrigativo; di kóme n śbìro andare di corsa, camminare ad andatura sostenuta ed elegante; kuàn ke te la čàme, la vién kóme n śbìro quando la chiami, corre immediatamente.

 

śboà vb. tr. e intr. (śbóo; śboèo; śboòu) franare, smottare. A piovésto dùta la nuóte e a śboòu do dùto nte stràda è piovuto per tutta la notte ed è franato tutto in strada. la a teñù ìnte de se pì ke la podésto, ma a la fin la a śboòu fòra dùto ha tenuto tutto dentro finché ha potuto, ma alla fine si è sfogata sbottando tutto (v. śbokà).

 

śboàda sf. (pl. śboàde) frana, smottamento. La stràda e dùta śboàda do la strada è franata (v. bóa).

 

śbòba sf. (solo sing.) rancio militare, brodaglia, intruglio. Késta no e menèstra, e śbòba questa non è minestra, è brodaglia.

 

śbočà vb. intr. (śbòčo; śbočèo; śbočòu) bocciare, colpire la boccia dell'avversario con la propria, fig. bocciare a scuola. Te àli śbočòu ànke stan? ti hanno bocciato anche quest'anno?; par fèi pónte, okóre savé śbočà al gioco delle bocce per riuscire a far punti, bisogna saper bocciare.

 

śbočàda sf. (pl. śbočàde) bocciata, colpo di boccia, fig. bocciatura scolastica. La só śbočàda i a fàto vìnže la partìda con il suo colpo di boccia ha vinto la partita.

 

śbočažà vb. intr. (śbočažéo; śbočažèo; śbočažòu) parlare forte e sguaiatamente, urlare. No sèrve a nùia ke te śbočažée è inutile che urli a questo modo.

 

śbočažón agg. (pl. śbočažói, f. śbočažóna, pl. śbočažóne) chi parla sguaiatamente, fig. chi non sa mantenere un segreto. Tó fardèl e sènpre stòu n śbočažón tuo fratello è sempre stato un individuo sguaiato; parkè sésto kosì śbočažóna? perché urli in quel modo?

 

śbòčo sm. (pl. śbòče) boccia, fig. persona piccola e tonda. Dugà ài śbòče giocare alle bocce; ki dói fardiéi i e dói śbòče quei due fratelli sono entrambi piccoli e grassocci.

 

śbočòu agg. (pl. śbočàde, f. śbočàda) bocciato a scuola, sbocciato. Ànke stan i l a śbočòu anche quest'anno è stato bocciato; l ruośèr a śbočòu il rosaio sta fiorendo.

 

śbodeà vb. intr. (śbodéo; śbodeèo; śbodeòu) franare, il fuoriuscire da qualcosa; Te as la čaméśa ke śbodéa fòra hai la camicia che ti fuoriesce dai pantaloni. Ko a dòu do kel śguèrño a śbodeòu dùto nte stràda durante l'acquazzone c'è stato uno smottamento in strada.

 

śbòfo sm. (pl. śbòfe) sbuffo, rigonfiatura degli indumenti. I śbòfe de le mànie de la čaméśa gli sbuffi delle maniche della camicia.

 

śbogarìa sf. (pl. śbogarìe) ragazzaglia, gruppo rumoroso di ragazzi. Kè fàla ka sta śbogarìa? che cosa fa qui questa ragazzaglia?

 

śbòger sm. (inv.) ragazzo, monello. Kè fài sènpre a stròž sti śbòger? cosa fanno questi monelli sempre in giro?

 

śbokà vb. intr. (śbóko; śbokèo; śbokòu) sboccare, gettare, fig. sfogarsi, prorompere. Al Rin śbóka nte la Piàve il Rin si riversa nella Piave; no podèo pì e son śbokàda non ce la facevo più a trattenermi e ho protestato; me śbóko despés kon tó màre mi sfogo spesso con tua madre. L a žerkòu de teñì ìnte de se dùto, ma a la fin la a śbokòu ha tenuto tutto dentro di sè ma alla fine si è sfogata.

 

śbokàda sf. (pl. śbokàde) sfogo, sbottata. Daspò kéla śbokàda me son sientìu mèo dopo quello sfogo, mi sono sentito meglio.

 

śbóko sm. (pl. śbóke) sbocco. Avé n śbóko de sàngo avere uno sbocco di sangue; no avé śbóko non avere sbocco, non avere via di uscita.

 

śbokonà vb. trans. (śbokonéo; śbokonèo; śbokonòu) sbocconcellare, mangiucchiare. L a śbokonòu pan dùta la dornàda ha mangiucchiato pane per tutto il giorno.

 

śbòlda sf. (pl. śbòlde) cartella per la scuola, borsa, sacca. Èi la śbòlda piéna de lìbre ho la cartella piena di libri; béte nte śbòlda mettere nella borsa, risparmiare.

 

śboloñà vb. trans. (śboloñéo; śboloñèo; śboloñòu) rifilare, dare via oggetti di poco valore. I me a śboloñòu sto arlòio mi hanno rifilato questo orologio.

 

śbondìža sf. (pl. śbondìže) buccia delle patate, per est. tutto ciò che si elimina della verdura. Béte via le śbondìže pàl kùčo metti da parte le bucce delle patate per il maiale (v. skùsa).

 

śbóra sf. (pl. śbóre) sperma, eiaculazione.

 

śborà vb. intr. (śbóro; śborèo; śboròu) eiaculare. Il verbo spesso viene usato in senso dispregiativo con valore figurato: ió, a sta ròba, i śbóro sóra io non so proprio cosa farmene di questa roba.

 

śboramentòu agg. (pl. śboramentàde, f. śboramentàda) ragazzaccio, monellaccio. Kel tośàto e pròpio n śboramentòu quel ragazzo è davvero un monellaccio.

 

śboròu agg. (pl. śboràde, f. śboràda) monellaccio, birbone, discolo. Te ses pròpio na śboràda sei davvero una birichina.

 

śbragažà, śbragažàse vb. trans. e rifl. (me śbragažéo; śbragažèo; śbragažòu) cadere inciampando, gettare a terra, rovinare a terra lungo disteso, abbattere, sedersi in un modo scomposto, sformare un indumento, mettere fuori uso. Se no te tàśe, te śbragažéo se non taci, ti stendo a terra, ti rovino; èro tànto stràko, ke me son śbragažòu dó bas ero talmente stanco che mi sono steso a terra; śbragažàse dal rìde ridere a crepapelle, sbellicarsi dalle risa; nte n més l a śbragažòu n pèi de skàrpe in un mese ha messo fuori uso un paio di scarpe; me èi nžupòu e me èi śbragažòu sono inciampato e sono caduto malamente; śbragažàse davòi de kalkedùn: la se śbragažéa par lùi si dà molto da fare per lui.

 

śbragažòu agg. (pl. śbragažàde, f. śbragažàda) buttato a terra, disteso in modo scomposto, mal vestito, sformato. Śbragažòu dó bas sdraiato, stravaccato a terra; śbragažòu sul liéto, su na kariéga, su na bànča steso in modo scomposto sul letto, sulla sedia, sulla panca; fig. tó fiól a tiròu su na ğakéta śbragažàda tuo figlio ha indossato una giacca sformata.

 

śbreà, śbreàse vb. trans. e rifl. (me śbréo; śbreèo; śbreòu) rompere, stracciare, fare a pezzi. Il verbo deriva presumibilmente dal tedesco “brechen”. Śbreà le bràge rompere, stracciare i pantaloni; śbreà su dùto rompere, ridurre in pezzetti tutte le carte; śbreà vìa togliere, strappare una pagina, un foglio; śbreà fòra rompere; la pèža de formài se a śbreòu la forma di formaggio si è aperta, ha fatto la crepa; fig. śbreàse la bóča spettegolare, dire maldicenze; kéla la, kuàn ke la pàrla, la se śbréa la bóča quella, quando parla, spettegola a più non posso; śbreàse le man screpolarsi le mani.

 

śbréga sf. (pl. śbrége) donna insolente, cattiva, strega. Kon ki čavéi la soméa na śbréga con quei capelli assomiglia ad una strega.

 

śbrégo  sm. (pl. śbrége) strappo, grossa ferita, rottura, spaccatura. Me èi fàto n śbrégo nte le bràge mi sono fatto uno strappo nei pantaloni; me èi fàto n śbrégo nte la ğànba ko la manèra con la mannaia mi sono fatto una profonda ferita alla gamba.

 

śbrégo  sm. (pl. śbrége) grosso pezzo di legno. Śbrégo de fagèra, per ottenere uno śbrégo di faggio o altro legno si deve frazionare longitudinalmente in più pezzi con l'accetta o con un cuneo una bóra. L'operazione viene fatta perché il legno si secchi in fretta. Èi konpròu dói pas de śbrége de fagèra ho comperato due pas di śbrége di faggio (v. bóra).

 

śbrìndola sf. (pl. śbrìndole) fig. ragazza poco seria, fannullona, vagabonda.; tó neóda e na śbrìndola tua nipote è una vagabonda.

 

śbréndol sm. (pl. śbréndoi) cencio.Kéla čaméśa e dùta n śbréndol quella camicia è ridotta tutta un brandello.

 

śbrindolón agg. (pl. śbrindolói; f. śbrindolóna; f. śbrìndolóne) vagabondo, perditempo. Ki là e kuàtro śbrindolói quei ragazzi sono dei perditempo.

 

śbrindolà vb. intr. (śbrindoléo; śbrindolèo; śbrindolòu) vagabondare, andare in giro senza combinare niente di buono. Te deśùśo ió de di sènpre a śbrindolà žènža fèi nùia de bon ti faccio perdere io l'abitudine a vagabondare sempre senza combinare mai niente di buono.

 

śbrindolón avv. a spasso. Di de śbrindolón andare in giro vagabondando, fare il vagabondo; kéle tośàte le e sènpre de śbrindolón quelle ragazzine sono sempre in giro a bighellonare.

 

śbrisà vb. intr. (śbrìso; śbrisèo; śbrisòu) scivolare, sdrucciolare, fig. sfuggire, scappare. Son śbrisàda su la ğàža sono scivolata sul ghiaccio; me e śbrisòu na biastéma mi è sfuggita una bestemmia; vàrda de no śbrisà stai attenta a non scivolare, ma anche bada di non lasciarti sedurre, è il monito che viene rivolto alle ragazze che escono di casa da sole. L me e śbrisòu de man mi è scivolato di mano.

 

śbrisàda sf. (pl. śbrisàde) scivolone. Élo ñànke na śbrisàda? te podèe spakàte l òs del kòl hai visto che scivolone? ti potevi rompere l'osso del collo.

 

śbrìso avv. appena appena. L èi točòu de śbrìso l'ho appena toccato, l'ho toccato a pelo; parlà n śbrìso parlare in modo ricercato, parlare in italiano quando gli altri parlano in dialetto.

 

śbrisolón, śbrisón sm. (pl. śbrisolói; śbrisói) scivolone. De śbrisolón scivolando; son veñù do de śbrisolón sono sceso scivolando.

 

śbroà, śbroàse vb. trans. e rifl. (me śbróo; śbroèo; śbroòu) scottare con acqua o altri liquidi, scottarsi con qualcosa di liquido. Śbróa dóe patàte pal poržèl dai una bollita ad un po' di patate per il maiale; me son śbroàda ko l òio del desfrìto mi sono scottata con l'olio del soffritto; śbróa la pìta ñànte de pelàla dai una scottata alla gallina nell'acqua bollente prima di spennarla; è questa la tecnica che viene adoperata per togliere più facilmente le penne (v. skotàse).

 

śbroàda sf. (pl. śbroàde) sbollentatura, scottatura. Me son čapòu na śbroàda kol fiadór déi faśuói mi sono scottata col vapore dei fagioli.

 

śbroatà vb. trans. (śbroatéo; śbroatèo; śbroatòu) sbollentare alla meno peggio, preparare il cibo in fretta e furia. Kuàn ke te fas da mañà, tu no te kuóśe la ròba, ma te la śbroatée quando prepari da mangiare tu, non cuoci veramente la roba, ma la scotti solo in fretta e furia (v. śbroentà).

 

śbròdega sf. (pl. śbròdege) brodaglia, acqua sporca, fangosa. Késta no e menèstra e śbròdega questa non è minestra, è brodaglia; tènti a no béte i pès nte la śbròdega attento a non mettere i piedi nell'acqua sporca della pozzanghera.

 

śbrodegà, śbrodegàse vb. trans. e rifl. (me śbrodegéo; śbrodegèo; śbrodegòu) sbrodolare, insudiciare, sbrodolarsi, sporcarsi d'unto mangiando. Kuàn ke la làva i piàte, la śbrodegéa dùto l siòlo quando lava i piatti, insudicia tutto il pavimento; ko l màña l se śbrodegéa dùta la čaméśa quando mangia si sbrodola tutta la camicia (v. śmandražà).

 

śbródega sf. (solo sing.) mota, fango, fanghiglia prodotta dalla neve che si sta sciogliendo. Tra la pióva e l néve ke se deléga, nte le stràde e dùto na śbródega tra pioggia e la neve che si scioglie, lungo le strade è tutto un fango.

 

śbrodegón agg. (pl. śbrodegói, f. śbrodegóna, pl. śbrodegóne) sbrodolone, sudicione. No èi mài vedù n śbrodegón kóme te non ho mai visto uno sbrodolone come te. Patìso la fàme pitòsto ke mañà kel ke paréča kéla śbrodegóna, patisco la fame piuttosto di mangiare quello che cucina quella sudiciona.

 

śbroentà vb. trans. (śbroentéo; śbroentèo; śbroentòu) sbollentare, cuocere per poco tempo nell'acqua. La màre a dìto de śbroentà dói póme pal nòno ke no l a vòia mia madre ha detto di sbollentare alcune mele per il nonno che non si sente bene; śbroènta dóe èrbe pal kùčo sbollenta alcune erbe per il maiale (v. śbroatà).

 

śbroènte agg. (inv.) bollente. Àga śbroènte acqua bollente. Sta tènti a no destirà la séğa de l àga ke la e śbroènte stai attento a non rovesciare la secchia dell'acqua bollente.

 

śbrokàse vb. rifl. (me śbròko; śbrokèo; śbrokòu) sfogarsi. Kuàn ke èi àlgo de stòrto, vàdo a śbrokàme kon tó màre quando c'è qualcosa che non va, vado a sfogarmi con tua madre (v. śbokà).

 

śbùśa agg. (inv.) Solo nella loc. l e dùda śbùśa è andata male, non ho raggiunto l'obiettivo.

 

śbuśà, śbuśàse vb. trans. e rifl. (me śbùśo; śbuśèo; śbuśòu) bucare, forare, forarsi. Śbuśà na bréa forare un'asse; śbuśà le skàrpe, i skarpéte bucare, consumare la suola delle scarpe, delle pantofole; śbuśà le réğe fare il buco alle orecchie per mettere gli orecchini; me èi śbuśòu na man mi sono fatto male ad una mano.

 

śbuśàda sf. (pl. śbuśàde) buco, foro. Késta e na śbuśàda de guśèla questo è un foro fatto con l'ago grosso.

 

sčàfa, sčàfo sf. (pl. sčàfe) schiaffo, fig. umiliazione. Dài na sčàfa dagli uno schiaffo; par lùi e stòu pròpio n sčàfo per lui è stata davvero una umiliazione.

 

sčafažà vb. trans. (sčafažéo; sčafažèo; sčafažòu) schiaffeggiare. Se no te stas bón te sčafažéo se non stai calmo, ti prendo a schiaffi.

 

sčafažàda sf. (pl. sčafažàde) schiaffo morale, umiliazione, lezione. I èi dòu na sčafažàda ke i bàsta pa n tokéto gli ho dato una lezione che gli basta per un bel pezzo.

 

sčafažón, sčapažón sm. (pl. sčafažói, sčapažói) schiaffone, sberla. Te meritaràe n pèi de sčafažói meriteresti un paio di schiaffoni; da o čapà sčafažói dare o prendere schiaffi.

 

sčànta sf. (solo sing.) pochino, pezzettino. Na sčànta de pan, de polènta, de formài un piccolo pezzo di pane, di polenta di formaggio; dim. sčantenìn o sčantìn pezzettino piccolo, briciolo; dàme n sčantìn de pan dammi un briciolo di pane.

 

sčantonà vb. intr. (sčantonéo; sčantonèo; sčantonòu) scantonare, cambiare direzione, fig. scansare, evitare di affrontare i problemi. Tu te ses brào a sčantonà tu sei bravo ad eludere i problemi (v. skantonà).

 

sčàpa sf. (pl. sčàpe) schiappa. Te ses pròpio na sčàpa sei davvero una schiappa, un incapace.

 

sčapàda sf. (pl. sčapàde) stormo di uccelli. Fig. frotta di ragazzi. A sta stağón pàsa de kéle sčapàde de aužiéi in questa stagione si vedono passare molti stormi di uccelli (v. alàda)

 

sčàra sf. (pl. sčàre) anello di legno o di metallo. Èi konpròu le sčàre de le tènde ho comperato gli anelli per le tende; a ti te okoraràe la sčàra kóme ài bòs per tenerti a freno bisognerebbe metterti l'anello al naso come si fa per i buoi; per trascinare buoi e tori, si applica un anello al naso che dà modo di controllarne i movimenti delle bestie, all'anello poi viene attaccata una corda.

 

sčarì vb. imp. e trans. (sčarìso; sčarìo; sčarìu) schiarire, annacquare, schiarirsi, farsi giorno, venire il sereno. Sčarì l kafè, la menèstra annacquare, allungare, rendere meno denso il caffè, la minestra; sčarìse de žiéra schiarirsi in faccia, acquistare un colorito pallido, diafano a causa della malattia; d istàde sčarìse bonóra d'estate si fa giorno presto; se l sčarìse fòra na gèra, se puó di a spànde i kogolùže se il cielo si rasserena, si può andare a stender l'erba dei covoni perché si secchi.

 

sčarìda sf. (pl. sčarìde) schiarita, il rasserenarsi del cielo. Àsto vedù ke sčarìda? hai visto che cielo sereno?

 

sčaudà, sčaudàse vb. trans. e rifl. (me sčàudo; sčaudèo; sčaudòu) scaldare, scaldarsi, infervorarsi, accendersi d'ira. Sčaudà la menèstra, l kafè, l liéto scaldare la minestra, il caffè, il letto; nkuói l sčàuda oggi fa caldo; me sčàudo le man, i pès mi scaldo le mani, i piedi; bàsta póčo parkè l se sčàude basta poco perché si arrabbi; fig. no sta sčaudàte l pisìn non arrabbiarti, non perdere le staffe. Loc. ki ke fa léñe da so pòsta se sčàuda pì de na òta coloro che si preparano la legna per l'inverno si scaldano diverse volte poiché tante sono le operazioni che richiedono fatica e sudore.

 

sčaudàda sf. (pl. sčaudàde) scaldata. Da na sčaudàda a sta menèstra riscalda un po' questa minestra; fig. čapà sčaudàde entusiasmarsi, infervorarsi; te čàpe sčaudàde par nuia ti entusiasmi, ti infervori per nulla.

 

sčaudaliéto sf. (pl. sčaudaliéte) scaldaletto. Son nkóra d'istàde e tóča bèlo dorà l sčaudaliéto è ancora estate, però è venuto il momento di adoperare lo scaldaletto; a differenza della fogèra che è senza manico, lo scaldaletto è un recipiente di rame a forma di pentola schiacciata in cui si mettono le braci per scaldare il letto, ha il coperchio traforato e un lungo manico che permette di infilare e togliere lo scaldaletto senza scottarsi (v. mónega, fogèra).

 

sčaudòu agg. (pl. sčaudàde, f. sčaudàda) riscaldato, infervorito. No vói menèstra sčaudàda non voglio minestra riscaldata; tó pàre élo nkóra sčaudòu pa la polìtika? tuo padre si infervorisce ancora per la politica?

 

sčàvo  sm. (pl. sčàve f. sčàva) schiavo. Son sčàvo de parlà kel ke vói mi sento impedito di parlare ciò che voglio. Son sčàvo a čàśa méa A casa mia non posso fare quello che voglio.

 

sčàvo  sm. (pl. sčàve) scarafaggio (zool. Blatta orientalis e simili). Sta čàśa e piéna de sčàve questa cucina è piena di scarafaggi.

 

sčàvetù sm. (inv.) schiavitù. A čàśa de me nòra me siénto n sčavetù a casa di mia nuora non mi trovo a mio agio.

 

sčaveàda sf. (pl. sčaveàde) capigliatura folta. Kel la si ke a na sčaveàda quello si che ha una capigliatura folta.

 

sčavìna sf. (pl. sčavìne) capelli. Te čàpo pa la sčavìna Ti piglio per i capelli.

 

sčèk agg. (inv.) dolce, tenero, fresco. Formài sčèk formaggio tenero, poco saporito; per la locale latteria era considerato quello con circa una settimana o dieci giorni di stagionatura.

 

Sčèka sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

sčéndena sf. (pl. sčéndene) scheggia. Čapà na sčéndena ferirsi con una scheggia di legno; fèi sčéndene rompere in tanti pezzettini, frantumare; kuàn ke l a àlgo nte man, kél la fa dùto sčéndene quando ha qualcosa in mano, la riduce in tanti pezzettini.

 

sčendenà vb. trans. (sčendenéo; sčendenèo; sčendenòu) schiantare, ridurre in piccoli pezzi. Kéla saéta a sčendenòu l làris quel fulmine ha schiantato il larice; a molà do le tàe pa la Val Sandolés, le se a dùte sčendenòu nel condurre a valle i tronchi per la Val Sandolés, si sono tutti rotti.

 

sčentròu agg. (pl. sčentràde, f. sčentràda) scentrato, fuori centro, fig. cervellotico. Kéla ròda e sčentràda quella ruota è fuori centro; sésto sènpre kosì sčentròu? sei sempre così bizzarro?

 

sčéto agg. (pl. sčéte, f. sčéta) schietto, sincero, puro. Parlà sčéto parlare schietto; n òn sčéto un uomo sincero, leale; vìn sčéto vino schietto; avé la lénga sčéta avere la lingua lunga; te la dìgo sčéta e néta questa è la pura verità; Bèta da la lénga sčéta Elisabetta dalla lingua schietta, detto di persona schietta che però non valuta sempre le conseguenze di quel che dice.

sčevedà, sčevedì vb. trans. (sčevedéo, sčevedìso; sčevedèo, sčevedìo; sčevedòu, sčevedìu) intiepidire, scaldare un pochino. Se l làte no e n tin sčevedìu, no son bón de bévelo se il latte non è un po' intiepidito, non riesco a berlo.

 

sčó sm. (pl. sčós) chiocciola (zool. Helix pomatia). Si tratta della comune chiocciola di color bruno. Di a sčós andare in cerca di chiocciole; mañà polènta e sčós mangiare polenta e chiocciole; la màre dei sčós la lumaca (zool. Limax maximus). te ses kóme n sčó sei come una chiocciola, sei chiuso in te stesso, introverso; dim. sčośèla chiocciola molto piccola che si trova facilmente a primavera. Te ses svèlto kóme n sčó detto con ironia a una persona esasperatamente lenta.

 

sčodìžo sm. (pl. sčodìže) porcile, fig. casa sporca. Kuànte kùče àsto nte l sčodìžo? quanti maiali tieni nel porcile?; késta no e na čàśa, e n sčodìžo questa non è una cucina, è un porcile.

 

sčófola sf. (pl. sčófole) guscio d'uovo, guscio di noce, nocciola, conchiglia di lumaca. Nte la kóa èi čatòu le sčófole déi vuóve nel nido ho trovato i gusci delle uova; i sčós se kóñe śbroàli ko la só sčófola le lumache devono essere sbollentate con la loro conchiglia; skòndese nte na sčófola de sčó nascondersi dentro la conchiglia di una chiocciola, cercare inutilmente di nascondere i propri difetti o le proprie malefatte. Me saràe tiròu nte na sčófola de sčó per la vergogna mi sarei nascosto nella conchiglia di lumaca.

 

sčokà vb. trans. (sčòko; sčokèo; sčokòu) schioccare la frusta, picchiare facendo rumore, sculacciare. Sésto bón de sčokà la skùria? sei capace di far schioccare la frusta?; sta bón se nò te sčòko sta buono se no ti sculaccio; sčokà l ku prendere a sculacciate; vàrda ke te sčòko l ku bada che ti sculaccio.

 

sčokàda sf. (pl. sčokàde) schiocco, rumore breve e secco. Na sčokàda de ku serie di sculacciate.

 

sčòna sf. (pl. sčòne) frottola, panzana. E adès no sta veñì fòra ko le tó sčòne ed ora non raccontarci frottole; žènža tànte sčòne senza tante storie (v. òña).

 

sčopà vb. intr. (sčòpo; sčopèo; sčopòu) scoppiare, esplodere. La mìna e sčopàda la mina è esplosa; se te màñe nkóra n tin, te sčòpe se mangi ancora un po' scoppi; me sčòpa l kuór mi scoppia il cuore, provo un grandissimo dolore; sčopà da la ràbia scoppiare dalla rabbia (v. śbarà).

 

sčopetà vb. intr. (sčopetéo; sčopetèo; sčopetòu) sparare col fucile, fig. scoppiettare. L a sčopetòu dùta la dornàda žènža čapà nùia ha sparato per tutto il giorno senza cacciare nulla; le léñe de làris le sčopetéa kuàn ke le àrde la legna di larice quando arde scoppietta.

 

sčopetàda sf. (pl. sčopetàde) sparo, fucilata. Ko na sčopetàda l a kopòu n luóiro con una schioppettata ha ucciso una lepre; di kóme na sčopetàda correre molto velocemente.

 

sčopetìn sm. (inv.) genzianella (bot. Gentiana kochiana. Ben noto fiore blu, di piccole dimensioni, che cresce nei pascoli di alta montagna. I ragazzi un tempo le raccoglievano, le gonfiavano soffiandoci dentro e le facevano scoppiare contro il palmo della mano o sulla fronte, da cui l'origine del nome. Se te vos véde i sčopetìn pì biéi, va n Kòl Vidàl se vuoi vedere le genzianelle più belle, devi andare in Kòl Vidàl (v. Kanpanèla).

 

sčupéto (pl. sčupéte) strigolo, bubbolo, silene, erba del cucco (bot. Silene vulgaris, Silene cucubalus). Erba commestibile che si raccoglie nei prati all'inizio della primavera per fare la dóta. Di a sčupéte andare nei prati a raccogliere sčupéte. Àsto mài proòu l riśòto kói sčupéte? l vién bon ke no te dìgo hai mai assaggiato il risotto con i bubbolini, è squisito.

 

sčòpo sm. (pl. sčòpe) schioppo. Di a kàža kol sčòpo andare a caccia col fucile; śbarà kol sčòpo sparare con lo schioppo. A Lozzo la caccia è aperta su tutto il territorio, tranne in alcune zone protette che possono variare a seconda delle esigenze di ripopolamento della fauna.

 

śčòra sf. (solo sing.) iuta. Èi nkóra dói lenžuós de sčòra par di a tòle fién mi sono rimasti ancora due lenzuola di iuta per raccogliere il fieno.

 

śčòśa sf. (solo sing.) forfora. Avé la tèsta piéna de śčòśa avere la testa piena di forfora.

 

sčotà vb. intr. (sčotéo; sčotèo; sčotòu) falciare ciuffi di erba in luoghi incolti. Di a sčotà andare a falciare l'erba in luoghi impensati e negli angoli più poveri dei prati e nelle radure dei boschi; nòta i dèa a sčotà fin su sóte Čaréido un tempo si falciava fino sotto le rocce del Ciaréido.

 

sčožà, sčòže vb. intr. (sčòžo; sčožèo; sčožòu) chiocciare, fig. avvertire le prime doglie del parto. Verso tipico della gallina che smette di fare le uova per covare. La pìta sčòže la gallina chioccia; la mé fémena sčòže mia moglie ha le prime doglie del parto.

 

sčumà vb. trans. (sčùmo; sčumèo; sčumòu) schiumare. Sčumà l bró togliere la schiuma che si è formata sul brodo.

 

sčupà vb. intr. (sčùpo; sčupèo; sčupòu) sputare. L a l vìžio de sčupà dó bas ha la brutta abitudine di sputare per terra; al sčùpa sàngo sputa sangue, è malato di polmoni; sčupà l tažón de le žariéśe sputare il nocciolo delle ciliege; sčupà nte l piàto ke se màña essere ingrati verso chi ci fa del bene; sčupà mungere le ultime gocce di latte; fig. i lo a sčupòu do polìto lo hanno sfruttato; sčupà fòra sputare. prov. no se puó sčupà dólže ko la bóča trìsta non si può essere allegri quando si è pieni di dispiaceri.

 

sčuparuól, sčoparuól sm. (pl. sčuparuói) schioppetto. È una specie di cerbottana fatta con un rametto di sambuco svuotato del midollo e infilato con uno stecco che fa da stantuffo, per lanciare getti d'acqua o pallottoline di carta.

 

sčùpo sm. (pl. sčùpe) sputo, un poco. Sto siòlo e pién de sčùpe questo pavimento è pieno di sputi; sta ròba ka i la takàda su kol sčùpo appiccicato male, che si stacca; n sčùpo de un sorso di, un po' di, locuzione usata per indicare piccole quantità di liquido, come na ğóža de una goccia di; n ğóž de un goccio di; n fiòu de un sorso di; dàme n sčùpo de làte dammi un po', un sorso di latte.

 

sčupòu agg. (pl. sčupàde, f. sčupàda) preciso identico, perfettamente uguale. L e sò pàre sčupòu è identico a suo padre.

 

śderdenà vb. intr. (śderdenéo; śderdenèo; śderdenòu) ripulire i campi dalle erbacce. Di a śderdenà andare a ripulire i campi dalle erbacce (v. kurà).

 

śdòča agg. (pl. śdòče) birichina, impertinente. Te ses pròpio na śdòča sei davvero una ragazzina impertinente.

 

śdravàž sm. (pl. śdravàže) acquazzone, caduta improvvisa di pioggia. Te vedaràs ke śdravàž ka de n tin vedrai che acquazzone arriverà tra un po'.

 

śdravažà vb. intr. (śdravažéo; śdravažèo; śdravažòu) piovere a dirotto, fig. schizzare acqua ovunque. E n tokéto ke l śdravažéa è un pezzo che piove a dirotto; kuàn ke te làve dó i piàte, te śdravažée dapardùto quando lavi i piatti schizzi acqua ovunque.

 

śdravažón agg. (pl. śdravažói, f. śdravažóna, pl. śdravažóne) chi bagna ovunque lavando, fig. chi sperpera o scialacqua i propri averi. Se te fóse stòu mànko śdravažón, nkuói te avaràe nkóra àlgo se fossi stato meno prodigo, oggi avresti ancora qualcosa.

 

 cong. se. Sé te dis késto, te śbàlie se dici questo, sbagli; no sèi sé l veñarà non so se verrà; sé nò altrimenti; sé nò àutro se non altro, almeno; sé Dio volése se Dio volesse, magari; e sé pò no te piaśìse? e nel caso non ti piacesse? sé tànto me da tànto se queste sono le premesse...

 

 pron. rifl. sè. Tó fiól no sé làva le man tuo figlio non si lava le mani; ma i tó fiói sé làveli ? ma i tuoi figli si lavano? (v. tabella pronomi).

 

seà vb. trans. (séo; seèo; seòu) falciare, segare. Seà l autivói falciare l'ultima erba di stagione. Seà le tàe segare i tronchi d'albero; seà su dóe léñe fare a pezzi la legna con la sega; seà fòra ritagliare con la sega (v. siéga).

 

seàda sf. (pl. seàde) falciata, falciatura. Kuàn ke te sée, vàrda ke la seàda séa làrga quando falci, procedi a larghe fasce di prato; nkuói èi fàto pròpio na bèla seàda oggi ho falciato davvero un bel pezzo di prato.

 

Śèbio sm. (nome) ipoc. di Eusebio.

 

sečèl sm. (pl. sečiéi) secchiello per l'acqua. Di n ğìro kol sečèl accompagnare il sacerdote per le benedizioni pasquali, fig. il girare di persona bigotta; no kapì n sečèl non capire nulla.

 

séčo sm. (pl. séče) secchio. Recipiente di rame con manico di ferro, usato per trasportare e conservare in casa l'acqua da bere; va a tòle dói séče de àga kol ženpedón va a prendere due secchi d'acqua con l'arconcello; sfreà i séče ko la pàpa lucidare i secchi con un impasto di farina gialla sale e aceto; al béve vin kol séčo beve in modo smoderato (v. séğa).

 

séda  sf. (pl. séde) seta. Čaméśa, nàstro de séda camicia, nastro di seta; avé i čavéi kóme na séda avere i capelli sottili e morbidi come la seta.

 

séda  sf. (pl. séde) setola. Le séde del poržèl le setole del maiale; le séde del sórgo la barba della pannocchia.

 

sédeśe agg. num. (inv.) sedici. L a sédeśe àne ha sedici anni; l e del sédeśe, è della classe del sedici, cioè è nato nel 1916.

 

sedìme sm. (inv.) area fabbricabile. Èi konpròu l sedìme par fèime la čàśa ho comperato il terreno su cui costruirmi la casa.

 

sedón sm. (pl. sedói) raso. Fažoléto, garmàl de sedón fazzoletto, grembiule di raso.

 

sedùśe vb. trans. (sedùśo; seduśèo; seduśésto) sedurre, allettare, costringere. Kél la seduśaràe ànke l diàu quello corromperebbe perfino il diavolo. L èi seduśésto a dì a laurà lo ho convinto, costretto di andare a lavorare.

 

segadìžo sm. (pl. segadìže) segatura. Di a tòle segadìžo andare in segheria a prendere della segatura; fèi fuóu kol segadìžo fare fuoco con la segatura, soluzione a cui si ricorre quando è necessario fare economia di legna. La segatura viene messa in un vaso per olio vuoto, modificato, della capienza di 5-10 litri e più chiamato tabùrio inserito in un fornello, oppure direttamente nella cucina economica; la si pigia forte lasciando solo un foro per un piccolo sfiato per l'aria. Si accende il fuoco e la si lascia consumare a poco a poco. La segatura fa poca fiamma, ma produce molto calore.

 

sarùčo sm. (pl. sarùče) segaccio, arnese del falegname con lama larga e impugnatura in legno. Si usa per tagliare il legno.

 

segantìn sm. (inv.) segantino, bracciante assoldato per falciare l'erba. Stan èi debeśuói de dói segantìn quest'anno ho bisogno di due uomini per falciare l'erba.

 

segàt sm. (pl. segàte) segantino, operaio addetto alla segatura dei tronchi in segheria. A Lozzo il segantino è sempre stato considerato un operaio qualificato esperto del lavoro di segheria in quanto sa ricavare e sfruttare al meglio ogni tronco. Il segantino deve saper scegliere i tronchi adatti per ottenere le tavole, deve cimarli e arrotondarli prima di sistemarli sulla sega, sa scegliere inoltre il giusto spessore delle assi che si possono ricavare da un tronco, sa rifilarle e accatastarle perché si stagionino senza torcersi. Per tradizione, oltre alla paga, come compenso al segantino vengono lasciati l segadìžo, i žòk, i skòrž e le rìsče in quantita necessaria per il riscaldamento della propria abitazione. Se se vo ke na siéga rènde, okóre pagà polìto l segàt se si vuole che una segheria renda, bisogna che il segantino sia ben pagato .

 

skavàžaparé gattuccio. Sega piccola e sottile usata dal falegname per fare piccole aperture o finestre. Nprésteme l tò skavàžaparé ke l mè a i dènte fruàde imprestami il tuo gattuccio perché il mio ha i denti consumati.

 

segurà vb. trans. (seguréo; segurèo; seguròu) assicurare, rassicurare. Te seguréo ke stào mèo ti assicuro che sto meglio; késta ròba seguréa l pan par dùta la vìta questa roba ti assicura la sussistenza per tutta la vita; te segùro ke e kosì ti assicuro che è così; segurà la čàśa fare una polizza di assicurazione sulla casa; segurà la pòrta, la fenèstra rendere stabile la porta, la finestra; segurà l pónto giocare la boccia a sostegno della giocata di un compagno che aveva già fatto il punto.

 

segùro agg. (pl. segùre, f. segùra) sicuro, certo. Son segùro ke l e partìu sono sicuro che lui sia partito; késto e n atréžo segùro questo è un attrezzo sicuro, non pericoloso; de segùro di sicuro, sicuramente; escl. segùro sicuro, sicuramente; béte al segùro mettere al sicuro, nascondere; di sul segùro andare sul sicuro, procedere con sicurezza, senza rischio di danno o di pericolo.

 

séğa sf. (pl. séğe) secchio di legno o di metallo. Na séğa de patàte, de àga, de làte un secchio di patate, di acqua, di latte; la séğa da mónde il secchio usato per la mungitura delle mucche; questo secchio di solito è di alluminio, mentre la séğa del poržèl, quello adoperato esclusivamente per portare cibo al maiale, di solito è in legno; accr. seğóna; dispr. seğàta; dim. vezz. seğùta (v. séčo).

 

seğèr sm. (inv.) secchiaio. Lavà i piàte nte l seğèr lavare i piatti nel secchiaio; al seğèr e ngorğòu il secchiaio è ostruito.

 

séide sf. (solo sing.) sete. Avé séide avere sete; patì la séide soffrire la sete; avé sènpre séide avere sempre desiderio di bere vino.

 

sekà, sečà (arcaico) vb. trans. (séko; sekèo; sekòu) seccare, essiccare, fig. scocciare, far inaridire. Al sól a sekòu dùta la salàta il sole ha fatto inaridire tutta l'insalata; béte a sekà l èrba, le léñe mettere al sole l'erba e la legna perché si secchino; no sta sekàme non seccarmi, non importunarmi; no sta sekàme le bàle / i nòne / i tòtani non rompermi le scatole, non importunarmi. L e restòu séko nkandìu è morto stecchito.

 

sekàda sf. (pl. sekàde) seccatura, scocciatura. Òñi di èi kàlke sekàda ogni giorno ho qualche seccatura.

 

sekakòrne agg. (inv.) rompiscatole, seccatore. Te ses l sòlito sekakòrne sei il solito rompiscatole.

 

sekamòra sf. (pl. sekamòre) lillà, sicomoro (bot. Syringa vulgaris). Arbusto molto comune con i bellissimi fiori profumatissimi di colore turchino e violetto, simili a quelli del glicine. Tòle dóe sekamòre ke le pòrto ài nòne do nte porteà raccogli alcuni fiori di lillà che li porto ai nonni in cimitero.

 

sekatrìže sf. (inv.) cicatrice. Me e restòu na bèla sekatrìže añó ke me èi taiòu ko la manèra mi è rimasta una bella cicatrice dove mi sono tagliato con l'accetta.

 

séko  sm. (solo sing.) aridità, secco. Al séko a bruśòu dùto la siccità ha bruciato tutto quello che stava crescendo nei campi.

 

séko  agg. (pl. séke, f. séka) secco, reciso. Èrba séka erba secca; respòsta séka risposta decisa; polènta séka, pan séko polenta senza companatico, pane senza companatico; nkuói me a točòu mañà polènta séka oggi ho dovuto mangiare polenta senza companatico; restà séko morire all'istante.

 

sekondà vb. trans. (sekondéo; sekondèo; sekondòu) assecondare, accontentare. No sta sekondà màsa i tò fiói non accontentare troppo i tuoi figli.

 

sekónda avv. prep. secondo, conforme. véñesto ànke tu domàn? a sekónda se puói vieni anche tu domani?, forse, secondo di come andranno le cose; fèi a sekónda de kél ke i te a ordenòu agisci secondo quanto ti hanno ordinato.

 

sekóndo  agg. num. (pl. sekónde, f. sekónda) secondo. Al sekóndo fiól il secondo figlio; ròba de sekónda man roba di seconda mano, roba usata.

 

sekóndo  avv. a mio parere sekóndo me te as tòrto a mio parere hai torto.

 

sekutìvo agg. (pl. sekutìve, f. sekutìva) continuo, continuato. Almànko to fiól se a čatòu n laóro sekutìvo tuo figlio almeno si è trovato un lavoro stabile.

 

sèla sf. (pl. sèle) sella, sedile, sgabello per mungere. La sèla del čavàl la sella del cavallo; la sèla del kòmedo il sedile della latrina; la sèla da mónde lo sgabello per mungere le bestie; sta n sèla essere ben sistemato; montà n sèla montare in sella, insuperbirsi; čavàl da sèla cavallo da sella, cavallo adatto per essere cavalcato, in opposizione a čavàl da tìro cavallo adibito al tiro di carri o carrozze; prov. ki ke no puó bàte l čavàl, bàte la sèla chi non può prendersela con i potenti si sfoga con i più deboli e incolpevoli.

 

séga sf. (pl. sége) fig. mezza cartuccia Te ses na mèda séga sei una persona poco valida, una mezza cartuccia.

 

selà vb. trans. (sèlo; selèo; selòu) sellare, mettere la sella. Selà l čavàl sellare il cavallo.

 

sèdeno sm. (pl. sèdene) sedano (bot. Apium graveolens). Béte n tin de sèdeno nte l bró aggiungi un po' di sedano nel brodo.

 

selèr sm. (inv.) sellaio, bastaio. Késto e laóro da selèr questo è un lavoro da sellaio.

 

sélğe vb. trans. (sélğo; selğèo; selğésto) scegliere, preferire. Sélğe n vestì, na čaméśa scegliere un vestito, una camicia; ke lìbro sélğesto? quale libro preferisci ? (v. kurà fòra).

 

séme sm. (inv.) seme. Séme de radìčo, séme de salàta semi di radicchio, d'insalata; patàte da séme patate selezionate in autunno e conservate per la semina primaverile.

 

semenà vb. trans. (semenéo; semenèo; semenòu) seminare. Semenà patàte, faśuói, sórgo seminare patate, fagioli, granoturco; prov. kuàn ke se semenéa okóre pensà ànke ài aužiéi quando si conclude un affare vantaggioso, bisogna pensare anche a coloro che non hanno niente.

 

seménža sf. (pl. seménže) semenza, semente, fig. chiodini molto piccoli. Seménža da órto semenza da orto; nčòda sóte le skàrpe dóe seménže assicura la suola delle scarpe con dei chiodini.

 

sén sm. (solo sing.) senno. No bàte sén non avere la testa a posto, essere svenuto e non dare alcun segno di ripresa; par da sén per davvero, in realtà è così.

 

senàta sf. (pl. senàte) seno molto pronunciato. Vàrda ke senàta guarda che seno enorme; kéla la béte dùto nte senàta quella donna nasconde tutto nel corpetto, mette via tutto.

 

sénbola sf. (pl. sénbole) crusca. Dài n tin de sénbola a la vàča dai un po' di crusca alla mucca, prepara un pastone di crusca per la mucca; a ti la farìna e a mi la sénbola a te spetta sempre la parte buona e a me quella cattiva.

 

sénbolón sm. (inv.) neve farinosa Avón čatòu n bèl spesór de sénbolón e avón fàto alkuànte bèle siàde la pista era ricoperta da uno strato di neve farinosa che ci ha consentito alcune sciate meravigliose.

 

sènbro sm. (solo sing.) unisono. Sonà n sènbro suonare all'unisono; èse n sènbro essere fisicamente a posto; sta n sènbro stare a posto, stare nella giusta posizione (v. čanpanà).

 

senestràda sf. (pl. senestràde), atto inconsulto, marachella, malefatta. Òñi tànto l me fa kàlke senestràda ogni tanto mi combina qualche monelleria. No pàsa di ke no l me fàže kàlke senestràda non passa giorno che non mi combini qualche malefatta da balordo.

 

senèstro sm. (pl. senèstre) fig. uomo bizzarro, balordo. l e n tin senèstro è un po' bizzarro.

 

senpiàda sf. (pl. senpiàde) scempiaggine, sciocchezza. Ma ké senpiàda élo késta? ma che razza di stupidaggini mi stai combinando?

 

senpiarìa sf. (pl. senpiarìe) sciocchezza, cosa di poco valore, cianfrusaglia. Èi konpròu pròpio na senpiarìa ho comperato davvero una cosa di poco valore, un regaluccio da niente.

 

sènpio agg. (pl. sènpie, f. sènpia) sciocco, stupido. Te ses pròpio n sènpio sei davvero uno sciocco.

 

senpiòldo agg. (pl. senpiòlde, f. senpiòlda) sciocchino, balordo. No èi mài vedù n senpiòldo kóme te non ho mai visto una persona balorda come te.

 

sènpre avv. sempre. Laurà sènpre lavorare sempre; sènpre de pi sempre di più; sènpre mèo sempre meglio; sènpre pèdo sempre peggio; na òta par sènpre una volta per sempre.

 

sènso sm. (pl. sènse) raccapriccio, ribrezzo. Fèi sènso suscitare ribrezzo, impressionare.

 

sènta sf. (pl. sènte) sedile, sgabello. Se no e kariége par dùte, ió stào su la sènta se non ci sono sedie per tutti, io rimango sullo sgabello (v. sèla).

 

sentà, sentàse vb. intr. e rifl. (me sènto; sentèo; sentòu) sedere, sedersi. Sèntete n tin ka, apède de mé siediti qui vicino a me; sentàse su la bànča, su la kariéga, dó bas sedersi sulla panca, sulla sedia, per terra; sentàse dó sedersi e afflosciarsi.

 

sentiménto sm. (pl. sentiménte) sensibilità, buon senso, giudizio, affetto, amore. Èse pién de sentiménto essere pieno di affetto; fèi le ròbe kon sentiménto fare le cose con amore; no sta tòleme i sentiménte non farmi perdere la pazienza; kel tós no a n tin de sentiménto l va su pa le kròde e n dì o làutro i la sužiedarà bèla quel giovanotto non ha giudizio, va in roccia, temo che un giorno gli potrà accadere un guaio.

 

sentón avv. seduto. Sta n sentón stare seduto quando si è a letto; levàse n sentón mettersi a sedere dalla posizione sdraiata.

 

senžiér agg. (pl. senžiére, f. senžiéra) sincero, sobrio, asciutto, puro. Séa senžiér, no sta di bauśìe sii sincero, non dire bugie; e n kàśo ke stasiéra l séa senžiér è un caso che stasera non sia ubriaco; la čaméśa e bèlo senžiéra la camicia è già asciutta; al tènpo e senžiér il tempo è asciutto, è secco; prov. da senžiér i le pénsa, da čòke i le dis gli uomini quando sono sobri pensano in segreto, quando invece sono ubriachi parlano apertamente.

 

senžierà, senžieràse  vb. trans. e rifl. (me senžieréo; senžierèo; senžieròu) asciugare, disseccare, essiccare. Béte fòra la čaméśa a senžieràse metti fuori, stendi la camicia ad asciugare bene; al fién, le léñe se a bèlo senžieròu il fieno, la legna hanno già perso l'umidità; fig. kuàn ke l se avarà senžieròu, l me kontarà kóme ke la e dùda quando gli sarà passata l'ubriacatura, mi racconterà come è andata.

 

senžieràse  vb. rifl. (me senžieréo; senžierèo; senžieròu) sincerarsi, accertarsi. Okóre senžieràse kóme ke e dùde le ròbe bisogna accertarsi come sono andate veramente le cose.

 

señà, señàse vb. trans. e rifl. (me séño; señèo; señòu) segnare, indicare, sfregiare, annotare, segnarsi, farsi il segno della croce. Il verbo indicava anche l'operazione con cui si pone, con un segno diverso da famiglia a famiglia, la proprietà dei tronchi. Señà n lìbro fare un segno su un libro; señà le piànte contrassegnare i tronchi d'albero per indicarne la proprietà; señà sul libréto annotare sul libretto le spese fatte; kel mostažàto a señòu ko la brìtola dùta la tòla quel monellaccio ha sfregiato con il temperino tutta la tavola; fèr da señà particolare attrezzo di ferro usato per contrassegnare tronchi d'albero o altri oggetti di legno. Te puó señàte ko la man žànča Sei stato fortunato. Te àsto señòu? Ti sei fatto il segno della croce ? L tràvo a señòu la trave mostra qualche segno di cedimento. Quando una persona giovane cadeva o si faceva male in qualche modo, l'anziano gli diceva subito: skométo ke no te te ses ñànke señòu nkuói scommetto che stamattina non ti sei neanche fatto il segno di croce .

 

séño sm. (pl. séñe) segno, cenno, gesto, indizio. I séñe déi pès le orme dei piedi; fèi séño accennare; késto e séño de kativèria questo è indizio di cattiveria; pasà l séño oltrepassare il limite; me èi fàto n séño nte la màn mi sono graffiato nella mano; béte la tèsta a séño mettere la testa a posto, mettere giudizio; séño de čàśa segno di casa, marchio di proprietà. Fèi l séño de čàśa su le tàe, sui restiéi contrassegnare i tronchi d'albero ed i rastrelli con il segno di casa. Ad ogni regoliere è assegnato un simbolo particolare detto séño de čàśa da incidere sugli alberi del bosco, sugli arnesi da lavoro o da ricamare sulla biancheria. Non si tratta di un segno gentilizio, ma è dovuto alla necessità di riconoscere facilmente le diverse proprietà all'interno della regola. Il segno del Comune è una X, da cui nasce il verbo nkrośà fare la croce, con questo segno si indica tutto ciò appartiene al Comune. Altri segni sono ottenuti nella maggior parte dei casi da varianti del séño del komùn; dì sul séño partecipare alla marcatura e alla misurazione delle piante del Comune. Séño ke te stas polìto vuol dire che stai bene. Par fìlo e par séño. Eseguire con cura. Loc. Son a séño de te sono arrabbiato con te, stufo del tuo comportamento. (v. nòda, nkrośà).

 

sépa sf. inv. salatissimo. Késto formài e sépa. questo formaggio è salatissimo, immangiabile.

 

séo escl. nella loc. pòrko l séo accidenti, perbacco.

 

sepelì vb. trans. (sepelìso; sepelìo; sepelìu) seppellire. Nkuói i a sepelìu só màre oggi hanno seppellito sua madre.

 

sepoltùra sf. (pl. sepoltùre) funerale, sepoltura. Èi da di a la sepoltùra de me kuñòu devo andare al funerale di mio cognato; e stàda pròpio na puóra sepoltùra è stato davvero un funerale misero.

 

Sepoltùre, Lago de le sf. (top.) Località circoscritta di Pian dei Buoi poco sopra la Kaśèra de le Vàče dove si seppellivano gli animali colpiti da malattie infettive durante l'alpeggio.

 

sèra  sf. (pl. sère) sbarramento, serra, porta. È il punto sulla curva di un fiume dove i tronchi rallentano la corsa e tendono a fermarsi.

 

sèra  sf. (pl. sère) portale d'uscita della casera. (v. bólko).

 

Sèra3 sm. (nome) ipoc. di Baldassarre.

 

serà, seràse vb. trans. e rifl. (sèro; serèo; seròu) chiudere, stringere. Serà la pòrta chiudere l'uscio; serà i pùi stringere i pugni; serà la vìda del čàr stringere il freno del carro; serà la bóča chiudere la bocca, tacere; serà botéga chiudere bottega, smettere ogni attività; n tin pì n do l Rin se sèra a valle il Rin tende a ridurre l'alveo serà de fòra chiudere fuori casa, estromettere; seràse de ìnte chiudersi dentro, chiudersi in casa, appartarsi.

 

seràda sf. (pl. seràde) serrata, chiusura. È l'interdizione temporanea che viene praticata durante l'estate, dell'antico diritto di pascolo sui prati privati circostanti il paese, tale diritto viene poi ripreso di nuovo in autunno dopo il raccolto, di modo che il bestiame può continuare a pascolare fino all'arrivo dell'inverno.

 

seradùra sf. (pl. seradùre) serratura. La seradùra de čàśa, de sofìta, de tabià la serratura della porta di casa, della soffitta, del fienile.

 

serài  sm. (solo sing.) raucedine, bronchite. No puói parlà parkè èi l serài non posso parlare perché ho la raucedine (v. gràusa).

 

serài  sm. (pl. serài) serraglio, recinto. L serài de le pìte il recinto in cui si racchiudono le galline (v. pulinèi).

 

seraménte sm. (solo pl.) serramenti, porte, finestre di casa. Èi fàto fèi i seraménte nuóve ho fatto fare i serramenti nuovi.

 

sèraòče avv. a occhi chiusi, fig. con sicurezza. Di a sèraòče procedere a tentoni; fig. fèi le ròbe a sèraòče fare le cose con sicurezza, senza alcuna esitazione.

 

sèrio agg. (pl. sèrie, f. sèria) serio, preoccupante, grave. Kè àsto ke te ses sènpre sèrio? che cosa hai che sei sempre serio?; avé na malatìa sèria avere una malattia grave; késto e n afàr sèrio questa è una faccenda seria, una cosa preoccupante; sul sèrio davvero; élo partìu sul sèrio? è partito davvero? Dì sul sèrio dire la verità, parlare chiaramente.

 

śèro sm. (pl. śère) zero, nulla. E ròba ke no val n śèro è una cosa che non vale assolutamente niente; śèro pì śèro fa sènpre śèro zero più zero fa sempre zero, non capisci nulla.

 

seròu agg. (pl. seràde, f. seràda) chiuso, rauco. Vàrda se la pòrta e seràda guarda se la porta è chiusa; kè àsto fàto ke te ses seròu? che cosa hai combinato che sei rauco, che hai perso la voce?

 

serùk avv. indietro. Dal tedesco “zurück”. Di serùk andare indietro; serùk indietro, ordine di indietreggiare che viene dato ai cavalli (v. sèsa).

 

servì vb. trans. (sèrvo; servìo; servìu) servire, dipendere. Io no sèrvo nisùn io non dipendo da nessuno, io non faccio i comodi di nessuno; sto vestì me sèrve nkóra questo vestito mi serve ancora, mi è ancora utile; di a servì prestare servizio da domestica.

 

servižiàl sm. (pl. servižiài) clistere. Ka okóre n servižiàl qui c'è bisogno di un clistere.

 

sèsa avv. indietro. Fèi sèsa, retrocedere.

 

sesà vb. intr. (sèso; sesèo; sesòu) retrocedere, andare all'indietro. Okóre fèi sesà kel čavàl occorre far retrocedere quel cavallo.

 

sesakù avv. all'indietro, in modo errato. Di a sesakù andare all'indietro, retrocedere; fèi le ròbe a sesakù fare le cose in modo errato, all'incontrario di come dovrebbero essere fatte; loc. di a sesakù andare all'indietro, fig. regredire.

 

sesànta agg. num. (inv.) sessanta. Al va pài sesànta va verso i sessanta anni, si avvicina ai sessant'anni.

 

sesarèla sf. (pl. sesarèle) pisello selvatico. Veccia selvatica, veccia montanina (bot. Vicia cracca L.) Di a sesarèle andare a raccogliere piselli selvatici, la raccolta viene fatta a luglio/agosto quando si falciano i prati. Daspò n pèi de dì ke la màña ànke sesarèle la čàura a kresù bèlo de n marčò. Dopo un paio di giorni che mangia anche sesarèle la capra ha aumentato il latte di un quarto di litro.

 

soraruó sm. (inv.) orzaiolo. Si dice soraruó quando colpisce la parte superiore delle ciglia, soteruó se colpisce quella inferiore. Ko se a n soraruó okóre fèi dói fùme ko l inčènso parkè l pàse, incensare l'occhio per curare l'orzaiolo, un'altra soluzione per lenire il fastidio è vardà kon kel òčo nte la bòža de òio cioè bisogna guardare con l'occhio malato dentro una bottiglia di olio, è una fra le tante credenze popolari.

 

sèsena sf. (pl. sèsene) giovane pianta da foglia. Ka vién su n grùmo de sèsene de fagèra qui stanno crescendo molti giovani virgulti di faggio .

 

séśola  sf. (pl. séśole) falcetto. Méde ko la séśola mietere con il falcetto; la séśola è soprattutto lo strumento con cui si tagliano a pezzi le canne del granoturco per poi fare il letto al bestiame (v. sorgàda).

 

séśola  sf. (pl. séśole) vermicello bianco e sottile che si trova nelle acque stagnanti. Secondo la credenza popolare, se ingerito con l'acqua, taglia lo stomaco, da cui il nome dialettale, producendo emorragie interne.

 

seśolà vb. trans. (seśoléo; seśolèo; seśolòu) mietere, falciare i cereali con la séśola. E óra de seśolà l òrğo è arrivata l'ora di mietere l'orzo. Fig. èi sientù na seśolàda vìa pa la skéna ho sentito un forte dolore alla schiena, come una rasoiata.

 

sèsto sm. (pl. sèste) buon senso, criterio, buon comportamento. Avé sèsto avere buon senso, comportarsi correttamente; l e sènpre stòu n tośàto kon sèsto è sempre stato un ragazzo serio, pieno di senno; fèi sèste gesticolare, far buffonate; parkè fàsto sènpre sèste? perché fai sempre gesti che fanno ridere?; dón a fèi sèste andiamo a giocare, a divertirci. Te fas dùte i sèste de gonèla gesticoli come un buffone.

 

sète  sm. (inv.) strappo nei vestiti. Me son fàto n sète nte le bràge mi sono fatto uno strappo nei pantaloni.

 

sète  agg. num. (inv.) sette. L e brùta kóme i sète pekàs mortài è brutta come i sette peccati mortali, è bruttissima. Loc. vàrdesto i sète ke lèva disincantati, datti da fare, scendi dalle nuvole.

 

setemìn agg. (pl. setemìne, f. setemìna) settimino, nato di sette mesi, fig. immaturo. Se véde ke te ses setemìn si vede proprio che sei ancora immaturo.

 

setènbre sm. (solo sing.) settembre. To fiól e de setènbre, éro? la méa nvéži e de otóbre tuo figlio è nato a settembre, vero? mia figlia invece è nata in ottobre (v. més).

 

setenbrìn  sm. (inv.) settembrino, colchico (bot. Colchicum autumnale). Kuàn ke se véde i setenbrìn, e óra de seà l autivói quando si vedono i colchici, è ormai il momento di procedere all'ultima falciatura dell'anno.

 

setenbrìn  agg. (pl. inv.; f. setenbrìna; pl. setenbrìne). Prov. lùna setenbrìna sète lùne l a ndovìna Il tempo che si ha durante la luna di settenbre si avrà per altre sette lune !

 

setenbrìn3 sm. (inv.) cantharellus lutesceus. Finferli. Fungo autunnale dal gambo giallo e la testa marron scuro, cresce in grandi quantità nelle zone umide.

 

setór sm. (inv.) quantità di prato che può essere falciata in una giornata. Si tratta di circa 2418 mq di terreno.

 

séu sm. (solo sing.) sego. Si tratta di un tipo di grasso dal gusto mediocre e di poco valore che veniva usato come condimento da chi non poteva permettersi di acquistare burro e olio. Quando inacidiva veniva usato per ungere i pattini di legno delle slitte e gli scarponi. Konžà la menèstra kol séu condire la minestra col sego; kuànto séu àsto da pàrte? quanto sego hai in dispensa?

 

sfadià, sfadiàse vb. intr. e rifl. (sfadiéo; sfadièo; sfadiòu) faticare, affaticarsi. L a sfadiòu dùta la vìta ha faticato per una vita intera; ió sfadiéo da stéla a stéla non faccio che lavorare duramente dall'alba fino a sera tardi (v. strusià, sfakinà).

 

sfadión agg. (pl. sfadiói, f. sfadióna, pl. sfadióne) grande lavoratore. I tuói i e sènpre stàde sfadiói i tuoi genitori sono sempre stati dei grandi lavoratori.

 

sfakinà vb. intr. (sfakinéo; sfakinèo; sfakinòu) faticare, affaticarsi, lavorare duramente. L a sfakinòu dùto l di par menà su le léñe ha faticato tutto il giorno per portar su la legna da ardere (v. strusià, sfadià)

 

sfalisà vb. imp. (sfaliséa; sfalisèa; sfalisòu) nevicare a piccoli fiocchi. E dùto l di ke l sfaliséa è tutto il giorno che nevica appena appena.

 

sfalisàda sf. (pl. sfalisàde) leggera nevicata. Sta sfalisàda e veñùda sólo pa ntrigà questa leggera nevicata crea solo difficoltà.

 

sfaužà vb. trans. (sfaužéo; sfaužèo; sfaužòu) falciare con particolare attenzione. La tecnica viene adoperata ad esempio attorno agli alberelli che non devono essere danneggiati oppure vicino ai sassi. Ka no se puó seà, se puó solo sfaužà qui non si può falciare comodamente, si può solo falciare con prudenza, lentamente.

 

sfaužàda sf. (pl. sfaužàde) colpo di falce, apertura del colpo di falce. Kon dóe sfaužàde èi fenìu de seà con pochi colpi di falce ho finito di falciare (v. andèi).

 

sfažòu agg. (pl. sfažàde, f. sfažàda) sfacciato, maleducato. No èi mài vedù n sfažòu kóme te non ho mai conosciuto una persona sfacciata come te.

 

sfakinàda sf. (pl. sfakinàde) grande faticata, èi čapòu na sfakinàda, ho fatto una grande fatica.

 

sfénde, sféndese vb. trans. e rifl. (me sféndo; sfendèo; sfendù, sfendésto) incrinare, screpolare, incrinarsi. Èi sfendésto l gòto ho incrinato il bicchiere; sfénde le léñe fendere con l'accetta la legna molto grossa in senso longitudinale perché si secchi più facilmente; la skudèla se a sfendù la tazza si è incrinata, si è screpolata (v. śbrégo, sfése, śvenà).

 

sfenì vb. trans. (sfenìso; sfenìo; sfenìu) sfinire, fiaccare. La fióra me a sfenìu la febbre mi ha indebolito.

 

sfenìu agg. (pl. sfenìde, f. sfenìda) sfinito, fiaccato. Son bèlo sfenìu sono già sfinito, non ne posso più.

 

sfésa  sf. (pl. sfése) fessura, incrinatura. no sta serà la pòrta: làsa na sfésa non chiudere la porta: lascia una piccola apertura; le sfése de la fenèstra le fessure della finestra.

 

Sfésa , La Sfésa de Ligònte sf. (top.) gola stretta a sud ovest del paese al confine con il Comune di Domegge in prossimità del lago.

 

sfeśàse vb. rifl. (sféśo; sfeśèo; sfeśòu) incrinarsi, screpolarsi. Al mùro se a sfeśòu il muro si è incrinato, si è screpolato (v. sfèndese).

 

sfeśòu agg. (pl. sfeśàde, f. sfeśàda) incrinato, fessurato, screpolato. Ke vo di ke l siòlo e dùto sfeśòu? come mai sul pavimento ci sono tante fessure?

 

sfidà vb. trans. (sfìdo; sfidèo; sfidòu) sfidare. Te sfìdo a... ti sfido a..., vediamo se sei capace di...; te sfìdo a portà sto fàs de fién vediamo se sei capace di portare questo fascio di fieno; sfìdo ió ke la lo a tolésto, l e n bakàn sfido io che lo ha sposato, è un possidente.

 

sfiorà vb. trans. (sfióro; sfiorèo; sfioròu) sfiorare, scremare il latte. Kéla tàia me a sfioròu quel tronco mi ha sfiorato, quasi mi colpiva; sfiorà l làte togliere la panna al latte, scremare il latte (v. deśbramà).

 

sfiorì vb. intr. (sfiorìso; sfiorìo; sfiorìu) sfiorire, appassire. Le ruóśe e bèlo dùte sfiorìde le rose sono ormai tutte appassite.

 

sfiśià vb. trans. (sfìśio; sfiśièo; sfiśiòu) tormentare, infastidire. No sta sfiśiàme ko le tò čàčare non infastidirmi con le tue chiacchiere.

 

sfogàse vb. rifl. (me sfógo; sfogèo; sfogòu) sfogarsi, confidarsi. No podèo pì e me son sfogàda non ne potevo più e mi sono sfogata; se no te as àutre, sfógete kon me se non sai con chi sfogarti, confidati pure con me; làsa ke kel tùto se sfóge lascia che quel bambino giochi e si sfoghi.

 

sfógo sm. (pl. sfóge) sfogo, eruzione cutanea. Čatà n sfógo pal fùmo, pa l àga trovare uno sfogo, un'apertura per il fumo, per l'acqua; èi n sfógo nte l bràžo ho uno sfogo sul braccio.

 

sfòi sm. (inv.) foglio di carta. Dàme n sfòi ke èi da skrìve la rižèta pa la nène dammi un foglio di carta che devo scrivere la ricetta per la zia (v. fòi).

 

sfól sm. (pl. sfói) ammaccatura. Fèi n sfól provocare un'ammaccatura.

 

sfolà vb. trans. (sfólo; sfolèo; sfolòu) provocare ammaccature. Èi sfolòu l kalierìn del kafè ho dato una botta sul paiolo del caffè; al séčo e tomòu do bas e l se a sfolòu il secchio è caduto per terra e si è ammaccato.

 

sfoladùra sf. (pl. sfoladùre) ammaccatura. La kaliéra a na sfoladùra il paiolo ha un'ammaccatura (v. sfól).

 

sfolòu agg. (pl. sfolàde, f. sfolàda) ammaccato. La kógoma e dùta sfolàda la caffettiera è tutta ammaccata.

 

sfondrà vb. trans. (sfondréo; sfondrèo; sfondròu) mangiare avidamente, divorare, dilapidare. Nte póče menùte l a sfondròu fòra dùta la polènta in pochi minuti ha divorato tutta la polenta; se te fas kosì te sfondraràs dùta la ròba ke te a lasòu tó pàre se fai così, dilapiderai tutta la roba che ti ha lasciato tuo padre.

 

sfondrón agg. (pl. sfondrói, f. sfondróna, pl. sfondróne) canaglia, birbone. Kel la e sènpre stòu n sfondrón quello è sempre stato un birbone; kamìna, sfondrón vattene, pelandrone.

 

sfondròu agg. (pl. sfondràde, f. sfondràda) birbone, briccone in senso buono, sfrontato. Te ses pròpio na sfondràda sei davvero una briccona.

 

sforačà vb. trans. (sforačéo; sforačèo; sforačòu) sforacchiare, bucherellare. Kel tośàto kon čòdo e martèl l me a sforačòu dùta la peñàta quel bambino mi ha sforacchiato tutta la pentola con chiodo e martello (v. śbuśà).

 

sforčinà vb. trans. (sforčinéo; sforčinèo; sforčinòu) solleticare con un fuscello. Se te vós ke i grì véñe fòra dal bus, okóre sforčinàli se vuoi che i grilli escano dalla tana, bisogna solleticarli con un fuscello.

 

sforžà, sforžàse vb. trans. e rifl. (me sfòržo; sforžèo; sforžòu) forzare, scassinare, sforzarsi, affaccendarsi. No sta sforžà màsa, se no te rónpe la čàve non forzare troppo, altrimenti rompi la chiave; sforžà la pòrta scassinare la porta; se te te sfòrže n tin de pì te riesaràs se ti impegni di più, riuscirai nel tuo intento; me sfòržo de parà dó àlgo, ma no va dó nùia mi sforzo di mangiare qualcosa, ma non riesco ad inghiottire nulla; no sta sforžàte non fare sforzi.

 

sfòržo sm. (pl. sfòrže) sforzo, tentativo. Fèi nkóra n sfòržo fai ancora uno sforzo, un tentativo; èi fàto n sfòržo e me e veñù fòra l balón ho fatto uno sforzo e mi è venuta l'ernia.

 

sfrakaià vb. trans. (sfrakaéo; sfrakaèo; sfrakaiòu) fracassare coi piedi, schiacciare. Kuàn ke l e čòko l sfrakaéa dùto quando è ubriaco, fracassa tutto; sfrakaéa dóe patàte schiaccia un po' di patate; tènti a no sfrakaià i petùs attento a non calpestare i pulcini.

 

sfrakasà vb. trans. (sfrakaséo; sfrakasèo; sfrakasòu) bastonare, fracassare. L e tomòu do dal kuèrto e l se a sfrakasòu è caduto dal tetto e si è fatto molte fratture.

 

sfreà vb. trans. (sfréo; sfreèo; sfreòu) lavare pavimenti o scale di legno usando spazzole di radica dura acqua e sapone, lucidare gli oggetti in rame di casa, massaggiare. Sfreà l siòlo, le sàle lavare il pavimento di legno, le scale; sfreà i séče, la kaliéra lucidare i secchi, il paiolo della polenta; Fèise sfreà la skéna ko l àrnika farsi massaggiare la schiena con la tintura d'arnica; sfreà n forminànto fregare un fiammifero per accenderlo.

 

sfreàda sf. (pl. sfreàde) pulitura fatta con acqua, soda e spazzola, massaggio. Sto siòlo a debeśuói de na bèla sfreàda questo pavimento ha bisogno di una accurata lavatura con spazzola.

 

sfregolà, sfregolàse vb. trans. e rifl. (me sfregoléo; sfregolèo; sfregolòu) sbriciolare, strofinare, stroppicciarsi, fregarsi le mani. Sfregoléa n tin de polènta a le pìte sbriciola un po' di polenta per le galline; sfregoléeme n tin la skéna sfregami, frizionami un po' la schiena; sfregolàse i òče stropicciarsi gli occhi; sfregolàse le màn fregarsi le mani dalla contentezza, o per scaldarle fig. no sta sfregolàme zéula nte i òče non cercare di ingannarmi, di farmi credere una cosa diversa dalla verità.

 

sfregolàda sf. (pl. sfregolàde) sbriciolatura, frizionata, sfregamento, stropicciamento. Na sfregolàda de màn uno sfregamento di mani; dàme na sfregolàda ài pès dammi una frizionata ai piedi.

 

sfrisà vb. intr. (sfrìso; sfrisèo; sfrisòu) strisciare contro qualcosa, produrre graffi o strisci. Èi sfrisòu nte l armerón ho strisciato contro l'armadio; se no te béte la toàia, te sfrìse la tòla se non metti la tovaglia, strisci la tavola (v. strisià).

 

sfrontón, sfrontòu agg. sfrontato, sfacciato (pl. sfrontói, f. sfrontóna, pl. sfrontóne, pl. sfrontàde, f. sfrontàda) persona che agisce sfrontatamente per abitudine, in continuazione. I sfrontói kóme te n di o l àutro i čàta kel del formài le persone sfacciate come te trovano presto chi le mette in riga.

 

śgabèl sm. (pl. śgabiéi) inginocchiatoio, sgabello. I sióre a dùte l sò śgabèl nte čéśa i ricchi hanno tutti l' inginocchiatoio personale in chiesa.

 

śgàia sf. (pl. śgàie) la schiuma del sapone o del latte bollito. Tìra vìa la śgàia dal làte, ke no la pói ślanpà leva la schiuma dal latte, che non la sopporto (v. śbàa).

 

śganasàda sf. (pl. śganasàde) risata lunga e rumorosa. Fèise na bèla śganasàda farsi una gran bella risata.

 

śgarà vb. intr. (śgaréo; śgarèo; śgaròu) sgarrare, sbagliare. Òñi tànto l śgaréa ogni tanto sbaglia; tènta a no śgarà attenta a non sgarrare, è la raccomandazione che le mamme rivolgono alle figlie quando escono di casa; no l śgàra de n menùto non sbaglia, non ritarda di un minuto. No l śgàra, è preciso.

 

śgèrla sf. (pl. śgèrle) gamba, in senso scherzoso. Muóve kéle śgèrle muovi quelle gambe, cammina più in fretta; se te fas kosì, te te rónpe le śgèrle se fai così ti rompi le gambe; l a na ğànba śgèrla ha la gamba malata, zoppica di una gamba; tirà la śgèrla zoppicare.

 

śgerlà vb. trans. (śgèrlo; śgerlèo; śgerlòu) azzoppare. Sésto tu ke te me as śgerlòu la pìta? sei tu che hai azzoppato una mia gallina?

 

śgèrlo agg. (pl. śgèrle, f. śgèrla) zoppo, sciancato. Nte kéla čàśa i e dùte śgèrle in quella casa sono tutti sciancati; l e śgèrla è zoppa; di vìa śgèrlo camminare zoppicando, detto di chi è stato talmente bastonato da camminare a fatica.

 

śgiràta sf. (pl. śgiràte) scoiattolo, (zool. Sciurus vulgaris). Èi čatòu na kóa de śgiràte ho trovato un nido di scoiattoli; èse kóme na śgiràta essere agili e veloci come uno scoiattolo; di su kóme na śgiràta arrampicarsi come uno scoiattolo; svèlto kóme na śgiràta agile come uno scoiattolo, detto di chi fa tutto presto e bene.

 

śgiribìž sm. (pl. śgiribìže) ghiribizzo, scarabocchio, scritti e segni fatti male, grillo, fantasia. L e pién de śgiribìže è pieno di grilli per la testa; no sta fèi śgiribìže non fare ghiribizzi; l a òñi di n śgiribìž ogni giorno ha qualcosa di nuovo. Késta no e la to firma e n śgiribìž, questa non è la tua firma, è uno scarabocchio indecifrabile.

 

śgirlatà vb. intr. (śgirlatéo; śgirlatèo; śgirlatòu) scalciare, il guizzare di braccia e gambe. La pìta a śgirlatòu n tin e pò l e mòrta la gallina ha mosso un po' le zampe e poi è morta.

 

śgirlatàda sf. (pl. śgirlatàde) scossone, mossa nervosa degli arti scombussolamento. Čapà na śgirlatàda prendere uno scossone; da na śgirlatàda fare un guizzo di gambe.

 

śgìrlo agg. (solo sing.) vento fastidioso che fa mulinello; chi va da tutte le parti, fig. estroso, pazzerello. Tìra n vènto śgìrlo soffia un vento turbinoso, un ventaccio; to fiól e kóme l vènto śgìrlo tuo figlio è estroso come il vento vorticoso.

 

śgobà vb. intr. (śgòbo; śgobèo; śgobòu) sgobbare. To pàre a śgobòu dùta la vìta tuo padre ha lavorato lungo tutta la vita.

 

śgòdia sf. (pl. śgòdie) frotta di bambini, marmaglia. Kè élo sta śgòdia? cosa fa qui questa frotta di bambini?; kuàn ke l e čòko, l a sènpre davòi na śgòdia de bòče quand'è ubriaco, ha sempre dietro un codazzo di bambini (v. mularìa).

 

śgonbrà vb. intr. (śgónbro; śgonbrèo; śgonbròu) sgombrare, sbottare, fig. andarsene. Śgónbra, ke e óra vattene che è ora.

 

śgorbà vb. trans. (śgòrbo; śgorbèo; śgorbòu) accecare, confondere, attenuare o nascondere un difetto. I žavàtoi, parkè i čànte, okóre śgorbàli perché i fringuelli cantino, devono essere accecati. Il fringuello cieco è infatti un richiamo sicuro per i cacciatori che impiegano le panie per la caccia. Vàrda de śgorbà vìa n tin cerca di attenuare un po' il malanno; n bèl vestì śgòrba dùte i difète un abito elegante ben fatto nasconde eventuali difetti fisici; śgorbà vìa l òčo attenuare in qualche modo il difetto; kuàn ke l se tìra polìto, l śgórba vìa l òčo ke no te te akòrde de kuànto ke l e brùto quando si veste bene, confonde l'occhio e non ti accorgi di quanto sia brutto.

 

śgorlà, sgorlàse vb. trans. e rifl. (me śgórlo; śgorlèo; śgorlòu) scuotere, scuotersi, scombussolare, affrettarsi. No sta śgorlà l làte, se nò l se péa non scuotere il latte, altrimenti inacidisce; tó fiól a śgorlòu su dùto tuo figlio ha messo tutto sottosopra; śgorlà su scuotere e rimuovere; śgorlà fòra scuotere, risvegliare; śgorlà do scuotere e buttar via, buttar giu; nte sti paése l siñór a śgorlòu do i ultime sakéte in questi paesi la Provvidenza divina non ha donato grossi benefici; śgorlà le karpéte, detto di donna molto attiva; śgorlà le spàle, fare spallucce, disapprovare, disprezzare; śgorlà la tèsta scuotere la testa in segno di diniego o di disapprovazione; śgorléve sbrigatevi; śgórlete su, mò riprendi coraggio e va avanti; śgorlàsela vìa darsela a gambe; i se la a śgorlàda vìa dùte sono scappati tutti; śgórlete n tin fòra, ke e óra spicciati un po', datti un po' da fare, che è ora; śgorlà le karpéte a la Madòna pregare con insistenza la Madonna per chiedere una grazia (v. karpéta).

 

śgorlàda sf. (pl. śgorlàde) scrollata, scossone, crollo fisico dovuto alla malattia. Èi dòu na śgorlàda al sakéto de la farìna ho dato una scrollata al sacchetto della farina per liberarlo dai residui; ko na śgorlàda vién dó n grùmo de sośìn con un scossone, cade dall'albero una grande quantità di susine; no me son nkóra refàta da kéla śgorlàda non mi sono ancora rimessa dalla malattia; tó fìa a debeśuói de èse śgorlàda fòra tua figlia ha bisogno di una forte sollecitazione; čapà na śgorlàda subire un crollo morale e fisico.

 

śgorlón sm. (pl. śgorlói) scrollata, scossone, scuotimento. Par tirà do la baréta èi dòu n śgorlón al ràmo; ho dato una scrollata al ramo per far cadere il berretto (v. śgorlàda).

 

śgrafà vb. trans. (śgràfo; śgrafèo; śgrafòu) smuovere la terra con le mani, fig. rubare. Śgrafà la tèra smuovere la terra con le mani; sta tènti ke kel la, se l puó, l śgràfa stai attento che quello, appena può, cerca di portarti via qualcosa.

 

śgrafiñà vb. trans. (śgrafiñéo; śgrafiñèo; śgrafiñòu) rubare, sgraffignare. Tó pàre a sènpre śgrafiñòu tuo padre ha sempre rubato; la nèsa fa śgrafiñà la fame costringe a rubare (v. śgrafà).

 

śgrafiñón agg. (pl. śgrafiñói, f. śgrafiñóna, pl. śgrafiñóne) ladrone, arraffatore. Se se pòrta vìa la ròba a n puaréto se e n śgrafiñón, a n siór, se e n furbón chi ruba ad un poveretto è un ladrone, chi ruba a un ricco è un furbo.

 

śgrénbena sf. (pl. śgrénbene) piccolo pezzo di campo o di prato, di solito di poco valore in pendenza e distante dalle strade. Al pàre me a lasòu dóe śgrénbene mio padre mi ha lasciato in eredità un paio di piccoli appezzamenti di poco valore.

 

śgrìmia sf. (pl. śgrìmie) iniziativa, vigore, energia, grinta, voglia di lavorare, intraprendenza. Žènža śgrìmia, no se fa skèi chi non ha iniziativa non diventa ricco.

 

śgrìnfa, śgrónfa sf. (pl. śgrìnfe, śgrónfe) unghia, artiglio. Le śgrìnfe del ğàto gli artigli del gatto; tàete le śgrìnfe tagliati le unghie, fig. ruba meno; avé le śgrìnfe lònge avere le unghie lunghe, rubare; adès te ses nte le mé śgrìnfe ora sei nelle mie mani, ti domino.

 

śgrinfà, śgronfà vb. trans. (śgrìnfo; śgrinfèo; śgrinfòu) graffiare, lacerare, fig. rubare. Al ğàto śgrìnfa il gatto graffia; no sta lasà ke l te śgrìnfe i póme non lasciare che ti rubi le mele.

 

śgrinfàda, śgronfàda sf. (pl. śgrinfàde, śgronfàde) graffio, unghiata, fig. manata, colpo di mano. Se no te stas atènti, kel ğàto te da na śgrinfàda se non stai attento, quel gatto ti dà un'unghiata; ko na śgrinfàda l a portòu vìa dùto con una manata, con un colpo di mano si è portato via tutto.

 

śgualdràpa sf. (pl. śgualdràpe) donna sciatta, donna moralmente poco onesta. Parkè sésto kosì na śgualdràpa? perché sei così sciatta, così disordinata?; kéla la e sènpre stàda na śgualdràpa quella è sempre stata una donna poco seria, poco onesta (v. valdràpa).

 

śgualivà vb. trans. (śgualivéo; śgualivèo; śgualivòu) livellare, spianare, appianare. Śgualivà la tèra livellare la terra; śgualivà vìa le ròbe appianare le divergenze; sto čànpo a debeśuói de na śgualivàda questo campo ha bisogno di essere livellato (v. gualivà).

 

śguatarà vb. intr. (śguataréo; śguatarèo; śguataròu) lavare le cose in fretta e male. Se te vos śguatarà kosì le to ròbe, fa pùra, ma le mée te as da lavàle polìto se vuoi lavare male le tue cose, fai pure, ma le mie devi lavarle bene (v. ślavatà).

 

śguataràda sf. (pl. śguataràde) lavatina fatta in fretta. Dài na śguataràda a sti piàte, me par ke i a n tin de pólver dai una lavatina a questi piatti, mi sembra che abbiano un po' di polvere sopra (v. ślavatàda).

 

śguažà vb. intr. (śguàžo; śguažèo; śguažòu) sguazzare, fig. vivere nell'abbondanza, scialare. No sta di a śguažà nte l pòčo non andare a sguazzare nel fango; a čàśa tóa te as sènpre śguažòu a casa tua sei sempre vissuto nell'abbondanza; me par ke te śguàže n tìn màsa mi pare che tu spenda troppo.

 

śguàž sm. (pl. śguàže) scroscio d'acqua, pozzanghera. De kólpo e veñésto do n śguàž all'improvviso è caduto uno scroscio d'acqua (v. śdravàž).

 

śgùbia sf. (pl. śgùbie), lesina, fig. buco nello stomaco. Subbia del ciabattino. Avé la śgùbia, avere fame (v. sùbia).

 

śgòrbia sf. (pl. śgòrbie) specie di scalpello concavo usato dal falegname per fare intaglio sul legno. Par fèi un bèl laóro sul portón okóre la śgòrbia. Per intagliare il portone occorrono gli scalpelli concavi (v. śgùbia).

 

śguerñà vb. imp. (śguèrña; śguerñèa; śguerñòu) piovere a dirotto. A śguerñòu dùta la nuóte è piovuto a dirotto per tutta la notte; fig. se no l pióve, l śguèrña se non capiteranno piccole disgrazie,è prevedibile che ne capiteranno di grosse.

 

śguèrño sm. (pl. śguèrñe) acquazzone. Sto śguèrño a biandòu dùto l fién quest'acquazzone ha bagnato tutto il fieno; prov. daspò l śguèrño vién l sarén dopo l'acquazzone torna presto il sereno, detto anche da Bertoldo.

 

śğarletà vb. intr. (śğarletéo; śğarletèo; śğarletòu) correre, muoversi in fretta. Ka, se se vo fenì, okóre śğarletà a questo punto, se si vuol finire, bisogna muoversi in fretta, lavorare di gran lena (v. ğarletà, śgirlatà).

 

śğónfa sf. (solo sing.) abbastanza. Avé na śğónfa de ... non poterne più di ...; èi na śğónfa de te e dei to pestariéi non ne posso più di te e della tua farinata.

 

śğonfà, śğonfàse vb. trans. e rifl. (me śğónfo; śğonfèo; śğonfòu) gonfiare, rimpinzare, gonfiarsi, rimpinzarsi, tumefarsi. Nkuói èi śğonfòu le vesìe par fèi le soprèse oggi ho gonfiato le vesciche per fare le soppressate; secondo la tradizione, quando si uccide un maiale, la vescica viene gonfiata per fare i salami grossi; questo lavoro veniva fatto anche dai bambini. L èi śğonfòu de patàte l'ho rimpinzato di patate; me son śğonfàda de menèstra de faśuói mi sono rimpinzata di minestra di fagioli; me se a śğonfòu la màn mi si è tumefatta la mano; fig. no sta śğonfàla non raccontare cose o fatti con l'aggiunta delle tue fantasticherie o malizie (v. deśğonfàse).

 

śğonfàda sf. (pl. śğonfàde) scorpacciata, gonfiata. Me èi fàto na śğonfàda de lugànege mi sono fatto una scorpacciata di salcicce; fenìsela ko le tó śğonfàde finiscila con le tue frottole. Okóre dài na śğonfàda a la ròda de la barèla; bisogna gonfiare la ruota della carriola.

 

śğonfadói sm. (inv.) gonfiore. Vàrda ke śğonfadói nte sto déido guarda che gonfiore su questo dito

 

śğonfarìu agg. (pl. śğonfarìde, f. śğonfarìda) gonfio. Detto del viso gonfio per il sonno o per la malattia, detto anche di chi è obeso. Kuàn ke lèvo son dùto śğonfarìu quando mi alzo ho il viso gonfio di sonno; no stào polìto, no te véde ke son ka dùto śğonfarìu; non sto bene vedi come sono gonfio. Fig. kóre śğonfarìu modo di offendere una persona con il viso tumefatto.

 

śğónfo agg. (pl. śğónfe, f. śğónfa) gonfio, pieno, satollo. Son śğónfo de polènta sono sazio di polenta (v. śğonfòu).

 

śğonfón agg. (pl. śğonfói, f. śğonfóna, pl. śğonfóne) spaccone, millantatore, chi ingigantisce fatti e discorsi. Tó fardèl e sènpre stòu n śğonfón tuo fratello è sempre stato un millantatore, ha sempre travisato i fatti.

 

śğonfonà vb. intr. (śğonfonéo; śğonfonèo; śğonfonòu) millantare (v. ślofonà). Kel là kuànke l me kónta àlgo, vo śğonfonà; quando quello mi racconta qualcosa, vuole sempre millantare, farmi credere l'impossibile.

 

śğonfòu agg. (pl. śğonfàde, f. śğonfàda) gonfio, tumefatto. Avé la màn, l mùśo, la ğànba śğonfàde avere la mano, il viso, la gamba gonfi (v. śğónfo).

 

avv. si. Di sì o nò dire si o no, scegliere, decidere; loc. na sì un pochino; l e na sì pì grànda è un pochino più grande; na sì né nò appena un pochino; okoraràe na sì né nò de pi ne occorrerebbe appena un pochino di più; sì lafesànta perbacco, è proprio vero, te l'assicuro io; di de sì dire di si, affermare; respònde de sì rispondere affermativamente; n sì e n nò uno si e uno no, alternativamente; l a sì e nò vìnti àne ha pressapoco vent'anni (v. ).

 

sm. (inv.) sci. Te fàžo n pèi de sì de bóte. Ti preparo un paio di sci fatti con le doghe della botte. Erano sci rudimentali ricavati dalle assicelle delle botti sfasciate con attacchi di lamiera e filo di ferro. Arcuati più in centro che in punta, servivano da gioco per i bambini.

sià escl. eccomi qua. L'esclamazione è frequente nel gioco del nascondino, quando uno dei giocatori compare e grida sià, eccomi qua; fèi sià comparire, farsi vedere; fèi sià raggiungere il punto giusto di cottura del burro; frìde e bìčelo sui ñòke sólo kuàn ke l fa sià versa il burro sugli gnocchi solo se è ben cotto.

 

siàbola sf. (pl. siàbole) sciabola, iris (bot. Iris pseudacorus giallo). Il fiore si chiama così per la forma a sciabola delle foglie. I soldàde a dùte la siàbola i soldati hanno tutti la sciabola; son dùda nte órto e èi tolésto su n màž de siàbole de dùte i kolór par portà nte porteà sono andato nell'orto a raccogliere un bel mazzo di iris di tutti i colori da portare in cimitero.

 

siàl sm. (pl. siài) scialle. La màre a n siàl ko le frànde la mamma ha uno scialle con le frange; vósto béte l siàl quànto pì čàudo ke l tién de n kapòto! vuoi mettere quanto più caldo tiene lo scialle rispetto ad un cappotto!

 

siàla sf. (pl. siàle) segala. Farìna de siàla farina di segala; pàn de siàla pane di segala; questo tipo di pane, nero, duro e quasi insipido, è stato di fondamentale importanza per l'alimentazione delle famiglie povere che non si potevano permettere di acquistare il pane di farina bianca (pàn biànko) o quello di farina di granoturco (v. pàn de sórgo).

 

siàrpa sf. (pl. siàrpe) sciarpa. Bétete la siàrpa ntórno l kòl, ke fa frédo mettiti la sciarpa attorno al collo, perché fa freddo; dim. siarpéta o siarpùta, piccola sciarpa.

 

siàtega sf. (solo sing.) sciatica. St invèrno pasòu me e veñù la siàtega l'inverno scorso mi son buscato la sciatica.

 

sié agg. num. (nv.) sei. Èi bèlo sié àne ho già sei anni; sié òte sei volte, un numero infinito di volte; te èi bèlo dìto sié òte de no parlà màsa ti ho già detto e ripetuto un numero infinito di volte di non parlare troppo.

 

siéga sf. (pl. siége) sega, segheria. Tòle su la siéga e séeme su dóe léñe prendi la sega e segami un po' di legna; fèi la stràda a la siéga piegare i denti della sega alternativamente da una parte e dall'altra facilitando lo scorrere dell'attrezzo e l'uscita della segatura.; vàdo do da la siéga a tòle n tin de segadìžo vado giù in segheria a prendere un po' di segatura.

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A Lozzo, in paese, fino ai primi anni 50 c'erano tre segherie: la siéga de Komùn, di proprietà comunale, la siéga dei Pelegrìni, di proprietà della famiglia Pellegrini e la siéga dei Karùli. Si servivano tutte e tre dell'acqua del Rin come forza motrice. La segheria dei Karùli negli anni 30 fu elettrificata dopo che la famiglia stessa ha costruito la centralina per la produzione di energia elettrica, centrale tuttora funzionante.

 A Čanpopiàn e in Gogna, c'erano poi altre segherie di proprietà privata. Con l'avvento dell'energia elettrica diverse furono costruite in altre zone non avendo più la necessità di usufruire dell'acqua come forza motrice. La segheria comunale è stata costruita ancora prima del 1600 e ricostruita dopo l'alluvione del 1882 che aveva distrutto quella precedente. É stato vagliato a lungo un progetto di costruzione a Čanpopiàn, dove c'era il cìdolo, ma poi la preferenza è caduta all'interno del paese. Era dotata di una ruota idraulica che sfruttava un salto di 6,5 m ed azionava una sega veneziana. Altri lavori furono eseguiti nel 1907 su progetto dell'ing. De Zolt, dopodiché la segheria continuò a funzionare fino al 1955.

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siegón sm. (pl. siegói) sega molto grande a due impugnature laterali. Viene usata per segare tronchi o altra legna di grosso taglio. Par seà sta bóra, okóre l siegón per segare questo pezzo di tronco ci vuole la sega grande; fig. tirà l siegón ansimare, russare .

 

siélta sf. (pl. siélte) scelta. Fèi na bèla siélta fare una bella scelta, scegliere bene; a siélta a scelta, ad arbitrio.

 

sientì vb. trans. (siénto; sientìo; sientù, sientésto) sentire, ascoltare, gustare, odorare, assaggiare. Sientì frédo, čàudo sentire freddo, sentire caldo; siéntì na prèdika ascoltare una predica; sientì la menèstra, l bró assaggiare la minestra, il brodo; sientì Mésa assistere alla Messa; no sientì nùia essere insensibile; no l siénte da kéla réğa non vuole sentire ragioni; prov. dùte siénte ko le só réğe ciascuno interpreta a modo suo quello che sente. Loc. Èi sientù pròprio ko le me réğe. Te lo assicuro, quello che ti dico è perché sono stato testimone, non riporto detti di altri. Loc. l fién a sientìu, podón di a voltàlo; il fieno ha preso un po' di sole, possiamo rivoltarlo.

 

sientìse vb. rifl. (me siénto; sientìo; sientù, sientésto) prevedere, sentirsi, riconoscersi. Me siénto polìto mi sento bene; me siénto de fèi kel laóro sono in grado di fare quel lavoro; me siénto pì bón de ñànte mi riconosco più buono, migliore di prima; sientìsela sentirsela, essere disposto, considerarsi capace; te la siéntesto? te la senti?, ti consideri capace di fare ciò? Me la sientìo ke ... prevedevo che... (v. sientì).

 

siéra sf. (pl. siére) sera. Al skùro de da siéra il buio della sera; stasiéra o sta siéra stasera; n siéra ieri sera; domàn da siéra domani sera; da da siéra di sera; òñi siéra ogni sera; dadomàn fin a siéra da mattina presto fino a sera; l àutra siéra l'altra sera, due sere fa; l àutra siéra de là tre sere fa; de prìma siéra all'imbrunire.

 

sifón sm. (pl. sifói) tessuto per abito da sposa. Termine derivato evidentemente dal francese “chifon” (cencio), usato anche in italiano a indicare il tessuto bianco leggero tipico dell'abito da sposa. Notare che non esiste a Lozzo il suono italiano sci, e il termine francese “chifon” diventa sifón; kuàn ke la se a maridòu, l avèa n vestì lòngo de sifón quando si è sposata, aveva un bel vestito lungo di chifon. Termine usato anche dagli idraulici per indicare il tubo a forma di collo d'oca che serve per eliminare gli odori dei lavandini,water ecc. Sifón era pure chiamato anche il contenitore con lo spruzzatore per il selz.

 

silafeśànta avv. certamente si. Sésto du a mésa? silafeśànta sei andato a messa? si, certamente.

 

simiotà vb. trans. (simiotéo; simiotèo; simiotòu) scimmiottare, imitare. Àsto fenìu de simiotàme? hai finito di scimmiottarmi?

 

sìna sf. (pl. sìne) rotaia, putrella, traccia. Dal tedesco “Schiene”, rotaia; le sìne del trèno le rotaie del treno; ka okóre na sìna qui c'è bisogno di una putrella. (v. potrèla). Tu va davànte ió véño su la to sìna tu vai davanti, io seguo le tue tracce. Te ses pasòu do pal prà ko na stànğa e te as lasòu dùta na sìna sei passato sul prato con una piccola pianta e hai lasciato le tracce.

 

sìndiko sm. (solo sing.) sindaco. Il sìndiko oltre che essere al vertice dell'amministrazione comunale, era amministratore dei beni della Chiesa nella Parrocchia; sìndiko de la čéśa de San Laurènžo.

 

sinistràda sf. (pl. sinistràde) disastro, infortunio, sventura, fig. rovescio temporalesco. Àsto vedù ke sinistràda? hai visto che razza di temporale?; daspò de kéla sinistràda, no l se a pì remetù dopo quell'infortunio non si è più ristabilito.

 

Siñór sm. (solo sing.) Dio, Gesù Cristo fig. crocefisso. Préa l Siñór, ke dùto vàde dréto prega Dio che tutto vada bene; ke l Siñór te téñe na màn sóra la tèsta che Dio ti protegga; di a busà l Siñór andare a baciare il Crocifisso, secondo la tradizione infatti dopo la processione del Venerdì Santo si va in chiesa a baciare il crocefisso in segno di devozione. Prov. kel ke mànda l Siñór no e mài de màsa quello che il Signore ci manda non è mai troppo, accettare cioè senza riserve la volontà divina. al Siñór no tòle mài dùto il Signore non toglie mai tutto; prov. al Siñór ke mànda l aužèl mànda ànke l granèl la Provvidenza vede e provvede; kel ke l Siñór no vo, i Sànte no puó nessuno può ottenere quello che il Signore Iddio non vuole.

 

siòla sf. (pl. siòle) suola. La siòla de le skàrpe, la siòla déi skarpéte la suola delle scarpe, delle pantofole; la siòla de le skàrpe e fruàda: kóñe kanbiàla la suola delle scarpe è già consumata: bisogna cambiarla.

 

siòlo sm. (pl. siòle) pavimento. Siòlo de làris, de pežuó, de lastói, de tèra batùda pavimento di larice, di abete, di lastoni di pietra, di terra battuta; sfreà l siòlo pulire il pavimento sfregandolo con la brusca.

 

siòlta sf. (pl. siòlte) turno di lavoro di operai, fig. diarrea. Fèi la siòlta de di, de nuóte fare il turno di lavoro di giorno o di notte; avé la siòlta avere la diarrea; a mi l làte peòu me fa veñì la siòlta a me il latte inacidito, provoca la diarrea.

 

siòlto agg. (pl. siòlte, f. siòlta) sciolto, sfuso, non confezionato, prosciolto. Avé la lénga siòlta avere la lingua sciolta, non sapersi controllare quando si parla Tòle n kìlo de farìna siòlta Acquista un kilogrammo di farina non confezionata. Fino agli anni 60 tutta la merce alimentare in genere veniva venduta a misura e non a numero e quasi sempre la gente si presentava in bottega con la propria bottiglia per l'acquisto di olio, vino ecc., o con il proprio sacchetto per le provviste di farina zucchero e altro. Si evitava il costo del recipiente e la tara della carta. (v. sčéto).

 

siór sm. (pl. sióre, f. sióra) signore, signora, ricco. L e n siór è un uomo ricco; ki la èra i pì sióre de Lóže quelli erano i più ricchi del paese; fèi l siór comportarsi da signore, oziare, essere un fannullone; fèi l siór fare l'arbitro durante una partita a carte o a bocce; fèi l siór žènža entràda comportarsi da ricco senza esserlo; fig. i sióre i villeggianti; siór lu signor lei, detto in senso ironico; siór si, siór lu va bene, egregio signore, equivale alla locuzione siór si, siór móna signor si, egregio signore; sióra Àna fame; èi na sióra Àna ke fa paùra ho una fame spaventosa; prov. al màl déi sióre e de n àutra ràža i ricchi sono diversi dai poveri perfino quando sono ammalati; prov. e tré sòrte de sióre: siór si, siór nò, siór móna ci sono tre specie di signori: signor si, signor no e... signor stupido; prov. ài sióre ànke l ğàl pónde vuóve ai ricchi anche il gallo depone le uova, ricchi e anche fortunati; accr. siorón, sioràžo riccone; dim. siorùto signore, ma non troppo; dispr. sioràto riccone, detto in tono enfatico. Prov. e sióre sióre, sióre sióréte, sióre puaréte ci sono diversi tipi di signori: gran signori, signorotti e signori poveretti. L siór déi sióre capostipite della famiglia Barnabò, grossa proprietaria di terreni e boschi che abitava in una casa signorile nella borgata di Pròu.

 

siorarìa sf. (solo sing.) i ricchi nel loro insieme. Prov. nuìže e siorarìa no a debeśuói de konpañìa fidanzati e ricchi non hanno bisogno di compagnia.

 

sioratòna sf. (nome.) Soprannome di famiglia.

 

siorìa sf. (solo sing.) signoria, fig. accidenti, perbacco. Siorìa, siór kuràto signor vostro, signor curato, riverisco, signor parrocco; siorìa, ke màl accidenti, perbacco, quanto male.

 

Sióre sf. (nome) soprannome di famiglia: A Lozzo questa famiglia era proprietaria dell'órto de le Sióre e del palazzo attiguo e che ora è di proprietà della famiglia Da Pra Póa.

 

Siormèmo sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Siorpàule sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Siortìta sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

sirànpa agg. (pl. sirànpe) donna assai magra e malvestita.

 

siràse vb. rifl. (me sìro; sirèo; siròu) raggelarsi dalla paura, inorridire. Me son dùta siràda mi sono gelata tutta; a véde kel puaréto, me son siròu l sàngo a vedere quel povero disgraziato, mi sono sentito gelare il sangue, mi sono spaventato (v. stromì).

 

siròko sm. (solo sing.) scirocco, tempo umido, fanghiglia dovuta al disgelo della neve. Siénte ke siròko senti che scirocco, che umidità; tòlete su le dàlmede parkè senò ko sto siròko pa le stràde, te čàpe frédo nté i pès indossa gli zoccoli perché con tutta questa fanghiglia rischi di buscarti qualche malanno perché ti gelano i piedi.

 

siròpo sm. (pl. siròpe) sciroppo. Siròpo pa la tóse sciroppo per la tosse; dólže kóme l siròpo dolce come lo sciroppo, dolcissimo.

 

siròu agg. (pl. siràde, f. siràda) raggelato dallo spavento, intirizzito dal freddo. Pi siròu de kosì, no se puó èse più intirizzito di così non si può essere.

 

sistemà, sistemàse vb. trans. e rifl. (me sisteméo; sistemèo; sistemòu) sistemare, regolare, riparare, fig. sposare una donna ricca. L a sistemòu dùto ha sistemato, regolato tutto; èi bèlo sistemòu la luóida ho già riparato la slitta; kel la a sistemòu dùte le só fìe quello ha combinato ottimi matrimoni per tutte le sue figlie, oppure ha preparato un notevole patrimonio per le figlie; tó fardèl se a sistemòu polìto tuo fratello si è sistemato, ha sposato una donna molto ricca. Se te čàpo te sistèmo se ti piglio ti do una lezione solenne.

 

sistemòu agg. (pl. sistemàde, f. sistemàda) sistemato, riparato, sposato. Ka e dùto sistemòu polìto qui è tutto a posto; na fémena sistemàda polìto una donna sposata bene.

 

sivànže sm. (solo pl.) avanzi. Mañà i sivànže mangiare gli avanzi; a mi, nte késta čàśa, me tóča mañà sènpre i sivànže in questa casa, sono sempre costretto a mangiare quello che lasciano gli altri.

 

skàfa sf. (pl. skàfe) mensola appesa al muro di cucina su cui si posano piatti e tazze. Spesso sotto la skàfa c'era un mobile senza sportelli con due cassetti per le posate, detto pàs, sul quale si appendevano i paioli ed i secchi dell'acqua. Fig. fèi la skàfa, fossette che appaiono sul viso di un bambino, dopo un rimprovero, nell'imminenza del pianto.

 

skafàl sm. (pl. skafài) scaffale. Si indica soprattutto lo scaffale su cui si appoggiano gli arnesi del mestiere; la piàna e sul skafàl la pialla è sullo scaffale.

 

skagažà vb. intr. (skagažéo; skagažèo; skagažòu) defecare. Il verbo è riferito soprattutto ai bambini che si sporcano e sporcano dappertutto; kel bòča skagažéa dapardùto quel piccolo sporca dappertutto.

 

skagažàda sf. (pl. skagažàde) defecazione abbondante. Kon dùto kel ke l màña l a da fèi de kéle skagažàde ke te salùdo con tutto quello che mangia, deve avere di sicuro una defecazione abbondante.

 

skagažón agg. (pl. skagažói, f. skagažóna, pl. skagažóne) superbo, vanaglorioso. Te ses pròpio n skagažón sei davvero un'individuo superbo, arrogante.

 

skài sm. (inv.) sgabello di legno, fig. gobba. Lo sgabello è soprattutto un arredo in legno della cucina, che si sposta a seconda delle necessità, da una parte all'altra. Viene usato sia per sedervisi che per appoggiarvi i piedi. Quando si mangiava attorno al larìn, con scodella e piatto sulle ginocchia, diventava quasi indispensabile averlo sotto i piedi. Sèntete dó sul skài e sta bón siediti sullo sgabello e sta buono; fig. l e nasù kol skài è nato con la gobba; fig. no se puó sta sentàde su dói skài non si può tenere il piede su due staffe; montà n skài insuperbirsi; dim. skañèl, skañèla; l e tomòu do de l skài si diceva così del primogenito alla nascita del secondo figlio.

 

skàia sf. (pl. skàe) scaglia, scheggia. Me e dù na skàia nte l òčo mi è entrata una scheggia nell'occhio; l a fàto dùto skàe ha ridotto tutto in frantumi; dàme na skàia de formài dammi una scaglia di formaggio.

 

skaià, skaiàse vb. trans. e rifl. (me skaiéo; skaièo; skaiòu) sborsare, pagare, frantumarsi, scheggiarsi. Skàia alòlo ki skèi tira fuori subito i soldi; al piàto se a dùto skaiòu il piatto si è scheggiato completamente. Loc. skàia l òso quello che devi dire dillo subito.

 

skaldìn sm. (inv.) scaldino. Recipiente, in alluminio o spesso in rame, in cui si mette la brace per scaldare il letto. D invèrno la màre me pòrta su nte kànbra l skaldìn parkè no àbie frédo d'inverno la mamma mi porta in camera lo scaldino perché io non abbia freddo (v. sčaudaliéto).

 

skalfarón  sm. (pl. skalfarói) fascetta di straccio che si lega alla zampa della gallina, fasciatura mal fatta. Alle galline viene allacciato una fascetta che unisce una zampa all'altra per impedire che si allontanino troppo dal pollaio o una sola fascetta per distinguerne la proprietà. Le me pìte a dùte l skalfarón négro le galline di mia proprietà hanno tutte una fascetta nera sulla zampa.

 

skalfarón  sm. (pl. skalfarói) calzatura di lana. Si tratta di un modello di calzatura tipico del Cadore, ha la suola di panno rinforzata e viene usata innanzitutto per lavorare nei campi in sostituzione delle scarpe. Tòle su i skalfarói e va a sapà mettiti gli skalfarói e va a zappare il campo (v. nòno, skalfaròto, skufón).

 

skalfarón3 agg. (pl. skalfarói, f. skalfaróna, pl. skalfaróne) individuo sciatto, trasandato, maldestro. Tó suó e pròpio na skalfaróna tua sorella è una persona davvero trasandata (v. skufón).

 

skalfaròto  sm. (pl. skalfaròte) calzatura (v. skalfarón).

 

skalfaròto  sm. (pl. skalfaròte) scanalatura fatta sulla testa o sulla coda dei tronchi che dovevano essere trascinati con i cavalli. In essa venivano conficcati gli stròž per far in si che durante il trascinamento la loro sporgenza non agisse da freno.

 

skalinàda sf. (pl. skalinàde) scalinata, gradinata, fig. salita ripida e faticosa. Le čàśe dei sióre a dùte na gràn skalinàda tutte le abitazioni dei ricchi hanno una grande scalinata.

 

skalisènda sf. (pl. skalisènde) strada ripida e ghiacciata dove i bambini potevano slittare o scivolare con i piedi. I tratti di strada venivano anche ghiacciati appositamente la notte affinché siano pronti il giorno dopo per avvallare i tronchi. Fòra n vàl lònğa èra na skalisènda. La strada di vàl lònğa era ghiacciata.

 

skalmanàse, skalmanà vb. rifl. (skalmanéo, skalmanèo, skalmanòu) agitarsi, muoversi in modo esasperante, detto per lo più dei bambini che sono sempre in movimento. Me neódo l se a skalmanòu dùto l dì mio nipote è stato irrequieto per tutto il giorno.

 

skalžà vb. intr. (skalžéo; skalžèo; skalžòu) scalciare, tirare calci. Kéla vàča skàlža quella mucca scalcia, tira calci. Te skàlže kóme n mùl tiri calci all'indietro come i muli. Skalžà viene usato anche come verbo scalzare. to amìgo l te a skàlžòu dal to pósto il tuo amico ti ha soffiato il posto, scalzato dal tuo lavoro (v. spedažà).

 

skalžàda sf. (pl. skalžàde) calcio, scalciata. L a čapòu na skalžàda nte la pànža ha preso un calcio nella pancia.

 

skalžakàn sm. (pl. inv.) maleducato; usato anche per le persone di sesso femminile! To fardèl e n skalžakàn tuo fratello è un maleducato.

 

skanà, skanàse vb. trans. e rifl. (me skàno; skanèo; skanòu) fiaccare, sfibrare, fiaccarsi, affaticarsi eccessivamente, fig. bere avidamente, ammazzare. No sta skanà ki tośàte non affaticare troppo quei ragazzi; tó pàre se a sènpre skanòu a fòrža de laurà tuo padre si è logorato a forza di lavorare; nkuói pròpio me son skanàda oggi mi sono davvero affaticata, ho speso tutte le mie energie. Me skàno òñi dì na bòža de vìn tracanno ogni giorno una bottiglia di vino. Vién derèto se nò te skàno vieni immediatamente altrimenti ti ammazzo di botte.

 

skanàda sf. (pl. skanàde) faticaccia, sfibramento. Čapà na skanàda fare una faticaccia.

 

skàndol sm. (pl. skàndoi) scandalo, cattivo esempio. Da skàndol dare scandalo.

 

skandalós agg. (pl. skandalóśe, f. skandalóśa) scandaloso, impudico, sporcaccione. No staśé èse skandalóśe non siate scandalose, l'espressione si riferisce ad un abbigliamento che risulta essere poco conveniente, o indecente.

 

skanfurlàda sf. (pl. skanfurlàde) scossa, batosta. Čapàse na skanfurlàda ricevere una batosta alla salute o per l'economia.

 

skanón, skenón sm. (pl. skanói o skenói) stoppia, piante senza foglie. La parte dello stelo più robusta delle erbacce che rimangono sul prato dopo aver falciato. I skanói déi ğerànie i rami dei gerani rimasti senza foglie.

 

skanòu agg. (pl. skanàde, f. skanàda) stanchissimo, sfinito dalla fatica. Nkuói son pròpio skanòu oggi sono davvero sfinito dalla fatica.

 

skanpà vb. intr. (skànpo; skanpèo; skanpòu) scappare, scampare. Skanpà de čàśa scappare di casa; me e skanpòu na biastéma mi è scappata una bestemmia; me e skanpòu da rìde mi è scappato da ridere; serà la stàla daspò ke i bòs e skanpàde ricorrere ai rimedi quando è ormai troppo tardi; a la mòrte no se skànpa dalla morte non si scappa. Da kéla magàña Dio me skànpe da quel terribile male Dio mi scampi.

 

skanpàda sf. (pl. skanpàde) scappata, breve visita. Domàn faśarèi na skanpàda da mé fiól domani farò una breve visita a mio figlio.

 

skànpo sm. (pl. skànpe) scampo, via d'uscita. Ka no e skànpo qui non c'è scampo; ka no e vìa de skànpo qui non c'è via d'uscita.

 

skanpón avv. di sfuggita. De skanpón alla sfuggita. Nsiéra èi vedù la màre de skanpón ieri sera ho visto la mamma di sfuggita.

 

skantinà vb. intr. (skantinéo; skantinèo; skantinòu) vacillare, trovarsi fuori centro, oltrepassare il lecito. fig. comportarsi in modo amorale. Kel tràvo skantinéa na gèra quella trave vacilla un po'; èi n dènte ke skantinéa ho un dente che si muove; me par ke te skantinée n tin mi sembra che tu non ti comporti onestamente; òñi tànto l skantinéa ogni tanto oltrepassa i limiti del buon comportamento, si ubriaca.

 

skantinòu agg. (pl. skantinàde, f. skantinàda) instabile, fuori centro. Vàrda ke kéla fenèstra e skantinàda guarda che quella finestra non chiude bene.

 

skantonà vb. intr. (skantonéo; skantonèo;

skantonòu) evitare il confronto, scansare di affrontare i problemi.

 

skanžìa sf. (pl. skanžìe) scansia, scaffale. Béte i piàte su la skanžìa de l armèr metti i piatti sul ripiano dello scaffale.

 

skanžéta Tenere a freno, razionare denaro e cibo. Nella loc. te téño n skanžéta. Ti tengo a dieta, tengo a freno il tuo appetito. I te tién n skanžéta de dùto ti razionano tutto.

 

skañèl sm. (pl. skañiéi) sgabello. Sinonimo di skài; tòlete l skañèl e sèntete dó n tin prenditi lo sgabello e siediti un pochino.

 

skañèla sf. (pl. skañèle) piccolo sgabello in legno. La skañèla è uno sgabellino molto basso che viene appoggiato sopra la panca del larìn per fare da appoggiatesta a chi desidera riposarsi un po' vicino al fuoco. La skañèla viene adoperata anche come poggiapiedi, soprattutto dalle donne che rimangono a lungo sedute a filare o a fare la calza. Dàme ka n tin la skañèla ke me bìče dó su la bànča apède l fuóu passami lo sgabello perché voglio stendermi un po' sulla panca vicino al fuoco.

 

skàño sm. (pl. skàñe) sgabello. Solo nel prov. kuàn ke la mèrda mónta n skàño o ke la spùža o ke la fa dàno quando una persona da povera diventa velocemente ricca, infastidisce perché diventa altezzosa oppure danneggia il prossimo. Lo stesso proverbio va riferito anche a chi senza capacità o cultura vuol occupare posti importanti, o fa il borioso o reca danno.

 

skapolàse vb. rifl. (me la skapoléo; skapolèo; skapolòu) cavarsela, trovare il modo di cavarsi d'impiccio. Sta òta me la èi skapolàda stavolta l'ho scampata.

 

skarabočà vb. trans. (pl. skarabočéo; skarabočèo; skarabočòu) scarabocchiare, calare l'asso al gioco del skarabòčo per prendere tutte le carte che sono in tavola, scompigliare tutte le bocce giocate. Skarabočà l kuadèrno scarabocchiare il quaderno; se te skarabočèe ñànte, vinžeóne la partìda se avessi calato prima l'asso, avremmo vinto la partita (v. śbočà).

 

skarabòčo  sm. (pl. skarabòče) scarabocchio. Al fòi e pién de skarabòče il foglio è pieno di scarabocchi.

 

skarabòčo  sm. (solo sing.) gioco alle carte. Si tratta di un gioco abbastanza complicato, fra il tressette e lo scopone, che prevede la distribuzione di 13 carte per ciascun giocatore. Dugà a skarabòčo giocare a skarabòčo.

 

skaračà vb. intr. (skaračéo; skaračèo; skaračòu) sputare, espettorare. Ki ke fùma, skaràča sènpre coloro che fumano sputano di continuo.

 

skaràčo sm. (pl. skaràče) sputo catarroso. Da bonóra la stràda e piéna de skaràče la mattina per la strada ci sono molti sputi catarrosi.

 

skardelìse vb. rifl. (skardelìso; skardelìo; skardelìu) restringersi. Detto delle doghe dei mastelli, delle botti e simili che, per mancanza di umidità, si seccano troppo e lasciano delle fessure tra le doghe. Per evitare che questo si verifichi, è necessario immergere il contenitore nell'acqua fin quando la doghe ritornano a combaciare perfettamente. La bóte se a skardelìu: okóre nbonbàla de àga le doghe della botte si sono allentate, bisogna immergerle nell'acqua (v. stonfà, nbonbà).

 

skardelìu agg. (pl. skardelìde, f. skardelìda) allentato, ristretto. L'aggettivo skardelìu si riferisce a qualsiasi manufatto di legno, porta, finestra, o altro infisso che si è mosso, ristretto, o comunque non è più al suo posto e ha generato fessure, spifferi. La causa è l'esposizione al sole o il legno poco stagionato. Al mastèl e skardelìu il mastello presenta delle fessure.

 

skardenžón agg. sm. (pl. skardenžói, f. skardenžóna, pl. skardenžóne) armadio o oggetto di misura ingombrante, persona troppo grande con movenze sgraziate. Añó vósto béte kel skardenžón; de žèrto no nte kośìna dove vuoi mettere quell'armadio enorme? non di certo in cucina!

 

skàrmol agg. (pl. skàrmoi, f. skàrmola, pl. skàrmole) magro, sottile. Mài vedù n tośàto pì skàrmol de tó fiól mai visto un bimbo più mingherlino di tuo figlio; dim. skarmolìn mingherlino, termine molto diffuso.

 

skaròña sf. (solo sing.) scalogna, sfortuna, iella. Se a ronpésto dóe òte la ròda de l čàr, pì skaròña de kosì... si è rotta due volte la ruota del carro, più sfortunato di così ...

 

skaroñòu agg. (pl, skaroñàde, f. skaroñàda) sfortunato, scalognato. Ko le vàče són pròpio skaroñòu, le a sènpre àlgo ke no va con le mucche sono sfortunato, hanno sempre qualcosa che non va.

 

skàrpa  sf. (pl. skàrpe) scarpa. Skàrpe da laóro, skàrpe da fèsta scarpe da lavoro, scarpe della festa; skàrpe da fèr scarpe con chiodi speciali (bròče) poste su tutta la pianta e sui tacchi (feréte). Si usano, per non scivolare, quando si deve lavorare sul ghiaccio o nella neve. Skàrpe bàse scarpe leggere, scarpe da festa; skàrpe kói ğažìn scarpe coi chiodi per non scivolare, ko le bròče con chiodi quadrati lungo il bordo della suola, kói grìfe scarpe con agganciati i ferri da ghiaccio e usate per l'avvallamento dei carichi di fieno e legna d'inverno, kói feréte scarpe con piccoli ferri mobili o fissi appuntiti sui tacchi usati in paese per non scivolare; na skàrpa e n žòkol detto di due cose spaiate, che non vanno d'accordo fra loro, che sono in contrasto; avé le skàrpe ke a fàme avere le scarpe con la tomaia staccata dalla suola sulla punta a mò di bocca aperta; prov. de na bèla skàrpa rèsta na bèla žavàta persona bella da giovane, rimane bella anche quando invecchia; prov. e mèo fruà skàrpe ke lenžuós è sempre meglio essere sani e andare a lavorare che rimanere a letto ammalati. Fig. a fàto na skàrpa de néve la neve ha raggiunto circa dieci centimetri di altezza.

 

skàrpa  sf. (pl. skàrpe) ferro che si mette sotto le ruote del carro. Quando si deve procedere su terreno molto ripido dove il freno comune (vìda) non è sufficiente, dovendo bloccare del tutto le ruote si rende necessario usare le skàrpe. Come ripiego si usavano dei sassi a forma di cuneo.

 

skarpàda sf. (pl. skarpàde) scarpata, pendio, pedata. Sta tènti de no śbrisà do pa la skarpàda stai attento a non scivolare lungo la scarpata, al pendio; èi čapòu na skarpàda dal pàre ho preso una pedata da mio padre.

 

skarpažàda sf. (pl. skarpažàde) calcione, pedata. To fiól meritaràe òñi dì n póče de skarpažàde, tuo figlio meriterebbe essere preso ogni giorno a calci.

 

skarpažón sm. (pl. skarpažói) calcione, pedatone. L èi čapòu a skarpažói l'ho preso a calcioni nel sedere.

 

skarpedà vb. intr. (skarpedéo; skarpedèo; skarpedòu) scarpinare, camminare a lungo facendo fatica. Èi skarpedòu dùto l di e son stràko mòrto ho scarpinato tutto il giorno e sono stanco morto (v. skarpinà).

 

skarpelìn sm. (inv.) scalpellino, colui che lavora e da forma definitiva alle pietre. Kasù da neàutre èra n grùmo de skarpelìn, dalle nostre parti c'erano molti scalpellini.

 

skarpèl sm. (pl. skarpiéi) scalpello. Laurà de skarpèl lavorare con lo scalpello, scalpellare.

 

skarpelà vb. trans. (skarpeléo; skarpelèo; skarpelòu) scalpellare, adoperare lo scalpello.

 

skarpèr sm. (inv.) calzolaio, ciabattino. Pòrta le skàrpe dal skarpèr a resolà porta le scarpe dal calzolaio a farle risuolare (v. sùster).

 

skarpéto sm. (pl. skarpéte) pantofola. È la più comune fra le calzature adoperate, si tratta di una suola molto resistente costituita da diversi strati di panno trapuntato col filo da pontidà; la tomaia molto spesso è di velluto nero e può essere ricamata con fiori dai colori vivaci. Si tratta di una calzatura molto leggera, pratica e comoda che può risultare anche elegante. Di n skarpéte camminare in pantofole; la màre me a fàto n pèi de skarpéte kói fiór la mamma mi ha fatto un paio di pantofole con i fiori ricamati. Nel dopoguerra la suola, molto spesso è stata ricavata da gomma ricoperta, meno salutare ma più duratura ed idonea ad essere usata su terreno bagnato. Parà fòra i skarpéte mettere fuori uso le pantofole, consumare del tutto le pantofole. Loc. Èi la bóča kóme n skarpéto frase che si sente spesso dire dai fumatori al risveglio mattutino, cioè ho la bocca arsa e dal sapore cattivo. Fig. la e n skarpéto è piuttosto brutta, malfatta.

 

skarpìn sm. crespino (bot. Berberis vulgaris). Pianta arbustiva spinosa. Se te màñe i skarpìn te pàsa la séide se mangi alcuni frutti del crespino, ti passa la sete.

 

skarpión sm. (pl. skarpiói) scorpione, fig. individuo brutto e deforme. Sóte na pèra èi čatòu n skarpión ho trovato uno scorpione sotto un sasso; tó madòna e pròpio n skarpión tua suocera è davvero brutta.

 

skarseğà vb. intr. (skarseğéo; skarseğèo; skarseğòu) scarseggiare. Ka skomìnžia a skarseğà dùto qui comincia a scarseggiare tutto.

 

skarsèla sf. (pl. skarsèle) tasca, sacca. Èi le skarsèle piéne de nośèle ho le tasche piene di nocciole; béte nte skarsèla mettere in tasca, intascare, rubare; vèrde la skarsèla aprire la tasca, sborsare denaro; e óra ke tó pàre vèrde le skarsèle è ora che tuo padre apra le tasche, è ora che tuo padre sia più generoso; serà le skarsèle chiudere la sacca, diventare avaro. Al te béte nte skarsèla è molto più scaltro di te, ti tiene in pugno.

 

skarselà, skarselàse vb. intr. e rifl. (me skarseléo; skarselèo; skarselòu) intascare, riempire le tasche. Mañà ma no skarselà mangiare senza intascare, detto di chi è invitato a pranzo e mette in tasca qualcosa senza farsi vedere; me èi skarselòu de suśìn mi sono riempito le tasche di susine.

 

skarselìn sm. (inv.) taschino, fig. portamonete. Arlòio da skarselìn orologio da taschino; béte nte skarselìn mettere nel taschino, intascare; serà l skarselìn chiudere la borsa, non spendere più.

 

skarsità sf. (solo sing.) scarsità, carestia. Skarsità de pàn, de formài scarsità di pane, di formaggio.

 

skartà vb. trans. (skàrto; skartèo; skartòu) scartare. Skartà l formài togliere la carta al formaggio; skartà l trìsto scartare ciò che non è buono; skartà l àso scartare l'asso nel gioco delle carte; kel là e stòu skartòu a la lèva è stato dichiarato non idoneo al servizio militare.

 

skartafàžio sm. (pl. skartafàžie) libretto per note e appunti, plico di carte. L e ruòu ko n gruùmo de skartafàžie è arrivato con una grande quantità di carte; kè vósto ke fàže ko ste skartafàžie? che cosa vuoi che faccia di tutte queste pratiche?

 

skartìn  sm. (inv.) carta da gioco senza alcun valore. Bìča dó i skartìn e tién su l àso gioca le carte senza valore e conserva l'asso.

 

skartìn  sm. (inv.) Saracco con costola, arnese del falegname.

 

skàrto sm. (pl. skàrte) scarto, cosa di poco valore. Tu te as mañòu l bón e a mi te me as lasòu i skàrte ti sei preso la parte buona e mi hai lasciato gli scarti.

 

skartòž sm. (pl. skartòže) cartoccio. Al se a mañòu n skartòž de pèrsege ha mangiato un cartoccio di pesche; vèrde l skartòž aprire il cartoccio, scartocciare; fèi su n skartòž fare un cartoccio; desfèi i skartòž slegare i cartocci delle foiòle, scartocciare le brattee delle pannocchie.

 

skasà vb. trans. (skàso; skasèo; skasòu) scassare, fracassare, cullare. A tènti a no skasà dùto attento a non fracassare tutto; skasà la kùna dondolare la culla.

 

skatarà vb. intr. (skataréo; skatarèo; skataròu) scatarrare, tossire e sputare insieme. Èi čapòu na kostipažión ke no te dìgo, skataréo a dùte le óre sono proprio raffreddato, tossisco e scatarro di continuo.

skatarós agg. (pl. skataróśe, f. skataróśa) catarroso. Detto specialmente di chi è affetto dalla bronchite cronica. Žèrto ke kon kéla malóra ntórnete te ses deventòu n skatarós certo che da quanto sei malato, sei diventato un catarroso.

 

skàtol sm. (pl. skàtoi) recipiente di legno per conservare la farina. È un recipiente basso, di forma cilindrica con il fondo in legno. Lo stesso recipiente senza il fondo di legno viene adoperato per dare la forma al formaggio appena fatto; dàme n skàtol de farìna dàla dammi un recipiente di farina gialla (v. fasèra, làte).

 

skaturì vb. (skaturiso; skaturìo; skaturìu). Mandar via, cacciare qualcuno con brutte maniere intimidendolo. La nène me a skaturìu pì de nòta. La zia mi ha cacciato brutalmente più volte. Loc. lo èi skaturìu, lo ho spaventato.

 

skaturlà vb. trans. (skaturléo; skaturlèo; skaturlòu) spaventare, cacciare via qualcuno con uno spavento. Skaturléa n òta ki śbòger ke no puói pi caccia via quei ragazzacci perché non ne posso più; skaturlà le pìte cacciar via le galline spaventandole.

 

skaturlàda sf. (pl. skaturlàde) grave ammonizione, severa lezione. Kel tośàto a debeśuói de na bòna skaturlàda quel ragazzino ha bisogno di una lezione molto severa, di qualcosa che lo spaventi.

 

skatùrlo agg. (pl. skatùrle, f. skatùrla) pazzerello, scriteriato. To fiól da tośàto èra n tin skatùrlo tuo figlio da giovane era un po' pazzerello, un po' sventato.

 

skavažà vb. trans. (skavàžo, skavažéo; skavažèo; skavažòu) spezzare, fare a pezzi, rompere. Skavažà su dóe léñe fare a pezzi con le mani un po' di legna; skavažà na piànta spezzare in tàe un tronco d'albero abbattuto usando la mannaia o altri arnesi da taglio; se te me rùe sóte le śgrìnfe, te skavàžéo se mi capiti tra le mani, ti spacco le ossa. Ñànte ke i me le konbìne gròse i skavàžo le ğànbe prima che mi facciano qualcosa di irreparabile rompo loro le gambe. Minaccioso modo di educare che intendeva dire: riga dritto altrimenti ti sistemo.

 

skavéž  sm. (pl. inv.) pianta giovane, remo.

L pàre me a lasòu n bósko de sólo skavéž il papà mi ha lasciato un bosco di sole piante giovani.

 

skavéž  agg. (pl. skavéže, f. skavéža) giovincello, ragazzotto presuntuoso, fig. scampolo. Sta bón, ke te ses nkóra n skavéž stai buono perché sei ancora un ragazzino senza esperienza; n skavéž de frustàño uno scampolo di fustagno.

 

skavežòto sm. (pl. skavežòte) giovane animale. Il termine va riferito soprattutto al maiale di pochi mesi che deve essere ingrassato e poi macellato, fig. giovincello, ragazzino. Konprà n skavežòto comperare un maialino di pochi mesi; vàrda ke bèl skavežòto guarda che bel giovane.

 

skéna sf. (pl. skéne) schiena, dorso. Màl de skéna mal di schiena; l fìlo de la skéna la colonna vertebrale; avé la skéna dréta avere la schiena dritta, non aver voglia di lavorare; di n skéna, cadere all'indietro, meravigliarsi molto al punto di svenire; montà su la skéna salire sulla schiena, cavalcare; laurà de skéna lavorare normalmente sodo; dormì n skéna dormire sul dorso, supini; voltà la skéna voltare la schiena, voltare le spalle; avé na bòna skéna avere una buona schiena, essere vigorosi e volenterosi; avé la faméa su la skéna avere la famiglia a carico. Vàrda ke skéna guarda che uomo robusto. Accr. skenóna, dim. skenùta.

skenàl sm. (pl. skenài) schienale. Al skenàl de la kariéga la spalliera della sedia.

 

skèo sm. (pl. skèi) soldo, centesimo, centimetro. Kél la a n grùmo de skèi quello ha una gran quantità di denaro; dàme diéśe skèi dammi dieci centesimi; lòngo trènta skèi lungo trenta centimetri; al mé skèo il mio caro bambino; no valé n skèo non valere nulla; fèi skèi kóme ğàra guadagnare a palate; i mànča sènpre žìnke skèi par fèi n frànko gli mancano sempre cinque centesimi per fare una lira, detto di chi non si accontenta mai; prov. skèi e santità: metà de la metà quando si sente dire di qualcuno che è molto ricco o molto buono, è prudente non crederci troppo; prov. ki ke no a skèi nte bórsa àbie miél nte bóča chi è povero deve avere altre qualità come la gentilezza e la dolcezza nel linguaggio se vuol ottenere qualcosa; prov. i skèi e l amižìžia, i čàva la ğustìžia i soldi e l'amicizia uccidono la giustizia; prov. ki ke a i skèi, a là reśón chi possiede denaro, è sempre dalla parte della ragione; prov. skèi fa skèi la ricchezza produce altra ricchezza.

 

skeržà vb. intr. (skèržo; skeržèo; skeržòu) scherzare. No sta skeržà kon me non scherzare con me, comportati seriamente; me nòra skèrža kon dùte mia nuora scherza, parla e ride con tutti; tu te as sènpre vòia de skeržà tu hai sempre voglia di scherzare; prov. skèrža kói fànte ma làsa stà i sànte nelle questioni religiose non si scherza.

 

skèržo sm. (pl. skèrže) scherzo, burla, fig. impressione, deformazione. Késti e skèrže ke no me piàśe questi sono scherzi che non mi piacciono; a véde kéla ròba me a fàto n žèrto skèržo nel vedere ciò, ho provato un forte turbamento, mi ha impressionato; al lén vérdo fa sènpre skèrže il legno non stagionato subisce sempre qualche deformazione.

 

skerzonà vb. int. (skeržonéa, skeržonèa,

skèržonòu) scherzare in modo pesante, volgare. L e sólo bón de skeržonà è solo capace di scherzare in modo volgare.

 

skiànto sm. (pl. skiànte) albero abbattuto violentemente dalla tempesta o dalla neve, albero danneggiato. Stan al néve a fàto n deśìo de skiànte nte l bósko quest'anno la neve ha provocato l'abbattimento di una grande quantità di piante nel bosco; da sto skiànto vién fòra n grùmo de léñe da quest'albero abbattuto si potrà ricavare una grande quantità di legna da ardere .

 

skìfo sm. (solo sing.) schifo, ribrezzo. Fèi skìfo fare schifo, suscitare ribrezzo; kamìna, ke te me fa skìfo vattene perché mi fai ribrezzo.

 

skifóśo agg. (pl. skifóśe, f. skifóśa) schifoso, nauseante. Spesso il termine assume il valore più eufemistico di impertinente, insolente. Késta menèstra e skifóśa questa minestra è nauseante; va vìa, skifóśo vattene e non fare l'impertinente.

 

skìta sf. (pl skìte) sterco di uccello, diarrea, paura. Ka e dapardùto skìte de pìta, de aužiéi, de žìrie qui dappertutto ci sono escrementi di gallina, di uccelli, di rondini; avé la skìta avere la diarrea; proà la skìta provare una grande paura (v. skitarèla).

 

skitàda sf. (pl. skitàde) esplusione di escrementi dell'uccello (v. skitarlàda).

 

skitarèla sf. (pl. skitarèle) diarrea, fig. paura, tremarella. La mostàrda me fa sènpre n tin de skitarèla la mostarda mi provoca sempre un po' di diarrea; čapà la skitarèla prendere paura, spaventarsi (v. skìta).

 

skitarlà vb. intr. (skitarléo; skitarlèo; skitarlòu) sporcare dappertutto con gli escrementi. Il verbo si riferisce soprattutto alle galline che sporcano dappertutto; kópa kéla pìta, ke la skitarléa dapardùto uccidi quella gallina perché sporca dappertutto. Fig. te skitarlée dapardùto sei disordinato, metti le cose sparpagliate dappertutto (v. skità).

 

skitarlàda sf. (pl. skitarlàde) evacuazione degli escrementi. Detto specialmente degli uccelli o di persona che ha la diarrea; ke vó di dùte ste skitarlàde de pìta? come mai tutti questi escrementi di gallina? (v. skitàda).

 

skitarlós agg. (pl. skitarlóśe, f. skitarlóśa) diarroico. E n tokéto ke l pùpo e skitarlós, no l sta mìa polìto è un po' di tempo che il bimbo è diarroico, non sta mica bene.

 

skìto sm. (pl. skìte) escremento di volatile. Skìto de pìta, skìto de aužèl escremento di gallina, di uccello; fig. al mé skìto il mio caro bambinello, detto affettuosamente ad un bambino in ritardo di crescita.

 

skivà vb. trans. (skìvo; skivèo; skivòu) schivare, evitare, scansare. Skivà na parsóna, n màl evitare una persona, evitare un malanno.

 

skìž, skìžo. (pl. skìže) schizzo, disegno. fig. i skìže de la polènta gli schizzi che fa la polenta quando bolle (v. skižàda).

 

skižà vb. trans. (skìžo; skižèo; skižòu) schiacciare. Skižà le kùče, le nóśèle schiacciare le noci, le nocciole.

 

skižàse vb. intr. e rifl. (me skìžo; skižèo; skižòu) schizzarsi, schiacciarsi, sprizzarsi, bagnarsi d'acqua o sporcarsi di schizzi di fango o d'altro. Skižàse n déido schiacciarsi un dito; l àga skìža dapardùto l'acqua schizza dappertutto; staśé tènti ke la polènta skìža fòra state attenti perché la polenta, quando bolle, schizza; skižà fòra schizzare fuori, detto di animale che fugge velocemente da un luogo chiuso; la sorìža e skižàda fòra il sorcio è schizzato fuori dalla tana ed è scappato velocemente; skižà vìa schizzare via, scappare velocemente; al fuóu e skižòu derèto il fuoco è sprizzato subito; me èi skižòu su dùto do dal brénte mi sono bagnato tutto con gli spruzzi d'acqua della fontana; te skìžo nte pa l mùro ti schiaccio contro il muro. Fig. nó te me la skìže non me la dai ad intendere.

 

skižàda sf. (pl. skižàde) schizzo, schizzata, spruzzo. Na skižàda de àga uno spruzzo d'acqua; na skižàda de polènta uno schizzo di polenta (v. skìž).

 

skižapatàte sm. (inv.) schiacciapatate. Tòle l skižapatàte ke paréčo dói ñòke da disnà prendi lo schiacciapatate che preparo gli gnocchi per pranzo. (v. strukapatàte).

 

sklòk sm. (inv.) solonella loc. vìve a sklòk vivere a spese altrui, vivere da parassita.

 

sklokà vb. trans. (sklòko; sklokèo; sklokòu) scroccare, vivere a spese degli altri. Kel la a sènpre sklokòu nte la só vìta quello ha sempre vissuto a scrocco.

 

sklokón agg. (pl. sklokói, f. sklokóna, pl. sklokóne) scroccone, parassita. Avéu fenìu de fèi i sklokói? avete finito di fare gli scrocconi?

 

sklòk sm. (inv.) chiavistello, paletto. Tirà vìa l sklòk tirare il chiavistello, chiudere la porta; serà kol sklòk chiudere la porta col paletto; la pòrta a fàto sklòk il rumore fatto dal chiavistello mi segnala che la porta è chiusa.

 

skóa  sf. (pl. skóe) scopa. Tòle su la skóa e néta n tin fòra sto siòlo prendi la scopa e pulisci un po' questo pavimento; se no te tàśe, tòlo su la skóa se non taci, prendo la scopa e ti picchio. Skóa de ràče, de ślòda, usata per pulire le strade; skóa de piùma, usata per pulire le camere; skóa de sağìna, per pulire la cucina. Dàme na bòna skóa, se la va sóla e nkóra mèo, all'acquisto di una scopa si aggiungeva con ironia che non comporti fatica nell'usarla.

 

skóa  sf. (solo sing.) scopa. Gioco alle carte; dugà a skóa giocare a scopa.

 

skoà vb. trans. (skóo; skoèo; skoòu) pulire con la scopa. Il verbo è spesso seguito da un avverbio che ne chiarisce il senso con precisione; skoà vìa scopare allontanando l'immondizia; skoà su scopare raccogliendo la sporcizia; skoà fòra scopare e spingere la sporcizia fuori dell'ambiente da ripulire; skoà le sàle pulire le scale; al tènpo skóa vìa dùto il tempo aiuta a dimenticare ogni cosa; skóa vìa i morós secondo una superstizione si ritiene che se scopando si toccano le scarpe di una ragazza da sposare, è destino che la fanciulla poi non riesca più a trovar marito; nte kéla čàśa la skóa e sènpre nuóva in quella casa la pulizia lascia molto a desiderare; prov. ñànte de dùto se skóa davànte la só pòrta prima di tutto bisogna occuparsi dei fatti propri; prov. puóra kéla čàśa añó ke la skóa e sènpre nuóva grama è la vita nella casa in cui non c'è pulizia. (v. spažà).

 

skoàda sf. (pl. skoàde) scopata. Saràe mèo ke te dae na bòna skoàda a la to kànbra nvénži de stà ko le màn nte màn sarebbe meglio che tu dia una bella scopata alla tua camera invece di stare con le mani in mano ad oziare

 

skoadùra sf. (pl. skoadùre) spazzatura, immondizia raccolta con la scopa. La skoadùra tientéla davànte le to pòrte non gettare l' immondizia davanti alla mia porta (v. skoàže).

 

skoadùre sf. (pl. inv.) spazzatura. Tòle su le skoadùre raccogli la spazzatura.

 

skoarìa sf. (pl. skoarìe) spazzatura, lerciume. Fèi dùto na skoarìa sporcare dappertutto.

 

skoàtol sm. (pl. skoàtoi) scopino, scopetto. Èi konpròu n skoàtol ho comperato uno scopetto, una piccola scopa.

 

skoàža sf. (pl. skoàže) spazzatura, pattume, fig. donna sciatta e sporca. Pòrta vìa le skoàže porta via il pattume; vàrda ke no son la tò skoàža guarda che non sono una cosa che puoi buttare via a tuo piacimeto (v. skoadùra).

 

skoažèra sf. (pl. skoažère) pattumiera, fig. detto di chi è ricettacolo di ogni vizio, bruttura, cattiveria. Bìča dùto nte skoažèra e pòrta vìa butta il pattume nella pattumiera e porta via tutto; no èi mài vedù na skoažèra kóme kéla la non ho mai visto una donna piena di vizi e che raccoglie i pettegolezzi di tutto il paese.

 

skodà vb. intr. (skodéo; skodèo; skodòu) assottigliarsi pronunciato del diametro di un albero dalla base alla cima. Dùte sti làris skodéa màsa tutti questi larici sono troppo a forma conica e di conseguenza hanno meno valore commerciale .

 

skòde vb. trans. (skòdo; skodèo; skodésto) riscuotere, incassare. Kuàn ke skòdo te pàgo quando incasserò, ti pagherò; sta bón, se nò te le skòde stai buono altrimenti ti picchio. Fig. Fèi skòde creare spazio per non intralciare il movimento di oggetti ecc.

 

skofarà vb. trans. (skofaréo; skofarèo; skofaròu) sgusciare, sbaccellare. Skofarà i faśuói, i bìśe togliere il baccello ai fagioli, ai piselli; skofarà le nośèle togliere l'involucro di copertura verde delle nocciole.

 

skofarèla sf. (pl. skofarèle) nocciola matura, sgusciabile. Le nocciole si sgusciano facilmente solo quando sono mature. Le nośèle bòne e kéle skofarèle, ko le a l ku ros le nocciole saporite sono quelle mature, quelle che si riescono a sgusciare facilmente.

 

skòla sf. (pl. skòle) scuola. Edifici scolastici Di a skòla andare a scuola; molà de skòla uscire di scuola alla fine delle lezioni; kuàn ke i te mòla de skòla, va a menà fòra de stàla quando esci di scuola, va a portare il letame fuori dalla stalla.

 

skòla  sf. (pl. skòle) confraternita. Skòla dei Batùde confraternita dei Battuti.

 

Skòla  sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

skolà vb. trans. (skólo; skolèo; skolòu) scolare, scollare, affaticarsi. Skolà la pàsta scolare la pasta; a fòrža de portà gràsa me son skolàda a forza di portare letame mi sono affaticata molto.

 

skoladói sm. (inv.) scolatoio. Il termine indica soprattutto lo scolatoio per i piatti. To suó no sùia mài do i piàte, la i béte sul skoladói e la làsa ke i se sùie sóle tua sorella non asciuga mai i piatti, li ripone sullo scolatoio e lascia che si asciughino da soli (v. skoladóra).

 

skoladóra sf. (pl. skoladóre) scolatoio. E óra ke te te kónpre na skoladóra nuóva è ora che ti comperi uno scolatoio nuovo (v. skoladói).

 

skolaménto sm. (pl. skolaménte) rompiscatole, individuo noioso, importuno, fig. cianfrusaglie. Te ses pròpio n skolaménto sei davvero un rompiscatole; al plurale assume anche il significato di cianfrusaglie, carabattole; no sèi pròpio ke fèi de dùte sti skolaménte non so proprio cosa farmene di tutte queste cianfrusaglie.

 

skolamentòu agg. (pl. skolamentàde, f. skolamentàda) seccatore, rompiscatole. Me neódo devènta di par di pì n skolamentòu mio nipote ogni giorno che passa diventa sempre di più un seccatore (v. skolaménto).

 

skolapàste sf. (inv.) colapasta, colatoio. Èi molòu do l skolapàste e l se a rónpesto ho lasciato cadere lo scolapasta e si è rotto.

 

skòlo sm. (solo sing.) siero. È ciò che rimane del latte dopo averne ricavato burro, formaggio e ricotta. Il liquido viene distribuito ai soci della latteria per nutrire i maiali; va a tòle na séğa de skòlo vai alla latteria a prendere un secchio di siero; skòlo de mùl il siero da cui si ottiene la ricotta.

 

skolón sm. (pl. skolói) attrezzo usato dallo spazzacamino o come spazzaforno. Pertica alla cui estremità è legato un grosso straccio avvolto a mo di palla che serve per pulire il forno del pane, quando invece si deve pulire un camino lo straccio viene legato all'estremità di una corda. Il metodo più diffuso, perché più efficace, è quello di usare un piccolo abete folto di rami che veniva calato dall'alto e tirato con una corda.

 

skoltà vb. trans. (skólto; skoltèo; skoltòu) ascoltare, dar retta, spiare. Skoltà la prèdika ascoltare la predica; skólteme: pàrlo pal tò bén ascoltami, dammi retta: parlo per il tuo bene; skólta kè ke i dis e daspò te me kónte presta attenzione a quello che dicono e poi mi riferisci.

 

skomenžià vb. trans. e intr. (skoménžio; skomenžièo; skomenžiòu) cominciare, iniziare. Skomenžià l laóro cominciare il lavoro; skomenžià a laurà cominciare a lavorare; tornà a skomenžià ricominciare; prov. al pì sta nte l skomenžià in qualsiasi cosa, l'importante è incominciare (v. skominžià).

 

skomésa sf. (pl. skomése) scommessa. Pèrde la skomésa perdere la scommessa; fèi na skomésa fare una scommessa, scommettere; ñànke par skomésa neppure per scommessa, per nessuna ragione; loc. sta su par skomésa stare in piedi per scommessa, reggersi a fatica, essere in bilico.

 

skométe vb. trans. (skométo; skometèo; skometésto, skometù) scommettere. Skométo diéśe frànke scommetto dieci lire; skométo ke nkuói l pióve scommetto che oggi pioverà; skométo la tèsta ke... sono sicurissimo che...

 

skominžià vb. trans. (skomìnžio; skominžièo; skominžiòu) cominciare. Skomìnžia a di a fèi dóe léñe pa st invèrno comincia a preparare della legna per quest'inverno (v. skomenžià).

 

skonbàte vb. intr. (skonbàto; skonbatèo; skonbatù, skonbatésto) lottare, darsi da fare, irritare, prendersela con qualcuno. Nte la vìta èi sènpre skonbatù nella vita ho sempre dovuto lottare; no sta fèime skonbàte non farmi irritare, non darmi troppo da fare; tu te ngrìnte to pàre e daspò lùi l skonbàte kon me tu fai irritare tuo padre e dopo lui se la prende con me.

 

skònde, skòndese vb. trans. e rifl. (me skòndo; skondèo; skondésto, skondù) nascondere, occultare, nascondersi. Skònde sta ròba nte skarsèla nascondi questa roba nella tasca; béte a skònde mettere via; di a skòndese andare a nascondersi; va a skòndete vai a nasconderti, fig. vergognati; skònde vìa nascondere, far finta di non vedere; prov. tirà la pèra e skònde l bràžo lanciare il sasso e nascondere il braccio, provocare qualcosa senza farsi vedere; dugà a se skònde giocare a nascondersi, giocare a nascondino; prov. kuàn ke l èrba e seàda, nisùn puó skòndese alla luce del sole è impossibile ingannare.

 

skondón avv. di nascosto. De skondón di nascosto, nascostamente; fèi le ròbe de skondón fare le cose di nascosto, furtivamente.

 

skonfì vb. intr. (skonfìso; skonfìo; skonfìu) ribattere, insistere, sostenere una cosa pur sapendola falsa. Parkè skonfìsesto sènpre? perché ribatti sempre?; no sèrve ke te skonfìse: le ròbe le e kosì è inutile che tu sostenga il contrario: le cose stanno così.

 

skonğurà vb. trans. (skonğuréo; skonğurèo; skonğuròu) scongiurare, pregare. Te skonğuréo, fiól mè, no sta fèi kosì ti scongiuro figlio mio, non comportarti così.

 

skonpartì vb. trans. (skonpartìso; skonpartìo; skonpartìu) scompartire, fare le parti. Vàrda de skonpartì polìto la ròba cerca di fare bene le divisioni, cerca di essere imparziale nel fare le parti.

 

skontà vb. trans. (skónto; skontèo; skontòu) scontare, espiare. Skónteme àlgo fammi un po' di sconto; skontà i só pekàs scontare i propri peccati.

 

skónto sm. (pl. skónte) sconto, riduzione del costo. Fèi n tin de skónto fare un po' di sconto, diminuire un po' il prezzo.

 

skònto agg. (pl. skònte, f. skònta) nascosto, celato, segreto. Tiénte skònto tieniti nascosto, nasconditi; sta skònto davòi la pòrta stare nascosto dietro la porta; de skònto o de skondón di nascosto, nascostamente.

 

skontòrže vb. trans. (skontòržo; skontoržèo; skontoržésto, skontoržù) procurarsi una contusione, slogarsi. Skontòržese na konóğa slogarsi un polso.

 

skontràse vb. rifl. (me skòntro; skontrèo; skontròu) scontrarsi, cozzare. Me son skontròu mi sono scontrato, ho cozzato.

 

skóñe vb. imp. (skóñe; skoñésto; skóñù) dovere, essere obbligati, esserci bisogno. Il verbo viene adoperato preferibilmente con valore impersonale pur presentando anche molte forme personali. Skóñe fèi kosì devo fare così; èi skoñésto partì son dovuto partire; skoñarèi sautà la žéna sarò costretto a saltare la cena (v. kóñe).

 

skopetón sm. (pl. skopetói) salacca affumicata. Mañà polènta e skopetón mangiare polenta e salacca, era il pasto della gente ridotta allo stato di indigenza. Come l'aringa il pesce veniva appeso alla catena del focolare e i commensali si limitavano ad insaporire la polenta toccandolo con un boccone alla volta. Alla fine, il pesce vero e proprio veniva suddiviso solamente fra i membri maschili della famiglia, nelle famiglie numerose a chi toccava la testa si poteva dire fortunato in quanto era il pezzo più grande. No e pì i tènpe del skopetón, adès mañón de dùto sono passati i tempi in cui si mangiava la salacca, ora i menù sono variegati e abbondanti.

 

skòpola sf. (pl. skopòle) schiaffo, batosta. Sta bón, se nò te dào na skòpola stai buono altrimenti ti do un ceffone; l a čapòu na skòpola ke i bàsta pa n tokéto ha preso una batosta che gli basta per un pezzo.

 

skòrde vb. trans. (skòrdo; skordèo; skordésto) accompagnare. Accompagnare al treno, alla corriera, in cimitero. Son dù a skòrde mé fardèl ke l partìa pa l Amèrika ho accompagnato mio fratello che partiva per l'America; son dù a skòrde l nòno do n porteà sono andato al funerale del nonno; l èi skordésto pa n tokéto l'ho accompagnato per un po'. Skòrde a la pòrta accompagnare all'uscita per accomiatarsi. Va su ntin a skòrde to nòno fa un po' di strada assieme a tuo nonno. Spesso il detto voleva dire portare la luóida o le funi o anche solamente dialogare con lui.

 

skoréda sf. (pl. skoréde) scoreggia, peto. Molà na skoréda fare un peto; loc. mùśo da skoréde faccia da peti, faccia pallida; skoréda sofeàda scoreggia soffocata (v. lòfia).

 

skoredà vb. intr. (skoredéo; skoredèo; skoredòu) scoreggiare. La menèstra de faśuói fa skoredà la minestra di fagioli fa scoreggiare.

 

skoredàda sf. (pl. skoredàde) scoreggia rumorosa. Àsto sientìu ke skoredàda? hai sentito che scoreggia?

 

skoredón agg. (pl. skoredói, f. skoredóna, pl. skoredóne) scoreggione, fig. borioso, vanitoso, che parla a vanvera. Èse n skoredón essere uno scoreggione o essere altezzoso.

 

skorsonà vb. trans. (skorsonéo; skorsonèo; skorsonòu) cacciare via a parole e gesti. Skorsonéa n tin ki śbòger caccia un po' via quei ragazzacci; no podèo pì e l èi skorsonòu non ne potevo più e l'ho cacciato via.

 

skorsonàda sf. (pl. skorsonàde) cacciata, espulsione, fig. ramanzina, lavata di capo. Tó fiól avaràe debeśuói de na bòna skorsonàda tuo figlio avrebbe bisogno di una buona lavata di capo.

 

skòrž sm. (inv.) sciavero. Ciascuna delle due assi, curve al lato esterno dove rimane la corteccia e piane dall'altro, che risultano dopo aver segato un tronco longitudinalmente. Primo taglio longitudinale di un tronco da entrambe le parti. Il ricavato della vendita dei skòrž, žòk, rìsče e segadìžo pareggiava normalmente il costo del segàt. Di a tòle dói skòrž andare a prendere degli sciaveri, si tratta di materiale di scarto che viene utilizzato per far fuoco o per costruire palizzate (v. soteskòrž).

 

skòrža sf. (pl. skòrže) scorza, buccia, corteccia. La skòrža de le patàte, déi póme la buccia delle patate, delle mele; la skòrža de pežuó, de làris la corteccia dell'abete, del larice; loc. di a skòrže andare nel bosco per raccogliere le cortecce rimaste dal taglio delle piante; prov. par bičà vìa le skòrže del formài, okóre manteñì sète vàče sul sò per scartare le croste del formaggio, è necessario mantenere sette mucche con il fieno dei propri prati, cioè solo chi è ricco può permettersi di fare sprechi; notare che un tempo la crosta del formaggio veniva solo grattata appena dalla muffa, veniva considerato schizzinoso chi grattava troppo o la toglieva. prov. ròba fàta par fòrža no val na skòrža ciò che viene fatto per forza, non vale nulla, ogni lavoro fatto forzatamente non soddisfa chi lo fa e non frutta a chi lo ordina.

 

skoržéto sm. (pl. skoržéte) cotenna di maiale, cotechino. La cotenna viene prima lessata e poi macinata con altre carni scarte, quindi insaccata. Mañà polènta e skoržéto mangiare polenta e cotechino.

 

skotà, skotàse vb. trans. e rifl. (me skòto; skotèo; skotòu) scottare, ustionare, scottarsi, ustionarsi. Skòta dóe èrbe pal kùčo preparare delle erbe appena scottate per il maiale; nkuói l skòta oggi il sole scalda molto; la menèstra, l kafè skòta la minestra, il caffè scottano, sono bollenti; késte e ròbe ke skòta queste sono cose gravi che scottano, che offendono; la tèra skòta sóte i pès la terra scotta sotto i piedi, essere impaziente, avere premura di andarsene; i skèi i te skòta nte man non sai risparmiare, spendi subito il denaro; prov. ki ke e stàde skotàde na òta, i a paùra ànke de l àga fréda chi è stato scottato una volta, ha paura anche dell'acqua fredda, spesso il proverbio viene usato come metafora negli affari (v. skotifà).

 

skotàda sf. (pl. skotàde) scottata, scottatura, ustione. čapà na skotàda prendersi una scottatura; da na skotàda a le patàte dare una leggera cottura, lessare le patate solo un po'; fig. čapà na skotàda ricevere una severa lezione, una dura stangata (v. śbroà).

 

skotadùra sf. (pl. skotadùre) scottature. Fàsete kéla skotadùra metti una fascia su quella scottatura (v. skotàda).

 

Skòte sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Skotìn sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

skotifà, skotifàse vb. trans. e rifl. (me skotiféo; skotifèo; skotifòu) cucinare appena appena, rischiare di prendere una scottatura. Tu no te kuóśe la ròba, te la skotifée tu non cuoci del tutto i cibi, li lasci quasi crudi; vàrda ke l sól te skotiféa sta attento che il sole ti brucia; nkóra n tin ke staśèo su parpède l fuóu, me skotifèo se fossi rimasto ancora un po' vicino al fuoco, mi sarei ustionato.

 

skotifàda sf. (pl. skotifàde) scottatura, leggera cottura dei cibi. Čapà na skotifàda procurarsi una scottatura.

 

skotinfón sm. (pl. skotinfói) cucitura o rammendo fatti male. Par adès tìra su n skotinfón daspò te kośiràs mèo Provvisoriamente dai una cucita alla buona, quando avrai più tempo la farai per bene.

 

skreanžòu agg. (pl. skreanžàde, f. skreanžàda) screanzato, maleducato. Te ses pròpio n skreanžòu sei davvero maleducato.

 

skrévol agg. inv. Croccante, che sbriciola. Dicasi del legno che si rompe non nella direzione voluta, che si sbriciola. Radìčo skrévol, radicchio croccante che appena si tocca si rompe.

 

skrìto sm. (pl. skrìte) scritto, lettera. Čapà n skrìto ricevere una lettera, uno scritto; lasà skrìto fare testamento; prov. kél ke e skrìto lasù, nisùn puó desfèi ka dó nessuno può cambiare il proprio destino.

 

skritùra sf. (pl. skritùre) scrittura, calligrafia. Bèla skritùra bella scrittura, calligrafia; na skritùra da pìta una scrittura da gallina, una brutta scrittura.

 

skrituràl sm. (pl. skriturài) scrivano, impiegato comunale. Me fiól fa l skrituràl n ofìžio mio figlio è impiegato in Municipio.

 

skrivànte sm. (inv.) scrivano. Il termine sta ad indicare anche l'incaricato addetto ad aiutare il Marigo ad amministrare la contabilità della Regola.

 

skrìve vb. trans. (skrìvo; skrivèo; skrivésto) scrivere. Skrìve na létra scrivere una lettera; nparà a skrìve imparare a scrivere; nseñà a skrìve insegnare a scrivere; no savé skrìve ñànke l só nòme non saper scrivere neppure il proprio nome, essere analfabeta, essere ignorante.

 

skróa sf. (pl. skróe) scrofa, fig. donna poco seria. Kéla la e stàda na skróa quella donna è stata una sgualdrina.

 

skroàda sf. (pl. skroàde) azione indegna. Késta e na skroàda questa è una porcheria, un'azione indegna.

 

skroarìa sf. (solo pl.) gentaglia, individui poco raccomandabili. Kè fàla ka dùta sta skroarìa? che cosa fa qui tutta questa gentaglia?

 

skròfola sf. (pl. skròfole) scrofola, infiammazione alle ghiandole salivali. Avé le skròfole avere le scrofole, essere scrofoloso.

 

skrofolèi, skrofolós agg. (f. skrofolèra, skrofolóśa; pl. skrofolère, skrofolóśe) scrofoloso, poco sano, malaticcio. Kéla čàśa e piéna de skrofolèi quella è una famiglia di gente poco sana.

 

skròk, sklòk sm. (inv.) solo nella loc. vìve a skròk vivere a spese altrui, vivere da parassita.

 

skrokà, sklokà vb. trans. (skròko; skrokèo; skrokòu) scroccare, vivere a spese degli altri. Kel la a sènpre skrokòu nte la só vìta quello ha sempre vissuto a scrocco.

 

skrokón, sklokón agg. (pl. skrokói, f. skrokóna, pl. skrokóne) scroccone, parassita. Avéu fenìu de fèi i skrokói? avete finito di fare gli scrocconi?

 

skrùpol sm. (pl. skrùpoi) scrupolo, ritegno, rimorso. Èi skrùpol a fèi ste ròbe provo scrupolo nel fare queste cose.

 

skuaià, skuaiàse vb. trans. e rifl. (me skuàio; skuaèo; skuaiòu) fare la spia, confessare tutto, palesare, tradirsi. No sta kontài nùia, parkè kél là skuàia fòra dùto non raccontargli nulla perché quello spiffera tutto in giro. Fig. Ko èi vedù la brùta paràda me la èi skuaiàda quando ho visto che le cose si mettevano male per me, furtivamente ho tagliato la corda.

 

skuaión agg. (pl. skuaiói, f. skuaióna, pl. skuaióne) spione, chiaccherone. Èse n skuaión essere uno spione, raccontare a tutti un segreto.

 

skuàra sf. (pl. skuàre) squadra. Laurà de rìga e de skuàra lavorare di riga e di squadra, fare progetti; èse fòra de skuàra essere fuori squadra, non ad angolo retto, fig. essere disordinato, fuori regola.

 

skuarà vb. trans. (skuàro; skuarèo; skuaròu) squadrare tronchi per ricavarne travi. Skuàreme ki tràve squadrami quelle travi .

 

skuaradór sm. (pl. skuaradóre) squadratore. Si tratta del boscaiolo specializzato che squadra gli alberi per ricavarne travi con una precisione sorprendente facendo uso della manèra làda. Al pàre da dóvin a fàto l skuaradór mio padre quando era giovane ha fatto lo squadratore (v. stèle).

 

skuaradùra sf. (pl. skuaradùre) squadratura. Operazione dello skuaradór .

 

skuàro sm. (pl. skuàre) trave quadrata di misura ridotta. Si tratta di un tipo di trave che viene impiegato nell'edilizia.

 

skuartà vb. trans. (skuàrto; skuartèo; skuartòu) squartare. Skuartà l kùčo squartare il maiale.

 

skuàśi avv. quasi, pressoché. Skuàśi konpài quasi uguale; loc. skuàśi skuàśi a pensarci bene; skuàśi skuàśi no i dìgo nùia a pensarci bene, non gli dico nulla (v. kuàśi).

 

skudèla sf. (pl. skudèle) scodella. Èi bevù dóe skudèle de kafè biànko ho bevuto due tazze di caffellatte; lavà dó le skudèle lavare le scodelle; pèža de le skudèle straccio per lavare i piatti (v. fondìna, piàdena, čìkera).

 

skuèrčo sm. (pl. skuèrče) coperchio. No son pì stàda bòna de čatà l skuèrčo de la peñàta grànda non sono più riuscita a trovare il coperchio della pentola grande, Loc. n dì o làutro l siñór ne mòla ben do l skuèrčo frase che qualche anziano ripeteva sovente quando sentiva cattive notizie di cronaca e che voleva dire: Il Signore ci punirà mandandoci dal cielo qualcosa che ci seppellirà (v. kuèrčo).

 

skuèrde vb. trans. (skuèrdo; skuerdèo; skuerdésto) coprire, mettere le coperte. Deskuèrde invece vale per togliere le coperte, scoprire. Skuèrdeme ke èi frédo coprirmi bene, perché ho freddo; no sta deskuèrdeme non scoprirmi, non togliermi le coperte; skuèrde vìa cercare di nascondere, attenuare, far finta di non vedere; vàrda de skuèrde vìa pì ke te puós cerca di attenuare la cosa più che puoi (v. kuèrde, deskuèrde).

 

skùfia sf. (pl. skùfie) cuffia, copricapo per bambini e donne, fig. ceffone, sberla. Béte la skùfia a kél pìžol metti la cuffia a quel bambino; èi čapòu na skùfia da la màre ho preso un ceffone dalla mamma; ğavàsela pal bus de la skùfia salvarsi per il rotto della cuffia, cavarsela per miracolo.

 

skufiòto sm. (pl. skufiòte) piccola cuffia, fig. piccolo schiaffo, buffetto. Añó àsto konpròu kél skufiòto? dove hai comperato quello strano copricapo?; L nòno de nuóte se béte su l skufiòto il nonno d'inverno indossa la cuffia prima di andare a letto; se no te stas bón, te te čàpe n pèi de skufiòte se non stai buono ti prendi un paio di schiaffi.

 

skufón sm. (pl. skufói) calzatura di panno o di ruvida lana con suola rinforzata con pezze trapuntate, qualsiasi tipo di calzatura scalcagnata, fig. straccione, persona di poco valore. Tòle su i skufói e va a sapà mettiti i skufói e va a a zappare; te ses pròpio n skufón sei davvero uno straccione, un individuo da due soldi. Loc.èi pién i skufói de te ho piene le scatole di tè (v. skalfarón).

 

skulažà vb. trans. (skulažéo; skulažèo; skulažòu) sculacciare. Vàrda ke te skulažéo stai attento che ti sculaccio.

 

skulažàda sf. (pl. skulažàde) sculacciata. Tò fiól kapìse sólo ko le skulažàde tuo figlio capisce solamente se viene preso a sculacciate. Son śbrisòu e èi dòu dó na skulažàda ke me rekordarèi pa n pèžo sono scivolato e ho sbattuto violentemente le natiche. Mi sono fatto talmente male che mi ricorderò per un bel po.

 

skulažón sm. (pl. skulažói) sculaccione. Ko n pèi de skulažói l èi fàto tàśe con un paio di sculaccioni l'ho messo a tacere; čapà a skulažói prendere a sculaccioni, sculacciare.

 

skulié sm. (inv.) cucchiaio in legno. Parola arcaica. Il termine skulié è usato raramente; di uso più comune sono kučàro e kučarìn che indicano ora le posate in metallo. Mañà la menèstra kol skulié de lén mangiare la minestra con il cucchiaio di legno.

 

skuràña sf. (pl. skuràñe) buio pesto, oscurità. Ko sta skuràña no se véde añó ke se béte i pès con questo buio non si vede neanche dove si mettono i piedi.

 

skuréta sf. (pl. skuréte) assicella. Asse in legno di coperture del tetto che ha un formato inferiore a quello della sàndola. L kuèrto de l kanpanì e de la čéśa de Loréto e fàto de skuréte il tetto del campanile e della chiesa di Loréto è fatto di piccole scandole.

 

skurì vb. imp. e trans. (skurìso; skurìo; skurìu) diventare scuro, scurire, fare buio, annuvolarsi, imbrunire. A fòrža de portàla, sta čaméśa se a skurìu a forza di indossarla, questa camicia è diventata scura; ka de n tin skurìse fra un po' farà buio, sarà notte. Al se skurìse, si annuvola.

 

skùria sf. (pl. skùrie) frusta. Žènža skùria sto čavàl no se muóve se non è preso a frustate, questo cavallo non si muove; tòle su la skùria prendere in mano la frusta, ricorrere alle maniere forti; se te vós ke i tó fiói te obedìse, tòle su la skùria se vuoi che i tuoi figli ubbidiscano, ricorri alle maniere forti. Fig. te as tiròu su na skùria ti sei ubriacato.

 

skurià vb. trans. (skuriéo; skurièo; skuriòu) frustare. Se te lo skùrie kél mul, l va de ànda se lo prendi a frustate, quel mulo va di corsa.

 

skuriàda sf. (pl. skuriàde) frustata. Ko na skuriàda, l čavàl se béte a kóre con una frustata, il cavallo si mette a correre; prov. kàlke òta na skuriàda fa mèo de na busàda talvolta una frustata è più utile di un bacio, a volte una punizione è più efficace di una carezza.

 

skùro  sm. (pl. skùre) imposta, scuretto. Sèra i skùre chiudi le imposte.

 

skùro  sm. (solo sing.) buio. Tórna a čàśa ñànte ke véñe skùro torna a casa prima che si faccia buio; e bèlo skùro è già buio.

 

skùro3 agg. (pl. skùre, f. skùra) scuro, tenebroso. Čavéi, òče skùre capelli, occhi scuri, neri; vestì de skùro portare il lutto; kè àsto ke te ses kosì skùro? che cosa hai che sei così scuro in viso?

 

Skursór  sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

skursór   sm. (pl. skursóre) cursore, messo comunale, ufficiale giudiziario. Al sìndiko a mandòu l skursór a čamàme n ofìžio il sindaco ha mandato il messo comunale a chiamarmi in Municipio (v. kursór).

 

skurtàda sf. (pl. skurtàde) accorciatura. Ste mànie a debeśuói de na skurtàda queste maniche devono essere accorciate.

 

skurtà vb. trans. (skùrto; skurtèo; skurtòu) accorciare. Skurtà le bràge accorciare i pantaloni. Skùrtete la lénga parla meno; non parlar male della gente. Dài mòrte se se nakòrde bèlo ke le dornàde se a skurtòu ai primi di novembre si vede che ormai le giornate si sono accorciate di molto.

 

skùśa sf. (pl. skùśe) scusa, pretesto. Domandà skùśa chiedere scusa, perdono; késta e na skùśa bèla e bòna questa è una scusa, un pretesto bello e buono; tu te as sènpre na skùśa prònta tu hai sempre una giustificazione pronta. Prov. žènža skùśa no se va nte bùśa una cosa che finisce ne ha una ragione.

 

skuśà, skuśàse vb. trans. e rifl. (me skùśo; skuśèo; skuśòu) scusare, perdonare, fig. risparmiare, scusarsi, discolparsi. Te skùśo parkè te ses dóvin ti scuso, ti perdono perché sei giovane; na skudèla de làte skùśa la žéna una tazza di latte sostituisce la cena; n karbonàžo skùśa na malatìa un grosso foruncolo salva da una malattia; skùśeme se son ruàda tàrde scusami se sono arrivata tardi.

 

skùsa sf. (pl. skùse) corteccia d'albero, buccia. Ànke le skùse e bòne pa nvidà fuóu anche le scorze d'albero vanno bene per accendere il fuoco; durànte l invaśión, ànke le skùse de le patàte èra bòne durante l'invasione Austriaca del 1917-1918 anche le bucce di patata erano buone da mangiare (v. śbondìža).

 

skusà vb. trans. (skùso; skusèo; skusòu) togliere la corteccia, scortecciare, ferirsi graffiandosi. Skùsa do kéle ràme de dàsa togli la corteccia a quei rami di abete. Son tomòu e me èi skusòu la kulàta Sono caduto e mi sono scorticato la natica .

 

Skùsa sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

Sinikuitàte inizio della preghiera in latino del De Profundis, cioè dei defunti, che ha dato luogo al detto popolare Te as na žiéra da sinikuitàte hai una cera, un aspetto funereo.

 

śladinà vb. intr. (śladinéo; śladinèo; śladinòu) allentare, lasciarsi andare, rendere scorrevole, essere manesco. Tu te śladinée n tin màsa tu ti lasci andare un po' troppo; śladinà i pòlis de la pòrta ungere i cardini della porta; kói tò fiói okoraràe ke te śladinàse n tin de pì coi tuoi figli bisognerebbe che tu adoperassi di più le mani (v. ladinà).

 

ślafarñà vb. trans. e intr. (ślafarñéo; ślafarñèo; ślafarñòu) rimproverare, fare la ramanzina a voce alta e con tono irritato, parlar male del prossimo. Ko no te sas pì ke fèi, tu te ślafarñée quando non sai più che cosa fare, cominci la ramanzina.

 

ślafarñada sf. (pl. ślafarñade) rimprovero, ramanzina, lavata di capo. Čapà na ślafarñàda prendere una lavata di capo; da na ślafarñada fare una ramanzina, fare un solenne rimprovero.

 

ślanbikàse vb. rifl. (ślanbikéo, ślanbikèo,

ślanbikòu) struggersi dalla fatica o dalla scarsa alimentazione, sofferenza. Kol mañà l se a ślanbikòu.

 

ślanbikòuag. (ślanbikàda pl. ślanbikàde) consumato, distrutto per la fatica o per la sofferenza.

 

ślàipo agg. (f. ślàipa pl. ślàipe) viscido, molle, senza sagoma.Kàrne ślàipa carne molle.

 

ślanbrìža sf. (pl. ślanbrìže) carne di scarto, la parte legnosa e immangiabile della carne. Ste ślanbrìže dàile al čàn, nò a mi questi scarti di carne dalli al cane, non a me.

 

ślanbrižón sm. (pl. ślanbrižói) stomaco di bovino, òmaso, centopelli, scarto, fig. ombelico. Kol ślanbrižón se fa lugànege de trìpe con il centopelli si fanno salcicce di seconda categoria.

 

ślandróna sf. (pl. ślandròne) donnaccia, donna di strada. Kéla la e sènpre stàda na ślandróna quella donna è sempre stata una poco di buono.

 

slandronà vb. intr. (ślandronéo; ślandronèo; ślandronòu) comportarsi in maniera immorale. Da dóvena la a ślandronòu asèi quando era giovane si è comportata in modo scorretto.

 

ślanpà vb. trans. (ślànpo; ślanpèo; ślanpòu) sopportare. Nella loc. no pói ślanpàlo non lo posso sopportare, tollerare, digerire; no podé ślanpà kalkedùn non poter sopportare qualcuno; no puói ślanpàte, no puói ślanpàve non posso tollerarti, non posso tollerarvi.

 

ślanpàrdo sm. (pl. ślanpàrde) persona avida soprattutto nel mangiare, insaziabile.Élo ñànke n ślanpàrdo, l màña la so pàrte e ànke kéla de kiàutre è un divoratore insaziabile, mangia più porzioni.

 

ślanpòu agg. (pl. ślanpàde, f. ślanpàda) identico, preciso, molto simile. Tó fiól e só nòno ślanpòu tuo figlio è preciso a suo nonno.

ślànžo agg. sm. (pl. ślànže) audace con una punta di sfacciataggine te ses pién de ślànžo, sei audace.

 

ślapà vb. trans. (ślàpo; ślapèo; ślapòu) mangiare con ingordigia, ingozzarsi. Tu no te màñe: te ślàpe tu non solo mangi, ti ingozzi.

 

ślapàda sf. (pl. ślapàde) scorpacciata, grande mangiata. Nkuói èi fàto pròpio na ślapàda de menèstra de faśuói oggi ho fatto davvero una scorpacciata di minestra di fagioli.

 

ślapón agg. (pl. ślapói, f. ślapóna, pl. ślapóne) mangione, scorpaccione. Mai vedù n ślapón kóme te mai visto un mangione, un ingordo come te.

 

ślargà, ślargàse vb. trans. e rifl. (me ślàrgo; ślargèo; ślargòu) allargare, aprire, stendere. Ampliare la propria bottega, la propria azienda. Ślargà n vestì allargare un vestito; ślargà la man aprire la mano; ślargà l èrba seàda distribuire con il rastrello o con la forca l'erba appena falciata; èi n grùmo de laóro e èi debeśuói de ślargàme n tin c'è molto lavoro e ho bisogno di ingrandire l'opificio dell'azienda; ślargà fòra la gràsa spargere con la forca il letame. Durante l'inverno il letame della stalla viene trasportato e ammucchiato nel prato dove rimane fino a primavera. Appena la neve si scioglie, il letame viene sparso sul prato.

  

ślargàda sf. (pl. ślargàde) allargatura, ampliamento. Ste bràge a debeśuói de na ślargàda questi pantaloni devono essere allargati.

 

ślavatà, ślavatàse vb. trans. e rifl. (me ślavatéo; ślavatèo; ślavatòu) lavare in fretta, lavare male, lavarsi in fretta. Ślavatéa n tin sta ròba lava un po' alla buona questa biancheria; nkuói avèo prèsa e me èi ślavatòu a la mèo oggi ero di fretta e mi sono lavato alla meglio (v. śguatarà).

 

ślavatàda sf. (pl. ślavatàde) lavatina veloce. Dàte na ślavatàda e dón datti una lavata in fretta e andiamo.

 

ślavažèra sf. (pl. ślavažère) farfaro alpino, (bot. Rumex obtusifolius), fig. donna sciatta, trasandata. Erba con foglie molto grandi, nervate, ad imbuto, che crescono in luoghi umidi e concimati e che venivano adoperate per avvolgere il burro e la ricotta di casera. Béte dóe ślavažère a sto botìro avvolgi questo burro con due grandi foglie; te ses pròpio na ślavažèra sei davvero una sciattona, una trasandata.

 

śledierà vb. trans. (śledieréo; śledierèo; śledieròu) alleggerire. Śledieréa sto kàrego se nò la luóida se rómpe alleggerisci questo carico altrimenti la slitta non regge il peso.

 

ślèfer sm. (inv.) grosso pezzo, grossa fetta. Èi mañòu n ślèfer de polènta ho mangiato una grossa fetta di polenta.

 

ślèpa sf. (pl. ślèpe) grossa fetta, fig. schiaffo, ceffone, colpo, botta. Čapà a ślèpe prendere a schiaffi; tàśe, se nò te čàpe na ślèpa taci, altrimenti prendi uno schiaffo; da na ślèpa dare uno schiaffo; èi mañòu na ślèpa de polènta ho mangiato una grossa fetta di polenta.

 

ślepažà vb. trans. (ślepažéo; ślepažèo; ślepažòu) prendere a schiaffi, schiaffeggiare. Vàrda ke se te deśobedìse, te ślepažéo guarda che se non ubbidisci, ti prendo a schiaffi; lo ślepažéo, ma no kónta nùia lo schiaffeggio, ma non serve a nulla.

 

ślepažón sm. (pl. ślepažói) ceffone, schiaffone. Ko n ślepažón l èi fàta tàśe con un ceffone l'ho zittita (v. ślèpa).

 

ślìmego agg. (pl. ślìmege, f. ślìmega) viscido, scivoloso. Al ślìmego dei sčós la sostanza viscida delle lumache; siénte ke ślìmege sti sčós senti come sono viscide queste lumache.

 

ślimegós agg. (pl. ślimegóśe, f. ślimegóśa) sdrucciolevole, viscido. Kon dùta kéla pióva, l trói èra ślimegós, son śbrisòu e son ruòu nte rin con tutta quella pioggia il sentiero era scivoloso e sono caduto nel ruscello (v. ślìžego).

 

ślìper sm. (inv.) galoscia, sopra scarpa di gomma. Usata più che altro come copertura che serve per riparare i piedi dall'acqua, dall'umidità e dal fango. Me èi konpròu n pèi de ślìper mi sono comperato un paio di galosce.

 

ślisà, ślisàse vb. trans. e rifl. (me ślìso; ślisèo; ślisòu) lisciare, levigare, fig. adulare, far moine, abbellirsi, slittare. Okóre ślisà sta pòrta bisogna levigare questa porta; ka, par oteñì àlgo, okóre ślisà qui, per riuscire a ottenere qualcosa, ci vuole una bustarella; àsto fenìu de ślisàte? hai finito di farti bella?; vàdo a ślisàme vado a slittare; ślisà sekóndo l péilo accondiscendere, lusingare accortamente.

 

ślisàda sf. (pl. ślisàde) lisciata, levigatura, slittata. Tòle la piàna e da na ślisàda a kéla bréa prendi la pialla e dai una passata a quella tavola; fèise na ślisàda andare a fare una slittata; dón a fèise na ślisàda kol kòčo andiamo a farci una discesa con lo slittino.

 

ślìžego agg. (pl. ślìžege, f. ślìžega) viscido, scivoloso. Siénte ke ślìžego senti che viscido (v. ślìmego).

 

ślòda sf. (solo sing.) erica (bot. Erica tetraxilis, fiore rosso). Sto prà e pién de ślòda questo prato è ricoperto di erica.

 

ślòfin vb. tr. (inv.) dormire. Il verbo deriva dal tedesco “schlafen”. Loc. di a ślòfin andare a letto, andare a dormire; e óra de di a ślòfin è ora di andare a letto.

 

ślofón, ślofonón agg. (pl. ślofói, f. ślofóna, pl. ślofóne) millantatore, esagerato. No sta èse kosì ślofón non essere così esagerato, non gonfiare i fatti (v. śğonfón).

 

ślofonà vb. intr. (ślofonéo; ślofonèo; ślofonòu) ingigantire le cose a dismisura. Tó fardèl no sa fèi àutro ke ślofonà tuo fratello non sa fare altro che ingigantire le cose. Esempi che un ignoto pastore o casaro riferiva in paese, con molta ironia, aneddoti del suo trascorrere durante l'alpeggio a mónte. Móse kóme le perùžole, pìte grotóne kóme i déi, stàn e tànte de kéle ğaśóne ke soméa de véde prè destiràde. A Pian dei Buoi le mosche sono grosse come le cincie allegre, le femmine del gallo cedrone sono grandi come una gerla e ci sono tanti mirtilli che in mezzo ai pascoli si vedono chiazze nere come ci fossero dei preti distesi per terra.

 

ślondrón agg. (pl. ślondrói, f. ślondróna, pl. ślondróne) divoratore, vorace, ingordo, scialacquone.Kél ślondrón se a mañòu dùto quell'ingordo si è mangiato tutto, quel dissipatore ha sperperato tutti i suoi averi. Ki ślondrói tànte i čàpa tànte i màña quei scialacquoni tanti ne guadagnano altrettanti ne spendono.

 

ślondronà vb. trans. (ślondronéo; ślondronèo; ślondronòu) ingozzarsi, dissipare i propri beni, fig. fare il parassita. Tu te vién sènpre ka a ślondronà tu vieni sempre qui a mangiare a sbafo; ślondronà dùto dissipare tutti i propri averi.

 

ślongà vb. trans. (ślòngo; ślongèo; ślongòu) allungare, prolungare, esagerare nel descrivere cose e fatti. Ślongà n vestì, na čaméśa allungare un vestito, una camicia; ślongà l pas allungare il passo, accelerare; ślongà l kafè, l vin, la menèstra diluire il caffè, il vino, la minestra; ślongàla tirarla in lungo, chiacchierare troppo; no sta ślongàla non tirarla in lungo, non esagerare; prov. ki ke se ślònga màsa sul liéto, rèsta kói pès de fòra chi vuol strafare, spesso si trova nei guai.

 

ślòž agg. (pl. ślòže, f. ślòža) guasto, stantio. Detto in particolar modo delle uova. Sto vuóu e ślòž questo uovo è guasto; quando si scuote un uovo guasto, è come se si sentisse il rumore dell'acqua scossa; sonà ślòž suonare in modo dubbio, si dice ad esempio di un recipiente di terracotta che sia un po' incrinato; sta skudèla sòna ślòž questa tazza ha un suono fesso; te as la tèsta ślòža sei uno stupido, sei ignorante (v. fófo).

 

ślùśe vb. intr. (ślùśo; śluśèo; śluśòu) brillare, splendere. Vàrda kóme ke i ślùśe sti séče guarda come brillano questi secchi di rame.

 

śmaderlà vb. (śmaderléo; śmaderlèo; śmaderlòu) battere i fagioli secchi con la madèrla, scossone per far cascare i frutti dagli alberi; śmaderléa nòta sta pomèra scuoti questo melo affinché caschino le mele.

 

śmadonà vb. intr. (śmadonéo; śmadonèo; śmadonòu) bestemmiare la Madonna. Parkè śmadonéesto de lòngo? perché bestemmi continuamente contro la Madonna?

 

śmakà vb. trans. (śmakéo; śmakèo; śmakòu) esibire, rinfacciare. Śmakàila rinfacciare una cosa a qualcuno: i l èi smakàda gliel'ho detta senza mezzi termini.

 

śmakàda sm. (pl. śmakàde) smacco, ingiuria. Késta e na śmakàda ke no me meritèo questo è uno smacco che non meritavo.

 

śmaližià vb. trans. (śmaližiéo; śmaližièo; śmaližiòu) smaliziare, scaltrire. Śmaližiéelo fòra n òta, parkè l e nkóra n tòti fallo diventare un po' più scaltro perché è ancora molto ingenuo.

 

śmaližiòu agg. (pl. śmaližiàde, f. śmaližiàda) smaliziato, scaltro. Le dóvena ma, le bèlo śmaližiàda è giovane, ma è già scaltra.

 

śmaltà vb. trans. (śmàlto; śmaltèo; śmaltòu) intonacare, stendere la malta sul muro, fig. gettare, scaraventare. Èi nkóra da śmaltà su i mùre e pò èi fenìu devo ancora intonacare i muri e poi ho finito i lavori; se no te tàśe, te smàlto su pal mùro se non la smetti, ti scaravento contro il muro (v. skižà).

 

śmaltàda sf. (pl. śmaltàde) intonacatura. Sto mùro a debeśuói de na bèla śmaltàda questo muro ha bisogno di una buona passata di intonaco.

 

śmanarà vb. intr. (śmanaréo; śmanarèo; śmanaròu) lavorare d'ascia. Èi śmanaròu dùto l di ho lavorato di mannaia tutta la giornata.

 

śmandražà vb. intr. (śmandražéo; śmandražèo; śmandražòu) rovesciare sbadatamente acqua sul pavimento, schizzare acqua. Kuàn ke te làve dó, te śmandražée dapardùto quando lavi i piatti, schizzi l'acqua dappertutto. Te as ğenpù màsa l bažìn e te me śmandražée su dùto l siòlo hai riempito troppo il catino, inevitabilmente cadrà acqua sul pavimento.

 

śmandražón agg. (pl. śmandražói, f. śmandražóna, pl. śmandražóne) chi śmandražéa. Te ses pròpio na śmandražóna sei una donna che lava rovesciando acqua ovunque.

 

śmània sf. (pl. śmànie) smania, prurito. Tu te as sènpre śmània de fèi àlgo tu hai sempre smania, bisogno di fare qualcosa; èi śmània par dùta la vìta ho prurito su tutto il corpo.

 

śmanià vb. intr. (śmànio; śmanièo; śmaniòu) smaniare, agitarsi, affannarsi. Kè àsto ke te śmaniée tànto? che cosa hai che ti agiti tanto?; l a śmaniòu dùta la nuóte è stato agitato tutta la notte.

 

śmardelà vb. intr. (śmardeléo; śmardelèo; śmardelòu) pulirsi il naso con le dita. Me fiól al se śmardelé al nàs de lòngo mio figlio si pulisce sempre il naso con le dita. (v. śmaderlà, śñarikà).

 

śmardelós agg. (pl. śmardelóśe, f. śmardelóśa) chi si pulisce il naso con le dita. Ki ke e śmardelós da pìžol, i e ànke da gràn chi si pulisce il naso con le dita quando è piccolo, lo farà anche da grande (v. sñarikós).

 

śmarìse vb. rifl. (me śmarìso; śmarìo; śmarìu) sbiadire, scolorire. A fòrža de lavàla, sta čaméśa se a śmarìu a forza di essere lavata, questa camicia si è scolorita.

 

śmarìu agg. (pl. śmarìde, f. śmarìda) sbiadito, scolorito. Čaméśa śmarìda, vestì śmarìu camicia sbiadita, vestito sbiadito; nisùn kónpra la ròba ke e al sól, parkè la e śmarìda nessuno compera la roba che è rimasta esposta al sole, perché è sbiadita; in senso figurato si allude alle ragazze che vanno troppo in giro e che, proprio per questo motivo, si sposano difficilmente.

 

śmarlèko sm. (pl. śmarlèke) muco nasale giallastro, catarro (v. sñarìko).

 

śmarlekà vb. intr. (śmarlekéo; śmarlekèo; śmarlekòu) sputare catarro. Te śmarlekèe sènpre pa le stràde sputi per la strada.

 

śmarvà vb. (śmarvéo; śmarvèo; śmarvòu) svergognare qualcuno.

 

śmarvàse vb. rifl. (me śmarvéo; śmarvèo; śmarvòu) cadere in avanti rovinosamente, stramazzare, precipitare, fig. esagerare nell'agire (in senso ironico). Son śbrisòu e son dù a śmarvàme nte l pòčo sono scivolato e sono andato a cadere in mezzo al fango; atènti a no śmarvàte attento a non stramazzare. Fig. Va là ke no te te ses śmarvòu potevi fare molto di più (v. śbragažàse).

 

śmarvòu agg. (pl. śmarvàde, f. śmarvàda) caduto rovinosamente, stramazzato. L èra su de ğiri e l a čapòu na śmarvàda nte l pačarèko era un po' ubriaco ed è caduto nel fango. I èi dòu na śmarvàda l'ho svergognata (v. śbragažòu).

 

śmatarlà vb. intr. (śmatarléo; śmatarlèo; śmatarlòu) folleggiare, divertirsi spensieratamente. Fin ke se e dóvin se puó śmatarlà finché si è giovani si possono fare follie.

 

śmedà vb. trans. (śmèdo; śmedèo; śmedòu) spaccare in due, dimezzare. Śmedà l pan dimezzare il pane.

 

śmeržià vb. trans. (śmèržio; śmeržièo; śmeržiòu) smerciare, svendere, gettare, fig. maritare. Śmeržià dùto smerciare, svendere tutto; fig. e óra ke te śmèržie le tó fìe è ora che tu trovi marito alle tue figlie. Śmèržia vìa kéle bràge ke le e dùte róte getta via quei pantaloni che sono tutti rotti.

 

śmìr sm. (solo sing.) grasso nero per ungere ruote e ingranaggi. Il termine deriva dal tedesco “Schmiere”; ónde kol śmìr le ròde del čàr ungere con grasso le ruote del carro.

 

śmirà vb. trans. (śmiréo; śmirèo; śmiròu) ungere con lo śmìr. Sporcare, insudiciare. Èi śmiròu dùto l mùro ho sporcato tutto il muro.

 

śmiràda sf. (pl. śmiràde) lancio di sostanze sporche contro qualcuno o qualcosa. Kél mùro no meritèa kéla śmiràda quel muro non meritava di essere rovinato con quella macchia sconcia.

 

śmodà vb. intr. (śmodéo; śmodèo; śmodòu) oltrepassare i limiti del lecito. Ànke sta òta te as śmodòu anche questa volta hai oltrepassato i limiti.

 

śmodeà vb. intr. (śmodeéo; śmodeèo; śmodeòu) rotolare, precipitare. Detto soprattutto di un capo di bestiame al pascolo. Le bestie che scivolavano o morivano al momento venivano macellate immediatamente. Stan nisùna vàča a śmodeòu a Mónte quest'anno durante l'alpeggio a Pian dei Buoi non è precipitata nessuna mucca.

 

śmonà vb. intr. (śmonéo; śmonèo; śmonòu) frugare, mettere sottosopra, fig. disturbare, rompere le scatole. No sta veñì ka a śmonà non venire qui a disturbare.

 

śmondeà vb. trans. (śmondeéo; śmondeèo; śmondeòu) vagliare, setacciare, pulire i cereali col van. E óra de śmondeà l òrğo è arrivato il momento di vagliare, di pulire l'orzo col vaglio.

 

śmorośà vb. intr. (śmorośéo; śmorośèo; śmorośòu) amoreggiare. Àsto fenìu de smorośà? hai finito di amoreggiare? Adès bàsta smorośà e óra ke te fàde sul sèrio È giunto il momento di mettere la testa a posto, basta amoreggiare.

 

śmòrsa sf. (pl. śmòrse) morsa. Il termine va riferito sia alla morsa del fabbro che a quella del falegname. Le ganàse de la śmòrsa le ganasce della morsa.

 

śmotažìn sm. (inv.) personaggio mascherato. Si tratta di una maschera di carnevale conosciuta a Lozzo e in altri paesi del Cadore. Durante i festeggiamenti del giovedì grasso e dell'ultimo giorno di carnevale, la maschera salta e balla schizzando gli spettatori con la mota, (da cui il termine śmotažìn). Il volto è coperto da una caratteristica maschera lignea e rappresenta un essere pauroso con la lingua ciondoloni, viene guidato e frenato a briglia da un cavaliere bardato di tutto punto. Tale maschera è meglio definita come “ vòlto de Àpo” prendendo il nome dal suo ideatore e proprietario. La maskeràda kol śmotažìn il corteo carnevalesco dello śmotažìn; fèi al śmotažìn mascherarsi ed esibirsi da śmotažìn; la sonaèra de l śmotažìn cintura adorna di campanelli della maschera dello śmotažìn.

 

śmóž agg. (pl. śmóže, f. śmóža) mozzo, senza punta, spuntato. Sto skarpèl e śmóž, okóre gužàlo questo scalpello ha il taglio rovinato, bisogna affilarlo.

 

śmožà vb. trans. (śmóžo; śmožèo; śmožòu) mozzare, recidere, togliere la punta. Śmožà le màže déi faśuói spuntare, accorciare i bastoni di sostegno per le piante dei fagioli.

 

śnèl escl. via, di corsa. Aggettivo dal tedesco “schnell”, rapido, veloce. Śnèl, śnèl, dé a laurà avanti, andate di corsa a lavorare.

 

śnevužà vb. imp. (śnevužéa; śnevužèa; śnevužòu) nevicare a fiocchi piccoli e fitti. L a śnevužòu dùta la nuóte è nevicato leggermente per tutta la notte.

 

śnevužàda sf. (pl. śnevužàde) piccola nevicata. Sta śnevužàda fòra stağón ruìna dùta la salàta questa piccola nevicata fuori stagione rovina tutta l'insalata.

 

śnovelà vb. intr. (śnoveléo; śnovelèo; śnovelòu) germogliare, mettere i germogli. I ğerànie a bèlo skominžiòu a śnovelà i gerani hanno ormai iniziato a germogliare (v. novèl).

 

śnuotolà vb. intr. (śnuotoléo; śnuotolèo; śnuotolòu) fare il nottambolo, trascorrere la notte in bagordi. Àsto fenìu de śnuotolà? hai finito di andar in giro tutte le notti a gozzovigliare?

 

śñakà vb. trans. (śñàko; śñakèo; śñakòu) scaraventare, buttare con violenza, rinfacciare. Èi śñakòu vìa dùto kél ke avèo nte man ho scaraventato via tutto quello che avevo in mano; i lèi śñakàda gliel'ho fatta, mi sono preso la rivincita.

 

śñakàda sf. (pl. śñakàde) rinfaccio, rimprovero, lezione. Sta śñakàda la te sta kóme l bàsto ài mùs questa lezione ti sta proprio bene.

 

śñàpa sf. (pl. śñàpe) grappa, acquavite. Béve n tin de śñàpa bere un po' di grappa; kafè ko la śñàpa caffè corretto con la grappa; sfreà ko la śñàpa fare massaggi con la grappa dim. śñàpéta (v. àga de vìta).

 

śñapetà vb. trans. e intr. (śñapetéo; śñapetèo; śñapetòu) darsi al vizio del bere grappa, rimbrottare. Verbo raramente usato per definire il vizio del bere, bensì come risposta secca, decisa e talvolta anche offensiva. Àsto skomenžiòu ànke tu a śñapetà? hai cominciato anche tu a bere grappa?; èi dovésto pròpio śñapetàlo ho dovuto rimproverarlo davvero in modo pesante.

 

śñapetàda, śñapàda sf. (pl. śñapetàde, śñapàde) rimprovero, rinfaccio. Čapà na śñapetàda ricevere un rimprovero, essere rimbrottato aspramente; ió no meritèo kéla śñapetàda io non meritavo quella rispostaccia, quel rimbrotto così aspro; la se avèa ntrigòu nte i to afàri e la a čapòu na bèla śñapetàda si era intromessa nei tuoi affari e si è presa un deciso rimprovero.

 

śñapetèi agg. (pl. inv. śñapetói, f. śñapetèra, pl. śñapetère) gran bevitore di grappa, persona dalla risposta pronta, talvolta burbera. Te ses pròpio n śñapetèi sei proprio un ubriacone.

 

śñapetón agg. (pl. śñapetói, śñapetóna, śñapetóne) persona che risponde sempre in modo brusco, burbero. Te ses sènpre stòu n śñapetón sei sempre stato un burbero.

 

śñarikà vb. intr. (śñarikéo; śñarikèo; śñarikòu) pulirsi il moccio, avere il moccio. Kuàn ke èi l lafredór, śñarikéo de lòngo quando ho il raffreddore, ho sempre il moccio al naso, devo sempre pulirmi il moccio.

 

śñarìko sm. (pl. śñarìke) moccio. Èi l fažoléto pién de śñarìko ho il fazzoletto tutto sporco di moccio (v. śmarlèko).

 

śñarikós agg. (pl. śñarikóśe, f. śñarikóśa) chi ha sempre il moccio al naso, moccioso, fig. schizzinoso, smorfioso. Tó madòna e sènpre stàda na śñarikóśa tua suocera è sempre stata una schizzinosa.

 

śñèk agg. (f. śñèkera, pl. śñèkere) Pochissimo, molle.

 

śñeufà vb. intr. (śñèufo; śñeufèo; śñeufòu) piagnucolare, frignare. Parkè śñèufesto? perché piagnucoli, perché frigni?

 

śñeufón, sñèufo agg. (pl. śñeufói, śñèufe; f. śñeufóna, śñèufa; pl. śñeufóne, śñèufe) piagnucolone, frignone. Te ses pròpio n śñeufón sei davvero un piagnucolone.

 

, sò agg. poss. (pl. suói, f. sóa, pl. sóe) suo. Come attributo è indeclinabile; só pàre, só màre, i só fiói, le só fìe suo padre, sua madre, i suoi figli, le sue figlie. Come predicato invece è variabile: al prà e sò il prato è suo; la čàśa e sóa la casa è sua; i čavài e suói i cavalli sono suoi; le vàče e sóe le mucche sono sue.

 

, sò pron. poss. (pl. suói, f. sóa, pl. sóe) suo. Il pronome è variabile e ha la stessa declinazione del predicato. suo; sóa sua; suói suoi; sóe, sue; loc. i suói i suoi, i suoi parenti; sta su la sóa stare sulla sua, isolarsi, comportarsi in modo altezzoso; l a n sànto da la sóa ha un santo dalla sua parte, ha chi lo protegge; spènde del sò mantenersi.

 

soàda sf. (pl. soàde) cornice. E pì bèla la soàda ke l kuàdro è più bella la cornice del quadro, è migliore il contenente del contenuto (v. nsoadà).

 

sobisà vb. (sobiséo; sobisèo; sobisòu) opprimere, zittire. Èi apéna vèrto l kòl e alòlo i me a sobisòu appena ho aperto bocca mi hanno zittito.

 

sòčo sm. (pl. sòče) socio, compagnone, buontempone. Sòče de la kopratìva soci della cooperativa; va la ke te ses n bèl sòčo va là che sei davvero un buontempone; sòčo de la bìra compagno di scorribande.

 

sodežión sf. (solo sing.) soggezione, imbarazzo. Avé sodežión avere soggezione, provare imbarazzo; fèi sodežión fare soggezione, incutere rispetto, riverenza.

 

sodisfèi vb. trans. e intr. (sodisfàžo; sodisfèo; sodisfòu) adempiere, pagare, accontentare. Sodisfèi kalkedùn soddisfare, rendere contento qualcuno; sodisfèi n dèbito soddisfare, pagare un debito; sodisfèi n vóto adempiere un voto; sto laóro no me a sodisfòu questo lavoro non mi ha dato soddisfazione, non mi ha accontentato.

 

sòdo agg. (pl. sòde, f. sòda) serio, posato, quieto, robusto, sano. Sto tośàto e sòdo ñànte óra questo ragazzo è diventato serio prima del tempo; kuàn élo ke te deventaràs n tin pì sòdo? quand'è che diventerai un po' più assennato?

 

sofeà, sofeàse vb. trans. e rifl. (me soféo; sofeèo; sofeòu) soffocare, affogare, soffiare e ansimare, affogarsi. L a sofeòu dùte i ğatolìn nte l àga ha affogato tutti i gattini nell'acqua; kè àsto ke te sofeée kosì? cos' hai che ansimi in questo modo?; di a sofeàse andare ad affogarsi; prov. di a sofeàse nte l àga grànda fare le cose con un certo margine di sicurezza, andare nel sicuro.

 

sofeàda sf. (pl. sofeàde) affanno, ansimo, respiro affannoso, soffiata. Àsto sentìu ke sofeàda? hai sentito che respiro pesante, che ansimo? dài na sofeàda a le brónže e fèile čapà dai una soffiata alla brace e così ravvivi il fuoco.

 

sófego sm. (solo sing.) afa. Siénte ke sófego senti che afa.

 

sofeón sm. (pl. sofeói) soffietto, fig. asmatico, chi ha il respiro affaticato. Fig. detto di chi fomenta la polemica senza esporsi personalmente. Par artà l fuóu okóre l sofeón per ravvivare il fuoco, serve il soffietto; il sofeón viene spesso ricavato dalla canna di fucile opportunamente lavorata. Sui prati e nei boschi si sono recuperati fucili che erano stati abbandonati dai soldati durante la prima guerra mondiale.

 

sofèr sm. (inv.) autista, camionista. Dal francese “chauffer”. Kuàn ke l èra siór l avèa ànke l sofèr quando era ricco, aveva a disposizione l' autista.

 

sofià vb. intr. (sófio; sofièo; sofiòu) soffiare, ansimare, sbuffare. Sofià sul kafè soffiare sul caffè per raffreddarlo; sofià sul fuóu soffiare sul fuoco per ravvivarlo; kè àsto ke te sófie? perché ansimi?, cosa c'è che ti fa sbuffare?; sofià sóte soffiare sotto, fomentare, ravvivare; àsto fenìu de sofià sóte? hai finito di alimentare discordie?; sofiàse l nas soffiarsi il naso; prov. ki ke sófia sul žénder, se ğénpe i òče chi alimenta discordie, ne sarà poi vittima.

 

sofiàda sf. (pl. sofiàde) soffio, soffiata. Bàsta na sofiàda par suià la ròba basta un soffio di vento per asciugare la biancheria; da na sofiàda sul kafè se te vós desfredàlo soffia un po' sul caffè se vuoi che si raffreddi (v. sofeàda).

 

sofión sm. (pl. sofiói) soffione, pappo del dente di leone (bot. Taraxacum officinale). I tośàte se gòde a sofià vìa i sofiói e daspò fèi tronbéte i ragazzi si divertono a far volare i pappi del soffione e usare i gambi a mo di pifferi.

 

sofìstego agg. (pl. sofìstege, f. sofìstega) schizzinoso, scrupoloso, pedante. No èi mài vedù n sofìstego kóme te non ho mai conosciuto una persona schizzinosa come te, non ho mai conosciuto un tipo esageratamente scrupoloso come sei tu.

 

sofìta sf. (pl. sofìte) soffitta. La me sofìta e piéna de batarìe la mia soffitta è piena di cianfrusaglie. La sofìta mòrta è un soppalco che si trova all'interno della stessa soffitta. Non ha accesso diretto con scala normale ma solo mediante scale a pioli. Kuàn ke se béte ròba nte sofìta mòrta, la rèsta là e àmen quando si depositano le cose sul soppalco della soffitta, poi rimangono lì per molto tempo.

 

sofità vb. trans. (sofitéo; sofitèo; sofitòu) fare il soffitto ad una stanza della casa. Sta kànbra avaràe debeśuói de èse sofitàda questa stanza avrebbe bisogno di essere soffittata, di avere un nuovo soffitto.

 

sofìto sm. (pl. sofìte) soffitto. Ka okóre refèi l sofìto qui bisogna rifare il soffitto.

 

sóga sf. (pl. sóge) grossa fune. Dorà la sóga adoperare una fune grossa, legare con una grossa fune; loc. par fèite sta kiéto, okoraràe leàte ko le sóge per farti stare tranquillo, bisognerebbe legarti con delle grosse funi.

 

soğetà, soğetàse vb. trans. e rifl. (me soğetéo; soğetèo; soğetòu) sottomettere, adattare. La màre me a soğetòu a fèi de dùto la mamma mi ha obbligato a fare di tutto; me èi soğetòu a laurà skuàśi par nùia mi sono adattato a lavorare quasi per nulla.

 

soğèto sm. (pl. soğète) tipaccio, mascalzone, cattivo soggetto. Kél soğèto no me piàśe par nùia quel tipaccio non mi piace per nulla; no sta di kon ki soğète non frequentare quei mascalzoni, quella gentaglia; katìvo soğèto cattivo soggetto, tipaccio.

 

soğóž sm. (inv.) singhiozzo, singulto. Òñi tànto me vién l soğóž e alóra bévo n tin de àga par fèimelo pasà ogni tanto mi viene il singhiozzo e allora bevo un po' d'acqua per farmelo passare.

 

soiàl sm. (pl. soiài) soglia. La soglia su cui poggiano gli stipiti della porta può essere di pietra o di legno. Refèi l soiàl parkè l e fruòu rifai la soglia della porta perché è consumata; prov. dùte skóe l sò soiàl ciascuno pensi ai fatti suoi; prov. ñànte skóa l tò soiàl e daspò kel de kiàutre prima pensa ai fatti tuoi e poi pensa a quelli degli altri.

 

sól sm. (inv.) sole. Dornàda de sól giornata di sole; sól senžiér sole limpido, sole non velato dalle nuvole; sól malòu sole malato, sole velato da nuvole; d invèrno l sól va sóte présto d'inverno il sole tramonta presto; l sól e àuto: e óra de di a voltà il sole è a picco, fa molto caldo: bisogna andare a rivoltare l'erba perché si secchi bene; čapà l sól prendere il sole, scaldarsi al sole; avé àlgo al sól possedere qualche pezzo di terra; al sól e l làte déi vèče e l pan déi puaréte il sole è come latte per i vecchi e come pane per i poveri; al sól l skòta o l bàte dó il sole scalda molto, picchia forte; prov. al sól lùstra l pòčo, ma no l se spórča si può far del bene a chi è malvagio senza però venire influenzati dal suo comportamento; prov. al sól lèva par dùte la provvidenza divina aiuta tutti; prov. ànke l sól a le só màče nessuno è perfetto a questo mondo. Prov. l sól e l pàre de i puaréte si può ben dire che il sole è il padre dei poveri: dà luce e riscaldamento gratis.

 

solàña sf. (pl. solàñe) insolazione, colpo di sole. Čapà la solàña prendere un'insolazione; avé la solàña avere sonnolenza; le patàte a čapòu la solàña le patate esposte al sole sono diventate verdi e quindi immangiabili.

 

solàžo sm. (pl. solàže) sollazzo, svago, divertimento. E pròpio n bèl solàžo è davvero un bel divertimento.

 

soldà sm. (pl. soldàde) soldato, per est. servizio militare. Di soldà andare a fare il servizio militare; fèi l soldà fare il servizio militare; tornà da soldà rientrare dal servizio militare; àsto vedù kuànte soldàde? hai visto quanti soldati?

 

soldarìe sf. (solo pl.) Tanti soldi. L a bičòu vìa soldarìe ha sperperato grandi quantità di denaro. L a fàto soldarìe ha guadagnato moltissimo.

 

sòldo sm. (pl. sòlde) lira, denaro in genere. Nell'anteguerra 40-45 era detto soldo la moneta da 5 centesimi di rame. No vàl n sòldo non vale nulla, čapà l sòldo prendere paga ròba da póče sòlde cosa di valore irrisorio.

 

solé vb. dif. (inv.) avere l'abitudine, essere solito. Verbo usato solo come participio passato nella loc. solé di a mésa dùte le doménie essere solito andare tutte le domeniche a messa.

 

solèr sm. (inv.) solaio, pavimento, fig. ballatoio, poggiolo. Di solito il pavimento nella stalla viene fatto in legno grezzo. Fèi l solèr pa le vàče fare il pavimento per le mucche.

 

soléta  sf. (pl. soléte) parte del solaio nelle costruzioni di cemento armato. Fèi la soléta fare la soletta.

 

soléta  sf. (pl. soléte) soletta. La soléta de le čàuže, de le skàrpe, déi skarpéte la soletta delle calze, delle scarpe, delle pantofole; pontidà le soléte déi skarpéte cucire con lo spago le solette delle pantofole (v. pontidà, skarpéto).

 

soletà vb. trans. (soletéo; soletèo; soletòu) solettare, mettere la soletta alle scarpe e alle calze. Soletà le čàuže applicare la soletta alle calze. (v. resolà).

 

solevà vb. trans. (solevéo; solevèo; solevòu) alleviare, dare benessere, sollevare. Kéla medeśìna me a pròpio solevòu quella medicina mi ha davvero dato sollievo, benessere; tó màre a debeśuói de èse solevàda de kél péśo tua madre ha bisogno di essere alleggerita da quel peso, alleviata moralmente. Solèva le tàe dal tarén se nò le se maržìse solleva i tronchi dal terreno altrimenti marciscono. Bìča fòra i stramàž ke i se solève esponi i materassi che così si riempiono di aria salubre.

 

śólfer sm. (inv.) zolfo, per est. zolfanello. Dàme ka n śólfer ke èi da npižà l kài dammi uno zolfanello perché devo accendere la pipa; spùža da śólfer puzza di zolfo (v. forminànto).

 

soliévo sm. (pl. soliéve) sollievo, benessere, conforto. Me okoraràe n tin pì de soliévo avrei bisogno di più conforto; sta pióva e stàda pròpio n soliévo pa la kanpàña questa pioggia è stata davvero un sollievo, una manna per la campagna.

 

solìn sm. (inv.) abbaglio, riflesso. Nella loc. Fèi l solìn provocare il riflesso del sole con uno specchio o con un oggetto lucido; òñi òta ke són nte čànpo, to fiól me fa l solìn ogni volta che mi trovo nel campo, tuo figlio mi abbaglia con la luce del sole riflessa nello specchio.

 

sòlito agg. (pl. sòlite, f. sòlita) solito, usuale. E sènpre la sòlita stòria è sempre la solita storia, tutto si ripete come al solito; te ses sènpre l sòlito sei sempre il solito, non cambi mai; l a fàto ùna de le só sòlite ne ha combinata una delle sue; de sòlito solitamente, abitualmente; de sólito a Nadàl nevéa di solito quando è Natale nevica.

 

solìvo agg. (pl. solìve, f. solìva) solatio, esposto al sole, esposto a sud. Sto tarén e màsa solìvo questo terreno, questo podere è troppo soleggiato; si dice posolìvo il terreno rivolto a nord.

 

sólo  avv. soltanto, solamente. Me mànča sólo àlgo de skèi mi manca solamente un po' di denaro; sólo ke solamente, però; i skèi li èi, sólo ke me mànča la pas i soldi ci sono, però mi manca la tranquillità.

 

sólo  agg. (pl. sóle, f. sóla) solo. A sto móndo e na màre sóla a questo mondo c'è una madre sola; restà sólo rimanere solo, orfano, vedovo; sólo kóme n čàn solo come un cane, completamente solo.

 

solustrà vb. imp. (solustréa; solustrèa; solustròu) lampeggiare. E n tokéto ke l solustréa è da un po' di tempo che si vedono dei lampi

 

solùstro sm. (solo sing.) apparente miglioramento che precede la morte. l nòno a vu na gèra de solùstro, ma daspò l e spiròu il nonno ha avuto un certo miglioramento, ma dopo poco è morto (v. lustrànda).

 

solverèra sf. (pl. solverère) campo o prato risultante dal lavoro di un quarto della giornata (v. disnèra, marendèra, prendèra).

 

someà vb. intr. (soméo; someèo; someòu) assomigliare, sembrare. Al soméa dùto só nòno assomiglia molto a suo nonno; no te somée a nisùn de neàutre non assomigli a nessuno di noi; soméa ke l pióve pare che si metta a piovere; soméa òro ma e pakofùn sembra oro, ma è alpacca.

 

someànža sf. (pl. someànže) somiglianza. L a na someànža ko ki de la reśón de so màre ha una certa somiglianza con i parenti di sua madre.

 

Somìn sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Somòl sm. (top.) località a nord del paese presso i Pian dei Buoi. Sponda misto pascolo e bosco che dal Kòl Vidàl declina verso il rio Čanpeviéi.

 

sòn  sf. (solo sing.) sonno. Avé sòn aver sonno; čapà sòn prender sonno, addormentarsi; tra la véa e l sòn nel dormiveglia; fèi dùto n sòn fare una lunga dormita ristoratrice; fèi veñì sòn far venire sonno, annoiare; avé l màl del sòn essere sempre insonnolito, fig. aver poca voglia di lavorare; čapà l sòn de la nòna avere sonnolenza prolungata tipica dei vecchi. Sòn diventa di genere femminile in espressioni come: kuànta sòn àsto? quanto sonno hai?; èi na sòn ke no puói pi non ne posso più dal sonno che ho; avé n grùmo de sòn avere molto sonno; avé na sòn ke... avere un sonno tale da...

 

sòn  sm. (inv.) suono. Siénte ke bèl sòn ke a nkuói le čanpàne senti che bel suono hanno oggi le campane; sto gòto a n sòn ke no me piàśe nùia questo bicchiere ha un suono che non mi piace per nulla; detto di un bicchiere incrinato che produce un suono fesso quando viene toccato. Sto pežuó a n sòn da vóito a battere il tronco di questo abete sento che dentro è marcio.

 

sòn3 sm. (pl. sònes) tempia. Se se čàpa n kólpo nte l sòn, se muóre se si prende un colpo contro la tempia, si può morire; siénte kóme ke bàte i sònes senti come pulsano le tempie.

 

sonà vb. trans. (sòno; sonèo; sonòu) suonare, fig. dare segni di pazzia. Sonà le čanpàne suonare le campane; kél la òñi tànto l sòna quello ogni tanto dà segni di pazzia, fa delle bizzarrie; sonà i òrgin essere vicini alla morte pò, sònesto? ma sei diventato pazzo?, ma che dici mai?, ma cosa mi combini?; prov. kuàn ke sòna l Glòria l Sàbo Sànto, se tìra vènto, seména fis, se e siròko seména restuói quando suona il Gloria il giorno del Sabato Santo, se tira vento, devi seminare fitto, se c'è scirocco, puoi seminare in modo rado perché è evidente che il vento porta parte del seme lontano dal campo.Kuànke se siénte sonà le čampàne da Domiéğe de séguro l pióve, nvéži ko se siénte kéle da Pelós l fa bèl. Il suono delle campane di Domegge viene portato dal vento di scirocco quindi preludono che pioverà, invece il suono di quelle di Pelos portate dal vento di tramontana, portano bel tempo. (v. kanpanòto, sènbro).

 

sonàda sf. (pl. sonàde) suonata, batosta. Fèi na sonàda fare una suonata, suonare qualcosa; čapà na sonàda prendere una batosta, sia fisicamente che economicamente; daspò de kéla sonàda no me èi pì remetù dopo quella grave malattia, non mi sono più ripreso fisicamente; l a čapòu na sonàda ke i bàsta pa n tokéto ha preso una batosta tale negli affari che ne avrà per un bel po'. Là dòu na sonàda kol fól ke avaràe fàto balà ànke i žòte. Ha suonato talmente bene la fisarmonica da invogliare al ballo perfino gli zoppi.

sonadór sm. (pl. sonadóre) suonatore, musicista. L e n brào sonadór de armònika è un bravo suonatore di fisarmonica.

 

sonaèra sf. (pl. sonaère) sonagliera. Komàto ko la sonaèra collare del cavallo munito di sonagliera; la sonaèra de l smotažìn cintura adorna di campanelli della maschera dello smotažìn. Fig. donna ciarlona.

 

sonài sm. (solo pl.) sonaglio, bubbolo, fig. stupido, sciocco. Àsto vedù ke bèl sonài? hai visto che bel sonaglio, che bel giocattolo?; i sonài de la sonaèra i campanelli della sonagliera; te ses pròpio n sonài sei davvero uno sciocco; no sta rónpeme i sonài non rompermi le scatole, non infastidirmi ancora di più.

 

sónda sf. (pl. sónde) sugna, grasso di maiale crudo e non salato che serve per ungere il cuoio e renderlo più morbido. Serve altresì per ungere i pattini della luóida nei tratti pianeggianti. Ónde le skàrpe ko la sónda ungere le scarpe con la sugna; fig. avé debeśuói de sónda avere bisogno di una buona lezione, di una buona serie di scapaccioni; fig. ónde kon sónda de bósko ungere con sugna di bosco, bastonare. Se te as krepadùre nte le màn óndele ko la sónda e te vedaràs ke te stas mèo se hai screpolature nelle mani, ungile con la sónda e vedrai che starai meglio.

 

sonéta sf. (pl. sonéte) trombetta, armonica a bocca. Se te stas bón, l di de San Laurènžo te kónpro na sonéta se ti comporti bene, alla fiera di San Lorenzo ti compero una trombetta; sonà la sonéta suonare l'armonica a bocca.

 

sonìne Termine infantile per dire che un bambino sta per addormentarsi. Àsto le sonìne,àsto sonìne hai sonno, stai per addormentarti?

 

sònio, sùnio sm. (pl. sònie) sogno. Fèi n bèl/brùto sònio fare un bel/brutto sogno; al lìbro déi sònie il libro dei sogni, la cabala; n sònio in sogno; sta nuóte èi vedù n sònio dùte i me mòrte questa notte ho rivisto in sogno tutti i defunti a me cari; a volte il termine sònio è sostituito da sùnio. (v. nsuniàse).

 

Sópa  sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

sópa  sf. (pl. sópe) zuppa, malanno, dissesto. Sópa de làte, de kafè, de vin pane inzuppato di latte, caffè, vino. Sópa de pan e àga piatto della cucina povera costituito da pane messo in ammollo nell'acqua bollente, raramente poteva essere brodo, condito con ricotta grattugiata e burro fuso; fig. čapàse na sópa prendersi un brutto malanno, subire un dissesto finanziario; kél puaréto se a čapòu na sópa ke no l meritèa quel poveretto ha subito un colpo che non meritava; fig. avé na sópa non poterne più; èi na sópa non ne posso proprio più; prov. la sópa de la nòna èra pì bòna la zuppa della nonna era la migliore, come i ricordi d'infanzia sono sempre i più cari; prov. la sópa se la fà kol pan ke se a ciascuno mangia quello che ha a disposizione ovvero, uno può dare solo se ha. Èi fàto sópa ho spezzettato tanto pane nella minestra e nel brodo che ho asciugato tutto il liquido. (v. ñòko).

 

soperì vb. trans. intr. (soperìso; soperìo; soperìu) sopperire, provvedere. Nùia puó soperì na màre non c'è niente che possa sostituire una madre; soperì ài debeśuói de čàśa provvedere alle necessità di casa.

 

sopì, sopìse vb. trans. e rifl. (me sopìso; sopìo; sopìu) assopire, addormentare, addormentarsi, assopirsi. Sopìse n tin l pùpo addormenta un po' il bimbo; kuàn ke se e stràke, bàsta póčo par sopìse quando si è stanchi, basta poco per assopirsi; me èro péna sopìda, ke te ses ruòu tu mi ero appena assopita, quando sei arrivato tu.

 

sopòsta avv. personalmente, di persona. Fèi le ròbe da sopòsta fare le cose di persona (v. pòsta).

 

soprèsa sf. (pl. soprèse) soppressata, grosso salame. Si tratta di un insaccato che viene preparato con carne di maiale e di mucca tritata insieme, condita con sale, pepe, cannella e chiodi di garofano, il tutto ben amalgamato. La soprèsa dopo insaccata viene lasciata stagionare per alcuni mesi in cantina. Mañà polènta e soprèsa mangiare polenta e soppressata.

 

sopresà vb. trans. (soprèso, sopreséo; sopresèo; sopresòu) stirare. Sopresà le bràge la čaméśa, l garmàl stirare i pantaloni, la camicia, il grembiule; fèr da sopresà ferro da stiro.

 

sopresàda sf. (pl. sopresàde) stirata, fig. inconveniente, guaio, batosta. Sta čaméśa a debeśuói de na sopresàda questa camicia ha bisogno di una stiratina; čapàse na bèla sopresàda subire una grossa batosta.

 

sóra prep. avv. sopra. Sóra la kariéga, la tòla, l liéto sopra la sedia, il tavolo, il letto; sóra la čàśa e le kànbre sopra la cucina, si trovano le camere da letto; di par sóra, di par sóra vìa proseguire per la strada più alta; di par sóra traboccare: al làte e dù par sóra il latte è traboccato durante la cottura; èse sóra pensiér essere soprapensiero, essere distratti; èse de sóra essere, stare, abitare di sopra; volé èse sóra de dùte voler essere sopra tutti, voler dominare tutti; fig. volé èse par sóra kóme l òio voler apparire ad ogni costo. De sóra pi soprappiù, in più; sóra l dùto, soraldùto soprattutto; de sóra e de sóte di sopra e di sotto, ovunque; da sóra n dó dall'alto al basso; da sóra n dó ànke le ròde róte va quando una cosa è facile, tutti sono capaci di farla.

 

soradùto avv. soprattutto. Soradùto volaràe ke te staśése sènpre polìto come prima cosa vorrei che tu stessi sempre bene (v. sóra).

 

sorafórno sm. (pl. sorafórne) piano di legno posto sopra il forno da pane dove ci si può stendere per riposare al caldo. Béte kéle čàuže sul sorafórno ke le se senžiére n tin metti quelle calze sopra il forno che si riscaldino un po'.

 

sorafuóu avv. sopra il fuoco, sopra la piastra della cucina economica. Si dice così quando una pentola è sul fuoco a cuocere; vàrda ke la kaliéra e nkóra sorafuóu stai attento perché il paiolo è ancora sul fuoco, sta ancora bollendo.

 

Sórakrépa sf. (top.) località a nordovest del paese adiacente a Pian dei Buoi, un tempo zona prativa ora ha una destinazione prevalentemente turistica. È servita dalla carrozzabile che da Lozzo di Cadore sale fino ai forti di Kòl Vidàl. Sin dall' 800 esisteva una casera adibita a ricovero delle pecore.

 

Sórakròde sf. (top.) località a nord del paese, sottostante a Sórapèra, raggiungibile salendo Kòsta Mùla, da cui si gode un vasto panorama sull’abitato e le montagne circostanti

 

sorakuèrta sf. (pl. sorakuèrte) busta da lettere. Béte la létra nte la sorakuèrta mettere la lettera nella busta.

 

soraluógo sm. (pl. soraluóge) sopralluogo, sul posto. Okóre fèi n soraluógo bisogna fare un sopralluogo; èse soraluógo essere sul posto; di soraluógo recarsi sul posto.

 

soramàn sm. (inv.) pialla grande, piallone. Par fèi pì présto, dòra l soramàm per lavorare più in fretta, adopera la pialla grande. Sta bréa e màsa lònga par dorà la piàna, tòle l soramàm per piallare questa lunga tavola occorre la pialla grande.

 

soramànego sm. (pl. soramànege) esperienza, capacità. A ti te mànča l soramànego a te manca l'esperienza; no bàsta la bòna volontà: okóre ànke n tin de soramànego non basta la buona volontà: ci vuole anche capacità nel mestiere; l atréžo e bón, e l soramànego ke mànča l'attrezzo è buono: quello che ti manca è l'esperienza (v. mànego).

 

soramània sf. (pl. soramànie) mezza manica, soprammanica. Pa no fruà i komedói de la ğakéta béte su le soramànie per non consumare i gomiti della giacca, infila le mezze maniche. (v. manegòto).

 

Sóramižói sm. (top.) Località a nord del paese. Colline e pascolo sopra la Kròda de Mižói da cui ha preso il nome. Anche in questa località esistono tuttora parecchi fienili e vi passa la strada militare che porta a Kòl Vidàl.

 

sorandó avv. nella loc. da sorandó da sopra a sotto, dall'alto in basso (v. sóra).

 

soranòme sm. (inv.) soprannome. Come in molti altri paesi del Cadore, anche a Lozzo è necessario ricorrere al soprannome per distinguere le famiglie che hanno uno stesso cognome; nell'archivio dell'anagrafe ad esempio esistono ben 19 famiglie Calligaro, 20 Zanella e 23 famiglie con il cognome Da Pra.

 

Sórapèra sf. (top.) Zona un tempo prativa sulla vecchia mulattiera che da Lozzo porta a Pian dei Buoi dal versante di Kuóilo. È localizzata tra Poleśìn e Brakùžo mentre verso ovest confina con Fontàna. Probabilmente il nome è dovuto al fatto che a valle si trovano le crode. In questa località esistono tuttora parecchi fienili.

 

sorapì avv. soprappiù. Al me a dòu n tin de formài de sorapì mi ha dato un po' di formaggio in più (v. sóra).

 

sorapónto sm. (pl. sorapónte) cucitura laterale ben visibile fatta agli orli del tessuto perché non si sfilacci. Bàsta dói sorapónte e la karpéta e parečàda basta una semplice cucitura e la gonna è fatta.

 

soraruó sm. (pl. soraruós) orzaiolo superiore. Òñi tànto me vién kàlke soraruó ogni tanto mi viene qualche orzaiolo (v. soteruó).

 

Sórasàle sf. (top.) località a nord del paese. Una delle primitive borgate, che alle origini formavano il paese, era quella di Sàle che sorgeva su quel terreno semipiano che si trova all'incrocio tra il sentiero dei Pièi che porta in Kòsta e Sorasàle con la strada militare dove la stessa fa un'ampia curva prima di raggiungere Val. Il toponimo Sàle è ormai in disuso, ma è rimasto quello di Sorasàle, località appunto sopra Sàle, sulla strada della montagna che porta a Kuóilo, in una posizione sempre soleggiata e panoramica da cui si domina l'abitato di Lozzo.

 

soratèra avv. sopra la terra. Èse soratèra salma che deve essere ancora sepolta, essere ancora in vita; só pàre e nkóra soratèra e i čàta bèlo da dì il padre è ancora da seppellire e i figli già litigano per dividersi l'eredità Te ses na kuàrta soratèra ti dai arie da grande in realtà sei ancora molto piccolo (v. tèra).

 

soravìa  avv. in alto, sopra, in aggiunta, nella parte alta, per di più. Di soravìa, di par soravìa procedere per la strada superiore; de soravìa te dào sta ròba ti dò queste cose in aggiunta a quello che ti ho già dato (v. sóra).

 

Soravìa  sf. (top.) Località vicina alla borgata di Brodevìn sopra l'antica via Pre-romana che portava ad Auronzo e Comelico

 

sorbéto sm. (solo sing.) paura, spavento, guaio. Čapà n bèl sorbéto provare una grande paura; e stòu n bèl sorbéto par dùte è stata una dura prova, un bel guaio per tutti.

 

sorbéti sm. (solo pl.) avanzi del caffè espresso che spesso venivano riusati dalle famiglie povere al posto del caffè o addirittura dei surrogati in quanto non costava niente.

 

sórdo agg. (pl. sórde, f. sórda) sordo. Fèi l sórdo fare il sordo, far finta di non sentire; sórdo kóme na čanpàna sordo come una campana, completamente sordo; prov. no e pèdo l sórdo de kel ke no vo sientì non esiste sordo peggiore di chi non vuol sentire.

 

sorgàda sf. (pl. sorgàde) canna disseccata di granoturco. Pestà su la sorgàda fare a pezzi le canne del granoturco per fare la lettiera al bestiame.

 

sórgo sm. (solo sing.) granoturco, mais (bot. Zea mays). Comparso in Cadore all'inizio del ‘600 il granoturco è stato, con la patata e il fagiolo, base fondamentale per l'alimentazione. Come avviene per il maiale, del granoturco viene utilizzata ogni parte: i chicchi (garniéi) per la farina da polenta, i tutoli (pitonàte) per il fuoco, le canne (la sorgàda) come letto per il bestiame, le foglie (le fòe) vengono date da mangiare alle mucche, la pula (pùla) viene utilizzata per riempire i cuscini o i materassi quando mancava la lana. Béte dó sórgo seminare il granoturco; sarì l sórgo sarchiare il granoturco; da tèra al sórgo rincalzare la terra attorno alle piantine del granoturco; restuoñà l sórgo diradare le piantine del granoturco; tòle su l sórgo raccogliere il granoturco; menèstra de sórgo minestra di granoturco, per preparare questa minestra, è necessario mettere a bagno i chicchi del granoturco e dei fagioli e poi farli bollire assieme (v. mùžola, kavalòto, despoià).

 

sorìža sf. (pl. sorìže) sorcio, topo, piccolo ematoma. Le sorìže me a nižòu la pèža de formài i sorci mi hanno rosicchiato la forma di formaggio. Va detto che le forme di formaggio intaccate dai sorci sicuramente erano le migliori del deposito. Me èi čapòu l déido sóte n perón e me e veñù fòra na sorìža mi sono preso il dito sotto un sasso e si è formato un piccolo ematoma; prov. te ses kóme na sorìža nte tamèi sei come un sorcio nella trappola, ormai sei alle strette e non puoi farci più niente; prov. puóra kéla sorìža ke a sólo n bus un unico accorgimento spesso non è sufficiente per cavarsi da un impiccio (v. morsìgol, mosìgol).

 

Sorižièi sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Sorìžo sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

sòrte sf. (solo sing.) specie, qualità, destino, ventura. Dènte de òñi sòrte gente di ogni specie, gente di tutti i tipi; ka e pan de dùte le sòrte qui c'è pane di tutte le specie; fèi de òñi sòrte combinarne di tutti i colori; avé la bòna, la màla sòrte avere un destino benevolo o cattivo; tirà a sòrte tirare a sorte, tentare la fortuna; un par sòrte uno per ciascun tipo.

 

sortì vb. intr. (sortìso, sortìo, sortìu) sortire, uscire, riuscire. A kè óra sortiséla tó màre da bonóra? a che ora esce tua madre al mattino?; l e sortìu polìto n dùto è riuscito bene in tutto, ha avuto un buon successo.

 

sospetà vb. intr. (sospetéo; sospetèo; sospetòu) sospettare. Kél la sospetéa de dùte quello sospetta di tutti.

 

sospèto sm. (pl. sospète) sospetto. Èse pién de sospète essere pieno di sospetti, sospettare di tutti. Prov. Ki ke a l sospèto a ànke l difèto il tipo sospettoso sicuramente non è esente da difetti.

 

sospetós agg. (pl. sospetóśe, f. sospetóśa) sospettoso. No èi mài vedù n sospetós kóme te non ho mai visto un uomo sospettoso come sei tu.

 

sósta sf. (solo sing.) riparo. Di a sósta ripararsi dalla pioggia; èse a sósta essere al riparo; fig. no avé dùte la fasìne a sósta avere qualche rotella fuori posto, essere estroso.

 

sostànža sf. (pl. sostànže) sostanza, patrimonio, nutrimento. Sta menèstra no a sostànža questa minestra non è sostanziosa, non dà nutrimento; só pàre i a lasòu na bèla sostànža suo padre gli ha lasciato in eredità un notevole patrimonio; ròba de póča sostànža roba di poca sostanza, di poco conto; n sostànža in sostanza, insomma; n sostànža kè vósto? in sostanza, insomma che cosa vuoi?

 

sostanžiós agg. (pl. sostanžióśe, f. sostanžióśa) nutriente, sostanzioso. Fugàža sostanžióśa focaccia nutriente; dòta sostanžióśa dote sostanziosa, molto consistente.

 

sosteñì vb. trans. (sostéño; sosteñìo;, sosteñù, sosteñésto) reggere, sostenere, mantenere, affermare. Kél tràvo sostién dùto l kuèrto quella trave sostiene tutto il tetto; tó màre a sènpre sosteñù la faméa tua madre ha sempre mantenuto la famiglia; sosteñì l fàlso sostenere, affermare il falso.

 

sosurà  vb. trans. e intr. (sosuréo; sosurèo; sosuròu) sussurrare, recitare sottovoce. I me a sosuròu nte na réğa de sta bon mi hanno sussurrato in un orecchio di stare calmo; kuàn ke son solo sosuréo sènpre kàlke Avemaria nei momenti di solitudine recito sotto voce alcune avemarie.

 

sosurà  vb. intr. (sosuréo; sosurèo; sosuròu) far rumore, far chiasso. Me rakomàndo de no sosurà! mi raccomando di non fare chiasso!

 

sosuràda sf. (pl. sosuràde) chiasso, fragore. Ma kè éla sta sosuràda? ma che

cos'è questo chiasso?

 

sosurón agg. (pl. sosurói, f. sosuróna, pl. sosuróne) rumoroso, persona chiassosa.

 

sosùro sm. (pl. sosùre) strepito, rumore, fracasso, chiasso. Da ñó véñelo sto sosùro? da dove arriva tutto questo fracasso?; no sta fèi sosùro, se nò te deséde tó pàre non fare fracasso altrimenti svegli tuo padre. No sta fèi sosùro, ke tó pàre e stràko! non fare chiasso che tuo padre è stanco e deve riposare!

 

sóte  avv. prep. sotto. Sóte l vestì sotto il vestito; sóte de neàutre sotto di noi; di sóte àga andare sott'acqua, annegare; di sóte tèra andare sotto terra, morire; béte sóte i pès mettere sotto i piedi, calpestare; laurà sóte parón lavorare alle dipendenze; avé sóte òčo avere sott'occhio, tenere a portata di mano; sóte Nadàl in prossimità del Natale; èse sóte le àrmi prestare servizio militare; di sóte la nàia partire per il servizio militare; kuàn ke ereóne sóte i todéske..., quando eravamo sotto i tedeschi, durante le invasioni del 1917 e del 1943...; fèi àlgo sóte man fare qualcosa in modo furtivo; tòle le ròbe sóte ğànba prendere le cose sotto gamba, prendere le cose alla leggera; késta me la béto sóte l bràžo questa me la lego al dito; di do de sóte andare di sotto, scendere; fig. dì ìnte par sóte indagare in segreto; al sól e dù sóte il sole è tramontato; èse al de sóte essere inferiore; tomà do de sóte cadere in basso; di dó par sóte cascare, scivolare lungo una scarpata; son al de sóte ho dei debiti; di da sóte n su partire dal basso e salire verso l'alto; di fòra de sóte andare fuori dai piedi; mandà fòra de sóte cacciare via in malo modo; vb. rifl. fèise sóte farsi sotto, farsi coraggio; escl. sóte tośàte, dón a laurà coraggio, ragazzi, andiamo a lavorare.

 

sóte  sm. (inv.) al de sóte la parte inferiore; al de sóte de la skudèla e nkóra spórko la parte inferiore della tazza è ancora sporca.

 

sotekólmin sm. (inv.) trave posta sotto la trave di colmo del tetto e nella medesima direzione. Generalmente è installata per far aumentare la portata del colmo quando i tetti sono molto grandi e hanno uno sporto largo.

 

sotenuižàl sm. (pl. sotenuižài) vestito che la sposa indossava per la messa la terza domenica successiva al matrimonio. Secondo la tradizione la sposa era tenuta a rispettare alcune regole stabilite per l'abbigliamento della messa per alcune domeniche successive al giorno del matrimonio: la prima domenica indossava il vestito delle nozze, la seconda un abito nero e la terza il sotenuižàl. Mariùta doménia èra a Mésa kol sotenuižàl Maria domenica a Messa indossava il sotenuižàl (v. nuižàl).

 

sotepànža sm. (inv.) sottopancia, per est. cinghia per sostenere i pantaloni.

 

Sotepiàna sf. (top.) località a est del paese oltre la chiusa di Loréto vicino alla Ruóiba e il Piave.

 

Sotepónto sm. (pl. sotepónte) cucitura di una piega fatta nella parte non esposta.

 

soterà vb. trans. (soteréo; soterèo; soteròu) sotterrare, interrare. Soterà la porkarìa sotterrare i rifiuti.

 

soteruó sm. (inv.) orzaiolo inferiore. E n tokéto ke no me vién pì soteruó è da un po' di tempo che non mi compaiono più gli orzaioli sulla palpebra inferiore (v. soraruó).

 

sotesàla sf. (inv.) sottoscala. Èi ğenpù l sotesàla de léñe ho riempito il sottoscala di legna da ardere.

 

soteskòrž sm. (inv.) sotto sciavero. Asse che si ricava segando il tronco dopo aver tolto lo skòrž. I soteskòrž e bói a fèi tramìde i sotto sciaveri sono adatti a fare rudimentali tramezzi (v. skòrž).

 

sotesóra avv. sottosopra, in disordine. Béte sotesóra mettere sottosopra, mettere in disordine, creare dissapori; béte sotesóra l mastèl capovolgere il mastello perché si asciughi; čatà dùto sotesóra trovare tutto in disordine; èse sotesóra essere sottosopra, avere l'animo turbato, sentirsi poco bene. No sta ntrigàte se nò te béte sotesóra la veśinanža non impicciarti negli affari altrui, altrimenti metti in subbuglio tutto il vicinato.

 

sotevóže, sotevóž avv. sottovoce. Parlà sotevóž parlare sottovoce.

 

sotì agg. (pl. inv., f. sotìla, pl. sotìle) sottile, fine. Fìlo sotì filo sottile; guśèla sotìla ago sottile, fine; taià su sotì tagliare fine, tagliuzzare. No sta di màsa pa l sotì, śgòrba vìa non cercare le minuzie, vedi di sorvolare.

 

sotiléža sf. (pl. sotiléže) sottigliezza, delicatezza. Tu te as màsa póča sotiléža kon tó màre tu manchi di delicatezza, sei troppo rude con tua madre.

 

sótra sf. (pl. sótre) sottrazione. Nkuói a skòla èi nparòu la sótra oggi a scuola ho imparato a fare la sottrazione; adès te sótre adesso fai la sottrazione.

 

sotratìvo sm. (pl. sotratìve) clistere. Daspò kél sotratìvo, l e stòu mèo alòlo dopo aver fatto quel clistere, si è sentito subito meglio.

 

sotražión sf. (pl. inv.) sottrazione.

 

soveñìse vb. rifl. (me sovién; soveñìo; soveñù, soveñésto) sovvenire, ricordarsi. No me sovién pì nùia de kéla nuóte non mi ricordo più nulla di quella notte; te sovéñelo nkóra tó nòno? ti ricordi ancora di tuo nonno?

 

Sovèrña sf. (top) Denominazione antica di tutta la monte di Lozzo di Cadore (i confini sono ancor oggi ben specificati nei Laudi), attualmente usata solamente per indicare il pascolo immediatamente prossimo alla Kaśèra de le Vàče denominata anche Kaśèra de Sovèrña. La tradizione vuole che la monte venisse donata ai Lozzesi da una certa Savorgnana per la quale nell'ultima domenica di luglio viene celebrata una messa. (Fabbiani 1981 nota 52 p. 121). La prima citazione documentata di Sovèrña risulta da una pergamena originale del 22 agosto 1188 depositata presso l'archivio comunale di Auronzo “permuta fra i comuni di Auronzo e Lozzo”. In essa Auronzo cede Sovèrña a Lozzo in cambio di Larieto. Secondo il Da Ronco il toponimo si spiega così: la prima componente è sovra o sopra la seconda è il tedesco Berg-Monte, quindi monte sopra l'abitato di Lozzo.

 

sožiéde vb. imp. (sožiéde; sožiedèa; sožiedésto, sožiedù) succedere, accadere. Al di de nkuói sožiéde de òñi sòrta al giorno d'oggi, ne accadono di tutti i colori (v. sužiéde).

 

sòžio agg. (pl. sòžie, f. sòžia) socio, persona poco affidabile, briccone, scapestrato. Èse n bón sòžio o na bòna sòžia essere un uomo o una donna poco serio, poco affidabile.

 

spàda  sf. (pl. spàde) spada. Il termine è riferito anche ad uno dei quattro segni delle carte da gioco trevisane: spàde, kópe, danàri, bastói; valé kóme l dói de spàde a brìskola valere come il due di spade al gioco della briscola, cioè non valere nulla.

 

spàda  sf. (pl. spàde) giaggiolo (bot. Iris germanica) Àsto vedù ke bèle spàde ke e veñùde su nte órto? hai visto che bei giaggioli sono cresciuti nell'orto? La foglia a forma di spada ha dato il nome a tutta la pianta.

 

spadà vb. trans. (spadéo; spadèo; spadòu) castrare i maiali. E veñésto Tòni a spadà l kùčo è venuto Toni a castrare il maiale.

 

spadeà vb. intr. (spadéo; spadeèo; spadeòu) sbadigliare. Spadeà da la fàme, da la sòn sbadigliare per la fame, per il sonno; àsto fenìu de spadeà? hai finito di sbadigliare?; prov. ki ke spadéa o a fàme o a sòn lo sbadiglio è indizio di fame o di sonno; prov. se se à, se màña, se nò se spadéa se si ha si mangia, altrimenti... si sbadiglia. Loc. l spadeà e kontağós sbadigliare è contagioso.

 

spadeàda sf. (pl. spadeàde) sbadiglio. Nkóra na spadeàda e pò e mèo ke vàde a ślòfin ancora uno sbadiglio e poi è meglio che vada a dormire.

 

spaeśòu agg. (pl. spaeśàde, f. spaeśàda) spaesato, fuori dal suo ambiente. Kuànke vàdo dó par Venèžia me siénto spaeśòu quando mi reco a Venezia mi sento spaesato.

 

spagéte sm. (solo pl.) spaghetti. Menèstra de spagéte minestra con gli spaghetti.

 

spagéto sm. (solo sing.) paura. Čapà n spagéto prendere paura, spaventarsi.

 

spàgo sm. (pl. spàge) spago. N ğèmo de spàgo un gomitolo di spago; kośì kol spàgo cucire con lo spago; leà kol spàgo legare con lo spago.

 

spakà vb. trans. (spàko; spakèo; spakòu) spaccare, rompere. Spakà na skudèla rompere un tazza; spakà su dùto fracassare tutto; spakà su léñe spaccare, ridurre in pezzi la legna da ardere; spakà ìnte la pòrta sfondare la porta; spàka fòra kéla maśiéra demolisci quel mucchio di sassi; nkuói l sól spàka le père oggi il sole spacca le pietre; spakà l menùto spaccare il minuto, essere puntualissimo.

 

spakadùra sf. (pl. spakadùre) spaccatura, fenditura. Stropà na spakadùra riempire, otturare una fenditura; la spakadùra de le bràge l'abbottonatura dei pantoloni.

 

spakağàra sf. (pl. inv.) grosso rullo. Serviva per rompere e comprimere la ghiaia sulle strade sterrate.

 

skavàžaparé sm. (solo sing.) gattuccio, sega sottile del falegname. Ka okóre l skavàžaparé qui occorre usare il gattuccio.

 

spàko sm. (pl. spàke) spacco, rottura. Àsto vedù ke spàko nte l mùro? hai visto che fenditura nel muro?; fèi spàko destare grande impressione su chi sente o vede.

 

spakòu agg. (pl. spakàde, f. spakàda) rotto, spaccato, fig. preciso, identico. Nte kéla čàśa èi vedù sólo piàte spàkade in quella casa ho visto solo piatti rotti; te ses tó pàre spakòu! sei identico a tuo padre (v. kagòu, fetìvo).

 

spàla sf. (pl. spàle) spalla. Avé spàle bòne avere buone spalle, sapere sopportare le avversità; voltà le spàle voltare le spalle, abbandonare; aužà le spàle fare spallucce; béte sóte le spàle mettere sotto le spalle, prendere su dì sè la responsabilità, aiutare; paràse fòra na spàla lussarsi una spalla; bétese àlgo su le spàle mettersi qualcosa sulle spalle, coprirsi le spalle con qualche indumento; rìde davòi le spàle ridere alle spalle, deridere.

 

spalà vb. trans. (spàlo; spalèo; spalòu) spalare. Spalà l néve spalare, levare la neve con la pala.

 

spalànğa sf. (pl. spalànğe) spallina. Le spalànğe del déi le spalline della gerla.

 

spalankà vb. trans. (spalankéo; spalankèo; spalankòu) spalancare, fig. meravigliarsi. Spalankà la pòrta, i òče, la bóča spalancare la porta, gli occhi, la bocca; kè àsto ke te spalankée la bóča? che cosa hai che spalanchi la bocca? che cosa c'è che ti meraviglia tanto?

 

spaléta sf. (pl. spaléte) spallina di un indumento, parapetto in muratura. Si tratta dei muri di protezione che vengono alzati lungo i fiumi o ai lati di un ponte. Spaléta de la fenèstra o de la pòrta termine recente che sta ad indicare gli elementi verticali di muratura che limitano porte e finestre. Fig. La kamìna n spaléta ha un'andatura pendente da un lato.

 

spaliéra sf. (pl. spaliére) spalliera. La spaliéra del liéto, de la kariéga, de la bànča la spalliera del letto, della sedia, della panca.

 

spalotà vb. (spalotéo; spalotèo; spalotòu) lo schioccare della lingua nel gustare un cibo succulento. No sta spalotà non devi far sentire che gusti il cibo.

 

spaltà sm. (pl. spaltàs) assicella per recinzioni. Di solito le recinzioni vengono costruite con skòrž o soteskòrž. Paréča dói spaltàs ke èi da kanbià ki róte prepara alcune assicelle perché devo riparare quelle rotte; i tośàte a fèi sèste i me a tiròu do dùte i spaltàs i ragazzi giocando mi hanno demolito tutta la recinzione.

 

spaltàda sf. (pl. spaltàde) recinto, steccato, la classica recinzione con assi di legno posti in verticale con estremità superiore appuntita. Fèi su la spaltàda costruire lo steccato; loc. ka no e spaltàda ke téñe qui non c'è steccato che tenga, qualsiasi barriera non serve a nulla; sautà la spaltàda saltare lo steccato, scappare, svignarsela.

 

spàna sf. (pl. spàne) spanna. Al sórgo e bèlo àuto na spàna il granoturco è già alto una spanna; na spàna de velùdo, de kordèla una spanna di velluto, di fettuccia.

 

spanà vb. trans. e rifl. (me spàno; spanèo; spanòu) spanare, consumare con l'uso, allentare, spanarsi. A fòrža de ğiràla èi spanòu la vìda a forza di girare, ho rovinato il filetto della vite. Ména ke te méne, èì spanòu la vìda gira e rigira si è spannata alla fine la vite.

 

spànde vb. trans. (spàndo; spandèo; spandésto, spandù) spargere, perdere, lasciare uscire. Spànde l èrba spargere l'erba appena falciata; spànde i kogolùže spargere il fieno dei covoni sul prato perché finisca di seccarsi; l mastèl spànde il mastello perde acqua; spànde àga orinare; spènde e spànde scialacquare.

 

spanòu agg. (pl. spanàde, f. spanàda) spanato, liscio, consumato. Sto bolón e spanòu questo bullone ha il filetto consumato.

 

spanteà vb. trans. (spanteéo; spanteèo; spanteòu) schiacciare, spiaccicare. Èi spanteòu n grùmo de malès ho schiacciato sotto i piedi molte larve di maggiolino.

 

spanteàda sf. (pl. spanteàde) schiacciata, spiaccicata. Ko na spanteàda èi kopòu dùte i mosìgoi péna nasùde con il piede ho schiacciato tutti i topolini appena nati.

 

spanteòu agg. (pl. spanteàde, f. spanteàda) schiacciato. Me èi spanteòu n déido mi sono schiacciato un dito.

 

spanžàda sf. (pl. spanžàde) spanciata, scorpacciata, fig. esaurirsi della pazienza. Èi fàto na spanžàda de mùie ho fatto una scorpacciata di lamponi; son tomòu su l néve e èi dòu do na spanžàda sono caduto sulla neve e ho battuto con la pancia. Èi čapòu na spanžàda ke me bastèa mèda mi sono talmente annoiato che non ne potevo più.

 

spanžàse vb. rifl. (me spànžo; spanžèo; spanžòu) fare una scorpacciata, nausearsi. Me son spanžòu de menèstra de faśuói ho fatto una scorpacciata di minestra di fagioli.

 

spàña sf. (pl. spàñe) erba medica, erba spagna (bot. Medicago sativa). Erba leguminosa a fiori gialli, che viene anche data come foraggio a mucche e cavalli. Seà la spàña falciare l'erba spagna.

 

spañà vb. trans. (spañéo; spañèo; spañòu) seminare erba medica. Dopo aver coltivato uno stesso campo a orzo e poi a patate, lo si fa riposare per un certo periodo seminando erba medica. Si tratta di una regola di rotazione che permette di evitare l'impoverimento del terreno. I campi seminati ad erba medica danno un raccolto quattro volte all'anno in quanto cresce molto in fretta e la si deve falciare fresca altrimenti il gambo diventa legnoso e perciò immangiabile. Spañà n čànpo seminare un campo ad erba medica.

 

spañoléta sf. (pl. spañoléte) spagnoletta di filo avvolta in un cartone, sigaretta fatta a mano. Èi konpròu na spañoléta de fìlo biànko ho comperato una spagnoletta di filo bianco; fumàse na spañoléta fumarsi una sigaretta.

 

sparañà vb. trans. e intr. (sparañéo; sparañèo; sparañòu) risparmiare, fare economia. Nte la mé vìta èi sènpre sparañòu nella mia vita ho sempre risparmiato; sparañà sul sal risparmiare in modo eccessivo fino all'avarizia; fig. pa sta òta te le sparàño per questa volta non ti picchio; prov. okóre sparañà pa no morì, ma nò morì pa sparañà bisogna risparmiare per non morire in povertà, ma non bisogna morire per risparmiare; usare buonsenso anche sul risparmio. prov. okóre sparañà l onbrèla par kuàn ke pióve nei periodi di abbondanza bisogna mettere da parte qualcosa per i periodi di carestia. Ki sparañà la ğàta màña trovi sempre qualcuno che poi utilizza i tuoi risparmi.

 

sparañìn agg. (pl. sparañìn, f. sparañina, pl. sparañine) risparmiatore, per est. avaro.Èse sparañìn essere alquanto risparmiatore.

 

sparàño sm. (pl. sparàñe) risparmio. Késte e dùte i mè sparàñe questi sono tutti i miei risparmi; prov. al primo guadàño e l sparàño il risparmio è il primo modo di fare guadagno.

 

Sparaviér, kòsta-ğòu- (top.) Zona nel territorio del comune di Domegge di Cadore i cui terreni sono però di proprietà degli abitanti di Lozzo. È costituita dal costone e dal canalone, appunto detti Kòsta de Sparaviér e Ğòu de Sparaviér che dalla Val Lonğiarìn, poco oltre i fienile di Čarežèi porta in Piàn de Maśón sotto il rifugio Baión. Il bosco è costituito principalmente da piante di abete ed è particolarmente umido. Il terreno è cosparso di felci maschio. (Dryopteris filix-mas). Si può ipotizzare che il toponimo abbia avuto origine dal luogo che si presta come zona di falchi, appunto sparvieri.

 

sparì vb. intr. (sparìso; sparìo; sparìu) sparire, eclissarsi. L e sparìu daspò vèspro žènža di pì de kosì è sparito dopo il vespro senza dire altro.

 

spàris sm. (inv.) asparago selvatico (bot. Spiraea Aruncus). Nkuói èi mañòu dóta de spàris oggi ho mangiato verdura cotta di asparagi selvatici; dréto kóme n spàris diritto come un asparago; krése kóme n spàris crescere in fretta come gli asparagi, si dice specialmente dei bambini che diventano grandi in un batter d'occhio (v. dóta).

 

sparlačà vb. intr. (sparlačéo; sparlačèo; sparlačòu) spettegolare, dir male del prossimo, parlare in modo osceno. Kéle dóe l e sparlačéa dùto l di quelle non fanno che spettegolare tutto il giorno.

 

sparlačón agg. (pl. sparlačói, f. sparlačóna, pl. sparlačóne) pettegolo, maldicente, chi parla in modo sboccato. Daspò la nàia to neódo e deventòu n sparlačón dopo il servizio militare tuo nipote è diventato uno sboccato.

 

spartì vb. trans. (spartìso; spartìo; spartìu) spartire, dividere. Spartì la ròba spartire, fare la divisione dell'eredità.

 

spasàsela vb. rifl. (me la spàso; spasèo; me la èi spasàda) spassarsela, divertirsi. Sóte le àrmi me la èi spasàda durante il servizio militare me la sono spassata.

 

spaseğà vb. intr. (spaseğéo; spaseğèo; spaseğòu) passeggiare, andare a spasso. Da kuàn ke la a l morós la spaseğéa dùte le siére da quando è fidanzata, tutte le sere va a spasso.

 

sparviér sm. (inv.) sparviere. Di kóme n sparviér andare veloce come uno sparviero.

 

spaśemà, spaśemàse vb. trans. e rifl. (me spaśeméo; spaśemèo; spaśemòu) spaventare, impaurire, spaventarsi. L èi spaśemòu l'ho spaventato, l'ho cacciato via tutto spaventato; se la me véde kosì konžòu, la màre me spaśeméa se mi vede in questa condizione, la mamma mi rimprovera; bàsta póko par spaśemàse basta poco per spaventarsi.

 

spaśemàda sf. (pl. spaśemàde) spavento, paura, fig. rimprovero fatto a voce alta. Te avaràe debeśuói de na bèla spaśemàda ti farebbe bene una bella lezione, avresti bisogno di un solenne rimprovero; èi čapòu na spaśemàda ke te salùdo Ninéta ho preso uno spavento impossibile da descrivere.

 

spàśemo sm. (pl. spàśeme) paura, terrore, dolore angoscioso. Nkóra n spàśemo konpài e muóro ancora uno spavento del genere ed ci resto secco; òñi tànto me vién l spàśemo ogni tanto mi viene un senso di angoscia, di ansia. Àga de spàśemo calmante, prodotto farmaceutico anti spasimo.

spaśemòu agg. (pl. spaśemàde, f. spaśemàda) impaurito, terrorizzato. Ké àsto ke te ses kosì spaśemòu? che cosa è successo che ti vedo così terrorizzato?

 

spasionàse vb. rifl. (me spasionéo; spasionèo; spasionòu) sfogare con qualcuno il proprio dolore. L avèa n grùmo de despiažér ke la e veñésta a spasionàse kon me aveva così tanti dispiaceri che è venuta a sfogarsi da me.

 

spàso sm. (solo sing.) divertimento, spasso, passeggio. Sto viàdo e stòu n spàso questo viaggio è stato un vero divertimento; di a spàso andare a passeggio; èse a spàso essere disoccupato; mandà a spàso mandare a spasso, cacciar via, licenziare.

 

spàvio agg. (pl. spàvie, f. spàvia) spaurito, terrorizzabile, ribelle, selvatico. Kél lugerìn l e nkóra spàvio quel lucherino è ancora selvatico; tó fìa e n tin spàvia tua figlia è un po' diffidente, spaurita.

 

spažakamìn sm. (inv.) spazzacamino. ìnte pa le Svìžere l a koñésto fèi ànke l spažakamìn in Svizzera ha dovuto fare anche lo spazzacamino.

 

spàžakośìna sf. (pl. spažakośìne) dispensa, ripostiglio, sbrattacucina. I èra dùte la nte spàžakośìna ke i piandèa erano tutti nella dispensa a piangere.

 

spé sm. (inv.) spiedo. Rostì i aužiéi sul spé arrostire gli uccellini sullo spiedo.

 

speažà vb. trans. (speažéo; speažèo; speažòu) prendere a calci, tirare calci. Kéla vàča speažéa quella mucca tira calci, scalcia; sta bón se nò te speažéo stai buono altrimenti ti piglio a calci (v. spedažà).

 

speažàda sf. (pl. speažàde) pedata, calcio. Al me a čapòu a speažàde mi ha preso a calci; èi čapòu na speažàda da la vàča ho preso un calcio dalla mucca.

 

speažón sm. (pl. speažói) pedata violenta, calcione. Čapà a speažói prendere a violente pedate.

 

spedažón sm. (pl. spedažói) pedata violenta, calcione. Kuànke dugón al palón l mòla de ki spedažói ke l te làsa le čadìe négre quando giochiamo a pallone, tira di quei calci che ti ritrovi le caviglie tutte viola.

 

spedì vb. trans. (spedìso; spedìo; spedìu) spedire. Pénsete de me spedì la létra ricordati di spedirmi la lettera.

 

spečà vb. trans. (spèčo; spečèo; spečòu) togliere un pezzo di circa 20cm della corteccia alle piante; rovinare i tronchi. Durante la martellatura, la martelàda, gli alberi individuati per essere abbattuti, vengono segnati con l'asportazione di una parte della corteccia e con il segno del martello della forestale nella parte più bassa vicino alle radici perché il segno rimanga anche dopo il taglio. Spečà le piànte togliere parte della corteccia alle piante destinate al taglio; nte l molà do le tàe i a spečòu le piànte l'avallamento dei tronchi ha provocato danni alle piante lungo il tragitto. Ko i a taiòu su a la Pòrta, i a rebaltòu sul mè e i me a spečòu dùte le piànte quando effettuarono il taglio in località la Porta, hanno rovesciato sul mio terreno le piante rovinando i miei alberi .

 

spečàse vb. rifl. (me spèčo; spečèo; spečòu) specchiarsi, guardarsi allo specchio. Spèčete n tin, e te vedaràs ke te ses dàl kóme n limón guardati un po' allo specchio e vedrai che sei giallo come un limone, che sei malato.

 

spečéra sf. (pl. spečére) specchiera, specchio grande. Èi ronpésto la spečéra de kànbra ho rotto la specchiera della camera da letto.

 

spèčo sm. (pl. spèče) specchio, pannello, fig. esempio da imitare o non. Vardàse nte l spèčo guardarsi allo specchio, specchiarsi; néto kóme n spèčo pulito come uno specchio; te as davànte n bèl spèčo hai davanti una persona degna di essere imitata oppure meritevole di disprezzo.

 

spedažà vb. trans. (spedažéo; spedažèo; spedažòu) prendere a calci, tirare calci. Àsto fenìu de spedažà sóte la tòla hai finito di tirare calci sotto il tavolo.

 

spedažàda sf. (pl. spedažàde) pedata, calcio. Te meritaràe dóe bòne spedažàde meriteresti due sonori calcioni.

 

spekulà vb. intr. (spekuléo; spekulèo; spekulòu) speculare, essere avaro. Lesinare, dare il meno possibile. Spekulà su dùto far economia su tutto; spekulà sul sal fare economia in modo esagerato, privarsi anche del necessario.

Spekulà su kel ke l à dìto travisare il senso di una parola o frase per le proprie speculazioni.

 

spelà, spelàse vb. trans. e rifl. (me spélo; spelèo; spelòu) spellare, spellarsi. A veñì do pal ğarón, al se a spelòu dùta la man si è spellato tutta la mano scendendo lungo il ghiaione.

 

spelužà  vb. trans. (spelužéo; spelužèo; spelužòu) pizzicare, centellinare. To fardèl a l vìžio de spelužà tuo fratello ha il vizio di dare pizzicotti. Nkuói èi spelužòu solo n tin de formài oggi ho mangiucchiato solo un po' di formaggio.

 

spelužà  vb. trans. (spelužéo; spelužèo; spelužòu) centellinare, staccare con le dita un pezzettino di formaggio o altro; mangiucchiare. Strusciare i soldi più volte nel timore di darne di più. Spelužéeme do n tin de formài staccami un pezzetto di formaggio.

 

spelužàda sf. (pl. spelužàde) pizzicotto. La tó spelužàda me a lasòu dùto l séño négro il tuo pizzicotto mi ha lasciato un livido.

 

spelužón sm. (pl. spelužói) grosso pizzicotto. Àsto fenìu koi tuói spelužói? hai finito coi tuoi pizzicotti?

 

spendačà vb. intr. (spendačéo; spendačèo; spendačòu) dilapidare, scialacquare. Da kuàn ke l a eredetòu al spendačéa dopo essere venuto in possesso dell'eredità, sperpera il suo denaro.

 

spendačón agg. (pl. spendačói, f. spendačóna, pl. spendačóne) spendaccione, scialacquatore. To òn par le ostarìe l e n spendačón tuo marito nelle osterie è uno spendaccione.

 

spènde vb. trans. (spèndo; spendèo; spendésto, spendù) spendere. Spènde póčo o n grùmo spendere poco o molto; spènde ki kuàtro ke se a spendere quel poco che ciascuno possiede; spènde e spànde spendere e spandere, scialacquare; spèndeli dùte arrivare fino all'esaurimento delle forze.

 

spéra sf. (pl. spére) lancetta dell'orologio, filo di luce. Le spére de l arlòio le lancette dell'orologio; bàsta na spéra de lùśe par véde è sufficiente un filo di luce per riuscire a vedere.

 

sperà vb. intr. (spéro; sperèo; speròu) sperare. Spéro ke l pióve spero che piova; ka no rèsta àutro ke sperà nte l Siñór a questo punto non rimane altro che sperare in Dio.

 

sperànža sf. (pl. sperànže) speranza. Èi sperànža ke tó màre véñe prestìn spero che tua madre venga presto; prov. la sperànža e l pan dei puaréte la speranza per i poveri è l'unica risorsa; prov. ko la sperànža, se puó gratàse la pànža chi vive di sola speranza, alla fine muore di fame; prov. fin ke e fiòu e sperànža finché c'è fiato, c'è speranza.

 

Sperànža sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

speriènža sf. (pl. speriènže) esperienza, pratica. Avé speriènža avere esperienza.

 

sperimentà vb. trans. (sperimentéo; sperimentèo; sperimentòu) sperimentare. Sperimentà a só spéśe sperimentare a proprie spese (v. proà).

 

speriménto sm. (pl. speriménti) esperimenti. No stà fèi speriménti lascia le cose come sono.

 

speronà vb. trans. (speronéo; speronèo; speronòu) lanciare sassi. I a speronòu kel puóro čan ke l e du kóme na saéta ha lanciato sassi al cane che è scappato come un fulmine (v. perón).

 

speronàda sf. (pl. speronàde) sassaiola. Èi čapòu na speronàda da ki laśarói ho ricevuto una sassaiola da quei lazzaroni.

 

spèrto agg. (pl. spèrte, f. spèrta) bravo, esperto, fig. scaltro, furbacchione. L e deventòu n marengón spèrto è diventato un bravo falegname.

 

spés agg. (pl. spése, f. spésa) di grosso spessore, denso, fitto. Bréa spésa asse di grosso spessore.

 

spéśa sf. (pl. spéśe) spesa. Di a fèi spéśa andare a fare la spesa; èse de póča spéśa essere economico, modesto, persona che mangia poco e di tutto; èse su le spéśe essere a carico, essere disoccupato; laurà pa la spéśa lavorare solo per riuscire a mantenersi; loc. tòle dó o fòra de le spéśe eliminare qualcuno, uccidere.

 

speśà vb. intr. (speśéo; speśèo; speśòu) spesare, fornire di vitto ed alloggio. L e speśòu de dùto è spesato di tutto, gli vengono garantiti vitto e alloggio.

 

Spése, Le Spése sf. (top.) località a nord di Lozzo, lungo la strada che sale a Pian dei Buoi, poco distante dal paese.

 

spežà vb. trans. (spèžo; spežèo; spežòu) spezzare, rompere. Spèža su n tin de polènta a le pìte spezzetta un po' di polenta per le galline. Spèža do n tin del mè formài: te sentiràs ke bon staccati un pezzo del mio formaggio, sentirai com'è gustoso.

 

spežiarìa sf. (pl. spežiarie) farmacia. Va n spežiaria a tòle dóe pìrole vai in farmacia a comperare delle pillole.

 

spèžie  sf. (solo sing.) senso, stranezza. Fèi spèžie impressionare; me fa spèžie ke no l sée veñù mi pare strano che non sia venuto.

 

spèžie  sf. avv. (inv.) specialmente. Dùte dovaràe èse bói, spèžie ki ke va nte čéśa tutti dovrebbero essere buoni specialmente quelli che vanno in chiesa. Fig. persona malvista. Kel la me fa spèžie provo fastidio incontrando la tal persona.

 

spèžie3 sf. (inv.) spezie, droghe alimentari, pepe, cannella e chiodi di garofano. Avón da fèi su l kùčo, ntànto parečón le spèžie, kéle e ròbe ke no va mìa de mal dovendo uccidere il maiale, acquistiamo intanto le droghe occorrenti, quelle mica vanno a male.

spežiér  sm. (inv.) farmacista. Fèi su n kónto da spežiér fare un conto da farmacista, fig. presentare un conto salato. Te ses n spežiér sei uno che spacca il grammo anche su cose di poco conto.

 

Spežiér  sm. (nome) soprannome di famiglia. Ki de Spežiér si tratta della famiglia Pellegrini, originaria di Rocca Pietore. Fin dal 1876 insediata a Lozzo con la farmacia e con un negozio di genere alimentari e ferramenta, erano inoltre titolari della omonima segheria.

 

Spežiér3 sm. (inv.) droghiere, venditore di spezie, identificati per traslato anche nell'attività di farmacista come Ki de Spežiér ossia la famiglia Pellegrini che svolgeva in loco sia l'attività di droghiere che quella di farmacista.

 

spežionà vb. trans. (spežionéo; spežionèo; spežionòu) ispezionare, osservare. Spežionà dùto ispezionare, controllare tutto.

 

spià vb. trans. (spiéo; spièo; spiòu) vedere, fare la spia. Èi spiòu dùto a la mare ho raccontato tutto, ho detto tutto alla mamma.

 

spiàda sf. (pl. spiàde) spiata, soffiata. Késta spiàda no okorèa pròpio questa soffiata non era davvero necessaria.

 

spiadùra sf. (pl. spiadùre) spiata, espressione. No l a na spiadùra da bon non dà l'impressione di essere una buona persona (v. spiàda).

 

spianà vb. trans. (spianéo; spianèo; spianòu) spianare, livellare. Spianà la strada livellare la strada.

 

spiegàž sm. (pl. spiegàže) lavoro mal fatto, sgorbi, scarabocchio, spiegazzamento. Kè élo sto spiegàž? cosa significa questo lavoraccio?; l kuadèrno de skòla e pién de spegàž il quaderno di scuola è pieno di sgorbi, di scarabocchi.

 

spiegažà vb. trans. (spiegažéo; spiegažèo; spiegažòu) scarabocchiare, sgualcire, rovinare, spiegazzare

 

spiénda sf. (pl. spiénde) milza. Mal de spiénda male alla milza, il dolore può essere dovuto ad uno sforzo eccessivo o a una corsa troppo impegnativa. Béte na ğarìna sóte la lénga ke te pàsa l mal de spiénda metti un sassolino sotto la lingua e vedrai che ti passa il male alla milza; era una credenza popolare.

 

spietà , spietàse vb. trans. e rifl. (me spiéto; spietèo; spietòu) aspettare, attendere. Aspettarsi, sperare; spietà kalkedùn aspettare qualcuno; me spiéto àlgo de bón mi aspetto qualcosa di buono; spietàsela aspettarsela; késta no me la spietèo questa non era davvero prevedibile; spiéteme ke rùo aspettami che arrivo, fig. scappa altrimenti ti prendo; spietà ki ke no rùa aspettare chi non arriva, sperare che avvenga ciò che non avverrà mai. To suó la spiéta tua sorella è in attesa di un lieto evento.

 

spietà  vb. intr. (spiéto; spietèo; spietòu) spettare. A ti no te spiéta nùia a te non spetta nulla; a lùi i a spietòu dùte i čànpe a lui sono toccati in sorte tutti i campi. Va precisato che nelle divisioni dei beni se a una parte venivano assegnati i prati, per equiparare il valore all'altra parte venivano assegnati i boschi (v. točà).

 

spìga sf. (pl. spìge) spiga. Le spìge de l òrğo, de la siàla, de l forménto le spighe dell'orzo, della segala, del frumento.

 

spigà vb. intr. (spigéo; spigèo; spigòu) spigare, mettere spiga. La siàla la spìga la segala sta mettendo la spiga.

 

spigéta sf. (pl. spigéte) spighetta, laccio da scarpe. Èi ronpésto la spigéta de le skàrpe ho rotto il laccio delle scarpe (v.kordói).

 

spìgo  sm. (pl. spìge) filo d'erba, fuscello. Dài dòe spìge a la čàura dai un po' d'erba fresca alla capra; Tòle n spìgo e forinğéa ìnte pa l bus te vedaràs ke l grì vién fòra prendi un fuscello e fruga nella tana vedrai che il grillo esce; prov. bèl n èrba, brùto n spìgo bello da piccolo, brutto da grande. Dàme n spìgo ke me néto i dènte dammi un fruscello che lo uso come stuzzicadente. Èi n spìgo n mèdo l kòl mi è rimasto qualcosa nella gola, spesso è una senzazione fastidiosa.

 

spìgo  sm. (pl. spìge) spicchio. N spìgo de ài uno spicchio di aglio; dàme dói spìge de narànža dammi due spicchi di arancia.

 

spìgol sm. (pl. spìgoi) spigolo, angolo, cantonata. Sta bréa e piéna de spìgoi quest'asse è piena di spigoli; ğavà i spìgoi togliere gli spigoli, rendere liscio. Te te rùse sènpre su pa i spìgoi ti gratti la schiena continuamente contro gli spigoli della porta (v. čantón).

 

spìgola sf. (pl. spìgole) scapecchiatoio. Si tratta di uno strumento usato per pettinare il lino e la canapa.

 

spigolà vb. intr. (spigoléo; spigolèo; spigolòu) spigolare, raccogliere qua e là. Di a spigolà andare a spigolare; spigolà su dùto raccogliere tutto ciò che è sparso per terra.

 

spigolós agg. (pl. spigolóśe, f. spigolóśa) spigoloso, pieno di spigoli. Sta tòla e dùta spigolóśa questo tavolo è tutto pieno di spigoli. Fig. spigolós segni somatici molto evidenti, persona magrissima con le ossa sporgenti.

 

spìko sm. (solo sing.) spicco, risolto. Fèi spìko fare spicco, risaltare; ke spìko che spicco, che magnificenza.

 

spilòrž agg. (pl. spilòrže, f. spilòrža) avaro, spilorcio. Mài vedù n spilòrž kóme te mai visto un tipo spilorcio come te.

 

spìna sf. (pl. spìne) spina della pianta, ramo secco di larice, spina della botte, lisca di pesce. Le spìne de le ruóśe le spine delle rose; čapà na spìna (na rìsča) prendere una spina; di a spìne andare a raccogliere rami secchi di larice; la spìna de la bóte la spina della botte; le spìne déi pés le lische dei pesci; la spìna de la lùśe la presa della luce elettrica; prov. teñì pa la spìna e molà pal kokón risparmiare in modo esagerato su alcune spese per poi scialare su altre.

 

spinà  vb. trans. (spinéo; spinèo; spinòu) spillare. Di a spinà n tin de vin andare a spillare un po' di vino.

 

spinà  sm. (pl. spinàs) spina dorsale, per est. schiena. Rónpese l spinà rompersi la spina dorsale; me fa mal dùto l spinà mi duole la schiena; mañà kapùže kol spinà de poržèl mangiare il cappuccio con la spina dorsale del maiale; si tratta di una ricetta a base di umido di cavolo condito con pezzi di carne ricavati dalla spina dorsale del maiale che, durante la macellazione, vengono messi sotto sale.

 

spinàčo sm. (pl. spinàče) spinacio. Fortàia kói spinàče frittata con gli spinaci.

 

spinèla (ùa) sf. (solo sing.) uva spina, ribes (bot. Ribes grossularia). Dón a tòle su l ùa spinèla ke le bèlo dàla andiamo a raccogliere l'uva spina che è già matura (v. ùa).

 

spinğà, spinğàse vb. trans. e rifl. (me spìnğo; spinğèo; spinğòu) annaffiare, spruzzare, bagnarsi d'acqua. Spinğà i fiór annaffiare i fiori; me son spinğòu su dùto mi sono spruzzato l'acqua addosso.

 

spinğàda sf. (pl. spinğàde) annaffiatura, spruzzatina d'acqua. L órto a debeśuói de na spinğàda l'orto ha bisogno di una annaffiatura; dài na spinğàda ai fiór annaffia i fiori.

 

Spinòti sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

spión agg. (pl. spiói, f. spióna, pl. spióne) spione. Spión de n spión spione che non sei altro.

 

spionà vb. trans. (spionéo; spionèo; spionòu) spiare, osservare di soppiatto. L spionèa dùto kel ke faśèa l bekèr e l a nparòu l mestiér da garzone ha osservato tutto ciò che faceva il macellaio ed ha imparato il mestiere.

 

spiovàž sm. (pl. spiovàže) acquazzone, rovescio di pioggia. Sto spiovàž a fàto pì mal ke polìto questo acquazzone ha fatto più male che bene, cioè l'acqua non è penetrata nel terreno che ne aveva necessità (v. spiovažàda).

 

spiovažà vb. imp. e intr. (spiovažéa; spiovažèa; spiovažòu) piovere a catinelle a tratti, alternando momenti di stasi. A spiovažòu duta la nuóte è piovuto tutta la notte.

 

spiovažàda sf. (pl. spiovažàde) acquazzone, rovescio. Élo ñànke na spiovažàda ke l a dòu do? hai visto che acquazzone violento?

 

spìrito sm. (pl. spìrite) spirito, coraggio, alcool. L e pién de spìrito è pieno di brio, di coraggio; l a póčo spìrito ha poco spirito, poco coraggio.

 

spìrito (kufoléto) Folletto immaginario della fantasia popolare che veniva usato per spaventare i bambini.

 

spiritòu agg. (pl. spiritàde, f. spiritàda) spiritato, spaventato. Al kridèa kóme n spiritòu urlava come uno spiritato. L a i òče spiritàde ha uno sguardo da persona spaventata, ossessionata.

 

spiùma sf. (pl. spiùme) schiuma. La spiùma del bró la schiuma del brodo; a mi no me piàśe la spiùma del làte apéna mondù a me non piace la schiuma del latte appena munto. Késto e n saón ke no FA spiùma questo è un sapone che non fa schiuma.

 

spiumà vb. trans. (spiuméo, spiùmo; spiumèo; spiumòu) schiumare, togliere la schiuma. Spiumà l bró togliere la schiuma al brodo.

 

spirónbatù solo nella loc. Le veñù de spirón batù è venuto di corsa, immediatamente.

 

spìž agg. (pl. spìže, f. spìža) appuntito, acuminato. Sti čòde e màsa spìže questi chiodi sono troppo acuminati; lapis spìž matita appuntita; i dènte spìž i denti canini.

 

spižà vb. trans. (spìžo; spižèo; spižòu) fare la punta. Spižà l làpis fare la punta alla matita; spižà i feréte, i grìfe fare la punta ai ramponi delle scarpe.

 

spìža sf. (pl. spìže) prurito, fig. desiderio. Avé spìža avere, sentire prurito; loc. avé spìža nte le man sentire prurito alle mani, aver voglia di prendere a schiaffi qualcuno; siéntesto bèlo spìža? senti già prurito?, hai voglia di amoreggiare?; ğavàse la spìža togliersi la voglia.

 

spižàda sm. (pl. spižàde) il fare la punta a qualcosa. Èi dòu na spižàda al làpis ho fatto la punta alla matita; késto pikón a debeśuói de na spižàda questo piccone ha bisogno di essere appuntito.

 

spižalàpis sm. (inv.) temperamatite. Kel tośàto a tramaiòu n àutra òta l spižalàpis quel ragazzo ha messo un'altra volta il temperamatite da qualche parte ma non si ricorda dove.

 

spižigà, spižegà vb. trans. (spižigéo; spižigèo; spižigòu) dar pizzicotti, pizzicare. Tó fiól me spižegéa sènpre tuo figlio mi dà sempre dei pizzicotti (v. spuližà).

 

spižolì, spižolìse vb. trans. e rifl. (me spižolìso; spižolìo; spižolìu) rimpicciolire, rendere sempre più piccolo. Èi lavòu nte l àga śbroènte la màia e la se a spižolìu ho lavato la maglia nell'acqua bollente e si è rimpiccolita.

 

spižòto sm. (pl. spižòte) sporgenza, protuberanza. Kéla bóra a nkóra n spižòto, tàelo se no no la kóre do pa la pàla quel tronco ha ancora una sporgenza, tagliala altrimenti non scorre lungo il pendio. Muśo spižòto viso spigoloso.

 

splìngo agg. (f. splìnga pl. splìnge) schizzinoso, di gusti difficili specie nel mangiare. To fardèl e sènpre pì splìngo tuo fratello è sempre più schizzinoso, è diffidente specie sulle pulizie di pentole, piatti ecc.

 

spolèr sm. (inv.) focolare, per est. locale dove si trova il focolare, meccanismo che contiene la spoletta. Kuóśe le patàte sul spolèr cuocere le patate sul focolare; béte le léñe a suiàse nte spolèr mettere la legna ad asciugare vicino al focolare per farla seccare.

 

spoléta sf. (pl. spoléte) spoletta della macchina da cucire.

spolverìn sm. (inv.) polverino, sabbia molto fine. È la sabbia che viene adoperata per asciugare gli scritti ad inchiostro. Suià la létra kol spolverìn asciugare la lettera con la sabbia, con il polverino.

 

spolverìna sf. (pl. spolverìne) spolverina, soprabito, impermeabile. Il termine indica anche il soprabito leggero indossato per riparare i vestiti dalla polvere. Tòle su la spolverìna indossare l'impermeabile.

 

spónda sf. (pl. spónde) sponda, versante, parapetto. Le spónde del liéto le sponde del letto, balaustrata che impedisce ai bambini piccoli di cadere dal letto; la spónda del pònte i parapetti del ponte; da késta spónda da questa parte, da questo versante.

 

spónga sf. (pl. spónge) chiavica. La spónga de la kunéta se a ngorğòu la chiavica, lo smaltitoio della cunetta si è intasato (v. gèbo, gàtol).

 

spontaròla sf. (pl. spontaròle) sponderuola, pialla molto stretta con lama che arriva a filo della parte lignea. Èi nprestòu la spontaròla e no i me la a pì rendùda ho dato in prestito la sponderuola e non me la anno più restituita.

 

spontidàse vb. rifl. (me spontidéo; spontidèo; spontidòu) pungersi con l'ago da cucire. Vàrda de no spontidàte stai attento a non pungerti con l'ago.

 

spontidàda sf. (pl. spontidàde) puntura d'ago. Me èi dòu na spontidàda nte l déido mi sono punto il dito con l'ago.

 

sporčà, sporčàse vb. trans. e rifl. (me spórčo; sporčèo; sporčòu) sporcare, insudiciare, sporcarsi. Sporčà l vestì, la čaméśa, le bràge sporcare il vestito, la camicia, i pantaloni; sporčà la fédina sporcare la fedina penale, commettere un reato; sporčàse le bràge sporcarsi i pantaloni; sporčàse le man insudiciarsi le mani, commettere qualcosa di disonesto; kél tùto spórča dapardùto quel bimbo sporca ovunque (v. sporkà).

 

spórčo  spòrko agg. (pl. spórče, f. spórča) sporco, sudicio. Avé le man spórče avere le mani sporche.

 

spórčo  sm. (pl. spórče) sudiciume, sporco, bruscolo. Èi vedù spórčo dapardùto ho visto sudiciume dappertutto; me e dù n spórčo nte l òčo mi è entrato un bruscolo nell'occhio.

 

spórko agg. (pl. spórke, f. spórka) sporco, sudicio. Ìnte kéla čàśa èi vedù n grùmo de spórko in quella casa ho visto poca pulizia.

 

spòrde, spòrdese vb. trans. e rifl. (me spòrdo; spordèo; spordésto, spordù) porgere, sporgere, offrire, regalare, sporgersi. La bréa spòrde dal mùro l'asse sporge dal muro; spòrdeme i čòde porgimi i chiodi, dammi i chiodi; èi sènpre spordù àlgo a kél puaréto ho sempre regalato qualcosa a quel poveretto; no sta spòrdete màsa, se nò te tóme dó non sporgerti troppo, altrimenti precipiti.

 

sporkà vb. trans. (spórko; sporkèo; sporkòu) sporcare, insudiciare. Prov. le pìte e i tośàte spórka dapardùto le galline ed i bimbi non vanno al gabinetto per i loro bisogni; prov. ki ke spórka l àga, biśòña ke i se la béve chi sporca l'acqua, deve bersela; detto specialmente di chi è costretto a sposare la donna che ha sedotto (v. sporčà).

 

spòrta sf. (pl. spòrte) sporta, borsa della spesa. Ğenpì la spòrta de pan riempire la sporta di pane.

 

spòrto sm. (pl. spòrte) parte del tetto che fuoriesce dal perimetro delle mura della costruzione, ala del tetto. L se a betù a posto l tabià e l a ślongòu l spòrto ha ristrutturato il fienile e con l'occasione ha allungato le ali del tetto.

 

spóśo sm. (pl. spóśe, f. spóśa) sposo, consorte. N spóśo dóvin uno sposo giovane; vìva i spóśe viva gli sposi.

 

spotačà vb. trans. e intr. (spotačéo; spotačèo; spotačòu) scarabocchiare, fare intrugli. To fìa te a spotačòu su dùte le kàrte de la čaśa tua figlia ha scarabocchiato tutti i documenti relativi alla casa. (v. potačà).

 

spotàčo sm. (pl. spotàče) scarabocchio, intruglio (v. potàčo).

 

spòtego agg. (pl. spòtege, f. spòtega) dispotico, autoritario. La nòna èra na spòtega bèla e bòna la nonna era veramente autoritaria.

 

sprangà vb. trans. (sprangéo; sprangèo; sprangòu) sprangare. Chiudere con una traversa di legno o di ferro una porta, un'imposta e simili. Sprangà la pòrta de čàneva chiudere con una traversa la porta della cantina.

 

sprànga sf. (pl. sprànge) sbarra di ferro, spranga, traversa di legno o di ferro. Ka okóre na sprànga qui occorre una spranga, cioè qui la serratura non è sufficiente, è necessario rinforzarla con una traversa di legno o di ferro, oppure serve una sbarra per fare leva o altra operazione.

 

spréme vb. trans. (sprémo; spremèo; spremésto, spremù) premere, spingere. No la và ñànke a sprémela non funziona neppure a spingerla, fig. gli affari vanno male nonostante tutti gli accorgimenti (v. préme).

 

spremùda sf. (pl. spremùde) spinta (v. premùda, prénta).

 

sprénta sf. (pl. sprénte) spinta. Par di su pa la rìva del Paveón kol karéto okóre na bòna sprénta per salire la strada del Paveon con il carretto, c'è bisogno di una forte spinta (v. prénta).

 

sprentón, sprentonàda sm. (pl. sprentói f. sprentonàde) spintone, grossa spinta, fig. raccomandazione. Al me a dòu n sprentón ke son tomòu dó de la kariéga mi ha dato uno spintone che mi ha fatto cadere dalla sedia (v. prentón, prentonàda).

 

sprentonà vb. trans. (sprentonéo; sprentonèo; sprentonòu) spingere, urtare. L me a sprentonòu mi ha spinto. Da intendere anche come una leggera spinta che vale quanto una strizzatina d'occhio, oppure come avvertimento a non proseguire nel discorso perché riveli a chi ti ascolta cose spiacevoli. (v. prentonà).

 

sprès sm. (solo sing.) formaggio fresco. Si tratta di formaggio appena fatto e perciò molto tenero. Mañà polènta e sprès mangiare polenta e formaggio appena fatto; erano i più poveri a mangiare il formaggio fresco perché non avevano la possibilità di lasciarlo stagionare; da dóvin l a mañòu asèi polènta e sprès da giovane ha mangiato talmente molta polenta col formaggio fresco da non desiderarne più.

 

spresàda sf. (pl. spresàde) ricotta acida. Questo tipo di ricotta era l'ultima risorsa alimentare della povera gente che, in mancanza di altro, la accompagnava come companatico alla polenta. Il termine è ormai in disuso.

 

spresòl sm. (pl. spresòi) piccola forma di formaggio. Nvénži de dùto pèže grànde vardé de fèi kàlke ùna pičolòta

cercate di fare qualche forma di formaggio più piccola non solo di grandi.

 

sprìś sm. (inv.) schizzo, vino allungato con acqua gassata. Béve n sprìś bere un bicchiere di vino allungato con il seltz; n sprìś de màlta schizzo di malta molto tenera che veniva dato sulle pareti di pietra e mattoni per far aderire meglio l'intonaco vero e proprio.

 

spròto agg. (pl. spròte, f. spròta) chiacchierone, saccente, impertinente. Tó suó anke da pìčola èra na spròta tua sorella è sempre stata una chiacchierona; no sta fèi la spròta non essere impertinente.

 

sprùž sm. (inv.) spruzzo, schizzo. N sprùž de àga uno spruzzo di acqua.

 

spuližà vb. trans. (spuližéo; spuližèo; spuližòu) pizzicare (v. spelužà).

 

spuližàda sf. (pl. spuližàde) pizzicotto (v. spelužàde).

 

spuližón sm. (pl. spuližói) grosso pizzicotto (v. spelužón).

 

spunčón sm. (pl. spunčói) spuntone. Si dicono spunčói anche le grosse spine di rovo e gli steli secchi che rimangono sul prato dopo aver falciato l'erba. Varda kuànte spunčói nte sto prà guarda quanti grossi steli secchi ci sono in questo prato.

 

spunčase vb. rifl. (me spùnčo; spunčèo;

spunčòu) pungersi con spine, rovi ecc. no sta kaminà deskóižo se nò te te spùnče sóte i pès non camminare scalzo altrimenti ti prendi le punture sulla pianta dei piedi.

 

spuñažà vb. trans. (spuñažéo; spuñažèo; spuñažòu) prendere a pugni, scazzottare. Ànke nkuói tó fiól me a spuñažòu anche oggi tuo figlio mi ha preso a pugni.

 

spuñažàda sf. (pl. spuñažàde) scarica, gragnuola di pugni, fig. manciata. čapà na spuñažàda incassare una scarica di pugni.

 

spuñažèla sf. (pl. spuñažèle) manciata. Dàme na spuñažèla de nośèle dammi una manciata di nocciole (v. spuñažàda, puñèla).

 

spuñažón sm. (pl. spuñažói) ceffone, pugno. L èi čapòu a spuñažói l'ho preso a pugni.

 

spurgà vb. trans. (spurgéo; spurgèo; spurgòu) suppurare, ripulire il bosco. Il bosco, per essere curato, deve essere ripulito dalle piante mature e da quelle malate. E n tokéto ke la réğa me spùrga da un po' di tempo nell'orecchio si forma del pus; òñi tànto okóre spurgà l bósko ogni tanto è necessario ripulire il bosco dalle piante mature o da quelle malate (v. purgà).

 

spùža sf. (pl. spùže) puzza (v. pùža).

 

spužà vb. intr. (spùžo; spužèo; spužòu) puzzare (v. pužà). fig. sa di buono. L tòčo spuža da bon lo spezzatino odora di buono.

 

spužéta sm. (pl. spužète) uomo vanesio. Tu te ses sènpre stòu na spužéta tu sei sempre stato un vanesio.

 

spužós agg. (pl. spužóśe, f. spužóśa) puzzone. No l a volésto mañà kel formài parkè l èra màsa spužós non ha voluto mangiare quel formaggio perché puzzava troppo (v. pužón).

 

stà vb. intr. (stào; staśèo; stòu) stare, essere, abitare. Sperón ke l stàe su speriamo che non piova; e tré dìs ke l sta su non piove da tre giorni; te stas frésko se to màre te véde stai fresco se tua madre ti vede, ti accorgerai se tua madre ti sorprende; ió stào a Lóže io abito a Lozzo; stà nte čaśa stare in casa; stà polìto stare bene; stà čaméśa te stà polìto questa camicia ti sta bene; stà apède kalkedùn abitare presso qualcuno; stà a véde stare a vedere, osservare; làsa stà lascia stare; no stà a mì dì ste ròbe non sta a me, non è mio compito dire queste cose; stà davòi tó fardèl osserva tuo fratello, aiutalo finché puoi; stà su de nuóte vegliare un malato durante la notte; vardé de stà su cercate di farvi coraggio; stà su le sóe! fare il sostenuto, dimostrare sussiego; stàme dó de àlgo fammi un piccolo sconto; vardà de stà ìnte cercare di stare dentro, cercare di non oltrepassare, nelle spese, la cifra a disposizione; stà n pó stare nascosto, non farsi vedere.

 

stabilì, stabilìse vb. trans. e rifl. (me stabilìso; stabilìo; stabilìu) stabilire, decidere, dare l'intonaco, stabilirsi, rimettersi al bello (detto del tempo). Èi stabilìu de partì domàn ho deciso di partire domani; stabilì le stànže ristrutturare, dare l'intonaco alle stanze; tò fardèl se e stabilìu polìto tuo fratello si è stabilito bene; pàr ke l tènpo se séa stabilìu sembra che il tempo si sia definitivamente rimesso al bello.

 

stàda sf. (pl. stàde) tavola usata dai muratori per livellare l'intonaco ed i pavimenti. I muratori portano la malta su una tavoletta e la gettano con la cazzuola contro il muro, poi spianano e livellano l'intonaco ancora fresco, strisciando una lunga asse sulla parete, la stàda. Tién polìto kéla stàda ke l mùro no vèñe a sàute tieni bene quella stàda che l'intonaco non venga a gobbe.

 

stadiéra sf. (pl. stadiére) stadera. Pesà l formài ko la stadiéra pesare il formaggio con la stadera.

 

stadìžo sm. (solo sing.) odore di chiuso e di poca pulizia, stantio, Savé da stadìžo puzza da stantìo. Loc. Te fàžo bičà fòra l stadìžo ti faccio lavorare duramente e con il sudore espelli le tossine, ti faccio calare le arie.

 

stàfa sf. (pl. stàfe) staffa della sella, sostegno in ferro di una mensola. Pèrde le stàfe perdere le staffe, spazientirsi.

 

stağón sf. (inv.) stagione, tempo, clima. Aisùda, istàde, autóno, invèrno primavera, estate, autunno, inverno; kuàn ke veñarà la bèla stağón quando verrà la buona stagione, la primavera; no e nkóra stağón de maridàse sei troppo giovane per sposarti; késta e la stağón bòna par semenà questo è il periodo adatto per seminare.

 

stağonà vb. trans. e intr. (stağonéo; stağonèo; stağonòu) stagionare, far invecchiare, far asciugare o seccare bene qualcosa. Stağonà l formài stagionare, far invecchiare il formaggio; stağonà l leñàme stagionare, far asciugare, seccare bene il legname.

 

stağonòu agg. (pl. stağonàde, f. stağonàda) stagionato, invecchiato, ben secco, vecchiotto. Formài stağonòu formaggio stagionato; brée stağonàde tavole ben secche; fig. òn e fémena stağonade uomo e donna piuttosto vecchiotti.

 

stài  sm. (inv.) stagno. La séğa e śbuśàda okóre béte su n tin de stài Il secchio è bucato, va riparato con una saldatura di stagno.

 

stài  avv. fermo, solido. Sto mùro e pròpio stài questo muro è davvero solido. Al déi nuóu al me par pì stài de kel àutro la gerla nuova mi sembra più resistente dell'altra.

Stàkio  sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Stàkio  sm. (nome) Eustachio.

 

stàla sf. (pl. stàle) stalla, fig. luogo sporco, pieno di sudiciume. Dì nte stàla andare nella stalla a governare le bestie; menà fòra de stàla portare il letame fuori dalla stalla nel letamaio; késta no e na čàśa e na stàla questa non è una casa è una stalla.

 

staleśéña sf. (pl. staleśéñe) stillicidio, sgocciolio dal tetto. Le staleśéñe ruìna i mùre de čàśa okóre béte la górna lo stillicidio sta rovinando i muri di casa per cui è necessario mettere la grondaia; dàme na staleśéña de vin dammi un goccetto di vino; prov. staleśéñe de ğenàro, làgreme de màržo disgelo a gennaio, lacrime a marzo, se l'inverno è troppo mite, la primavera sarà disastrosa.

 

stalì (èrba) tipo di erba che resiste e si piega al passaggio della falce (v. èrba stalì).

 

staliér sm. (inv.) stalliere.ìnte da Čamulèra laurèa n bón póče de staliér negli stalloni di Chiamulera operavano diversi lavoratori addetti ai cavalli.

 

st an, stan quest'anno. St an e veñésto n grùmo de patàte quest'anno il raccolto delle patate è stato abbondante.; stan ke vién l'anno venturo; stan pasòu l'anno scorso.

 

stanà vb. trans. (stanéo; stanèo; stanòu) stanare, far uscire. Daspò tànto žerkà, èi stanòu i atréže dopo tanto cercare, ho trovato gli attrezzi; dì a stanà kalkedùn andare a tirare fuori di casa qualcuno che non vuol uscire.

 

stančà vb. trans. (stànčo; stančèo; stančòu) fase di aggravamento della malattia che avvicina alla morte. Si usa anche per indicare che sta per smettere di piovere o nevicare. L a stančòu de neveà sta per smettere di nevicare.

 

stànğa sf. (pl. stànğe) palo, stanga, pertica, fig. persona molto alta e magra. Dì a stànğe andare nel bosco in cerca di stangoni; fèi tomà dó i póme ko na stanğa far cadere le mele dall'albero con una pertica; te ses na stànğa sei una persona molto alta e magra; tò fiól e deventòu n stanğón tuo figlio è cresciuto ed è diventato molto alto; super. stanğón; dim. stanğòla.

 

stangà vb. trans. (stàngo; stangèo; stangòu) stangare, sprangare, chiudere l'uscio con la stanga, fig. colpire, percuotere. Stangà la pòrta de stàla chiudere con una stanga la porta della stalla; kuàn ke l me e ruòu sóte le čòte lo èi stangòu quando l'ho preso, l'ho picchiato di santa ragione (v. sprangà).

 

stangàda sf. (pl. stangàde) palizzata, steccato fatto con stanghe per difendere orti o prati dagli animali al pascolo, intelaiatura di pali su cui si inchiodavano le assi per ottenere un vero recinto invalicabile anche per le persone, riparo in legno da precipizi lungo tratti stradali fig. botta sia materiale che morale. L a čapòu na stangàda santìsima si è buscato una bastonatura solenne; la mòrte de só màre e stàda par lùi na stangàda la morte di sua madre è stata per lui un colpo terribile (v. čaśùra).

 

stanpà vb. trans. (stànpo; stanpèo; stanpòu) stampare. Sto lìbro i l a stanpòu a Belùn questo libro l'hanno stampato a Belluno.

 

stànpo sm. (pl. stànpe) stampo, modello. Al stànpo del botìro lo stampo del burro: stampo di legno per formare il pane di burro e segnare il nome del produttore e del luogo di produzione. Al stànpo déi skarpéte il modello su cui si ritagliano la suola e la tomaia delle pantofole; l e l stànpo de so màre è preciso identico fisicamente a sua madre.

 

stànte prep. cong. a cagione di, dato che, dal momento che. Stànte la pióva, no èi podésto veñì a causa della pioggia non son potuto venire; stànte ke to pàre e mòrto, okóre fèi diviśión dato che tuo padre è morto, occorre fare la divisione dei beni patrimoniali.

 

stanuóte avv. stanotte. Stanuóte a neveòu stanotte è nevicato (v. nuóte).

 

stanža sf. (pl. stànže) stanza, camera. La čàśa a tré stànže: dóe pìžole e ùna grànda la casa ha tre stanze: due piccole e una grande; dim. stanžùta; accr. stanžón.

 

stànžià vb. trans. (stànžio; stanžiéo; stanžièo; stanžiòu) stanziare stabilire l'assegnazione di una somma per un dato scopo. L komùn a stànžiòu alkuànte skèi pa ğustà l pònte de Vialóna. Il Comune ha assegnato dei fondi per riparare il ponte di Vialóna.

 

stanžìn sm. (inv.) stanzino. Di solito è una stanza piccola che viene adoperata come guardaroba o ripostiglio per gli attrezzi. Va nte stanžìn a tòle n lenžuó ke i lo dào ài spóśe vai nello stanzino a prendere un lenzuolo che lo regalo agli sposi.

 

stañà vb. trans. (stàño; stañèo; stañòu) stagnare, saldare. Fèi stañà l kalderìn far stagnare, cioè far ricoprire l'interno del paiolo piccolo con uno strato leggero di stagno oppure saldare, otturare il paiolo piccolo. fig. fèi stañà l sàngo far cessare la perdita di sangue.

 

stañàda  sf. (pl. stañàde) pignatta per cuocere la minestra. La parte esterna è di rame, l'interno è stagnato, cioè ricoperto di stagno per poter conservare i cibi, cosa che non è possibile nel rame. Il paiolo di rame veniva rivestito all'interno con lo stagno e così permetteva l'uso diverso dal fare solo la polenta. Si cuoceva la minestra e si conservava eventualmente quella fatta in più. Si sa che il rame produce il verderame che è velenoso per cui si cautelavano con lo stagnare il recipiente.

 

stañàda  sf. (pl. stañàde) stagnatura, grossa botta. Sta kaliéra a debeśuói de na stañàda questo paiolo ha bisogno di una stagnatura. Èi čapòu na stañàda nte i denóğe ho preso una gran botta alle ginocchia.

 

stañìn sm. (inv.) stagnino, lattoniere (v. onbrelèr).

 

staòta avv. stavolta, questa volta. Staòta a bičòu polìto in questo bimestre, la resa del formaggio burro e ricotta è stata buona.

 

stàri escl. senza senso proprio. Usata solo in frasi onomatopeiche. Žènža nè àri nè stàri senza né capo né coda, privo di ogni buon senso; l e kaminòu žènža di nè ari nè stàri se n'è andato senza dire nulla.

 

starlèka sf. (pl. starlèke) quando il fulmine cade assai vicino per cui lampo e tuono sono pressoché simultanei il fragore è detto starlèka. Fig. sberla, ceffone. Àsto sentù ke starlèka? hai sentito che fragore?; èi čapòu dóe starlèke da la màre ho preso due ceffoni dalla mamma.

 

starlekà vb. imp. (starlekéa; starlekèa; starlekòu) lampeggiare accompagnato da tuoni fragorosi. A starlekòu dùta la nuóte è lampeggiato e tuonato tutta la notte.

 

starlòčo agg. (pl. starlòče, f. starlòča) strabico. Kéla e na faméa de starlòče quella è una famiglia di strabici; fig. pò sésto starlòčo? come mai non capisci come stanno le cose?

 

starlukàda sf. (pl. starlukàde) lampo accecante. fig. pazzia. Élo ñànke na starlukàda konpàña hai visto che lampo forte? òñi tànto l fa kàlke starlukàda ogni tanto fa qualche stravaganza, qualche pazzia.

 

starlukà vb. imp. (starlukéa, starlukèa, starlukòu) lampeggiare dei fulmini per il troppo secco nelle serate estive o quello dei temporali lontani dove si vedono i lampi ma non si sente il rumore dei tuoni.

 

starlùko agg. (pl. starlùke, f. starlùka) pazzerello, sventato, mattoide. Te ses n tin starlùko sei un po' pazzerello.

 

starnudà vb. intr. (starnudéo; starnudèo; starnudòu) starnutire. L a starnudòu dùta la dornàda ha starnutito tutta la giornata, cioè si è preso un gran raffreddore.

 

starnudàda sf. (pl. starnudàde) starnuto. Na starnudàda davòi kelàutra uno starnuto dopo l'altro; na bèla starnudàda fa pasà l soğóž un grosso starnuto fa passare il singhiozzo.

 

stasiéra avv. stasera. Stasiéra èi fàto menèstra de faśuói stasera ho preparato una minestra di fagioli (v. siéra).

 

stàutro agg. (pl. stiàutre, f. stàutra, pl. steàutre) quest'altro. Dàme stàutro restèl dammi quest'altro rastrello; veñarèi stàutro duóiba verrò giovedì venturo; si può pure esprimere sto àutro, sti àutre, sta àutra, ste àutre (v. àutro).

 

stàžio sm. (pl. stàžie) deposito per tronchi. Menà le tàe a stàžio trasportare i tronchi d'albero sul luogo stabilito per il loro deposito. In generale, luogo di proprietà comunale sul quale si dovevano pagare delle imposte. Àsto pagòu pa l stàžio ke te as su dovòi l tabià hai pagato l'affittanza della proprietà comunale che si trova dietro il fienile .

 

Stèfin sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Stefinùto sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

stéka sf. (pl. stéke) stecca, bacchetta, fig. stonatura. Kon dóe stéke se puó fèi na kàbia con alcune stecche si può costruire una gabbia; sta bón se nò tòlo su la stéka comportati bene altrimenti prendo la bacchetta e ti picchio; èi čapòu na stéka do pa le man ho preso una sbacchettata sulle mani; loc. tirà dó na stéka dire una bestemmia.

 

stekà vb. intr. (stéko; stekèo; stekòu) bestemmiare. Fig. applicare stecche per bloccare un arto rotto o un appoggio ad una pianta troppo esile. Raramente ha il significato di mettere delle stecche, chiudere qualcosa con delle stecche. Òñi tànto a tó fiól i skànpa na stéka ogni tanto a tuo figlio gli scappa una bestemmia.

 

stéla sf. (pl. stéle) stella, astro. Mài vedù tànte stéle kóme stasiéra mai visto tante stelle in cielo come stasera; fig. véde le stéle vedere le stelle, provare un grosso dolore; kuàn ke l laóra, l fa stéle quando lavora, va molto veloce; čantà la bèla stéla cantare la bella stella; la locuzione ricorda l'abitudine dei bambini di girare di casa in casa, durante le feste natalizie, vestiti da re magi e cantare una nenia natalizia e nel contempo far girare una stella attaccata sulla cima di una bastone, il tutto naturalmente per avere qualche monetina o qualche piccolo regalo; laurà da stéla a stéla lavorare dall'alba fino a notte fonda; fig. te ses na stéla sei davvero bravo; la mè stéla! la mia stella!; esclamazione che le mamme esprimono stringendo al seno il loro pargoletto; le stéle del bró le gocce di grasso del brodo.

 

stèla sf. (pl. stèle) scheggia di legno, rifilatura prodotta durante la squadratura delle travi, fig. fettina. Fèi stèle ridurre in pezzi molto sottili; dì a stèle andare a raccogliere rifilature là dove si squadravano le travi; nvidà l fuóu kon dóe stèle accendere il fuoco con delle schegge; loc. fèi stèle ridurre in schegge tutto ciò che si ha in mano; kél bòča fa stèle de dùto quel bambino rompe tutto ciò che ha in mano; se rùa to pàre, l fa stèle de te! se arriva tuo padre, ti prende a scapaccioni; minaccia a cui ricorrevano le mamme per far stare buoni i bambini; dàme na stèla de formài! dammi una fetta di formaggio!; dì n stèle andare a pezzetti, sbriciolarsi; e dù dùto n stèle si è sbriciolato tutto, cioè tutto è andato a farsi benedire; prov. la stèla no va lontàn da la žòka e ñànke l pómo da la pomèra la scheggia di legno non va lontano dalla ceppaia e neppure la mela cade lontano dal melo; la causa di certe cose è, molto spesso, più vicina di quello che si crede; prov. al stòrto va n stèle ciò che è storto, ingiusto, va in schegge, ciò che si è acquisito con l'inganno non può durare.

 

stéla alpìna sf. (pl. stéle alpìne) stella alpina (bot. Leontopodium alpinum). Se te vós dóe stéle alpìne okóre ke te vade su sul Pùpo se vuoi trovare le stelle alpine va su sul Pupo.

 

stelàda sf. (pl. stelàde) cielo terso e pieno di stelle. Èra dùto na stelàda il cielo era tutto terso e pieno di stelle; vàrda ke stelàda! guarda che stellata!; frase detta scherzosamente quando qualche ragazzina faceva intravedere, involontariamente, il colore delle mutandine.

 

stelìn sm. (inv.) regolo (zool. Regulus Regulus). Vivacissimo uccello dell'ordine dei passeriformi. Nidifica sui rami degli alberi ed è fra i più piccoli uccelli europei.

 

stelìn sm. (inv.) brillo, ubriaco. L e ruòu a časa stelìn è arrivato a casa brillo.

 

stelòu agg. (pl. stelàde, f. stelàda) stellato, coperto di stelle. Èra dùto stelòu il cielo era tutto pieno di stelle; prov. stelòu fis domàn pióve se il cielo è pieno di stelle, si è sicuri che il giorno dopo pioverà.

 

stèma sm. (pl. stème) stemma, distintivo. Al stèma de la bandiéra lo stemma della bandiera.

 

stemàna sf. (pl. stemàne) settimana. I giorni della settimana sono: lùne, màrte, mèrkui, duóiba, vèndre, sàbo, doménia lunedì, martedì, mercoledì, giovedì venerdì, sabato, domenica; èi lauròu dùta la stemàna ho lavorato tutta la settimana; sta stemàna questa settimana; sta stemàna ke vién la settimana ventura; sta stemàna pasàda la settimana passata; la stemàna Sànta la settimana Santa; loc. lòngo kóme la stemàna Santa lungo come la settimana Santa; detto probabilmente riferendosi alla lunghezza delle cerimonie religiose di detta settimana; vardà fòra pa la stemàna essere in attesa dei primi amorucci innocenti oppure stare in attesa che il tempo, solitamente brutto migliori in fretta, o nei giorni a venire.

 

stenperà vb. trans. (stenperéo; stenperèo; stenperòu) intiepidire. Stenperà l làte intiepidire il latte prima di berlo; stenperà la màia intiepidire la maglia prima di farla indossare; operazione indispensabile d'inverno quando la temperatura è molto rigida e di conseguenza, anche la biancheria da indossare, di solito tenuta in camera,è molto fredda.

 

stentà vb. intr. (stènto; stentèo; stentòu) stentare, faticare. Èi stentòu a čatàlo ho faticato a trovarlo; i tuói no a mài stentòu i tuoi non hanno mai avuto problemi economici; e tànte àne ke ki là stènta sono tanti anni che quelli fanno fatica a sbarcare il lunario; prov. ki stènta fa stentà chi soffre per una qualsiasi ragione, fa soffrire chi gli è vicino.

 

stentaruó sm. (inv.) girello, ingegnoso suppellettile in legno per iniziare alla deambulazione i bambini piccoli. Se te vós ke to fiól npàre a kaminà bételo nte stentaruó se vuoi che tuo figlio impari a camminare, mettilo nel girello.

 

sternadùra sf. (pl. sternadùre) foglie secche, di solito di faggio, canne di granoturco spezzettate, segatura, materiali usati per fare la lettiera alle bestie nella stalla, fig. sporcizia sparsa, sudiciume. Bìča n tin de sternadùra sóte la vàča! butta un po' di strame sotto la mucca, cioè prepara la lettiera alla mucca perché vi si riposi; kè élo dùta sta sternadùra? ma cos'è la sporcizia che si vede dappertutto?; fèi dùto na sternadùra creare disordine.

 

stèrne vb. trans. (stèrno; sternèo; sternòu) preparare la lettiera alle bestie con segatura, foglie od altro. Dì a stèrne fare il giaciglio alle bestie; ròba da stèrne strame per fare il letto agli animali.

 

stérpa sf. (pl. stérpe) sterile. Detto di animale infecondo, ma anche di donna. Kéla féda e stérpa quella pecora è sterile.

 

stìka sf. (solo sing.) ripicca, dispetto. Fèi le ròbe par stìka fare le cose per ripicca.

 

stikàse vb. rifl. (me stìko; stikèo; stikòu) arrabbiarsi con qualcuno, contrastare, ostinarsi. Termine in disuso. Par le barùfe ntrà tośàte le se a stikòu e no le se a pì vardòu si sono intromesse nelle liti tra i figli e hanno finito per baruffare tra loro.

 

stiletàda sf. (pl. stiletàde) fitta di dolore. Sentì na stiletàda sentire un dolore lancinante.

 

stimà vb. trans. (stìmo; stimèo; stimòu) stimare, valutare, apprezzare. To pàre no te a mài stimòu tuo padre non ha mai avuto stima di te; par fèi le división, okóre stimà dùta la ròba per procedere alla divisione, occorre fare la valutazione di tutto il patrimonio; àsto stimòu kuànto ke èi da dàte? hai valutato quanto devo darti, di quanto ti sono debitore?; stìmo ió ke no te ses pì veñésto! adesso capisco perché non sei più venuto!

 

stìnto sm. (solo sing) inclinazione, istinto. Fèi dùto par stìnto fare tutto per istinto, per inclinazione (v. istinto).

 

stiračà vb. intr. (stiračéo; stiračèo; stiračòu) stiracchiare, vivacchiare. Ka no rèsta àutro ke stiračà a questo mondo, a questo punto non resta altro da fare che tirare avanti come si può (v. tiračà).

 

stivàl sm. (pl. stivài) stivale. Stivài da pompiér stivali da vigile del fuoco; tirà su i stivài calzare gli stivali.

 

stivèla sf. (pl. stivèle) parte dei calzini di lana, fatti a mano, che coprono la parte sopra la caviglia. Venivano fatti di solito con due punti dritti e due rovesci così la fascia stava ben aderente alla gamba. Èi nkóra la stivèla e dapò èi fenìu i kalžetìn ho da finire la stivèla e poi ho finito i calzini.

 

stižàse vb. rifl. (me stìžo; stižèo; stižòu) stizzirsi, indispettirsi, tenere il broncio. Kéla là se a stižòu kon dùte quella è arrabbiata con tutti, si è isolata e non parla con nessuno; no kapìso parkè te te ses stižòu kon me non capisco perché sei imbronciato con me, perché non mi guardi e non mi parli. Le a čatòu da dì e adès le e stižàde fòra par fòra hanno litigato e hanno rotto i rapporti in modo drastico.

 

stiž, stìžo sm. (pl. stiže) tizzone. Strutà su i stiže riunire insieme sotto il paiolo i vari tizzoni del fuoco; se no te tàśe, tòlo su n stiž! se non taci, afferro un tizzone e ti faccio correre! Lo stiž si usava anche per accendere la pipa e la sigaretta e così si risparmiavano i fiammiferi. Lo stiž era un piccolo frammento, mentre stižo era inteso come pezzo grande.

 

stižòu agg. (pl. stižàde, f. stižàda) imbronciato, stizzito, in discordia. Èse stižòu kon dùte essere in questioni con tutti.

 

stó agg. dim. (pl. stì, f. stà, pl. sté) questo. Stó piàto, sta vàča, sti piàte, ste vàče questo piatto, questa mucca, questi piatti, queste mucche; st an, stan, sto an quest'anno; sta siéra, stasiéra stasera; sta nuóte, stanuóte stanotte; sto àutro, stàutro quest'altro; sta stemàna questa settimana; sta stemàna ke vién la settimana ventura; sta stemàna pasàda la settimana scorsa; sta òta, stòta stavolta (v. késto).

 

stóbia sf. (pl. stóbie) stoppia, stipa. Sto čànpo e pién de stóbie questo campo è pieno di stoppie.

 

stòfa sf. (pl. stòfe) stoffa, panno. Késta, mò, e stòfa bòna! questa si che è stoffa buona!

 

stomeà vb. trans. (stoméo; stomeèo; stomeòu) stonare.Kon kéla bàrba lònga te stomée con la barba lunga non stai bene. Stoméo kol kapòto fòra stağón è una stonatura indossare il cappotto fuori stagione.

 

stomeàse vb. rifl. (me stoméo; stomeèo; stomeòu) stomacarsi, sentire nausea. Me stoméo de dùto sento nausea di tutto; me son stomeòu de la polènta de nkuói ke la avèa n saorìn mi è venuta a nausea la polenta di oggi perché aveva un sapore sgradevole.

 

stómego sm. (pl. stómege) stomaco. Avé mal de stómego avere male di stomaco; avé dùto l stómego davànte essere sfrontato; avé n péśo sul stómego avere un peso sullo stomaco dovuto a cattiva digestione oppure avere un grosso dispiacere; fèi stómego provocare la nausea; vo stómego ci vuole del coraggio; vo stómego par fèi ste ròbe ci vuole del coraggio per fare queste cose sia in negativo che in positivo; késta medeśìna me tira dó de stómego questa medicina mi fa digerire.

 

stomeós agg. (pl. stomeóśe, f. stomeóśa) schizzinoso; persona indelicata, volgare, poco pulita o malvestita. Te ses stomeós kon ki čavéi ontižàde? con quei capelli unti fai venire la nausea.

 

stón avv. tentoni, a casaccio. Dì a stón andare a tentoni; fèi le ròbe a stón fare le cose a casaccio, senza buon senso.

 

stonfà, stonfàse vb. trans. e rifl. (stónfo; stonfèo; stonfòu) gonfiarsi, stagnare, immergere nell'acqua i recipienti di legno a doghe (barili, mastelli) perché si gonfino e non lascino più fuoriuscire i liquidi contenuti, fig. ingozzare. Fèi stonfà la barìža far stagnare la botticella; i seraménte ko l umidità i se stónfa e no i se sèra pi le imposte a causa dell'umidità, si gonfiano e non si possono più chiudere; l èi stonfòu de polènta l'ho ingozzato di polenta; kuàn ke lo védo, lo stónfo ió polìto! quando lo vedrò gliene dirò quattro che lo zittisco; stonfà l sàngo de nàs far stagnare il sangue di naso; stonfà la bóča chiudere la bocca, far tacere.

 

stonfàžo sm. (pl. stonfàže) afa, caldo opprimente. Siénte ke stonfàžo! senti che afa!

 

stónfo sm. (pl. stónfe) pezzo di legno raccolto dal torrente. Viene poi fatto asciugare ed usato come legna da ardere. Dì a stónfe andare al torrente a raccogliere i pezzi di legna trasportati dalla piena.

 

stonfòu agg. (pl. stonfàde, f. stonfàda) gonfio per umidità, per est. gonfio per cibo. La pòrta e stonfàda e no se puó pì seràla la porta si è gonfiata per l'umidità e non si chiude più; al se a stonfòu de pestariéi è pieno fino al collo di farinata; v. stonfà).

 

stópa sf. (solo sing.) stoppa. Fili di canapa o lino grezzo usati solitamente nei lavori dell'idraulico. Sèra l bus ko n tin de stópa! ottura il buco con un po' di stoppa!

 

stopìn sm. (inv.) stoppino, lucignolo. Al stopìn del feràl, del lumìn, de la kandéla lo stoppino del fanale, del lume a petrolio, della candela.

 

stòria sf. (pl. stòrie) storiella, fiaba, capriccio, fig. bugia. Kontà stòrie raccontare favole, fiabe; fèi stòrie fare storie, fare capricci; no sta kontàme stòrie! non raccontarmi bugie!

 

stórna sf. (pl. stòrne) sbornia. Èi fàto na stórna ho preso una sbornia.

 

stornèl  agg. (pl. storniéi, f. stornèla, pl. stornèle) poco giudizioso, volubile, poco assennato. Tó fìa e sénpre stada n tin stornèla tua figlia è sempre stata un po' volubile, poco assennata (v. stórno, stùrlo).

 

stornèl  sm. (inv.) storno (zool. Sturnus vulgaris). Su nte ròkolo al a čapòu ànke n stornèl nel roccolo è stato catturato anche uno storno.

 

stornì vb. trans. (stornìso; stornìo; stornìu) stordire, intontire. Al me a stornìu ko le so čàčere mi ha stordito con le sue chiacchiere; tàśe se nò te stornìso! taci altrimenti, con un ceffone, ti stordisco!

 

stornità sf. (inv.) stordimento, capogiro. Kuàn ke lèvo èi sènpre n tin de stornità quando mi alzo, ho sempre un po' di stordimento.

 

stornìu agg. (pl. stornìde, f. stornìda) intontito. Son dùto stornìu sono tutto intontito; restà stornìu rimanere stordito.

 

stórno agg. (pl. stórne, f. stórna) che soffre di capogiro o di vertigine, brillo, alticcio, fig. balordo, volubile. Òñi tànto me siénto stórno ogni tanto mi sento girare la testa, soffro di capogiro; l e ruòu a čàśa n tin stórno è arrivato a casa un po' brillo; to fiól e pròprio n stórno tuo figlio è veramente un balordo.

 

stòrta sf. (pl. stòrte) storta, lussazione. Me son čapòu na stòrta nte l pè mi sono provocato una lussazione alla caviglia.

 

Stòrta, La Stòrta sf. (top.) località a nordest del paese vicino a Čanpeviéi sul sentiero che da Pian dei Buoi scende ad Auronzo.

 

stortañèi agg. (pl. stortañèi, f. stortañèra, pl. stortañère) uomo o oggetto nato o cresciuto contorto, sciancato, storpio. Ste màže de faśuói e dùte stortañère questi bastoni per sostenere i fagioli sono tutti storti; kél là e nasù stortañèi quello è nato sciancato, mal formato.

 

stortìn sm. (inv.) temperino, coltello da tasca con lama pieghevole dalla forma di piccola roncola. Viene adoperato per tagliare frasche, fare i denti dei rastrelli, per fare cioè tutte quelle piccole operazioni che la lama ricurva favorisce. Taiàse fòra na ràma de nośolèi kol stortìn tagliare un ramo di nocciolo con il coltello da tasca.

 

stòrto agg. (p. stòrte, f. stòrta) storto, sbilenco, rattrappito. Sto mànego e stòrto questo manico è storto; sto pežuó vién su stòrto questo abete cresce contorto; la pòrta e stòrta la porta è sbilenca, fuori centro; ànke so pàre e nasù stòrto anche suo padre è nato storpio; kè àsto de stòrto? che malanno ti è mai capitato?; vardà stòrto guardare di traverso, con severità; fèi le ròbe par stòrto fare le cose in malo modo, alla rovescia. L vedèl e nasù par stòrto il vitello è nato con parto podalico.

 

stòrže vb. trans. (stòržo; storžèo; storžésto, storžù) storcere, piegare, slogare, lussare. No sta stòrže i čòde non piegare i chiodi; stòrže la bóča torcere la bocca, manifestare disgusto o disapprovazione; stòrže i òče stralunare gli occhi; me èi storžésto n bražo mi sono lussato un braccio; stòrže l nàs disapprovare (v. tòrže).

 

storžùda sf. (pl. storžùde) giro di vite, distorsione, storta, fig. stortura. Da na storžùda a la vìda far fare un giro alla vite, al freno.

 

stòta avv. stavolta, questa volta. Stòta èi reśón ió questa volta ho ragione io; par stòta te pardóno per questa volta ti perdono; stòta pasàda la volta scorsa; stòta ke vién la prossima volta (v. sto, sta òta).

 

strabačà vb. intr. (strabačéo; strabačèo; strabačòu) blaterare, ciarlare. Àsto fenìu de strabačà? hai finito di blaterare?; e óra de laurà, nò de strabačà è ora di lavorare, non di chiacchierare.

 

strabačón agg. (pl. strabačói, f. strabačóna, pl. strabačóne) pettegolo, chiacchierone. Tó madòna e na strabačóna tua suocera è una pettegola.

 

strabèko sm. (pl. strabèke) terreno o tessuto di sbieco. De strabèko di sbieco.

 

stràbeko sm. (pl. stràbeke) strabico. Termine usato solo da alcune famiglie che cercavano di dialetizzare l'italiano pensando di addolcire la parola del difetto visivo starlòčo.

 

stràda sf. (pl. stràde) strada, via, percorso. Stràda dréta, stràda stòrta, strada diritta, strada tortuosa; fèi stràda fare strada, sgomberare la strada dalla neve o altri ostacoli; fèi stràda fare strada, precedere, insegnare a comportarsi bene; fèi la stràda a la siéga dare ai denti della sega una leggera piegatura verso l'esterno per migliorarne il funzionamento; śbalià stràda sbagliare strada, diventare adulti senza regole di comportamento; èse fòra de stràda essere fuori strada, comportarsi male, ragionare in modo sbagliato; taià la stràda tagliare la strada, impedire a qualcuno di procedere, sia in senso reale che spirituale; èse su la stràda essere sul lastrico; èse pa le stràde essere sempre in giro, oziare; čapà na bruùta stràda prendere una brutta strada, allontanarsi dalla retta via; con il verbo rifl. fèise stràda farsi strada, fare carriera; loc. meśurà la stràda misurare la strada, detto di chi è ubriaco e cammina barcollando e zigzagando; sasìn da stràda ragazzo maleducato, ragazzaccio; prov. pa stràda se ndréža l čar col tempo ogni cosa si sistema. Dì pa stràda dréta seguire la retta via, nell'onestà. Sta òta vàdo pa stràda dréta questa volta, senza indugio, vado fino in fondo, intendendo dire arrivo fino alle conseguenze estreme. Èse sènpre su la stràda fare l'autista. Dim. stradùta vezz. stradèla accr. stradóna.

 

Stràda del ğènio sf. (top.) strada del Genio militare. La strada che da Lozzo sale a Pian del Buoi, viene chiamata strada del Genio in quanto costruita dall'esercito prima della prima guerra mondiale. Dalla Piazza IV novembre sale fino ai forti di Kòl Vidàl.

 

stradelà avv. prep. oltre, molto più in là. Di stradelà andare oltre, più in là; stradelà de la stràda oltre la strada, molto più in là della strada; loc. kuàn ke l pàrla, òñi tànto l va stradelà quando parla, ogni tanto, oltrepassa i limiti, sragiona. Fig. lo èi stradelà de pagòu l'ho strapagato.

 

stradìn sm. (inv.) stradino. Fèi l stradìn fare il mestiere dello stradino; fig. te ses kóme i stradìn ke i a sènpre l badì su le spàle detto a chi è pigro e non usa i ferri del mestiere che ha tra le mani.

 

stradón  sm. (pl. stradói) strada maestra, carrozzabile.

 

Stradón  sm. (top.) Al stradón. Il toponimo indica la strada statale di Alemagna che collega Pieve con il Ponte Nuovo. Il tratto all'interno del paese va identificato come via Roma. Èra óra ke i ślargàse l stradón C'è voluto tempo perché allargassero la strada nazionale.

 

strafànte, strafanìče sm. (solo pl.) cianfrusaglie, carabattole. Sta sofìta e piéna de strafanìče questa soffitta è piena di cianfrusaglie; kè fàsto de sti strafanìče? che cosa fai di queste carabattole?; me fìa renkùra dùte i strafànte ke la čàta mia figlia raccoglie tutte le cianfrusaglie che trova in giro.

 

strafèi vb. intr. (strafàžo; strafaśèo; strafàto) strafare, esagerare. Èi volésto strafèi e me èi malòu ho voluto strafare e mi sono ammalato; prov. ki ke vo strafèi, pèrde la sàpa e ànke l déi chi vuole troppo alla fine non riesce ad ottenere nulla di buono.

 

strafòi, trafòi sm. (inv.) trifoglio, erba spagna (bot. Trifolium repens trifoglio; Medicago sativa, erba spagna). N čanpo de strafòi un campo di trifoglio; seà l strafòi falciare il trifoglio.

 

strafóro avv. di nascosto, fuori regola. Nella loc. de strafóro di nascosto, furtivamente. Èi fàto dùto de strafóro ho fatto tutto di nascosto, a tempo perso. L e pasòu de strafóro è immeritatamente stato promosso.

 

strafumòu agg. (pl. strafumàde, f. strafumàda) ansimante, sudato. I e ruàde dùte strafumàde sono arrivati tutti sudati e ansanti, oltremodo affaticati.

 

strakà, strakàse vb. trans. e rifl. (me stràko; strakèo; strakòu) stancare, stancarsi. Sto laóro me a pròpio strakòu questo lavoro mi ha proprio stancato; me stràko par nùia mi stanco per un nonnulla, mi basta poco per stancarmi; loc. strakà i sante far perdere la pazienza a tutti.

 

stràkabalón avv. nella locuzione te as mañòu pa stràkabalón hai esagerato nel mangiare.

 

strakàda sf. (pl. strakàde) affaticata, stancata. Čapàse na strakàda fare una faticaccia, affaticarsi in modo eccessivo.

 

strakàdùra sf. (pl. stràkadùre) stanchezza. Ko se pàusa, vién fòra dùte le stràkadùre quando si riposa, si sentono le conseguenze di tutte le fatiche passate (v. strakèža).

 

stràkaganàsa sf. (pl. strakàganàse) castagna secca. Le stràkaganàse e bòne pài dènte bói le castagne secche sono buone per chi ha i denti sani.

 

stràkapiàže agg. (inv.) fannullone, vagabondo. Tó fardèl a sènpre fàto l stràkapiàže tuo fratello ha sempre bighellonato, non ha mai avuto voglia di lavorare (v. piažaròt).

 

stràkagòu agg. (pl. strakagàde, f. strakagàda) fig. identico. L'espressione letterale del termine è volgare; l e stràkagòu só pàre è identico a suo padre.

 

strakéža sf. (pl. strakéže) stanchezza, spossatezza. Kuàn ke son nte l liéto, me vién fòra dùta la strakéža quando sono a letto, mi sento addosso la stanchezza di tutta la giornata.Èi na strakéža ntórneme ho una spossatezza addosso.

 

stràko agg. (pl. stràke, f. stràka) stanco, sfinito, fig. ridotto al lastrico. Fig. l e nasù stràko non ha mai avuto voglia di lavorare; loc. te somée Ğàko stràko sei distrutto dalla fatica.

 

strakòl sm. (pl. strakòi) piccolo trauma causato da sfacchinata, faticaccia. Fèi n strakòl quello sforzo mi ha procurato un dolore ad una spalla.

 

strakolà vb. trans. (strakoléo; strakolèo; strakolòu) strizzare, fig. spremere, sfruttare. Strakolà la biankarìa strizzare la biancheria lavata perché si asciughi presto; i lo a strakolòu pì ke i a podésto l'hanno sfruttato al massimo. D'istàde tànto reśentà e póčo strakolà, d'invèrno póčo reśentà e tànto strakolà il caldo asciutto dell'estate asciuga presto la biancheria, anche se molto bagnata, contrariamente all' inverno dove necessita strizzarla bene perché non geli.

 

strakolàda sf. (pl. strakolàde) strizzata. Dài na strakolàda a ste kanevàže dai una strizzata a questi canovacci; čapà na strakolàda fare una faticaccia. Strakolàda de mal de pànža colica intestinale.

 

strakù sm. (pl. strakùs) lombo di maiale. L strakù vién mèo kuóto piàn piàn su le brónže il lombo riesce meglio quando è cotto lentamente sulle braci.

 

stralunòu agg. (pl. stralunàde, f. stralunàda) stralunato, sconvolto. L e ruòu dùto stralunòu è arrivato completamente sconvolto.

 

stramanò nella loc. Parlà a stramanò parlare invertendo le parole, con confusione, in modo scoordinato.

 

stramàž sm. (pl. stramàže) saccone, materasso, pagliericcio. Bičà fòra l stramàž vuotare il saccone per lavarlo e per riempirlo di foglie di granoturco nuove oppure esporre all'aria il materasso (v. paión).

 

stràme sm. (solo pl.) foglia del frumento, strame, foglie. Béte stràme sóte le vàče fare la lettiera delle mucche con dello strame; késto no e fién, e stràme questo non è fieno buono per le bestie, ma è roba da lettiera; prov. stràme o fién, bàsta ke l tabià sée pién che sia paglia o che sia fieno, quello che interessa è che il fienile sia pieno; prov. e mèo n òn de stràme ke n fiól de òro è meglio avere un marito che vale poco, che un figlio perfetto; prov. o de stràme o de fién, l stómego a da èse pién in un modo o nell'altro è necessario non soffrire la fame.

 

stranbarìa sf. (pl. stranbarìe) stranezza, sproposito, fig. esagerazione. Fèi stranbarìe compiere delle stranezze; di stranbarìe dire spropositi; kostà na stranbarìa costare una cifra enorme.

 

strànbo agg. (pl. strànbe, f. strànba) stravagante, strano, bizzarro. Tó neódo e n tin strànbo tuo nipote è un po' stravagante; no èi mai vedù na ròba kosì strànba kóme késta non ho mai visto una cosa tanto strana come questa. Vestì strànbo vestire in modo stravagante.

 

strànbonà vb. (strànbonéo, stranbonèo,

stranbonòu). Parlare volgare, dire stramberie. No stà strànbonà non parlare in modo frivolo.

 

strangolà vb. trans. (strangoléo; strangolèo; strangolòu) strangolare, per est. uccidere. Èi strangolòu dùte le pìte ho ucciso tutte le galline; se no te tàśe, te strangoléo se non taci ti strozzo; è la minaccia che le mamme spesso rivolgono ai figlioli impertinenti.

 

strangolón avv. frettolosamente. De strangolón in fretta e furia; èi mañòu de strangolón e pò son partìu ho mangiato in fretta e furia e poi sono partito.

 

strangosà vb. trans. (strangoséo; strangosèo; strangosòu) desiderare intensamente, agognare, sospirare. Strangóso n tin de rośòlio ho una voglia matta di bere un po' di liquore dolce; strangoséo ke rùe me fìa non vedo l'ora che arrivi mia figlia (v. bramośà, talentà).

 

straniàse vb. rifl. (me strànio; stranièo; straniòu) alienarsi, isolarsi, allontanarsi dalla famiglia o dal gruppo in cui si vive. Daspò ke e mòrta só màre al se a straniòu da dùto dopo che è morta sua madre, si è estraniato da tutto.

 

strànio avv. strano. Me par da strànio mi sembra strano, impossibile; me par da strànio ke l sée a čàśa è insolito vederlo a casa.

 

straóre avv. ad ora insolita. Veñì a čàśa a straóre ritornare a casa a tarda notte, a ore piccole.

 

strapagà vb. trans. (strapagéo; strapagèo; strapagòu) strapagare, pagare eccessivamente. Ki kuàtro sarvìśe ke te me as fàto, te i èi strapagàde ti ho più che ricompensato per quel poco che hai fatto per me.

 

strapagòu agg. (pl. strapagàde, f. strapagàda) pagato eccessivamente, strapagato. Késta e ròba pagàda e strapagàda questa roba è pagata e strapagata.

 

straparlà vb. trans. (strapàrlo; straparlèo; straparlòu) parlare a vanvera senza logica, fuori argomento. Kuàn ke le stelìn al strapàrla quando è brillo parla a vanvera.

 

strapažà, strapažàse vb. trans. e rifl. (me strapažéo; strapažèo; strapažòu) strapazzare, rimproverare, sciupare, calpestare, strapazzarsi, affaticarsi troppo. Strapažà le bràge sgualcire, sciupare i pantaloni; parkè lo strapažéesto kosì? perché lo maltratti in questo modo?; i a strapažòu dùta l èrba hanno calpestato tutta l'erba; èi strapažòu n tin màsa riconosco di non aver avuto cura della mia salute.

 

strapažàda sf. (pl. strapažàde) strapazzata, rimprovero, rabbuffo. Késta e na strapažàda par nùia questo strapazzo è inutile; kél tośàto a de beśuói de na strapažàda quel ragazzo ha bisogno di una sgridata, di una lezione severa.

 

strapàžo sm. (pl. strapàže) strapazzo. No sta fèi strapàže non fare strapazzi, fatiche eccessive; késto e n vestì da strapàžo questo è un vestito da strapazzo, da usare senza riguardo.

 

strapažón agg. (pl. strapažói, f. strapažóna, pl. strapažóne) strapazzone, chi non ha cura né di sè né delle proprie cose, fig. disordinato. Tó mesiér e sénpre stòu n strapažón tuo suocero non ha mai avuto cura né di sè né delle proprie cose; parkè sésto kosì strapažón? perché sei così disordinato nelle cose che fai?

 

strapiantà vb. trans. (strapiantéo; strapiantèo; strapiantòu) trapiantare. Strapiantà i ravaniéi trapiantare le rape (v. trapiantà).

 

strapiónbo sm. (pl. strapiònbe) strapiombo, burrone. Kél strapiónbo me fa veñì stórno quello strapiombo provoca le vertigini.

 

strapónto sm. (pl. strapónte) sopraggitto, cucitura che serve per unire più tessuti. Kon dói strapónte èi fàto na kuèrta da sofà kon tokéte de garmàl ho fatto una coperta per il divano con pezzi di grembiule cuciti insieme.

 

straportà vb. intr. (strapòrto; straportèo; straportòu) ritardare il parto. Oltrepassare i limiti di tempo previsti per una gravidanza. La vàča stan l a straportòu la mucca quest'anno ha ritardato il parto (v. trasportà).

 

strasinà, strasinàse vb. trans. e rifl. (me strasinéo; strasinèo; strasinòu) trascinare, strascinare, strascicare, trascinarsi, vivacchiare alla meno peggio. Vàrda ke te strasinée le bràge stai attento che trascini i pantaloni per terra; i a strasinòu le tàe fòra dal ğàvo hanno trascinato i tronchi d'albero fuori dal canale di scorrimento; strasinà i pès strascicare i piedi; kè vósto fèi? ka okóre strasinàse che vuoi fare? a questo mondo bisogna cercare di vivere alla meno peggio.

 

strasìna sf. (pl. strasìne) fascio di rami o piccoli tronchi che venivano legati dietro la slitta carica di legna e trascinati a valle. Fungevano da freno nei tratti più ripidi e portavano a casa una quantità maggiore di legna.

 

strasinón avv. De strasinón. Di de strasinón procedere trascinandosi; fèi le ròbe de strasinón fare le cose di malavoglia, alla meno peggio.

 

stratènde vb. trans. (stratèndo; stratendèo; stratendésto, stratendù) fraintendere, capire a rovescio. Te me as stratendù mi hai frainteso, mi hai capito male.

 

stravakàse vb. rifl. (stravakéo; stravakèo; stravakòu) stravaccarsi, sedersi scompostamente. Te as da nparà: no se puó stravakàse kosì sul sofà kuàn ke e dènte forèsta nte čàśa devi imparare che non ci si può distendere così sul divano quando ci sono degli estranei in casa.

 

stravéde vb. intr. (stravédo; stravedèo; stravedésto) stravedere, vedere una cosa per un'altra, stimare qualcuno in modo eccessivo. Kél vèčo stravéde bèlo quel vecchio ormai vede una cosa per l'altra, comincia a sragionare; kéla la stravéde pa i só fiói quella donna stima i suoi figli in modo esagerato.

 

straventà vb. imp. (straventéa; straventèa; straventòu) turbinare del vento, soffiare impetuosamente. E dùto l dì ke l straventéa è tutto il giorno che il vento turbina, soffia impetuosamente.

 

stravènto sm. (solo sing.) colpo di vento, vento contrario che cambia continuamente direzione dal quale non si sa come ripararsi. Ka e sènpre stravènto qui tira sempre un vento contrario.

 

stravià, straviàse vb. trans. e rifl. (me stràvio; stravièo; straviòu) distogliere, distrarre, per est. sviare, corrompere, svagarsi, dimenticare. Vàrda de no stravià mé fiól sta attento a non condurre mio figlio sulla cattiva strada; no sta straviàte màsa non distrarti troppo; daspò ke e mòrta só màre, l a debeśuói de straviàse dopo che è morta sua madre, ha bisogno di distrarsi un po'.

 

straviòu agg. (pl. straviàde, f. straviàda) distratto, sviato, chi ha lasciato la buona strada. Tó nèža e n tin màsa straviàda tua nipote è un po' troppo distratta.

 

stràža sf. (pl. stràže) straccio, cencio. Tòle na stràža e néta su l siòlo prendi uno straccio e pulisci il pavimento; di a vénde le stràže a Nardèi andare a vendere gli stracci a Nardei; Nardèi era uno straccivendolo di Pelos che comperava ossa e stracci in cambio di oggetti di chincaglieria; loc. čapà un pa le stràže afferrare qualcuno per il bavero, arrabbiarsi al punto da mettergli le mani addosso; redùśese na stràža ridursi uno straccio, ridursi in condizioni pietose sia fisiche che economiche; biànko kóme na stràža bianco come un cencio, pallidissimo; kél de le stràže il cenciaiolo.

 

stražà vb. trans. (stràžo; stražèo; stražòu) versare, rovesciare, sperperare. Stražà l làte, l kafè, la menèstra rovesciare inavvertitamente latte, caffè, minestra; fig. l a stražòu dùto kél ke i a lasòu só pàre ha scialacquato tutto quello che suo padre gli ha lasciato in eredità. Loc. te ses na fegùra stražàda sei un gran furbacchione.

 

stražarìa sf. (pl. stražarìe) cianfrusaglie, ciarpame, oggetto che non ha alcun valore. Tòle sta stražarìa e bìčela dó nte Rin raccogli queste cianfrusaglie e buttale nel Rin; no vói savé de le tó stražarìe non ne voglio sapere delle tue cianfrusaglie; vénde pa stražarìa vendere per poco, sottoprezzo; avé ròba pa stražarìa avere roba in abbondanza; a čàśa méa èi patàte pa stražarìa a casa mia ci sono patate in abbondanza.

 

stražèi  sm. (inv.) straccivendolo, cenciaiolo. Di dal stražèi andare a vendere ossa e stracci vecchi al cenciaiolo.

 

stražèi  agg. (pl. stražèi, f. stražèra, pl. stražère) straccione, cencioso, fig. cattivo soggetto. Kél là e n stražèi quello è uno straccione; no sta dì kon kél stražèi! non frequentare quel cattivo soggetto!

 

stražéta agg. (pl. stražéte) persona stravagante. Fig. vanaglorioso, vaneggino. Kéla tośàta e pròpio na stražéta quella ragazzina è piuttosto stravagante.

 

stražón stražós agg. (pl. stražói, f. stražóna, pl. stražóne) straccione, poveraccio, cattivo soggetto, disonesto. Ki élo kél stražón? chi è quel poveraccio, quell'individuo così cencioso?; tó kuñàda e na stražóna tua cognata è un cattivo soggetto, una disonesta.

 

stražós agg. (pl. stražóse, f. stražosa) straccione. Te ses n stražós sei uno straccione.

 

strèisa sf. (pl. strèise) striscia, riga. Na strèisa de tèra una striscia di terra, un pezzettino di campo o di prato; tirà na strèisa tirare una riga, tracciare una retta; tirà strèisa cancellare un credito inesigibile, dimenticare una offesa.

 

strèl agg. (pl. strèle, f. strèla) agile e magro, snello. L e strèl kóme n kauré è agile come un capretto.

 

strénde, stréndese vb. trans. e rifl. (me stréndo; strendèo; strendésto, strendù) stringere, serrare fortemente, restringere, rimpicciolire, stringersi, restringersi. Strénde i dènte, la màn, i pùi stringere i denti, serrare fortemente la mano, i pugni; no sta strénde màsa! non stringere troppo!; strénde n vestì restringere, rimpicciolire un vestito; strendéve na gèra e laséme n tin de pósto da sentà! stringetevi e lasciatemi un po' di posto per sedere!; la prìma òta ke se làva la ròba, la se strénde n tin la prima volta che si lava la biancheria, si restringe un po'; okóre strénde le budèle occorre mangiare meno, fare economia (v. strukà).

 

strendésta, strendùda sf. (pl. strendéste, strendùde) stretta, pressione, restringimento. Da na strendésta a la fasìna stringere di più il fascio di legna; sto garmàl a debeśuói de na strendésta questo grembiule ha bisogno di un restringimento, di essere rimpicciolito.

 

strénta sf. (pl. strénte) strettoia, passaggio stretto, stretta, restringimento. pasà pa la strénta passare per la strettoia; da na strénta dare una stretta, restringere; čapà na strénta prendere una stretta, lasciarsi spingere contro qualche ostacolo; loc. čapà a le strénte prendere qualcuno alle strette, cioè obbligare qualcuno a dire o fare qualcosa; čapàse a le strénte trovarsi in difficoltà.

 

strentadói sm. (inv.) strettoia, passaggio angusto. Pasà par n strentadói passare per una strettoia.

 

strentadóira sf. (pl. strentadóire) strettoia, passaggio angusto (v. strentadói, strentèra).

 

strentèra sf. (pl. strentère) strettoia, passaggio stretto e disagevole (v. strénta, strentadói).

 

strénto agg. (pl. strénte, f. strénta) stretto, angusto. Késte bràge e strénte questi pantaloni sono stretti; sto bus e màsa strénto questo foro è troppo piccolo; sta strénte stare stretti, pigiati; èse a strénto trovarsi alle strette, nei pasticci.

 

strìa sf. (pl. strìe) strega e per est. donna brutta e cattiva. Se no te stas bón, čàmo la strìa se non stai buono, chiamo la strega; era questa una delle minacce delle madri ai propri figli per rabbonirli; kéla e na strìa quella donna è brutta, vecchia e cattiva; véde le strìe vedere le streghe; corrisponde pressappoco alla loc. vedere le stelle, cioè provare un dolore lancinante; avé ntórnese la màre de le strìe essere infuriato contro qualcuno o qualcosa; le strìe se petenéa le streghe stanno pettinandosi, detto quando piove e nel contempo splende il sole.

 

strinfà vb. (strìnfo; strinfèo; strinfòu) rovinare la lama della falce. succedeva principalmente per un colpo forte contro un sasso o una martellata falsa durante la battitura.

 

strìğa sf. (pl. strìğe) striglia, fig. critica, rimprovero. Dorà la strìğa usare la striglia per pulire il mantello del cavallo; a to fiól okoraràe n tin de strìğa a tuo figlio occorrerebbe un po' di striglia, cioè una buona lezione.

 

striğà vb. trans. (strìğo; striğèo; striğòu) strigliare, fig. criticare, rimproverare. Striğà l čavàl strigliare, pulire con brusca e striglia il mantello del cavallo; me a točòu striğà n tin kél tośàto sono stato costretto a fare una solenne ramanzina a quel ragazzo.

 

striğàda sf. (pl. striğàde) strigliata; I èi péna dòu na striğàda a la vàča. Ho appena dato una strigliata alla mucca.

 

strìka sf. (pl. strìke) striscia di terra o di stoffa, fettuccia (v. strìkola, strìsa).

 

strìkola sf. (pl. strìkole) striscia di terra o di stoffa, nastro, fettuccia. Na strìkola de koràme de stòfa, una striscia di cuoio, di stoffa; na strìkola de čànpo, de vàra un piccolo appezzamento di campo, di prato stretto e lungo; par fenì l vestì me mančaràe nkóra na strìkola per finire il vestito mi mancherebbe solo un po' di stoffa; me rèsta da seà nkóra na strìkola mi resta da falciare ancora una striscia, un pezzettino di prato; loc. ardónde na strìkola al vestì allungare il vestito con un nastro, una striscia di stoffa di colore sgargiante come ornamento.

 

strìnga sf. (pl. strìnge) stringa, laccetto delle scarpe fatto di cuoio, fig. sberla, percossa. Èi ronpésto na stringa de le skàrpe ho spezzato una stringa delle scarpe; se no te tàśe, te dào na strìnga se non taci ti do un ceffone.

 

stringà vb. trans. (strìngo; stringèo; stringòu) bastonare, prendere a schiaffi. Par fèilo laurà èi dovésto stringàlo per farlo lavorare ho dovuto picchiarlo.

 

stringàda sf. (pl. stringàde) bastonatura, fig. lezione, paternale. L a čapòu na bèla stringàda si è buscato una solenne bastonatura; daspò de kéla stringàda, l a betù l čòu a pósto dopo quella paternale, ha messo la testa a posto.

 

strión agg. (pl. striói, f. strióna, pl. strióne) scapigliato. Te as kuàtro striói hai i capelli ricci e in disordine.

 

strionà vb. trans. (strionéo; strionèo; strionòu) graffiare. Vàrda ke kél ğàto strionéa! attento che quel gatto graffia!; tàia le ónğe a kél pùpo se nò l se strionéa! taglia le unghie a quel piccolo altrimenti si graffia; tàśe se nò te strionéo! taci altrimenti ti graffio, ti metto le mani addosso (v. ğatonà).

 

strionarìa sf. (pl. strionarìe) stregoneria. Fèi na strionarìa fare una stregoneria.

 

strìs sm. (pl. strìse) striscio, cancellatura, escoriazione. Fèi n stris fare uno striscio, tirare una linea; tirà n stris fare una cancellatura; fèise n stris procurarsi una escoriazione; fèi o tirà n stris tirare uno striscio, cancellare e dimenticare tutto, cancellare un credito. Ka e mèo ke tiróne n stris a questo punto è opportuno cancellare, dimenticare tutto quello che è passato di bene o di male tra di noi (v. sfrìs).

 

strìsia sf. (pl. strìsie) striscia, striscio, cancellatura. Na strìsia de vàra una striscia di prato; tirà na strìsia tirare una striscia, tirare una riga; fèi na strìsia fare uno striscio, una cancellatura (v. strìkola, stris, strèisa).

 

strìsià, strisiàse vb. trans. intr. e rifl. (me strìsio; strisièo; strisiòu) strisciare, fare uno striscio, una cancellatura, procurarsi una scalfitura, una escoriazione. Strisià dó bas strisciare per terra; strisià l muro, la tòla strisciare, scalfire il muro, la tavola; l a strisiòu dùta la màkina ha avuto un incidente stradale e ha strisciato la carrozzeria della vettura; me èi strisiòu dùta la màn mi sono escoriato tutta la mano; me èi strisiòu su pal muro e me èi sporčòu duta la ğakéta ho strisciato contro la parete e mi sono sporcato tutta la giacca.

 

strisiàda sf. (pl. strisiàde) striscio, scalfitura, escoriazione. Ki élo ke a fàto sta strisiàda sul komò? chi è che ha fatto questa scalfitura sul comò?; fèise na strisiàda procurarsi una escoriazione, spellarsi.

 

strižà vb. trans. (strìžo; strižèo; strižòu) strizzare, torcere, spremere. Striža polìto i lenžuós ñànte de bételi fòra! strizza bene le lenzuola prima di stenderle!; strižà n limón spremere un limone; strižà l òčo strizzare l'occhio, ammiccare; no sta strižà màsa i fažoléte se nò i se rónpe! non torcere troppo i fazzoletti, quando li strizzi, altrimenti si rompono (v. strénde, strakolà, žiñotà).

 

stròlega sf. (pl. stròlege) strega, megera, zingara. Se vién la stròlega, la te pòrta vìa se viene la strega, ti porta via; così minacciavano i loro figli le mamme di una volta; kéla e na stròlega quella è una megera, una donnaccia; le stròlege pòrta vìa i tośàte trìste le zingare rapiscono i bimbi cattivi; era questa una vecchia credenza sufficiente a far star buoni i piccoli irrequieti (v. žìnger, žigàina).

 

strolegà vb. trans. (strolegéo; strolegèo; strolegòu) almanaccare, fantasticare, arzigogolare, arrovellarsi il cervello, fig. predire il futuro. Riferito alle stròlege, cioè alle zingare che si offrono spesso a leggere la mano; ma kè strolegéesto? ma che cosa stai almanaccando? l a strolegòu dùto l dì ha fantasticato, arzigogolato tutto il giorno. Èi strolegòu dùto l dì žènža ruà a na konkluśión mi sono arrovellato il cervello tutto il giorno senza giungere ad una conclusione.

 

stromì vb. intr. (stromìso; stromìo; stromìu) sussultare, battere i denti per lo spavento, emozionarsi. Kuàn ke èi vedù la bìsa èi stromìu quando ho visto la biscia sono raggelato dallo spavento; bàsta póčo par fèilo stromì basta un nonnulla per farlo sussultare per lo spavento.

 

stromìda sf. (pl. stromìde) sussulto, convulso da spavento L a čapòu na stromìda ha preso uno spavento che lo ha fatto sobbalzare.

 

stropà vb. trans. (strópo, stropèo, stropòu) chiudere, tappare, otturare. Stropà l fiàsko, la bòte, la barìža tappare, mettere il tappo al fiasco, alla botte, alla botticella; stropà l bus chiudere, otturare il buco; stropàse la bóča tapparsi la bocca, tacere; stropà n bus e vèrde n àutro pagare un debito e farne subito dopo un altro; no l rùa e no l strópa (o skuèrde) non arriva e non copre (ottura); detto di ciò che è troppo corto e troppo piccolo.

 

stropabùs sm. (inv.) tappabuchi, sostituto. To fiól par adès fa l stropabùs tuo figlio per il momento sostituisce un po' l'uno, un po' l'altro.

 

stropakù sm. (pl. stropakùs) pianta e frutto della rosa canina (bot. Rosa canina, le diverse specie). I ràme del stropakù e pién de ràče i rami della rosa canina sono pieni di spine; se te màñe ngrùmo de stropakùs te vien mal de pànža i frutti della rosa canina fanno male di pancia se mangiati in dosi eccessive. Con i frutti di rosa canina, ricchi di vitamine, si ottengono delle ottime marmellate.

 

strópo sm. (pl. strópe) tappo, turacciolo, per est. chiusura. Fig. persona piccola e tozza. Strópo de sùro, de viéro, de lén tappo di sughero, di vetro, di legno; al strópo del fiàsko, del karetèl, de la bóte il tappo del fiasco, del caratello, della botte; al me strópo! il mio caro bambinello!; béte n strópo nte bóča far tacere qualcuno. Kel là e n strópo quello è veramente piccolo. Ğàva kel strópo se te vos beve àga leva il tappo se vuoi bere acqua.

 

strópol sm. (pl. stropói) nanerottolo, individuo più largo che alto. Kéla e na faméa de stropói quella è una famiglia di nanerottoli.

 

stròž sm. (pl. stròže) uncino particolare che serve ad ancorare i tronchi per trascinarli. Tirà a stròž trascinare qualcosa o qualcuno in malo modo .

 

strožà  vb. trans. (stròžo; strožèo; strožòu) trascinare i tronchi d'albero servendosi degli stròž. L'operazione dello strožà serve per portare i tronchi sul luogo dal quale poi vengono avvallati. È un lavoro che si fa soprattutto d'inverno approfittando delle strade gelate; in tale periodo lo strascico proseguiva fino in paese. fig. trascinare in malo modo cose o persone; se no te vién, te stròžo! se non vieni, ti trascino con la forza .

 

strožà  vb. trans. (stròžo; strožèo; strožòu) strozzare, strangolare, fig. vivere stentatamente. Kóme éla? se la stròža come va? si vivacchia.

 

strukà vb. trans. (strùko; strukèo; strukòu) stringere, serrare. Strùka dùro! stringi forte!; strukà n brùsko stringere un foruncolo perché ne esca il pus; strukà su pa l mùro spingere qualcuno contro il muro, mettere alle strette; kuàn ke mài pì l kredèa, l èi strukòu su pa l mùro quando ormai non se lo immaginava, l'ho messo spalle al muro; strukà l òčo strizzare l'occhio, ammiccare. Tàśe se nò te strùko nte n čantón! taci, altrimenti ti spingo nell'angolo della casa e ti picchio! (v. strènde).

 

strukàda sf. (pl. strukàde) stretta, fig. paura. Čapà na strukàda ricevere una stretta affettuosa o incastrarsi per sbaglio un dito, una mano tra due oggetti. La èi strukàda essere fortemente spaventato.

 

strùkapatàte sm. (inv.) schiacciapatate. Tòleme l strùkapatàte ke èi da fèi ntin de purè prendimi lo schiacciapatate perché devo preparare del purè.

 

strùko sm. (pl. strùke) sugo, sintesi, sostanza. Al strùko de dùto e késto il sugo, la sostanza di tutto è questo; al strùko de n lìbro il compendio di un libro.

 

strukón sm. (pl. strukói) stretta, fig. paura (v. strukàda).

 

struménto, stroménto sm. (pl. struménte) strumento musicale, fig. persona o cosa di poco conto. Ma kè struménto me àsto menòu ka? ma che razza di uomo mi hai condotto qui?

 

strupià vb. trans. (strùpio; strupièo; strupiòu) sgualcire, spiegazzare. L a strupiòu dùta la čaméśa ha sgualcito tutta la camicia.

 

strùsia sf. (pl. strùsie) fatica, sacrificio. Spesso si usa con significato analogo il termine sfakinàda. Èi sènpre vivésto n mèdo le strùsie sono sempre vissuto in mezzo ai sacrifici; žènža strùsie no se arlèva fiói! senza sacrifici non si allevano i figlioli! (v. rùsko).

 

strusià vb. intr. (strùsio; strusièo; strusiòu) faticare, sfacchinare. Voce usata di frequente per descrivere le fatiche continue della vita contadina. Tó pàre a strusiòu dùta la vìta tuo padre ha lavorato sodo lungo tutta la vita (v. ruskà).

 

strutà vb. trans. (strùto; strutèo; strutòu) ammassare, mettere insieme. Strutà su l fién, le léñe ammassare, riunire insieme il fieno, la legna da ardere; strutà su le skoàže radunare la spazzatura con la scopa; strutà su l fuóu riunire braci e tizzoni al centro del focolare; strutà ìnte stipare.

 

stùa  sf. (pl. stùe) stanza adibita a soggiorno della famiglia o a ripostiglio; locale rivestito di legno, provvisto di stufa o del forno in cui si cuoceva il pane. Sta nte stùa al čiàudo stare nel tinello al calduccio.

 

stùa  sf. (pl. stùe) sbarramento lungo un torrente. Vasca di raccolta stabile o provvisoria eretta tra le sponde di un torrente a mo' di diga allo scopo di arrestare le acque e formare un serbatoio. Qui venivano ammassati i tronchi d'albero e quando l'ammassamento era completato, la stùa veniva aperta e la massa d'acqua portava con sè il legname fino al Piave e quindi al cìdolo; la stùa era pure la costruzione adatta a raccogliere l'acqua potabile che poi veniva convogliata fino al paese; da qui il toponimo .

 

Stùa3, La Stùa sf. (top.) località a nord del paese vicino a Vialóna lungo il torrente Rio Rin dove si trova ora la cisterna che capta l'acqua potabile da convogliare fino al paese.

 

studià vb. trans. (stùdio; studièo; studiòu) studiare, escogitare, rimuginare. Se no te stùdie n tin de pì i te śbòča se non studi un po' di più, ti fanno ripetere l'anno scolastico; te stùdie su màsa ci pensi su troppo, rimugini troppo la cosa.

 

stufà  vb. intr. (stùfo; stufèo; stufòu) odorare, mandare buono o cattivo odore. Te stùfe da formài mandi odore, puzzi di formaggio; stufà da bón mandare un buon odore; stùfa ka! annusa qui!

 

stufà , stufàse vb. trans. e rifl. (me stùfo; stufèo; stufòu) stancare, seccare, stancarsi, annoiarsi. Te me as bèlo stufòu mi hai già stancato, annoiato; ió me stùfo derèto de dùto io mi stanco subito di tutto; me son stufòu de mañà menèstra mi sono stancato di mangiare minestra; prov. òñi bèl bàlo stùfa anche le cose belle o le situazioni felici, a lungo andare possono venire a noia; prov. del bón tènpo e de la bòna dènte no se se stùfa mài del buon tempo e della buona gente non ci si stanca mai.

 

stufàda sf. (pl. stufàde) stancata, per est. noia. Èi čapòu na bèla stufàda mi sono stancato, mi sono annoiato.

 

stùfo agg. (pl. stùfe, f. stùfa) stanco, annoiato. Son stùfo de dùto sono infastidito di tutto; èse stùfo négro àgro essere annoiato a morte, essere nauseato; stùfo e stràko stanco morto.

 

stùko sm. (solo sing.) stucco, impasto di acqua e gesso, ornamento. Ñànte de śbiankedà stùka le śvéne prima di imbiancare la parete copri le fessure con lo stucco. Fig. son restòu de stùko sono rimasto allibito.

 

stukà vb. (stùko; stukèo; stukòu) stuccare.Èi stukòu dùte le śvéne ho stuccato tutte le fessure.

 

stùrlo agg. (pl. stùrle, f. stùrla) volubile, poco assennato, incostante. Tó nèža e sénpre stàda n tin stùrla tua nipote è sempre stata un po' volubile, poco assennata (v. stornèl, žùrlo).

 

stužegà (raro) vb. trans. (stužegéo; stužegèo; stužegòu) stuzzicare, irritare, provocare, molestare. I čan mòrde dùte ki ke li stužegéa i cani mordono tutti coloro che li molestano; no sta stužegà kél brùsko se nò te vién nfežión! non irritare quel foruncolo altrimenti ti procuri un'infezione!

 

su avv. prep. su, sopra. Gratà la puìna sùi ñòke grattugiare la ricotta sugli gnocchi; dì su pal kòl andare sul colle, salire sul colle; veñì su venire su, salire; dì n su andare in su, salire; ka su, quassù; da le sié n su dalle sei in avanti, all'incirca; su e dó su e giù; po su po dó pressappoco; là su lassù; béte su čàśa mettere su casa, farsi una famiglia; dì su dréto andare su dritto; su sóra di sopra; dì su le oražión recitare le preghiere; teñì su le man tenere le mani giunte, supplicare; su sóte sul soffitto; takà su sóte i salàme appendere i salami al soffitto; su par pède su vicino, presso; la uèra vién su par pède l mùro la vite cresce lungo il muro; stàme su par pède su! stammi vicino; su de sóra di sopra, al piano superiore; fèi su e su fare su e su, fig. combinare un affare alla buona, senza eccessive pretese da parte di entrambi i contraenti, fare pari e patta; sta su smettere di piovere, vegliare un malato; sta bèlo su ha già smesso di piovere; sta nuóte stào su ió stanotte veglio io l'ammalato; sésto bèlo su? ti sei già alzato?; béte su illudere una persona; fèi su l liéto sprimacciare il letto; avéla su kon kalkedùn averla con qualcuno, avere cattivi rapporti con qualcuno; veñì su pal kòl vomitare, digerire male; me vién su pal kòl i ñòke ke èi mañòu non ho digerito bene gli gnocchi che ho mangiato. Te as betù su pànža ti sei ingrassato.

 

Śuàl, Śualdìn, Śualùto sm. (nome) ipoc. di Osvaldo, Osvaldino.

 

Śuàlda, Śualdìna, Śualùta sm. (nome) ipoc. di Osvalda, Osvaldina.

 

sùbia sf. (pl. sùbie) lesina. La sùbia de l skarpèr la lesina del calzolaio (v. śgùbia).

 

subià vb. intr. (sùbio; subièo; subiòu) fischiare. No son bon de subià non sono capace di fischiare; al sùbia kóme n mèrlo fischia come un merlo, fischia molto bene; subià davòi prendere in giro qualcuno fischiandolo; me sùbia le réğe mi fischiano le orecchie, vecchia credenza che altri parlino o pensino di te; sùbia ke te pàsa canta che ti passa.

 

subiàda sf. (pl. subiàde) fischio, fischiata. Bàsta na subiàda par fèime obedì basta un fischio per farmi obbedire.

 

subiòto  sm. (pl. subiòte) ciuffolotto (zool. Loxia pyrrula). Uccello stanziale con il petto color mattone e le ali blù scuro e bianco. Àsto vedù ke bèl subiòto ke èi konpròu? ha visto che bel ciuffolotto che ho comprato?

 

subiòto  sm. (pl. subiòte) fischietto. Va su da Nàni n Brodevin e kónpra na bàla de ràśa e n subiòto vai da Giovanni in Brodevin e compera della resina da masticare e un fischietto.

 

subitóśo agg. (pl. subitóśe f. subitóśa) agitato. Persona che fa o esige il lavoro con immediatezza. L e n subitóśo, apéna ke te i dis de fèi na ròba l vo fèila una cosa che esige pacatezza e riflessione vuol farla subito.

 

subuì, suboì vb. trans. (subuìso; subuìo; subuìu) sobbollire, far bollire appena qualcosa. Fèi suboì la menèstra far bollire appena la minestra; a dormì sul fién kol fa la bóia se se subuìse a dormire sul fieno che fermenta ci si surriscalda con umidità.

 

sùboi sm. (inv.) farinata. Pestariéi poco densi ai quali si aggiungeva nel piatto alcuni pezzi di pane.

 

sudà vb. intr. (sùdo; sudèo; sudòu) sudare, per est. lavorare sodo. Èi sudòu dùta la dornàda ho faticato per tutta la giornata; ko sto stonfàžo ki e ke no sùda? con quest'afa chi vuoi che non sudi?; sudà sàngo lavorare intensamente per ottenere qualcosa; sudàsela guadagnare qualcosa a gran fatica; sta čàśa me la èi sudàda questa casa l'ho costruita con sacrifici enormi; prov. mèo sudà ke tremà è meglio il caldo del freddo. Avèo l sudór ke veñìa do kóme na pióva grondavo di sudore.

 

sudàda sf. (pl. sudàde) sudata, fig. faticaccia. Dòpo kéla sudàda no èi pì stòu polìto da quella gran sudata non sono più stato bene; èi fàto na sudàda, ma èi fenìu dùto ho fatto una gran faticaccia, ma ho finito tutto.

 

sudesóra, su de sóra avv. di sopra, al piano superiore. Pòrta sta ròba sudesóra porta queste cose al piano di sopra.

 

sudór sm. (inv.) sudore, fatica. Nprergotòu de sudór bagnato di sudore; dùto kósta sudór ogni cosa si ottiene con la fatica; sudór frédo sudore freddo, brivido; sùiete do kel sudór se nò te te čàpe àlgo asciugati il sudore, altrimenti ti prendi qualche malanno.

 

sudòu agg. (pl. sudàde, f. sudàda) sudato, madido di sudore. Dòpo kéla fadìa ereóne dùte sudàde dopo quella fatica eravamo tutti sudati; késta e ròba sudàda questa è roba guadagnata con il sudore.

 

sugéto sm. (pl. sugétì) pezzettini di liquirizia. A mi no me piàśe i sugéti a me non piace la liquirizia.

 

sùgoi sm (solo pl.) zuppa di cereali. Viene data a malati e bambini ed è fatta con farina di frumento, burro, sale.

 

sigurìžia sf. (solo sing.) liquirizia. Čučà n tin de sigurìžia succhiare un po' di liquirizia.

 

suià vb. trans. (sùio; suièo; suiòu) asciugare, detergere. Béte fòra a suià la ròba stendere la biancheria ad asciugare; làva do i piàte e daspò sùieli! lava i piatti e dopo asciugali; suiàse i òče asciugarsi le lacrime; suiàse dó i sudòre detergersi il sudore dalla fronte; fig. suiàla su passarla liscia, metterla a tacere. Suià do asciugare stoviglie ecc. con il canovaccio; suià su l siòlo asciugare il pavimento.

 

suiàda sf. (pl. suiàde) asciugatura Sto fién a debeśuói de na bèla suiàda questo fieno ha bisogno di una bella asciugatura.

 

suìt sm. (pl. inv.) uccello. Luì verde (zool. phylloscopus sibilatrix). Colore giallo sul petto e ali, vive ai margini dei boschi canta durante il volo con una serie di “suìt “ e da questo ha preso il nome.

 

suiamàn sm. (inv.) asciugamani. Al suiamàn e spórko, kànbielo! l'asciugamano è sporco, cambialo!

 

sul sèrio Solo nella locuzione fèi sul sèrio puoi contare, certamente si fa.

 

sùma sf. (solo sing.) somma, addizione, molti soldi. Fèi la sùma addizionare. Èi spendù na sùma ho speso una grossa cifra, esageratamente.

 

sùnio sm. (inv.) sogno. Èi vedù n sùnio la màre ho sognato mia madre.

 

Sùnta  sf. (nome) ipoc. di Assunta.

 

Sùnta  sf. Assunta, festa della Madonna Assunta, Assunzione di Maria Vergine. Al dì de la Sùnta il giorno della Madonna Assunta che si onora il 15 Agosto.

 

suó sf. (pl. suós) sorella. Me suó e bèlo maridàda mia sorella si è già sposata; io èi dói fardiéi e dóe suós io ho due fratelli e due sorelle.

 

supardó, posupardó avv. pressappoco, all'incirca. La à supardó diéśe àne ha pressappoco dieci anni.

 

suparpède avv. prep. presso, vicino. Sta suparpède! stare vicino!; kaminà suparpède i mùre camminare rasente i muri.

 

suparpèdevìa avv. prep. presso, accostato, vicino. Si dice anche di un lavoro fatto alla buona, che accontenti senza aver pregio.

 

supiéra sf. (pl. supiére) piatto fondo molto grande, piccola terrina. Na supiéra de menèstra, de pestariéi un enorme piatto di minestra, di farinata.

 

supìse vb. (se supìse; supìa; supìu) il diventare denso di un qualcosa di liquido, brodoso; in genere veniva usato quando si spezzava del pane nella minestra o nel latte. Làsa ke la menèstra se supìse, ñànte de mañà prima di mangiare aspetta che la minestra diventi più densa.

 

suplì vb. trans. (suplìso; suplìo; suplìu) supplire, sostituire. Kuàn ke se e puaréte l' àga suplìse l vin quando si è poveri, l'acqua sostituisce il vino.

 

supodó avv. pressappoco, vicino. Èi supodó i so àne ho pressapoco la sua età.

 

supòne vb. trans. (supòno; suponèo; suponésto) supporre, credere.

 

supurà vb. intr. (supuréo; supurèo; supuròu) suppurare, giungere a suppurazione. Al brùsko a bèlo supuròu il foruncolo è già giunto a maturazione.

 

supuražión sf. (inv.) suppurazione. Me e veñésto supuražión al déido mi è venuta suppurazione al dito.

 

sùro sm. (pl. sùre) sughero, tappo di sughero. Béte l sùro su la bòža mettere il tappo alla bottiglia; le soléte de i skarpéte e de sùro le solette delle pantofole sono di sughero (v. strópo).

 

Suśàna sf. (nome) ipoc. di Susanna.

 

suśìn, sośìn sm. (inv.) susina (bot. Prunus domestica, il frutto). Èi mañòu n grùmo de suśìn ho mangiato una grande quantità di susine.

 

suśinèra sf. (pl. suśinère) albero del susino (bot. Prunus domestica, l'albero). Il pruno, il susino e l'amolo sono alberi dai frutti simili, cambia il colore del frutto e la stagione in cui fruttifica (anche per la quota). Il pruno si chiama bronbèra, il susino suśinèra e l'amolo amolèr. Stan la suśinèra no a fàto ñànke n suśìn quest'anno il susino non ha prodotto neanche una susina.

 

suśinèi sm. Albero del susino. Solitamente viene indicato il legno del susino. Lén de suśinèi legno di susino.

 

sùsta sf. (pl. sùste) molla, carica, forza controllata, fig. autocontrollo. La sùsta de la seradùra, de l arlòio la molla della serratura, dell'orologio; le sùste de l liéto e dùte rudinìde le molle del letto sono tutte arrugginite; dì ko le sùste par ària andare a fracassarsi contro qualcosa, andare gambe all'aria; èse mòlo de sùste facile alla commozione, soffrire di incontinenza.

 

sustà, sustàse vb. intr. e rifl. (me sùsto; sustèo; sustòu) una via di mezzo tra arrabbiatura e cruccio, imbronciarsi. Anche leggero sussulto o singulto da convulsione, deglutire nervosamente fig. arrabbiarsi. Al pižol a sustòu n tokéto e po l se a kalmòu il bambino ha avuto dei leggeri convulsi per un po' e poi si è calmato; to mesiér sùsta par nùia; tuo suocero si arrabbia per un nonnulla.

 

Sùster  sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

sùster  sm. (inv.) calzolaio. Dal tedesco “schuster”; da vèčo al se a betù a fèi l sùster da vecchio ha ripreso il mestiere di calzolaio.

 

sustòu agg. (pl. sustàde, f. sustàda) arrabbiato, corrucciato. Kuàn ke son ruòu a čàśa, i èra dùte sustàde quando sono arrivato a casa, tutti erano corrucciati.

 

sùto agg. (pl. sùte, f. sùta) asciutto, senza companatico. Ànke nkuói son ruòu a čàśa sùto anche oggi non ho preso la pioggia; la čaméśa e bèlo sùta e te puós tiràla su la camicia è già asciutta e puoi indossarla; la vàča e sùta la mucca è senza latte; mañà polènta sùta, mañà polènta ko na man sóte l kù mangiare polenta senza companatico. Mañà pan sùto mangiare solo pane. Sta sul sùto stare in un luogo asciutto; èse sùto essere senza il becco di un quattrino. Fig. Kel la e n sùto quello parla molto poco.

 

sužiéde vb. imp. (sužiéde; sužiedèa; sužiedèsto, sužiedù) succedere, capitare. Me èi nsuñòu malaménte: a da sužiédeme àlgo de mal ho fatto un brutto sogno: deve capitarmi qualcosa di brutto; kè te élo sužiedésto? che cosa ti è successo?

 

śvaniménto sm. (solo sing.) svenimento. Di n śvaniménto svenire; òñi tànto me suó va n śvaniménto ogni tanto mia sorella sviene.

 

śvanpolàse vb. rifl. (me la śvanpoléo; śvanpolèo; śvanpolòu) divertirsi. Viene usato soprattutto per definire quella sensazione gioiosa che i giovani, vicini alla maggiore età, provano delle libertà di orario ed altro che prima erano gestite dai genitori.

 

śvanpì vb. intr. (śvanpìso; śvanpìo; śvanpìu) evaporare, svaporare. Béte su l strópo se nò l vin śvanpìse! metti su il tappo, altrimenti il vino perde il suo profumo e il sapore languisce.

 

śvànžega sf. (pl. śvànžege) svanzica, moneta austriaca del Regno Lombardo Veneto, per est. denaro. Késta ròba kósta de žèrto póče śvànžege questa cosa è di poco valore. Àsto kàlke śvànžega da nprestàme? hai un po' di denaro da prestarmi?

 

śvargoñà vb. trans. (śvargoñéo; śvargoñèo; śvargoñòu) svergognare. Śvargoñéa n tin kel pelandrón de to fiòžo! svergogna un po' quel fannullone del tuo figlioccio! (v. vargoñà).

 

śvargoñàda sf. (pl. śvargoñàde) rimprovero, umiliazione. Čapà na śvargoñàda subire un'umiliazione; dà na śvargoñàda infliggere un rimprovero umiliante.

 

śvedelà vb. intr. (śvedeléo; śvedelèo; śvedelòu) urlare, strillare come fanno i vitelli allontanati dalla loro madre, strillare come gli animali feriti. L a śvedelòu dùta la nuóte dal mal ha urlato tutta la notte dal dolore.

 

śveğarìn agg. (pl. śveğarìne, f. śveğarìna) mattiniero, sollecito. Èse śveğarìn essere mattiniero, alzarsi di primo mattino.

 

śvélia sf. (pl. śvélie) sveglia. Čareà la śvélia caricare la sveglia; béte la śvélia su le sié puntare la sveglia perché suoni alle sei; la śvélia me a desedòu a le tre la sveglia mi ha svegliato alle tre; śvélia! sveglia, è ora di alzarsi!; śvélia, ke e bèlo óra de dì a laurà! sveglia, che è già ora di andare a lavorare!

 

śveltìne avv. alla svelta. Fèi a le śveltìne fare in fretta, sbrigarsi.

 

śvèlto agg. (pl. śvèlte, f. śvèlta) svelto, sveglio, sbrigativo. A laurà okóre èse śvèlte bisogna essere veloci sul lavoro; l e śvèlto nte le so ròbe è sbrigativo nelle cose che deve fare; a skòla l e sènpre stòu śvèlto a scuola è sempre stato sveglio, lesto ad imparare; śvèlto kóme n ğàto de piónbo tardo a muoversi, lento ad agire.

 

śvéna sf. (pl. śvéne) incrinatura, crepa. Sto gòto a na śvéna questo bicchiere ha un'incrinatura.

 

śvenà, śvenàse vb. trans. e rifl. (me śvéno; śvenèo; śvenòu) incrinare, provocare una screpolatura, incrinarsi, screpolarsi. Èi śvenòu n piàto ho provocato un'incrinatura su di un piatto; kel viéro e bèlo śvenòu oppure se a bèlo śvenòu quel vetro si è già incrinato; nte sta čàśa dùte i mùre e śvenàde in questa casa tutti i muri hanno delle crepe leggere. Loc. pa i so fiói l se a śvenòu per i suoi figli ha dato tutto,è rimasto sul lastrico.

 

śvèntola sf. (pl. śvèntole) schiaffo, scapaccione. Èi čapòu na śvèntola ho preso uno schiaffo forte.

 

śvernà vb. trans. (śvèrno; śvernéo; śvernòu) svernare, trascorrere l'inverno. Èi mandòu la vàča a śvernà n te stàla de mé mesiér ho portato la mucca a svernare in stalla da mio suocero

 

śvèrta sf. (pl. śvèrte) fessura. La tàia a na bèla śvèrta. Il tronco ha una grossa fessura.

 

śvèrde vb. (śvèrdo; śverdèo; śvèrdesto) spaccare, rompere a metà. Te śvèrdo l čòu ti spacco la testa.

 

śvià vb. trans. e intr. (śvìo; śvièo; śviòu) sviare, uscire o far uscire dalla buona strada, corrompere, traviare. Vàrda de no śvià stai attento a non uscire dalla buona strada!; kel pelandrón me a śviòu kel tośàto! quel mascalzone ha traviato mio figlio.

 

śvinkón sm. (pl. śvinkói) strattone, spinta. Èi tiròu dói śvinkói e se a ronpésto la kòrda con due strattoni ha rotto la corda. L me a dòu n svinkón e l me a śbragažòu mi ha dato una spinta e sono caduto malamente.

 

śviñàsela vb. rifl. (me la śvìño; śviñèo; śviñàda) svignarsela, sgattaiolare. Apéna ke puói, me la śvìño appena posso, me la svigno; me la èi śviñàda derèto me ne sono corso via subito (v. filàsela).

 

śvoità vb. trans. (śvóito; śvoitèo; śvoitòu) svuotare. Śvoità l vas, la skudèla vuotare il vaso, la scodella (v. deśvoità).

 

Śvóita (top.) Località che si trova sopra Faé nelle vicinanze di Aržìžo in una zona impervia con molte piccole rocce affioranti dal terreno. Il luogo è conosciuto da tutti i boscaioli perché un tempo tutto il legname che veniva tagliato nella zona di Aržìžo, in autunno, era condotto attraverso Śvóita e la successiva Val de Čóne fino a Faé. L'avvallamento veniva fatto a stròž con i cavalli, ma poiché il sentiero non era sempre agevole, per evitare che i tronchi cadessero a valle, venivano fatti i órle, cioè una fila di tronchi posti nella parte a valle del tratto a rischio trattenuti da palizzate conficcate profondamente nel terreno.

 

śvoltà vb. trans. e intr. (śvòlto; śvoltèo; śvoltòu) svoltare, cambiare strada o direzione.

 

śvoltàda sf. (pl. śvoltàde) Curva. A di ìnte dal pònte nuóu e dùto śvoltàde il percorso per arrivare al Ponte Nuovo è pieno di curve.

 

 

 

 

 

eof (ddm 02-2009)