Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore

dalle note del prof. Elio del Favero  - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale

prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini  

 

Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario,  è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.

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pa prep. per. La preposizione spesso sostituisce la forma par: do pa la rìva giù per la discesa; pàso pa la fenèstra passo attraverso la finestra (v. par).

 

pàča sf. (solo sing.) cibo per bestie, il mangiare delle galline, fig. cibo scadente, mal riuscito, poltiglia, fanghiglia. No sta béte i pès nté sta pàča non mettere i piedi in questa fanghiglia; késta no e menèstra e pàča questa non è una minestra, è una brodaglia; la pàča de le pìte il cibo per le galline (v. pòčo).

 

pačà vb. intr. (pàčo; pačèo; pačòu) divorare, mangiare avidamente alle spalle di qualcuno, dilapidare i beni di famiglia. Tu te sés sólo bón de pačà tu sei solo capace di mangiare; al se a bèlo pačòu dùto ha ormai dilapidato tutto quello che possedeva (v. pačokà).

 

pačakà, pačakàse vb. trans. e rifl. (me pačakéo; pačakèo; pačakòu) imbrattare, sporcare, sporcarsi. Pačakà i mùre, i kuadèrne imbrattare i muri, i quaderni, scarabocchiare; pačakàse le màn, l mùśo sporcarsi le mani, la faccia.

 

pačakón agg. (pl. pačakói, f. pačakóna, pl. pačakóne) chi pasticcia in un lavoro, chi sporca o imbratta con i colori. L e sènpre stòu n pačakón è sempre stato un imbrattacarte, una persona mediocre nel lavoro, un pasticcione.

 

pačarèka sf. (pl. pačarèke) fanghiglia, impomatatura dei capelli, poltiglia. L se fa la pačarèka si impomata i capelli; nté ste stràde e dùto na pačarèka in queste strade c'è tutta una fanghiglia.

 

pačarèko sf. (pl. pačarèke) fanghiglia. Di a féi pačarèko giocare con l'acqua e il fango, giochi da bambini, o con acqua e neve durante il disgelo (v. pàča, pačèka).

 

pačèka sf. (pl. pačèke) fanghiglia, poltiglia, fig. pettinatura ricercata. Fèise la pačèka pettinarsi i capelli dopo averli bagnati bene con acqua o con brillantina; no sta di ko le skàrpe nuóve nté kéla pačèka non andare con le scarpe nuove nella fanghiglia (v. pàča, pačarèka).

 

pačéu sm. (inv.) fanghiglia. Dapò dùta sta pióva nté čànpo e dùto n pačéu dopo la gran quantità di pioggia nel campo c'è solo fanghiglia.

 

pačòk agg. (pl. pačòke, f. pačòka) mangione, goloso, ingordo. Pačòk de n pačòk! ingordo che non sei altro!

 

pačokà vb. intr. (pačokéo; pačokèo; pačokòu) divorare, mangiare avidamente (v. pačà).

 

pačokón agg. (pl. pačokói, f. pačokóna, pl. pačokóne) mangione, ingordo, dilapidatore dei propri averi. Pacioccone, detto anche di un neonato paffuto. Tó pàre e sènpre stòu n pačokón tuo padre è sempre stato un uomo ingordo; kel pačokón se a bèlo mañòu dùto kel ke i a lasòu só pàre quel dilapidatore ha già sperperato tutto quello che gli ha lasciato suo padre in eredità.

 

Padeón, Paveón sm. (solo sing.) luogo destinato all'assemblea del popolo. Rimane il toponimo Rìva del Paveón (v. fàula, Paveón).

 

padì vb. trans. (padìso; padìo; padìu) digerire, smaltire, fig. ingoiare, sopportare. Kel la padìse ànke čòde quello digerisce anche i chiodi, ha uno stomaco di ferro; ka me tóča padì dùto kel ke i me dis mi tocca ingoiare, sopportare tutto quello che mi viene detto.

 

padidévol agg. (pl. padidévoi, f. padidévola, pl. padidévole) facile da digerire. Sta menèstra e padidévola questa minestra è molto leggera, facile da digerire.

 

paèlo sm. (solo sing.) personaggio immaginario. Loc. te dào n pùi ke no te čàta ñànke paèlo ti dò un pugno che non ti ritrova neanche paèlo.

 

paéś sm. (inv.) paese. Al mé paéś il mio paese; èi, paéś, vién ka! ehi, paesano, vieni qui!; espressione diffusa nel linguaggio degli alpini.

 

paeśàn agg. (pl. paeśàne, f. paeśàna) paesano, conterraneo. Kón me, laóra dói to paeśàne insieme a me lavorano due tuoi paesani.

 

pàga sf. (pl. pàge) paga, salario. Nkuói èi tiròu pàga oggi ho riscosso il salario; dùte laóra pa la pàga ciascuno lavora per essere pagato, nessuno fa niente per niente; fig. čapàse la pàga subire le conseguenze, subire una sconfitta; èi dugòu a le kàrte, ma èi čapòu la pàga ho giocato alle carte, ma sono stato sconfitto.

 

pagà vb. trans. (pàgo; pagèo; pagòu) pagare, liquidare, compensare. Pagà i dèbite liquidare i debiti; pagà le òre pagare, retribuire gli operai che hanno lavorato; pagà da béve offrire da bere all'osteria; a pagà de in cambio di; a pagà de kel ke te as fàto, prearèi pa i tò mòrte (sia che ) in cambio di quello che hai fatto, pregherò per i tuoi morti; prov. a pagà e morì e sènpre tènpo per pagare e morire c'è sempre tempo, detto o in tono ironico o da chi non ci pensa nemmeno a pagare i debiti; esiste comunque anche il prov. ki ke pàga n dèbito, se fa n krèdito chi paga un debito si procura un credito; chi paga i suoi debiti trova sempre qualcuno disposto a fargli credito nuovamente.

 

pagadùro agg. (pl. pagadùre, f. pagadùra) avaro, chi tarda a pagare i debiti, moroso, speculatore. Tó pàre e sènpre stòu n pagadùro tuo padre è sempre stato lento nel pagare i debiti; parkè sésto sènpre kosì n pagadùro? perché fai tanta fatica a tirar fuori il denaro?

 

pagòña sf. (pl. pagòñe) frutto del viburno (bot. Viburnum opulus). Dàto ke èro fòra kolà èi mañòu dóe pagòñe madùre visto che ero in campagna, ho mangiato due frutti di viburno ormai maturi.

 

Pagoñèi, Pian de sm. (top.) pianoro in vicinanza di Daósto, sopra Žeràia.

 

pagoñèra sm. (pl. pagoñère) lantana, viburno (bot. Viburnum lantana). Piccolo arbusto dai rami lunghi e flessibili utilizzati per legare fascine o quant'altro. I frutti, raccolti in infruttescenze piatte sono dapprima verdi, poi rossi ed infine neri, venivano mangiati una volta giunti a maturità. La pagoñèra stan e nkóra ndavòi la lantana quest'anno deve ancora maturare.

 

pàia sf. (pl. pàe) paglia, pagliuzza. I soldàde dòrme su la pàia i soldati dormono sulla paglia; ka e dùto pién de pàe qui è tutto pieno di pagliuzze; òn de pàia marito di paglia, marito senza autorità; al tò e sènpre stòu n òn de pàia il tuo uomo non ha mai avuto autorità; pàia da stèrne paglia per fare il letto al bestiame; kariéga de pàia sedia con il sedile di paglia intrecciata; čapèl de pàia cappello di paglia, panama.

 

paiàda sf. (solo sing.) miscuglio di fieno. Si ottiene mescolando erba vecchia e nuova che vengono falciate su terreni normalmente incolti. Dài n tìn de paiàda a la vàča da un po' di fieno misto alla mucca.

 

paiàn sm. (solo sing.) grano saraceno. Il grano saraceno è stato introdotto in Cadore alla metà del ‘500. Polènta de paiàn polenta fatta con farina di grano saraceno; è una polenta di color grigio, povera e poco nutriente, che ha avuto largo uso nei periodi di carestia e durante la guerra. Nkóra adès la màre dòra n tìn de paiàn a fèi polènta ancora oggi mia madre aggiunge alla farina gialla un po' di farina di grano saraceno per fare la polenta.

 

paiažàda sf. (pl. paiažàde) pagliacciata, scherzo. No sta fèi paiažàde non fare buffonate; žèrte paiažàde a mi no me piàśe certi scherzi a me non piacciono.

 

paiàžo sm. (pl. paiàže) pagliaccio, buffone, zimbello. Ió no èi mài fàto l paiàžo io sono una persona seria; vàrda da no èse l paiàžo de la piàža cerca di non essere lo zimbello di tutti.

 

paión sm. (pl. paiói) pagliericcio. Saccone riempito con le foglie di granturco che un tempo veniva usato come giaciglio perché i materassi di lana erano troppo costosi. Al paión de le foiòle il saccone riempito con le brattee di grantourco; bruśàse l paión rovinarsi la fama, screditarsi; béte àlgo sóte l paión nascondere qualche soldo per le necessità (v. stramàž).

 

pàisa avv. attento, sta in guardia. Usato solo nella loc. sta n pàisa stare in guardia (v. n baita).

 

paisà vb. (paiso; paisèo; paisòu) muovere un tronco con il žapìn, quando un tronco di albero conficca la testa nel terreno e non riesce a scivolare a valle, con il žapìn si fa leva in testa poggiando la punta dello stesso sotto la pianta e facendo leva sul terreno il tronco si solleva.

 

pàka sf. (pl. pàke) colpo, pacca, percossa, botta. La màre me a dòu n grùmo de pàke la mamma mi ha dato un sacco di legnate; èi čapòu na pàka nté la ğànba ho preso un colpo sulla gamba; čapà pàke prendere le busse, essere picchiato; nuóu de pàka nuovo di zecca; veñì de pàka venire a proposito, arrivare al momento opportuno; tomà do de pàka cadere all'improvviso.

 

pakèa sf. (solo sing.) calma, tranquillità, flemma. Ma ke pakèa! ma quanta flemma!; ko la só pakèa l a finìu dùto pur con la sua calma, ha finito tutto il lavoro.

 

pàko sm. (pl. pàke) pacco, involto. Me e ruòu n pàko da la Mèrika ho ricevuto o un pacco dall'America; fèi n pàko de dùte ste ròbe! fai un pacco di tutte queste cose!; dim. pakéto; n pakéto de žigaréte, de karamèle un pacchetto di sigarette, di caramelle.

 

pakofùn sm. (solo sing.) alpacca, fig. di poco valore. Lega di rame, zinco e nichel che assume una colorazione dorata che viene adoperata per posate e altri oggetti di poco valore. Per esteso viene detto pakofùn tutto ciò che appare prezioso quando in realtà non ha alcun valore. Kučàre de pakofùn cucchiai di alpacca; madàia de pakofùn medaglia di oro finto; késta e ròba de pakofùn queste son cose che non valgono niente.

 

pàla  sf. (solo sing.) pala, badile. Attenzione, il termine pala è usato solo nella locuzione ka e laóro da pàla e pìk non è un lavoro facile, è un lavoro sicuramente faticoso e impegnativo. Normalmente, per badile, viene usato il termine badì (v. palóta)

 

pàla  sf. (pl. pàle) prato in forte pendenza. Domàn don a seà la pàla! domani andiamo a falciare l'erba della parte più ripida del prato; śbrisà do pa le pàle scivolare lungo il pendio del prato; tìra la vèlma do pa la pàla tira la vèlma lungo la china del prato.

 

Pàla Bandìda sf. (top.) località a ovest di Lozzo. Vicino alla Val Lonğa e alla località Revìs.

 

Pàla de Bañórse sf. (top.) località a nord di Lozzo. Sotto Kòl Vidàl verso Čanpeviéi.

 

Pàla de Gražióso sf. (top.) località a nord di Lozzo. Sotto Kòl Vidàl, vicino a Le Màndre (non confondere con la Kròda de Gražióśo)

 

Pàla de Ladié sf. (top.) località a nord di Lozzo. Vicino a Čànpo de Krós, prima di arrivare a Pian dei Buoi.

 

Pàla de Lavarédo sf. (top.) località in Valdarìn.

 

Pàla de l Kaśón sf. (top.) località a nordovest di Lozzo. Dalla Val Lonğiarìn sale verso Rònkole.

 

Pàla de Rèvìn sf. (top.) località a nord di Lozzo vicino ai fienili di Fontàna.

 

Pàla de Somìn sf. (top.) località a nordest di Lozzo. Sotto Lužàna e sopra Kornón.

 

Pàla Mariòla sf. (top.) località a ovest di Lozzo. Di fronte alla Pàla de Kaśón.

  

Pàle de Kostabrén sf. (top.) località a nord di Lozzo. A est di Kuóilo, verso Mižói.

 

Pàle de l Màndo sf. (top.) località a est della Kròda déi Rondói. Vicino a Pekól, zona di difficile accesso.

 

palà vb. trans. (pàlo; palèo; palòu) spalare, sgombrare la neve. Di a palà l néve andare a spalare, a sgombrare la neve.

 

palànka  sf. (pl. palànke) antica moneta di rame del valore di dieci centesimi. Dàme na palànka de pàn! dammi dieci centesimi di pane!; avé n grùmo de palànke essere molto ricco; restà žènža ñànke na palànka restare senza neppure un soldo.

 

palànka  sf. (pl. palànke) un bicchiere di vino. Si chiama così perché originariamente il vino veniva venduto al costo di una palànka cioè di dieci centesimi; dàme na palànka dammi un bicchiere di vino; ko na palànka se lo kónpra basta poco per convincere una persona a proprio favore.

 

palankìn sm. (inv.) palanchino, piccola carrucola. Ka no se puó fèi nùia žènža l palankìn qui non si combina niente se non c'è un palanchino.

 

palastàdia sf. (palastàdie) stipite della porta della casa. Sta palastàdia se a kipòu, okóre pontelàla questo stipite si è incrinato, bisogna puntellarlo.

 

Palažìna sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

paléta sf. (pl. paléte) paletta. Strumento impiegato dagli agronomi per misurazioni catastali.

 

paletò sm. (inv.) cappotto. To fìa e pròpio na blagóna: la se a konpròu n àutro paletò tua figlia è proprio una capricciosa, si è comprata un altro cappotto (v. gabàn).

 

palìna sf. (pl. palìne) paletto di legno. In particolar modo usato per i paletti colorati a strisce usati da geometri e agronomi per tracciare linee in campo aperto. Per analogia si dà lo stesso nome a quei rami lunghi e dritti che sostituiscono le paline tecniche nelle varie fasi di misurazioni o divisione dei terreni. Ka i a ğavòu su le palìne qui hanno tolto i paletti confinari, azione disonesta per suscitare liti fra confinanti; tirà le palìne procedere alla divisione di un campo o di un prato (v. konfìn, kaposàldo).

 

pàlma sf. (pl. pàlme) palma. Al di de le Pàlme il giorno delle Palme. Al lo pòrta n pàlmo de màn. Lo tiene in molta considerazione.

 

palmìn sm. (inv.) palmo della mano. A laurà l se a ruinòu l palmìn de la màn žànča lavorando si è rovinato il palmo della mano sinistra.

 

palmón sm. (pl. palmói) polmone. La e malàda de palmói è malata ai polmoni, è tubercolosa; i palmói se li da ai čàn i polmoni si danno ai cani, detto di chi regala ai poveri cibi scadenti e vestiti ormai malandati, la carne di polmone da sempre è considerata una parte scarta degli animali e perciò data in pasto ai cani.

 

palmós sm. (inv.) panace dei prati (bot. Heracleum sphondylium). Erba ombrellifera comune nei prati alpini dalle foglie molto grandi e carnose che vengono date in cibo a maiali e conigli; le foglie giovani possono essere usate in cucina e bollite hanno un sapore simile a quello degli asparagi. I fiori hanno un odore sgradevole e attraggono numerosi insetti; di a palmós raccogliere palmós.

 

pàlo sm. (pl. pàle) palo, pertica. I pàle de la lùśe i pali della luce.

 

palónbola sf. (pl. palónbole) bacca della palonbolèra. D autóno se puó di su pa la Mónte a tòle palónbole in autunno si può andare a Pian dei Buoi a raccogliere palónbole.

 

palonbolèra sf. (pl. palonbolère) sorbo di monte, il frutto (bot. Sorbus aria, e specie affini). Arbusto alto circa 70 - 80 cm, verde in primavera e inverno, produce grappoli di bacche color giallo rosso, commestibili, molto dolci. Una volta le bacche rossastre venivano mangiate.

 

palóta sf. (pl. palóte) paletta, fig. denti incisivi molto grandi. Le palette possono essere di due specie: una in ferro, che viene usata per rimuovere la brace e la cenere del larìn, l'altra col manico di legno che viene usata al posto del badile per lavori poco pesanti o per i giochi dei bambini. Skuèrde le brónže ko la palóta copri la brace con la paletta, operazione che viene fatta ogni sera prima di andare a letto; la brace infatti, quando è coperta di cenere, rimane accesa ancora a lungo e permette che il fuoco venga riacceso con facilità, senza adoperare fiammiferi o accendini; di a fèi làge ko la palóta costruire piccole pozze con la paletta: si tratta di un gioco che i bambini facevano in primavera durante il disgelo. Costruivano piccoli sbarramenti di neve sulle strade in pendenza e, quando le dighe si riempivano d'acqua, venivano rotte per lasciarla fuoriuscire tutta. Te as le palóte kóme i konìče hai i denti incisivi grandi come quelli dei conigli!

 

palpà vb. trans. (pàlpo; palpèo; palpòu) palpare, frugare, palpeggiare. Palpà le skarsèle frugare nelle tasche; palpà àlgo palpeggiare qualcosa per vedere se è duro o tenero, se è maturo o acerbo; palpà la pìta palpare una gallina per sentire se è pronta per fare l'uovo, o metaforicamente verificare se l'interlocutore ha basi finanziarie solide.

 

palpegón avv. a tastoni. A palpegón tastoni; di a palpegón procedere a tastoni.

 

pàlta sf. (solo sing.) fango, brodaglia, poltiglia. Te as le skàrpe piéne de pàlta hai le scarpe completamente sporche di fango; késta no e polènta, e pàlta questa non è vera polenta, è solo una brodaglia (v. pàča).

 

paltà vb. trans. (pàlto; paltèo; paltòu) appaltare, dare o prendere in affitto. Al Komùn a paltòu i koleniéi il Comune ha dato in appalto i koleniéi (v. apàlto).

 

paltàn sm. (inv.) pantano, palude, zona umida. Ka e dùto n paltàn qui tutto è fangoso.

 

palù sf. (inv.) palude, acquitrino. L èrba de palù fa màl a le bèstie l'erba di palude fa male al bestiame; fién de palù fieno di palude.

 

Palù Žoldàn sm. (top) località a nordovest di Lozzo. A sud di Pian dei Buoi, vicino a Somòl. Zona paludosa cintata per evitare l'affossamento di animali o persone in periodo di grandi piogge.

 

Palùža sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

panpalùgo agg. (pl. panpalùge, f. panpalùga) sciocco, stupido. Vàrda de èse n tìn mànko panpalùgo cerca di essere un po' meno stupido.

 

pàn sm. (inv.) pane. Pàn biànko o pàn bèl pane di frumento; pàn de sórgo pane di farina di granoturco, pàn de siàla di farina di segale, pàn ko la žùča pane con la zucca; pàn konžòu pane condito, è una specie di focaccia preparata con farina bianca, burro, zucchero e uova e data in omaggio alle puerpere. Pàn déi mòrte pane dei morti, pane distribuito ai poveri in occasione dei funerali; mañà pàn sùto, pàn e vìn, pàn e làte mangiare pane senza companatico, pane e vino, pane e latte; mañà pàn e ónğe mangiare pane senza companatico; loc. no e pàn pa i tó dènte non è cosa che tu possa fare; prov. ki ke a pàn no a dènte e ki ke a dènte no a pàn spesso le cose accadono a sproposito, in momenti inopportuni, chi ha le capacità non ha le possibilità e viceversa; prov. al pàn del sèrvo a sète króste il pane del servo ha sette croste, il lavoro del servo è molto duro; al vìn da kolór, l pàn da saór il vino dà colore, il pane dà sapore; al vìn fa sàngo e l pàn fa kàrne il vino fa sangue e il pane fa carne; ànke l pàn biànko stùfa anche il pane bianco, a lungo andare, stanca; prov. pàn e polènta, faméa kontènta a volte, specie nei momenti di magra, bastano un po' di pane o di polenta per rendere contenta una famiglia.

 

pàn e kuko sm. (inv.) primavera (bot. Primula veris L.). Si usava succhiare i fiori dopo averli staccati, avevano un gusto dolciastro, forse è per questo che si chiamano pàn e kuko, cioè zucchero.

 

pàn e vin sm. (inv.) acetosella (bot. Oxalis acetosella). Erba che ha le foglie simili a quelle del trifoglio dallo stelo violaceo e dal sapore acidulo e penetrante. Fin dall'antichità queste foglie venivano coltivate negli orti e poi usate per insaporire insalate e salse verdi.

 

panàda sf. (pl. panàde) pancotto, fig. poltiglia. Il pancotto è ritenuto il pasto ideale per le persone anziane che hanno difficoltà di masticazione e per le puerpere. Si prepara facendo bollire il pane nell'acqua e aggiungendo poi olio di oliva, del formaggio grattato e, eventualmente, un uovo crudo. Fèime n tìn de panàda preparami un po' di pancotto; al pàn se a biandòu e l a fàto dùta na panàda il pane si è bagnato ed è diventato tutto una poltiglia.

 

panarìžo sm. (pl. panarìže) patereccio, giradito, infiammazione alla punta del dito. Me e veñù n panarìžo nté l pòlis mi è venuto un giradito al dito pollice.

 

panaruó sm. (inv.) spianatoia di legno su cui si preparano gnocchi, pane e lasagne. Prov. žènža panaruó no se fa ñòke non si può ottenere niente nella vita senza volontà e impegno (v. mažoléta).

 

pàndol sm. (pl. pàndoi) sasso. Loc. di a pàndoi cadere, scivolare, rotolare lungo un pendio; te tìro n pàndol ti tiro un sasso.

 

pandòlo agg. (pl. pandòle, f. pandòla) sciocco, allocco, babbeo. Te sés l sòlito pandòlo sei il solito babbeo!

 

panèra  sf. (pl. panère) madia, cassone per riporre la pasta del pane a lievitare. Si chiama panèra anche il cassone che viene posto sulla slitta per il trasporto del letame dalla concimaia al campo, fig. donna corpulenta, donna dai fianchi larghi. Parkè la pàsta se lève okóre bétela nté panèra perché la pasta lieviti bisogna metterla nella madia; la panèra de la gràsa il cassone per il trasporto del letame; se te màñe màsa, te devènte na panèra se mangi troppo diventi obeso (v. kórte).

 

panèra  sf. (pl. panère) avvallamento trasversale ad un bosco, valletta trasversale al pendio,. Panèra de la Petorìna, Panèra del Kostón de Pomadòna.

 

panèra3 sf. (pl. panère) vasca di legno dove veniva spellato il maiale. Questo recipiente veniva riempito d'acqua calda, poi venivano messe due catene sul fondo della vasca per riuscire così a spostare il maiale nella posizione migliore per procedere nel lavoro. Ğénpe la panèra de àga śbroènte, ke ntànto vàdo a kopà l kùčo riempi la vasca di acqua bollente, intanto io ammazzo il maiale.

 

panetiér, panatiér sm. (inv.) panettiere, fornaio. Me piaśaràe fèi l panetiér mi piacerebbe fare il panettiere (v. pistór, fornér).

 

panòča sf. (pl. panòče) pannocchia di granoturco. Kon la skùśa de di a tòle su panòče se mañón kàlke mùžola con la scusa di mandarci a raccogliere le pannocchie ci mangiamo quelle piccole (v. pitón).

 

panpiàn avv. piano, adagio adagio. Panpiàn le ròbe se béte a pósto un po' alla volta le cose si mettono a posto; dim. panpianéto o pianpianéto adagino, un po' alla volta (v. ponpiàn, ponpianéto).

 

pantalón agg. (pl. pantalói, f. pantalóna, pl. pantalóne) sciocco, stupido, babbeo. Te sés sènpre pì pantalón diventi sempre più stupido (v. pandòlo, móna).

 

pantàn  sm. (inv.) pantano, luogo fangoso e paludoso. No sta di nté l pantàn cerca di non andare proprio nel fango!

 

Pantàn  sm. (top.) località a sudovest del paese, vicino a S. Anna, ora diventata zona industriale (v. Peniéde).

 

pantàž sm. (solo sing.) interiora di animale. Kuàn ke se kópa na bèstia a kàža, se làsa sènpre l pantàž nté l bósko quando si uccide una preda, si lasciano le interiora nel bosco.

 

panteàna sf. (pl. panteàne) grosso ratto nero, topo di fogna (zool. Mus rattus L., Mus decumanus Pallas). Le panteàne me a nižòu l formài i topi mi hanno rosicchiato la forma del formaggio.

 

pànža sf. (pl. pànže) pancia, ventre. Béte su pànža ingrassare; béte do pànža dimagrire; màl de pànža male di pancia; fig. fèi le ròbe kol màl de pànža agire malvolentieri, senza alcun impegno; prov. mèo krèpa pànža, ke ròba vànža è meglio ingozzarsi, piuttosto che gettare la roba; prov. pànža piéna no kréde a kéla vóita chi è sazio non si preoccupa che altri possano essere affamati; di ko la pànža n su cadere supino; di ko la pànža n dó cadere bocconi; botón de la pànža ombelico; stà ko la pànža al sól oziare.

 

panžéta sf. (pl. panžéte) pancetta, lardo di maiale. Èi konžòu i kapùže ko la panžéta ho condito cavolo con la pancetta di maiale.

 

panžón agg. (pl. panžói, f. panžóna, pl. panžóne) pancione, grassone. Vàrda ke panžón guarda che individuo obeso!

 

panžonèi agg. (pl. panžonèi, f. panžonèra, pl. panžonère) panciuto, obeso. Kéla e na faméa de panžonèi in quella famiglia hanno tutti la pancia (v. panžón).

 

pañòka sf. (pl. pañòke) pagnotta. Caratteristico pane distribuito fra i militari; guadañàse la pañòka guadagnarsi la pagnotta, guadagnarsi di che vivere; di a čantà pañòka andare a fare il servizio militare.

 

pañòko agg. (pl. pañòke, f. pañòka) balordo, semplicione, sciocco. Són pròpio n pañòko sono davvero uno sciocco.

 

pañùkol sm. (pl. pañùkoi) panetto. Piccola forma di pane che viene fatta con i rimasugli della pasta lievitata. Queste piccole pagnotte, cotte nei forni di casa, si mangiavano ancora calde e croccanti e ancora oggi si annoverano fra i cari ricordi della vita di un tempo. La màre ne faśèa sènpre dói pañùkoi par me e me suó nostra madre ci faceva sempre due panetti, per me e per mia sorella.

 

pàpa  sm. (pl. pàpe) papa. Prov. mòrto n pàpa se fa n àutro anche quando una persona ricopre una carica importante, può sempre essere sostituita da qualunque altro.

 

pàpa  sf. (pl. pàpe) pappa, cibo, impiastro. Mañà la pàpa mangiare la pappa, succhiare il latte materno; la pàpa pa sfreà i séče miscuglio preparato per lucidare i secchi di rame; si tratta di una mistura preparata con farina di mais, aceto e sale e adoperata per lucidare i recipienti in rame della casa.

 

papagàl sm. (pl. papagài) pappagallo. Fig. chi imita gli altri nelle parole e nei gesti. Ogni tanto dall'Abruzzo arrivava a Lozzo un personaggio un po' strano con una gabbia e un pappagallo verde che prediceva le sorti a chi pagava con una moneta: “la pianéta de la fortùna” così si chiamava il pappagallo che estraeva col becco, da una cassetta piena di foglietti uno con la previsione del futuro ai clienti.

 

papagalà vb. intr. (papagaléo; papagalèo; papagalòu) ripetere le cose senza capirle, cianciare, spettegolare. Kéla la papagaléa dùta la dornàda quella non fa che spettegolare dalla mattina alla sera.

 

papèla sf. (pl. papèle) impiastro. Si tratta di un patereccio a base di semi e farina di lino. Béte su na papèla de lin applicare sulla parte malata un impiastro di semi di lino; la papèla de lin è un impiastro di farina o semi di lino che si applica sul corpo per curare malattie bronchiali o reumatiche e per accellerare la suppurazione di foruncoli, infiammazioni al dito o ascessi.

 

papìn sm. (inv.) sberla, ceffone. Se no te tàśe, te dao n papìn se non stai zitto, ti dò uno schiaffone!

 

papìna sf. (pl. papìne) sberla, schiaffo. Se no te stas bón te dao dóe papìne ke te nsemenìso Se non stai buono, ti dò due schiaffi che ti fanno girare la testa (v. papìn).

 

pàpol sm. (pl. pàpoi) gargarozzo del pollo, fig. gozzo. La pìta avèa l pàpol pién de graniéi de sórgo la gallina aveva il gargarozzo pieno di chicchi di grantoturco; vàrda ke pàpol ke a kéla fémena guarda che gozzo ha quella donna!

 

papolèi sm. (inv.) bardana (bot. Arctium minus). Pianta che produce un frutto simile al cardo i cui capolini hanno brattee ricurve e uncinate che si appiccicano con facilità ai vestiti e ai capelli per cui diventano un facile gioco per i bambini che se li lanciano l'un l'altro. Tirà i papolèi lanciare i papolèi contro qualcuno.

 

papùža sf. (pl. papùže) babbuccia, pantofola. Si tratta di calzature di lana per proteggersi dal freddo; nkuói é frédo: e mèo tirà su le papùže oggi fa freddo: è meglio calzare le babbucce; dim. papužéta.

 

pàr  agg. (inv.) pari a me, uguale a me. Un del mè pàr uno del mio rango; késte no e ròbe da fèi da un del pàr tò queste mascalzonate non sono degne di uno del tuo pari.

 

pàr , pa prep. per, verso, attraverso. Pàr nell'articolazione diventa: pai (per i); pal (per il); pa la (per la); pa le (per le); èi fàto kel ke èi podésto pài me fiói, pal pàre, pa la màre e pa le me suós ho fatto quel che ho potuto per i miei figli, per mio padre, per mia mamma e per le mie sorelle; partì pa l Amèrika partire per l'America; di pàr o pa stràda camminare per la strada; pa stràda le ròbe se ğustarà un po' alla volta le cose si sistemeranno; no l a mañòu pàr tré dis non ha mangiato per tre giorni; pasà pa l pra passare attraverso il prato; pa nkuói èi finìu de pensà per oggi ho finito di pensare; loc. ben pàr kel proprio per questo; un pàr bànda uno per parte; pàr me per me, secondo me; pàr de ka per di qua, da questa parte; pàr de la per di là, da quella parte; vìa pa la nuóte, vìa pal di durante la notte, durante il giorno; kontà su pa i déide contare sulle dita, compitare; pa sta òta per questa volta; na ròba pàr n àutra una cosa per un'altra; di, kapì na ròba pàr n àutra dire, capire una cosa per un'altra, fraintendere le cose (v. pa).

 

parà vb. trans. (pàro; parèo; paròu) cacciare via, espellere, rimandare, spingere. Parà do mandare giù, digerire; no la e bòna de parà do nùia non riesce a mangiare; me a točòu parà do n grùmo de despiažér sono stato costretto a sopportare tanti dispiaceri; parà su spingere in su, aumentare; parà su l kónto aumentare il conto, le spese; parà ìnte, parà fòra spingere dentro e spingere in fuori, detto del vento che spinge le nuvole verso nord (ìnte) e verso sud (fòra), nel primo caso è presagio di brutto tempo. Domàn pàra fòra domani ci sarà bel tempo; parà fòra de čàśa cacciare di casa; parà fòra i komedói de la ğakéta consumare i gomiti della giacca; paràsela fòra de balà ballare fino allo sfinimento; parà fòra la sìmia smaltire la sbornia; paràsela fòra de mañà mangiare a sazietà; parà fòra le strakadùre eliminare la stanchezza; parà ìnte le vàče spingere le mucche nella stalla; parà ìnte la pòrta sfondare la porta; pàra nkuói pàra domàn ... rimanda oggi, rimanda domani ...; parà vìa cacciare via; pàra vìa ki tośàte! caccia via quei ragazzacci!; no stà sènpre parà vìa non rimandare sempre; no sta parà vìa i laóre kóme l tó sòlito non fare i lavori superficialmente, senza impegno, come ti è solito fare; késto čàn no e bón da parà questo cane non è adatto a scovare e inseguire la selvaggina; loc. čàn da parà segugio adatto a scovare la selvaggina.

 

paračàr sm. (inv.) paracarro, fig. ostacolo. Ka se čàta dapardùto kàlke paračàr qui non si trovano altro che ostacoli; te sés kóme n paračàr sei immobile come un paracarro; àsto petòu ìnte par kàlke paračàr ke no te rùe pì a čàśa hai cozzato contro qualche paracarro che non arrivi più a casa, frase ironica rivolta ai ritardatari (v. pùlpito).

 

paračavài sm. (inv.) gufo, civetta (zool. Bubo bubo, Athene noctua). Un qualche uccello notturno che col suo verso spaventa i cavalli. La nuóte pasàda èro su par Vialóna e l paračavài me a fàto veñì n kólpo la notte scorsa ero a Vialóna e un gufo mi ha fatto morire dallo spavento.

 

paràda sf. (pl. paràde) abbaiare del cane mentre insegue la selvaggina. Čàn da paràda cane con notevoli doti di fiuto e di resistenza alla corsa; sentì la paràda presagire che qualcosa sta per accadere; sta su le paràde de kalkedùn fare affidamento sulle promesse fatte da qualcuno.

 

paradìs sm. (solo sing.) paradiso. Di n paradìs andare in paradiso, morire.

 

paradór sm. (inv.) i due pali inclinati sui quali vengono fatte scorrere le botti di vino sia per caricarle che per scaricarle dal carro. Tale sistema permette di evitare di fare troppa fatica. Póia polìto l paradór ke èi da čareà le bóte sul čàr poni bene i pali che devo caricare le botti sul carro (v. andadór).

 

paraòče sm. (inv.) paraocchi, fig. qualsiasi cosa che impedisca di vedere o di agire bene. Béte su l paraòče al čavàl mettere il paraocchi al cavallo; tu te kamìne sènpre koi paraòče quando devi fare qualcosa vedi solamente le cose dal tuo punto di vista ignorando altri (v. onbróśe).

 

parànkol sm. (pl. parànkoi) carrucola, argano manuale. Do nté mačèlo i dorèa l parànkol giù al macello adoperano l'argano manuale.

 

parànkola sf. (pl. parànkole) tavola molto grossa spessa 4 o più cm. Par fèi l armadùra a ngredà la čàśa èi debeśuói de diéśe parànkole per predisporre l'impalcatura e intonacare la casa mi servono dieci tavole di legno.

 

paràutro cong. peraltro, però, ciononostante. Paràutro ió no la pénso kosì però, ciò nonostante io non la penso così.

 

parbén agg. (inv.) perbene, onesto. L e na parsóna parbén è una persona perbene, onesta.

 

parbìo escl. perbacco, accidenti. Parbìo, kóme fàlo a èse kosì trìsto accidenti, come può essere così cattivo.

 

parbón, par bón avv. che fa piacere, che pare giusto, perbene. Me parbón fèi kosì mi pare giusto avere questo comportamento.

 

pardìole escl. perdio, perbacco. (v. Dìole).

 

pardonà vb. intr. (pardonéo, pardóno; pardonèo; pardonòu) perdonare. Pardonà le baronàde perdonare le monellerie, le ragazzate; késta, pò, no te la pardonéo questa poi, non te la perdono davvero; to màre no pardonéa mài nùia tua madre non perdona mai nulla, cioè tua madre è severissima; prov. ki ke pardóna màsa ài trìste, fa despés dan ài bói l'eccessiva bontà può risultare nociva.

 

pardóno sm. (pl. pardóne) perdono, scusa. Domandà pardóno domandare perdono, chiedere scusa.

 

pardùto avv. dappertutto, ovunque. No se puó èse pardùto non si può essere dappertutto (v. dapardùto).

 

pàre sm. (inv.) padre, genitore. Kuàn véñelo tó pàre? quando arriva tuo padre?; dùte i pàre e konpài tutti i padri sono simili; pàre de faméa padre di famiglia; fèi da pàre trattare qualcuno alla pari di un figlio; prov. n pàre mantién sète fiói, ma sète fiói no mantién n pàre un padre mantiene sette figli, ma sette figli non mantengono un padre.

 

paré  vb. imp. dif. (pàr; parèa; parésto) parere, sembrare. Me pàr, me parèa, me pararà mi pare, mi pareva, mi parrà; kóme te pàr ke vàde le ròbe? come ti sembra che vadano le cose?; me e (a) parésto polìto fèi kosì mi è parso bene di fare così; e mèo èse ke paré è meglio essere che apparire, nelle cose conta più la sostanza che l'apparenza (v. parì).

 

paré  sf. (inv.) parete, muro divisorio. Okóre śbiankedà dùte le paré de čàśa c'è bisogno di imbiancare tutte le pareti della cucina (v. mùro).

 

parečà, parečàse vb. trans. e rifl. (me parečéo, paréčo; parečèo; parečòu) preparare, allestire, prepararsi. Parečà da mañà preparare da mangiare; parečà kel ke okóre preparare il necessario.

 

paréčo sm. (pl. paréče) preparativo, occorrente, apparato. Vàrda ke bèl paréčo guarda che razza di preparativi.

 

paredàna sf. (pl. paredàne) parete, muro divisorio. Na paredàna de brée, de skòrž una parete divisoria di tavole; se te tìre su na paredàna nté lòda, te puós fèi na stanžùta pal tùto se costruisci una parete nel corridoio puoi ricavare uno stanzino per il bambino (v. tramìda, tramedèra).

 

parèi avv. a destra. Tirà parèi andare a destra, detto di cavalli che tirano un carro; fig. tu te sés n tìra parèi sei un voltafaccia, detto anche a chi mostra di avere due facce, vagabondo.

 

parènte sm. (inv.) parente. Èi n grùmo de parènte ho numerosi parenti; parènte čàudo parente molto stretto; èse n tìn parènte essere lontano parente.

 

parentèla sf. (pl. parentèle) parentela, consanguineità. Ànke tu te as la tó bòna parentèla anche tu hai una parentela numerosa.

 

paréo sm. (inv.) livello. Èse a paréo essere a livello; béte a paréo mettere a livello, livellare.

 

pareśènpio avv. per esempio. Me fiól pareśènpio, màña làte e formài mio figlio ad esempio, mangia latte e formaggio.

 

parfìn avv. perfino. L a dòu bòte parfìn a só màre ha picchiato perfino sua madre (v. finamài).

 

parì  vb. intr. (pàr; parìo; parìu, parìsto) sembrare, parere. Me par ke te àbie sòn mi sembra che tu abbia sonno; me a parìsto bon de čamàte mi è sembrato opportuno chiamarti; me a parìu bón de fèi kosì mi è parso bene fare così; par ke l tórne de véro sembra che lui torni davvero; no me par véro de èse ka mi sembra inverosimile essere qui; al parìse pì bón de kel ke l e sembra più buono di quello che è veramente (v. paré).

 

parì  vb. intr. (parìso; parìo; parìu, parìsto) apparire, far mostra. I e parìu la Madòna gli è apparsa la Madonna.

 

parìn sm. (inv.) patrigno. L e parìn de dói tośàte è patrigno di due bambini; tu no te sés n pàre, te sés n parìn tu non sei un padre, sei un patrigno.

 

parkè cong. perché. Parkè piàndesto? parkè la màre me a dòu bòte perché piangi? perché la mamma mi ha picchiato. A volte, solo però nella forma affermativa, la congiunzione viene rinforzata da ke, come nella frase èi fàto kosì parkè ke kredèo de fèi polìto ho agito così perché ritenevo di far bene.

 

parkuiśì vb. trans. (parkuiśìso; parkuiśìo; parkuiśìu) perquisire, rovistare. Èi parkuiśìu dapardùto, ma no èi čatòu nùia ho rovistato dappertutto, ma non ho trovato nulla.

parkurà, parkuràse vb. trans. e rifl. (me parkuréo, parkùro; parkurèo; parkuròu) procurare, badare, fare in modo che, cercare di. Parkùra de èse bón cerca di essere buono; parkùra n tìn ki tośàte bada un po' tu a quei ragazzi; me èi parkuròu n tìn de farìna mi sono procurato un po' di farina; parkùrete n tìn de pi riguardati un po' di più, pensa un pochino di più al tuo benessere.

 

parlà vb. intr. (pàrlo; parlèo; parlòu) parlare, dire. Parlà kon dùte parlare con tutti, essere umile e semplice; parlà a piàn, svèlto, àuto, bas parlare adagio, veloce, ad alta voce, a bassa voce; parlà n defìžil parlare in modo ricercato, affettato; parlà fòra divulgare indebitamente; parlà malaménte dire volgarità; parlà kol nas parlare con voce nasale; i pàrla sènpre n tra de luóre parlano sempre tra di loro; no pàrlo pì apède de te con te non parlo più; tu te pàrle sènpre de bàndo tu parli sempre inutilmente; no e ñànke da parlàse non c'è neppure da discutere; tu te pàrle parkè ke te as la bóča parli senza pensare a quel che dici; a fèi kè parlà? cosa serve parlare di questa cosa?; se te fas kosì, te béte a parlà la dènte se ti comporti in questo modo, dai motivo alla gente di malignare su di te; kon respèto parlàndo parlando apertamente; parlà del pì e del mànko parlare del più e del meno; parlà kól kuór nté màn parlare a cuore aperto; parlà da òn e nò da paiàžo parlare seriamente, parlare con responsabilità; parlà možéto parlare arrotondando la s facendola ronzare; prov. se no se sa parlà, almànko se sàpie tàśe piuttosto che parlare a vanvera è meglio che taccia; prov. dùte pàrla polìto del sò mestiér ciascuno parla bene delle cose proprie.

 

parlàda sf. (pl. parlàde) chiacchierata, discorso, fig. dialetto. Àsto sentìu ke parlàda? hai sentito che razza di discorso?; la nòstra parlàda il nostro dialetto.

 

parmàl avv. male. No sta avéte parmàl non avertela a male, non prendertela.

 

parmalós agg. (pl. parmalóśe, f. parmalóśa) permaloso, scontroso. Èse parmalós essere permaloso.

 

parméso sm. (pl. parmése) permesso, consenso. Parméso permesso; kol tò parméso col tuo permesso; žènža parméso no se puó fèi nùia senza permesso non si può fare nulla (v. konparméso).

 

parméte vb. trans. (parméto; parmetèo; parmetésto, parmetù) permettere, concedere. Me parmetésto ke véñe a čàśa tóa? mi permetti di venire a casa tua?

 

paròla sf. (pl. paròle) parola. L dis màsa paròle dice troppe parolacce; béte na bòna paròla dare un buon consiglio o raccomandare qualcuno; èse de paròla essere di parola, mantenere la parola data; a kel čàn i mànča sólo la paròla a quel cane manca solo la parola, è intelligente; pasà paròla passare parola, comunicare qualcosa; no èse bón de di ñànke na paròla non essere capace di dire neppure una parola, rimanere ammutolito; di na mèda paròla accennare a qualcosa; dim. parolùta parolina; prov. kàlke òta na paròla e póčo e dóe e màsa talvolta parlare poco è dannoso tanto quanto parlare troppo; accr. parolón parolona, no sèi kè fèi déi tò parolói non so cosa farmene delle tue parolone, della tua saccenza.

 

parolàta sf. (pl. parolàte) parolaccia. Kel la l dis sènpre parolàte quello dice sempre parolacce.

 

parón sm. (pl. parói) padrone, titolare. Laurà, èse sóte parón essere lavoratore dipendente; di sóte parón lavorare alle dipendenze; fin ke se e parón, no se e koión finché hai proprietà sei rispettato, forse non per la persona ma per la roba; prov. e mèo èse parón de n pàn ke sčàvo de n fórno è sempre meglio essere proprietari, anche se di poco, che dipendere da altri; ka l parón son ió qui il padrone sono io, è l'espressione rivolta dal capofamiglia ai figli per ribadire il proprio ruolo di padre e guida; al parón a sènpre reśón il padrone ha sempre ragione; prov. ài parói no se komànda e ài màte no i si tènde ai padroni non si può comandare ed è difficile tenere a bada i matti; prov. dùte e parói a čàśa sóa ciascuno può disporre come vuole di ciò che è suo; al parón de čàśa il padrone di casa, ad indicare sia il crocifisso esposto alle pareti, sia il cuore umano.

 

paròn prep. per ciascuno. Dói paròn due ciascuno; n tìn paròn un po' per ciascuno; n tìn paròn se fa dùto se ciascuno fa la sua parte, allora risulta più semplice portare a termine il lavoro.

 

paróna sf. (pl. paróne) padrona. Ió no són mài stàda paróna de nùia non ho mai posseduto nulla; vósto fèi kosì? paróna benedéta! vuoi proprio fare cosi? fallo pure, ma a tue spese!

 

paronà vb. intr. (paronéo; paronèo; paronòu) spadroneggiare, farla da padrone. Savé solo ke paronà essere capace solo di comandare.

 

parpède prep. vicino, presso, accanto. Su parpède, parpède de, parpède vìa; me fiól èra su parpède de mé mio figlio era accanto a me; sàpa sólo su parpède vìa. Zappa solamente lungo il perimetro del campo; kaminà parpède vìa camminare sul ciglio, ai lati; di vìa parpède camminare lungo il perimetro; su parpède su lungo, presso salendo su; do parpède do giù, accanto andando giù; vìa par pède vìa accanto, presso in senso orizzontale; ìnte parpède ìnte accanto camminando all'interno; fèi su parpède su fare le cose alla buona, fare i conti con approssimazione; l e vestìu n tìn parpède vìa è vestito abbastanza bene.

 

parsénbol, parsémol sm. (inv.) prezzemolo (bot. Petroselinum crispum). Stan èi semenòu na èra de parsénbol quest'anno ho seminato un'aiola di prezzemolo.

 

parsìste vb. intr. (parsìsto; parsistìo; parsistìu) persistere, durare. Prov. a parsìste se rùa chi insiste supera ogni ostacolo.

 

parsóna sf. (pl. parsóne) persona, individuo. Te sés na déña parsóna sei una persona degna di rispetto, una persona onesta.

 

parsonàl sm. (pl. parsonài) apparenza, aspetto. Te as pròpio n bèl parsonàl hai proprio un bell'aspetto, sei di bella presenza.

 

parsóra prep. al di sopra. Di parsóra traboccare, detto di liquidi, specialmente del latte bollente; vàrda ke l làte no vàde parsóra fai attenzione che il latte non trabocchi; kuàn ke e màsa, l va parsóra quando è troppo trabocca; te vos èse sènpre parsóra kóme l òio sei talmente pieno di te che niente e nessuno ti può superare (v. sóra).

 

parsóte prep. verso il basso. Di do parsóte precipitare, uscire di strada, precipitare lungo la scarpata. Questo era il timore di chi accompagnava le vacche per sentieri esposti, ko méno le vàče a Mónte èi sènpre paùra ke le vàde doparsóte, quando porto le mucche a Pian dei Buoi ho il timore che precipitino dalla scarpata.

 

parsuàśo agg. (pl. parsuàśe, f. parsuàśa) persuaso, convinto. Sésto parsuàśo ke kesta piànta e sul mè? ti sei convinto che questo albero si trova sulla mia proprietà?

 

pàrte sf. (inv.) porzione, luogo, incombenza. Dàme la mé pàrte dammi la mia parte, la mia porzione; da ke pàrte sésto? qual è la tua provenienza?; tu fèi la tó pàrte e ió faśarèi la méa tu fa pure il tuo dovere ed io farò il mio; fèi na brùta pàrte comportarsi male; na pàrte de formài una fetta di formaggio; fèise da pàrte mettersi in disparte; pasà pàrte par pàrte trapassare; la pì pàrte la maggior parte; da n an a sta pàrte da un anno in qua; béte da pàrte àlgo risparmiare qualcosa; da pàrte méa per mio conto.

 

partì vb. intr. (pàrto; partìo; partìu) partire. Son partìu bonóra sono partito all'alba; partì pal leśinpón emigrare per lavoro, oppure emigrare in luoghi lontani da dove il ritorno non si prevedeva neppure; partì par sènpre morire.

 

partìda sf. (pl. partìde) partita, giocata, fig. parte, quota. Faśón na partìda a le kàrte facciamo una partita a carte; na partìda de tàe una certa quantità di tronchi; fèi na partìda de čàčere fare una chiacchierata; n dóe partìde èi pagòu l me dèbito ho estinto il mio debito in due rate, con due quote.

 

pàrto sm. (pl. pàrte) parto, nascita. Al pàrto e stòu brùto il parto è stato difficile; fémena da pàrto donna che deve partorire, donna incinta.

 

partorì vb. trans. (partorìso; partorìo; partorìu) partorire. Kéla fémena a bèlo partorìu tré òte quella donna ha già partorito tre volte (v. fèi).

 

partùfola sf. (pl. partùfole) tubero del topinambur (bot. Heliantus tuberosus) simile a patata. Il nome della pianta prende origine da quello della tribù indiana del Nord America, Tupinambàs, che coltivava queste radici; pianta perenne dal fiore giallo intenso, ha radici a tubero simili a patate, grandi 7-10 cm, ricche di amido e di zuccheri. Non confondere con la “patata americana” (bot. Ipomenea batatas) che è ancora un altro tipo di patate, le partùfole sono di solito abbastanza piccole, meno di una mela, hanno sapore dolciastro con molti spuntoni; si coltivavano fino a inizio secolo, dopo la seconda guerra non più. Al di de nkuói no i seména pì patàte partùfole oggigiorno nessuno semina più topinambur.

 

paržènto sm. (inv.) percentuale, percento. N čòu de an kól paržènto de la Kopratìva me tìro fòra dóe skudèle a fine anno, grazie allo sconto acquisti della Cooperativa, potrò scegliere alcune scodelle.

 

pàs  sm. (inv.) passo. Di a fèi dói pàs fare una piccola passeggiata; fèi l pàs pì lòngo de la ğànba andare oltre le proprie possibilità; prov. a fèi l pàs pì lòngo de la ğànba, se se rónpe l kavalòto chi esagera nel fare, danneggia se stesso e può recare danno anche agli altri.

 

pàs  sm. (inv.) mobile di cucina per appendere mestoli, tegami e secchi per l'acqua. Kuàn ke te as deśvoitòu i séče, bételi danuóu sul pàs appena hai svuotato i secchi, rimettili sul mobile.

 

pàs3 sf. (inv.) pace, tranquillità, armonia. Nte sta čàśa no e mài stòu pàs in questa casa non c'è mai stata armonia; dàte pàs a vìve datti pace, mettiti tranquillo; no èi pàs non ho pace, sono inquieto; béte pàs rappacificare; di a busà la pàs baciare la reliquia; no són bón de dàme pàs non so farmene una ragione.

 

pàs4 sm. (inv.) unità di misura di lunghezza corrispondente a 1, 738 m e unità di misura di volume corrispondente a circa 5, 250 mc. Sto trói e lòngo kuàśi dośènto pàs questo sentiero è lungo quasi 200 passi; èi konpròu n pàs de léñe de fagèra ho comperato un passo di legna di faggio; dim. paséto pari a 1, 043 m.

 

pàsa avv. oltre, più di. Pàsa dódeśe fiói più di dodici figli, oltre dodici figli; ke óra élo? e pàsa le diéśe che ora è? sono ormai le dieci passate; l e veñù de žènto e pàsa è vissuto oltre i cento anni.

 

pasà vb. intr. (pàso; pasèo; pasòu) passare. Pasà pa l trói passare per il sentiero; pasà par trìsto essere considerato cattivo; pasà da čàśa passare da casa; pasà a skòla essere promosso; dùto pàsa a sto móndo tutto passa a questo mondo; pàsa diferènža c'è differenza; pasà Nadàl a čàśa trascorrere il Natale a casa; mé fiól me pàsa žènto frànke al més mio figlio mi corrisponde cento lire al mese; pasà l tènpo trascorrere il tempo; e pasàda l óra è passata l'ora, è trascorsa l'ora; l a pasòu bèlo i kuarànta ha oltrepassato i quarant'anni; le èi pasàde dùte ne ho provate di tutti i colori; pasàla lìsa passarla liscia, senza danni o punizioni; me e pasòu de ménte mi sono dimenticato; al pèdo e pasòu il peggio è passato; pasà su o sóra non dare importanza; pasà ìnte oltrepassare; pasà do penzolare; pasà fòra sporgere; no pàsa la pàrte essere insuperabile; késta koltrìna no pàsa la pàrte questa tendina da finestra è la più bella di tutte quelle che ho visto; prov. ki ke vo pasà l àga grànda, se biànda l ku chi intraprende un lavoro di grande impegno deve prevedere che le grandi azioni richiedono sacrifici e rinunce.

 

pasafìn sm. (inv.) fettuccia cucita alla base dei pantaloni da uomo come rinforzo. Fruà i pasafìn consumare la pedana dei pantaloni.

 

pasamàn  sm. (inv.) guarnizione, nastro. Al pasamàn de le ntimèle il bordo ricamato delle federe.

 

pasamàn  sm. (inv.) scorrimano di legno o di ferro. Ste sàle e žènža pasamàn queste scale non hanno lo scorrimano.

 

pasamàn3 sm. (inv.) passamano, trasporto di mano in mano. Féi pasamàn ko le kàrte passarsi documenti da uno all'altro, par destudà l fuóu okóre fèi pasamàn ko le séğe de àga per spegnere il fuoco bisogna far passamano con le secchie piene d'acqua. Desčaréon l kàmion de matói faśèndo pasamàn scarichiamo il camion di mattoni passandoceli di mano in mano.

 

pasarèla sf. (pl. pasarèle) passerella, piccolo ponte. Fèi na pasarèla costruire una passerella.

 

pàse vb. trans. dif. (solo infinito) pascolare, nutrire, imboccare. Di a pàse le féde andare a pascolare le pecore; prov. añó ke se nàse, òñi èrba pàse vivere dove si è nati è più semplice che in altri luoghi, anche perché bene o male si tira a campare.

 

paséi sm. (solo sing.) catenaccio di ferro esterno alla porta, asta in ferro per tenere ferma la ruota. Se a spakòu l paséi de la ròda e l e du do par sóte si è rotta la copiglia della ruota ed è uscito di strada.

 

pasénžia, pasiénža sf. (solo sing.) pazienza, tolleranza, fig. calma. Prov. ko la pasénžia se fa dùto con la calma si riesce a fare qualsiasi cosa.

 

paséto sm. (pl. paséte) passetto. Unità di misura di lunghezza corrispondente a 1, 043 m (v. pàs).

 

pàsio sm. (inv.) passio, fig. ramanzina. Čantà l pàsio cantare il passio, cantare la parte del Vangelo che narra la passione di Gesù Cristo. Kuàn ke te rùe a čàśa, tó màre te čantarà l pàsio quando arriverai a casa, tua madre ti rimbratterà a lungo; lòngo kóme l pàsio detto di qualcosa che sembra senza fine o di persona molto lenta.

 

pasión sf. (inv.) passione, pietà, compassione, dispiacere, amore. Avé pasión avere passione; èi n grùmo de pasión ho un grande dolore; l a pasión de studià ha interesse per lo studio; èi pasión pài puaréte ho compassione per la povera gente; laurà kón pasión lavorare con passione, con amore.

 

Pàska sf. (solo sing.) Pasqua. Fèi Pàska a čàśa trascorrere la Pasqua in famiglia; fèi Pàska comunicarsi, assolvere il precetto pasquale; da Pàska a Pasqua; l e kóme na Pàska è felice, è al settimo cielo.

 

Paskéta sf. (solo sing.) Pasquetta, Epifania. Prov. da Nadàl l pè de n ğàl, da Paskéta n oréta a Natale le giornate si sono già allungate un po', ma con l'Epifania si sono allungate ormai di un'ora.

 

pàskol sm. (pl. pàskoi) pascolo. Pàskol de mónte pascolo d'alta montagna; pàskol de piàn pascolo di piano; in estate il bestiame veniva portato a pascolare in alta montagna mentre negli altri periodi escluso l'inverno rimane a pascolare nei prati vicini al paese appena fuori del terreno destinato agli orti e ai campi.

 

paskolà vb. trans. (paskoléo; paskolèo; paskolòu) pascolare, fig. imboccare. Mandà le vàče a paskolà mandare le mucche al pascolo; màndi n tìn a paskolà! mandali un po' a spasso!; no sta paskolà kel tośàto non imboccare il ragazzo; paskolà l òčo guardare qualcosa con piacere (v. pasonà).

pàso sm. (pl. pàse) passaporto. Par di n Amèrika okóre l pàso per andare in America è necessario avere il passaporto; žènža pàso no se pàsa senza passaporto, senza permesso non si passa; par di nté le Mèrike okóre l pàso per emigrare c'è bisogno del passaporto.

 

pasón sm. (solo sing.) pascolo. Di a pasón andare al pascolo; mandà le čàure a pasón mandare le capre al pascolo; fig. mandà a pasón mandare a spasso, mandar via, scacciare; mànda n tìn a pasón ki śbòger manda via quei bambini; va n tìn a pasón vattene un po' fuori dai piedi (v. pàskol).

 

pasonà vb. trans. (pasonéo; pasonèo; pasonòu) pascolare. I e dùde a pasonà sono andarti al pascolo con le bestie (v. paskolà).

 

pàsta sf. (pl. pàste) pasta, prodotti della pasticceria Pàsta e faśuói pasta e fagioli; pàsta sùta pasta asciutta; pàsta kol bró pasta in brodo; pàsta ko la puìna pasta condita con la ricotta grattugiata; nkuói èi mañòu n piatón de pàsta oggi ho mangiato un piatto colmo di pasta asciutta; domà la pàsta lavorare la pasta perché risulti ben amalgamata; fig. l e na pàsta de òn è un uomo molto buono; avé le màn n pàsta avere le mani in pasta, essere nei posti chiave e decidere a proprio favore.

 

pastedà vb. intr. (pastedéo; pastedèo; pastedòu) pasteggiare, nutrirsi. Ió pastedéo sènpre a pàn e formài io mi nutro sempre a pane e formaggio.

 

pastèla sf. (pl. pastèle) pastella, impiastro. Pastèla par fèi frìtole pastella per fare le frittelle, la pastella si prepara con latte, farina bianca, aromi, un goccio di grappa, un pizzico di sale e uova; pastèla pa la siàtica impiastro preparato con erbe medicamentose termogene; béteme su n tìn de pastèla su la spàla ke la me fa màl mettimi un po' di impiastro sulla spalla perché mi duole.

 

pastìž sm. (pl. pastìže) pasticcio, imbroglio. No sta fèi pastìž non combinare pasticci.

 

pastižà vb. intr. (pastižéo; pastižèo; pastižòu) pasticciare, eseguire male un lavoro. Ka no se puó pastižà qui non si può lavorare senza conoscere bene il mestiere.

 

pastìžon agg. (pl. pastìžoi, f. pastìžona, pl. pastìžone) pasticcione, disordinato. To fardèl e n pastìžon tuo fratello è disordinato.

 

pastón sm. (pl. pastói) pastone. Pastón pa le pìte pastone per galline; késta no e polènta pa i kristiàne, ma pastón pa le pìte questa è una polenta mal riuscita, va bene per le galline.

 

pastór sm. (inv.) pastore, fig. guida, custode. I pastori vengono chiamati in modo diverso a seconda del ruolo che svolgono, con un preciso ordine gerarchico: dugèr o mèstro kavrèr o greèr; pastór de le vàče, pastór de le čàure, pastór de le féde, pastór de le mànde pastore di vacche, di capre, di pecore, di manze. Éro, vàrda ke no son mìa l pastór dei tó fiói eih, guarda che non sono mica io il custode dei tuoi figli; prov. sà pì n dotór e n pastór ke n dotór solo sa più un dottore assieme a un pastore che un dottore da solo. Il proverbio vuol sottolineare che anche l'umile mestiere del pastore merita considerazione.

 

pastràn sm. (inv.) pastrano, cappotto. Bétete su l pastràn ke é frédo indossa il cappotto perché fa freddo.

 

pàstro sm. (pl. pàstre) pastore. L pàre a fàto l pàstro a Mónte pa n bon dói àne mio padre ha fatto il pastore a Pian dei Buoi per diversi anni; prov. tal l pàstro, tàla la màndra se chi comanda è valido lo saranno anche i suoi dipendenti (v. pastór).

 

pastročà vb. trans. e intr. (pastročéo; pastročèo; pastročòu) pasticciare, eseguire il proprio lavoro senza ordine né giudizio, cucinar male. Par l amór de Dio, no sta pastročà kóme l tó sòlito per l'amore di Dio, non pasticciare come è tuo solito; niére èi pastročòu l damañà e nkuói èi màl de pànža ieri ho mangiato un cibo non cotto bene e oggi sto male; se te pastróčee nkóra te véde la promožión kol kanočal se continui a fare i compiti e i disegni così disordinatamente non sarai promosso.

 

pastròčo sm. (pl. pastròče) pasticcio, brodaglia, pastrocchio. No staśé fèi i sòlite pastròče non combinate i soliti pasticci, non lavorate male come al solito; no sta spedì la létra kon dùte ki pastròče non spedire la lettera con tutti quegli errori.

 

pastročón agg. (pl. pastročói, f. pastročóna, pl. pastročóne) pasticcione, chi fa le cose con disordine. Tó suó e na pastročóna tua sorella è una pasticciona; tu no te sés n kógo, ma n pastročón tu non sei un vero cuoco, sei solo un pasticcione.

 

pasù agg. (pl. pasùde, f. pasùda) pasciuto, sazio, satollo. Son bèlo pasù sono già sazio; pasù de n pasù sei davvero pasciuto, detto di solito ai bambini che si rifiutano di mangiare.

 

pasudàda sf. (pl. pasudàde) abbuffata, averne troppo di qualcuno. Fèise na pasudàda mangiare troppo; èi čapòu na pasudàda de te ke no voi pì védete ne ho talmente troppo di te che non ti voglio più vedere.

 

pàta sf. (solo sing.) pareggio, patta. Fèi pàta far patta, pareggiare.

 

patà vb. intr. (patéo; patèo; patòu) pareggiare, fare patta. Usato solo in poche forme: par di polìto, okóre patà perché le cose procedano bene, bisogna fare patta, pareggiare; èi patòu ho pareggiato, ho fatto patta.

 

patidà vb. intr. (patidéo; patidèo; patidòu) patteggiare. Èi patidòu n grùmo, žènža konklùde nùia de bón ho patteggiato molto senza concludere nulla di buono.

 

patadìžo sm. (pl. patadìže) chi ha una brutta cera. E n pèžo ke Bepi e patadìžo, l déve avé n màl brùto è da un bel po' che Giuseppe è pallido in faccia, deve essere molto malato.

 

patàf sm. (inv.) sberla, schiaffo. Se no te tàśe, te dào n patàf se non la smetti, ti do uno schiaffo.

 

patafàlco sm. (pl. patafàlke) catafalco, palco celebrativo inconsistente, ammasso informe. Késta no e na tàsa, e n patafàlko questa non è una vera e propria catasta, è solo un catafalco.

 

patafón sm. (pl. patafói) schiaffone, sberlone. Èi čapòu n patafón ke l me bàsta pa n tokéto ho preso uno schiaffone che me lo ricorderò per un bel po' (v. patón).

 

patàka sf. (pl. patàke) macchia, patacca, oggetto senza alcun pregio. Te as la ğakéta piéna de patàke hai la giacca piena di macchie; késta e na patàka questa cosa non è di alcun valore.

 

patakón sm. (pl. patakói) pataccone. Per indicare un orologio da tasca, una spilla, un medaglione di fattura grezza, fig. riparazione maldestra. Àsto vedù l patakón del nòno? hai visto l'orologio da tasca del nonno?; no sta fèime patakói non farmi delle brutte riparazioni.

 

pàtano sm. (pl. pàtani.) pattino. Di kói pàtani pattinare.

 

patàta sf. (pl. patàte) patata (bot. Solanum tuberosum). Questo tubero, che è stato portato in Cadore all'inizio dell' 800, insieme alla polenta, ha sempre sostituito il pane, soprattutto per la merenda e la cena. Mañà patàte e formài mangiare patate e formaggio; béte do patàte seminare patate; kurà le patàte ripulire le patate dalle erbacce, o togliere la buccia alle patate per mangiarle; ğavà patàte raccogliere patate; kuóśe patàte mettere a cuocere le patate; ñòke de patàte gnocchi di patate; le śbondìže de le patàte le bucce delle patate; prov. la patàta la dà fòrža se mañàda ko la skòrža la patata da forza se viene mangiata con la buccia; žùča, faśuói e patàte fa veñì bèle le tośàte zucca, fagioli e patate fanno crescere belle le ragazze; pelà patàte sbucciare patate; prov. ki ke màña patàte kréde de èse puaréto, ma se l se vòlta ndavòi l vedarà ke kalkedùn maña le skòrže colui che mangia patate si ritiene povero, ma se si guarderà attorno vedrà qualcuno mangiare solo le bucce, perciò ad ogni miseria ne corrisponde sempre una ancora più grande. Bèpo patàta, appellativo canzonatorio dato all'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe abbinando il fatto di gran uso di patate di quel popolo.

 

patatèi agg. (pl., patatèi, f. patatèra, pl. patatère) chi si nutre quasi esclusivamente di patate, chi ama molto le patate. Te sés pròpio n patatèi sei davvero un mangione di patate; a vardàla kéla e na patatèra dall'aspetto così rotondo, vien da dire che quella è una divoratrice di patate.

 

patapìn-patapón onom. voce di tipo onomatopeica come pim-pum, tiffe-taffe, e simili. Termini onomatopeici usati per indicare il rumore di schiaffoni, giochi o altri gesti sonori; l a konbinàda gròsa e so pàre a fàto patapìn-patapón l'ha fatta grossa e suo padre l'ha schiaffeggiato.

 

patatùk agg. (inv.) imbecille, stupido. Te sés pròpio n patatùk sei davvero uno stupido; con questo termine venivano chiamati i tedeschi, per tradizione famosi mangiatori di patate.

 

patèla  sf. (pl. patèle) cucitura dei pantaloni, linguetta delle scarpe. La patèla de le bràge la cucitura dei pantaloni.

 

patèla  sf. (pl. patèle) colpo, percossa. Čapà na patèla prendere un colpo, una percossa; čapà, o dà patèle prendere, o dare botte.

 

patelón sm. (pl. patelói) cucitura dei pantaloni, linguetta delle scarpe. I patelói de le bràge le cuciture dei pantaloni.

 

paternostèi agg. (pl. inv; f. paternostèra, pl. paternostère) bigotto, chi frequenta la chiesa con atteggiamento ossequioso. To mesiér e n paternostèi tuo suocero è un bigotto.

 

paternòster sm. (pl. paternòstre) la preghiera del Padrenostro. Di su n paternòster recitare un padrenostro; te sés n màña paternòster sei un bigotto.

 

patì vb. trans. (patìso; patìo; patìu) patire, soffrire. Èi patìu de dùto ne ho patite di tutti i colori; patì l frédo, l čàudo, la fàme, la séide soffrire il freddo, il caldo, la fame, la sete.

 

pàtina sf. (pl. pàtine) lucido da scarpe. Pàtina négra lucido per scarpe nere; pàtina da čavéi brillantina.

 

patìu agg. (pl. patìde, f. patìda) patito, sofferente, smunto. Kè àsto ke te sés kosì patìda? come mai sei così patita, smunta?

 

pàto  sm. (pl. pàte) patto. A dùte i pàte, a òñi pàto a qualsiasi patto, comunque; l a fàto n pàto kol diàu si è messo d'accordo con il diavolo.

 

pàto  sm. (pl. pàte) tratto di scala, da un pianerottolo all'altro. L pàto de la sàla una rampa di scale; l e tomòu e l a fàto a tombolói l pàto de la sàla è rotolato per tutto un tratto di scala.

 

pàtol sm. (pl. pàtoi) pianerottolo. Te as lasòu i skarpéte su l pàto de la sàla hai lasciato le babbucce sul pianerottolo della scala.

 

patòko avv. del tutto, completamente. Màržo patòko completamente marcio; restà patòko restare allibito; san patòko in piena forma, del tutto sano.

 

patón sm. (pl. patói) manrovescio. Da n patón dare uno sberlone, un manrovescio.

 

patràso sm. (solo sing.) fallire, decadere al e du a patràso è andato in rovina.

 

patróna sf. (pl. patróne) cartuccia di fucile ancora carica. Voce che deriva dal termine tedesco per cartuccia, caricatore “die Patrone”. Èi čatòu dóe patróne ho trovato due cartucce cariche.

 

patuà sm. (solo sing.) dialetto. Voce dal francese “patois”; parlà par patuà parlare in dialetto.

 

patufà, patufàse vb. trans. e rifl. (me patuféo; patufèo; patufòu) prendere a pugni, picchiare, picchiarsi, prendersi a pugni, far baruffa. I me a patufòu mi hanno picchiato; ió e to darmàn se avón patufòu io e tuo cugino ce le siamo date di santa ragione (v. batufàse).

 

patufàda sf. (pl. patufàde) scarica di botte. Èi čapòu na patufàda santìsima ho preso tante botte (v. batufàda).

 

patùrña sf. (pl. patùrñe) sonnolenza, torpore misto a malessere causato dai postumi di un'ubriacatura o da esaurimento, fig. astio, avversione, antipatia. Èi na patùrña ntórneme ho un'incredibile sonnolenza addosso; l a na patùrña kon me ke no l me vàrda da dói àne ha una tale avversione verso di me, che non mi parla ormai da due anni.

 

patùž sm. (solo sing.) polvere, sudiciume, disordine, resti dal taglio della legna. Kéla čàśa e sènpre piéna de patùž quella casa è sempre sudicia; tòle la skóa e strùta su dùto l patùž nté l čantón ammucchia il sudiciume nell'angolo con la scopa; e óra ke te véñe n tìn fòra dal patùž sarebbe ora che tu uscissi un po' di casa; tiràse fòra dal patùž uscire da una situazione complicata, che talvolta può anche essere grave.

 

Pàula sf. (nome) ipoc. di Paola.

 

Pàule sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

Paulìn sm. (nome) ipoc. di Paolo.

 

paurós agg. (pl. pauróśe, f. pauróśa) pauroso, timoroso. Kel tośàto pì dóvin e n grùmo paurós tuo figlio più giovane è particolarmente pauroso.

 

pausà vb. intr. (pàuso; pausèo; pausòu) riposare, sostare per riposare. Adès e óra de pausà adesso è ora di riposare; fìn ke pausón, dón a seà! mentre riposiamo, andiamo a falciare l'erba, modo scherzoso per invitare a riprendere il lavoro; prov. se te pàuse, te pàuse par te, ma se te laóre no te sas par ki ke te laóre il riposo è una questione personale, mentre il frutto del lavoro non sempre va a beneficio di chi opera.

 

pàusa sf. (pl. pàuse) riposo, sosta. Fèi na pàusa no fa màl un po' di riposo non fa male; Rìva de la Pàusa (top.) località lungo la mulattiera che da Lozzo sale a Pian de Buoi, tappa per il riposo durante la lunga salita che dal paese portava alla Monte.

 

Pàusa de le féde sf. (top.) località a sud di Pian dei Buoi nella Val de Čanpeviéi, sotto il Kòl Vidàl, sul sentiero che da Somòl va a Čanpeviéi dal versante di Bañórse.

 

pausàda sf. (pl. pausàde) riposo prolungato. Késta si ke e na bèla pausàda questa si che è una vera sosta di riposo.

 

pausòu agg. (pl. pausàde, f. pausàda) stantio, rancido. Menèstra pausàda minestra stantia, rancida.

 

pavàre sm. (inv.) papavero (bot. Papaver sonniferum papavero da oppio/semi e Papaver hortense papavero da fiori). Il papavero veniva seminato nell'orto per i fiori e per ricavare i semi da usare in cucina, i semi comunque non contengono droga, la droga si ricava dal lattice che esce incidendo la mažoka quando è matura, i semi usati in cucina sono dentro la mažoka.

 

pavéi sm. (inv.) falena, farfalla, fiore di radìčo (bot. Taraxacum officinale). Fiore secco del radicchio selvatico, che appunto quando è secco vola come una farfalla. Via pa le nuóte d'istàde se véde i pavéi ğolà nelle notti d'estate si vedono le falene volare. Fig. te sés lediér kóme n pavéi sei leggero come una farfalla.

 

Paveón , Riva del Paveón sm. (top.) breve salita che unisce la strada nazionale che attraversa Lozzo alla Piàža vèča, l'attuale Piazza Pier Fortunato Calvi (v. piàža, padeón).

 

paveón  sm. (inv.) padiglione, sede comunale. Il termine si ritrova nel toponimo Paveón luogo dove, già prima del 1526, veniva convocata la fàula (v. rìva, fàula).

 

paviér sm. (inv.) lucignolo di candela o di lanterna. Npižà l paviér accendere il lucignolo.

 

pažakà vb. trans. (pažakéo; pažakèo; pažakòu) pasticciare. No sta pažakà kóme l to sòlito non fare pasticci come è tuo solito.

 

pažakón agg. (pl. pažakói, f. pažakóna, pl. pažakóne) pasticcione, chi fa le cose senza cura. Kél la no e n pitór, e n pažakón quello non è un vero pittore, è solo un pasticcione.

 

pažénžia, pažiénža sf. (solo sing.) pazienza. Kói tośàte okóre pažénžia coi bambini ci vuole pazienza; no sta pèrde la pažénžia non perdere la pazienza, non spazientirti; àbie pažénžia abbi pazienza, sii paziente.

 

pažiènte agg. (inv.) paziente, tranquillo. Vo èse pažiènte bisogna essere pazienti.

 

pažióśo agg. (pl. pažióśe, f. pažióśa) libidinoso, persona che cura molto l'abbigliamento, un po' altezzosa, un po' esaltato. Kel la e sènpre stòu n òn pažióśo quello è sempre stato libidinoso.

 

pažìto agg. (pl. pažìte, f. pažìta) sciatto, trasandato, sporco. Parkè sésto kosì pažìto? perché sei sempre così sciatto?, così trasandato?

 

 sm. (pl. pès) piede. Avé frédo, avé čàudo, avé màl nté i pès avere freddo, caldo, avere male ai piedi; di a pè andare a piedi; vénde le piànte n pè vendere le piante prima che siano tagliate; dormì da čòu e da pè del liéto dormire con la testa rivolta verso la testata del letto oppure con la testa dalla parte opposta, a seconda delle necessità delle famiglie quando i figli erano molti e c'era poco spazio a disposizione; l a dùte le skàrpe sóte pè tiene le scarpe col tallone abbassato sotto il piede, come fossero ciabatte; béte sóte i pès calpestare; no sta lasàte béte sóte i pès hai la tua dignità fatti rispettare; sta dal pè trovarsi ai piedi di qualcosa o di qualche posto; čapà pè prendere piede, attecchire, svilupparsi; sta n pè stare in piedi, vegliare; tòle le ròbe sóte i pès trascurare il proprio dovere; di fòra dei pès cavarsi dai piedi, cioè liberarsi da qualche brutto affare; di kói pès de piónbo procedere cautamente; avé n pè nté la fòsa essere sul punto di morte; da n pè nté l ku dare un calcio nel sedere; taià da pè abbattere con la scure o con la sega gli alberi (v. taià).

 

 sm. (solo sing.) piede. Unità di misura lineare usata in Veneto pari a circa 35 cm di lunghezza.

 

péa sf. (pl. pée) palla. Di solito è fatta di stracci o di gomma. Dugà a la péa giocare alla palla; tóndo kóme na péa grasso, obeso.

 

peà, peàse vb. intr. e rifl. dif. (se péa; se peèa; se a peòu) inacidire del latte. No sta lasà peà l làte non lasciare inacidire il latte; kol čàudo l làte se péa col caldo il latte inacidisce (v. peòu).

 

peàda sf. (pl. peàde) pedata, calcio. Da na peàda dare una pedata; čapà na peàda ricevere un calcio; čapà a peàde prendere a calci (v. speažà).

 

peadìžo sm. (solo sing.) terreno calpestato e rovinato dal passaggio di persone o bestie. Ntórno l čànpo èra dùto n peadìžo attorno al campo era tutto calpestato.

 

pedalìn sm. (inv.) abete molto giovane. Al néve a spakòu do dùte i pedalìn ntórno l tabià la neve ha spezzato tutti gli abeti novelli attorno al fienile .

 

pedàna sf. (pl. pedàne) orlo, rinforzo della gonna o della sottoveste. La pedàna de la karpéta l'orlo della gonna; vàrda ke te pàsa do la pedàna guarda che la sottoveste è più bassa della gonna; la pedàna de le bràge il rinforzo che si cuce alla base dei calzoni per proteggerli dallo strofinio delle scarpe (v. pasafìn).

 

pède prep. presso, vicino, con. Sta sènpre pède tó màre stai sempre vicino a tua madre; di pède kalkedùn andare con qualcuno, accompagnare qualcuno; su par pède vicino, appresso; béte a pède mettere insieme, accumulare. Vien pède mé se te vos èse segùro vieni con me se vuoi essere sicuro (v. apède).

 

pedimentìu agg. (pl. pedimentìde, f. pedimentìda) infermo, rachitico, inabile al lavoro, impacciato. Kel la e n puóro pedimentìu quello è uno da commiserare, inabile al lavoro; viene usato anche il termine npedimentìu.

 

pedìn - pedón sm. (inv.) giocare saltando e muovendosi su un solo piede. Veñì pedìn pedón avvicinarsi lentamente coi propri piedi (v. pedòte).

 

pèdo avv. peggio, peggiore. No sta fèi pèdo de lùi non fare peggio di lui; l e pèdo de so suó è peggiore di sua sorella; la va sènpre pèdo si aggrava sempre di più; di de mal n pèdo peggiorare sempre di più; pèdo par te peggio per te; pèdo de kosì se muóre peggio di così non può andare; pèdo ke pèdo si va di male in peggio; a la pèdo te tórne a čàśa alla peggio, se le cose vanno davvero male, ritornerai a casa; la dèa mèo kuàn ke la dèa pèdo si stava meglio in passato.

 

pedoğèi, pedoğós agg. (pl. pedoğèi, pedoğóśe, f. pedoğèra, pedoğóśa, pl. pedoğère, pedoğóśe) pidocchioso, fig. avaro, sordido, straccione. Te sés n pedoğèi sei un pidocchioso, sei pieno di pidocchi; te sés pròpio n pedoğèi sei davvero avaro.

 

pedòte avv. a piedi. Loc. pedìn pedòte a piedi, lemme lemme; veñì a pedòte venire a piedi; di a pedòte andare a piedi (v. pedìn).

 

peduóğo sm. (pl. peduóğe) pidocchio (zool. Pediculus capitis). L e pién de peduóğe è pieno di pidocchi; peduóğe de le piànte, dei faśuói, de le pìte pidocchi delle piante, dei fagioli, delle galline; pìžol kóme n peduóğo minuscolo; loc. l koparàe l peduóğo par béte vìa la pèl ucciderebbe il pidocchio per recuperare la pelle, è impossibile essere più spilorcio di così (v. léndis).

 

Pefanìa sf. (nome) Epifania, giorno della befana. La Pefanìa òñi fèsta pòrta vìa con l'Epifania terminano le feste natalizie (v. Paskéta).

 

pégola sf. (pl. pégole) pece, pegola, fig. sfortuna. Usata dai calzolai perché lo spago si saldi con il buco, usata nelle fabbriche di lenti. Me són sporkòu dùto de pégola mi sono imbrattato tutto di pece; négro kóme la pégola nero come la pece; fig. te as na pégola ntórnete sei veramente sfortunato.

pégro agg. (pl. pégre, f. pégra) pigro, svogliato. Te sés sènpre stòu pégro sei sempre stato svogliato; l e pégro de natùra è indolente per natura; prov. pégro a mañà, pégro a laurà lento nel mangiare, pigro nel lavoro.

 

pèi sm. (inv.) paio, coppia. N pèi de skàrpe, de bràge, de lenžuós un paio di scarpe, di pantaloni, di lenzuola; èi konpròu dói pèi de skarpéte ho comperato due paia di pantofole; se no te tàśe, te dào n pèi de śbagadènte se non taci ti dò un paio di ceffoni (v. kùbia).

 

péilo sm. (pl. péile) pelo. Te sés pién de péile sei pieno di peli; péilo màto peluria; i péile de la bàrba, dei pès, de le ğànbe i peli della barba, dei piedi, delle gambe; l é nkóra de prìmo péilo è immaturo, giovane, col tempo imparerà a sue spese; prov. ànke i péile fa onbrìa anche le cose più piccole hanno la loro importanza; prov. tìra pì n péilo de fémena, ke n pèi de bòs o na kùbia de čavài tira di più un pelo di donna che un paio di buoi o una pariglia di cavalli.

 

peilós agg. (pl. peilóśe, f. peilóśa) peloso, villoso. I ğerànie a le fòe peilóśe i gerani hanno le foglie pelose.

 

pèka sf. (pl. pèke) pecca, difetto, fig. impronta della selvaggina. N laóro žènža pèke un lavoro senza difetti; nkuói bonóra èi vedù su l néve n grùmo de pèke de luóiro stamattina sulla neve ho notato molte impronte di lepre.

 

pekà ! escl. peccato! Pekà ke l séa mòrto peccato che sia morto; ke pekà! che peccato!

 

pekà  sm. (pl. pekàs) peccato, compassione. Pién de pekàs pieno di peccati; brùto kóme l pekà mortàl brutto come il peccato mortale; te me fas pekà mi fai compassione; pekà ke l pióve peccato che piova; prov. ki ke a fàto l pekà, fàže ànke la penitènža chi ha sbagliato, paghi; prov. pekà vèče, penitènža nuóva le sregolatezze di gioventù si pagano quando si diventa vecchi; prov. očadà na vèča e pekà, očadà na brùta e karità lanciare un'occhiata a una donna vecchia è peccato, lanciarla ad una brutta è un atto di carità; prov. se dis l pekà, ma no ki ke l a fàto si confessa il peccato, ma non chi l'ha commesso.

 

pekà3 vb. intr. (péko; pekèo; pekòu) peccare, mancare di qualcosa. Ànke i Sànte pekéa kàlke òta anche i Santi sbagliavano qualche volta; sta menèstra pèka de n tìn de sàl questa minestra ha poco sale.

 

pékol sm. (pl. pékoi) piolo, scalino. Se a spakòu n pékol de la sàla si è rotto un piolo della scala.

 

Pekól sm. (top.) località a nordovest di Lozzo nelle vicinanze di Laržéde.

 

pèl sf. (inv.) pelle, epidermide, membrana, fig. furbacchione. La pèl è anche la pelle conciata che boscaioli e pastori indossavano sulle spalle per ripararsi dalla pioggia. Risčà la pèl rischiare la pelle, esporsi a un pericolo; salvà la pèl salvarsi, ritornare vivo dal fronte; pèl lìsa, pèl fifolàda, pèl rùspia pelle liscia, grinzosa, ruvida; èse dùto pèl e òs essere magrissimo; la pèl del vuóu la membrana interna dell'uovo; la pèl del tanbùro la membrana del tamburo; te sés na pèl ... sei un grande furbacchione; la pèl de pìta la pelle d'oca; te me fàs veñì la pèl de pìta mi fai venire la pelle d'oca, i brividi; la pèl del salàme il budello del salame; pèl krùda pelle cruda, è la pelle non conciata, ma seccata ed utilizzata per fare i funàže; prov. kuàn ke e bèl, toléve su la pèl, kuàn ke l pióve faśé kel ke volé quando il tempo è bello, per prudenza, prendete con voi la pelle per coprirvi, quando piove... fate quello che volete; al tènpo e bèl, ma par èse pì segùre, toléve su la pèl il tempo è bello, ma per essere più sicuri portate con voi la pelle per coprirvi.

 

pelà, pelàse vb. trans. e rifl. (me pélo; pelèo; pelòu) pelare, sbucciare, pulire, scottarsi, spennare, fig. ripulire, derubare. Pelà na pìta strappare le penne ad una gallina; pelà le patàte sbucciare le patate; te me as pelòu mi hai ripulito del denaro; èi debeśuói de di a pelàme ho bisogno di tagliarmi i capelli; skomìnžio a pelàme comincio a perdere i capelli; i me a pelòu dùte i póme mi hanno derubato di tutte le mele; me son pelòu na màn mi sono scottato una mano.

 

pelàča sf. (pl. pelàče) pellaccia, individuo cattivo, disonesto, resistente alla fatica. L e sènpre stòu na pelàča è sempre stato un poco di buono; avé na bòna pelàča avere una notevole resistenza alle fatiche.

 

pelàda sf. (pl. pelàde) calvizie, fig. testa lucida per la calvizie. Avé la pelàda essere calvo; vàrda, ke bèla pelàda guarda che bella testa lucida; loc. scherzosa vèla vèla la rośàda su la tèsta pelàda de... ecco arriva l'acquazzone sulla testa pelata di...

 

pelàgra sf. (solo sing.) pellagra, fig. povertà, miseria. La polènta pòrta pelàgra la polenta provoca la pellagra; un tempo la pellagra era una malattia molto comune nei nostri paesi, provocata dall'uso quasi esclusivo della polenta nell'alimentazione. Se i véde la pelàgra adòs gli si legge in faccia la miseria in cui vive; loc. avé la pelàgra essere deboli per la fame.

 

pelànda sf. (pl. pelànde) donnaccia, donna di facili costumi. Dùte sa ke te sés na pelànda tutti sanno che sei una donnaccia. L'epiteto è entrato nella parlata comune e riferito a persona che manca di parola.

 

pelandràna  sf. (pl. pelandràne) palandrana, zimarra. Vestito troppo lungo o troppo largo, comunque ridicolo. L nodàro e ruòu ko la só pelandràna il notaio si è presentato indossando la sua zimarra; añó vàsto kon kéla pelandràna? dove vai vestito in modo così ridicolo?

 

pelandràna  sf. (pl. pelandràne) palandrana, fig. parte stopposa della carne che non si può mangiare e viene quindi gettata. Sta kàrne e piéna de pelandràne questa carne è tutta fibrosa (v. ślanbrìse).

 

pelandrón agg. (pl. pelandrói, f. pelandróna, pl. pelandróne) vagabondo, scansafatiche, poco di buono, donnaiolo. Tó fardèl e sènpre stòu n pelandrón tuo fratello è sempre stato un poco di buono.

 

pelandronà vb. intr. (pelandronéo; pelandronèo; pelandronòu) vagabondare, bighellonare. Te sés sólo bón de pelandronà sei solo capace di bighellonare, di correre dietro alle donne.

 

Pèle sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

pelegrìn sm. (inv.) viandante, nullatenente. Kéla la e na faméa de pelegrìn quella è una famiglia povera, senza fissa dimora.

 

pelegrìna sf. (pl. pelegrìne) pellegrina. Si tratta della mantellina in maglia di lana che le donne portano sulle spalle durante l'inverno. Añó àsto konpròu kéla bèla pelegrìna? dove hai comperato quella bella pellegrina?

 

Pelegrìni sm. (nome) cognome di famiglia (v. koñòme).

 

peleśìna sf. (pl. peleśìne) pellicina delle unghie, dell'uovo e simili. L làte a bèlo fàto la peleśìna il latte bollito ha già prodotto la pellicina.

 

Peližèr sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Pelós sm. (top.) Pelos, frazione di Vigo di Cadore.

 

péltro sm. (inv.) peltro. Lega di stagno e piombo con la quale si possono fare stoviglie e posate. I kučàre, i pirói de péltro i cucchiai, le forchette di peltro.

 

pelòu agg. (pl. pelàde, f. pelàda) calvo, spelacchiato. Kosì dóvin e bèlo pelòu così giovane e già calvo; la ğàta e dùta pelàda la gatta è tutta spelacchiata, ha perso il pelo.

 

pelukà vb. trans. (pelukéo; pelukèo; pelukòu) piluccare, mangiare poco, assaggiare. Daspò l operažión l a skominžiòu a pelukà àlgo dopo l'intervento chirurgico ha cominciato a mangiucchiare qualcosa; l kauré a takòu a pelukà n tìn de fién il capretto sta svezzandosi, mangia già un po' di fieno.

 

pelùko sm. (pl. pelùke) peluzzo. Particella minuta di lana o d'altro che rimane facilmente attaccata ai vestiti; kél vestì e pién de pelùke: bruskinéelo na gèra quel vestito è pieno di peluzzi: dagli una spazzolata.

 

péna  avv. appena. Èi péna mañòu ho appena mangiato (v. apéna).

 

péna  sf. (pl. péne) penna per scrivere. No sèi dorà la péna non sono capace di adoperare la penna, non so scrivere; tóča la péna nté l inčòstro intingi la penna nell'inchiostro.

 

péna3 sf. (pl. péne) penna. Pèrde le péne essere spogliato dei propri beni, essere defraudato; la péna dei alpìne la penna del cappello d'alpino.

 

péna4 sf. (pl. péne) pena, dolore. Patì le péne de l infèrno patire le pene dell'inferno, soffrire molto.

 

penà vb. intr. (péno; penèo; penòu) penare, soffrire. L a penòu dùta la vìta ha sofferto tutta la vita.

 

penàko sm. (pl. penàke) penna di uccello, pennacchio. Al lugerìn a perdù dùte i penàke il lucherino ha perso tutte le penne; portà l čapèl kol penàko portare il cappello col pennacchio; è un'abitudine tipica dei cacciatori che portano sul cappello la coda o la penna del gallo cedrone, del gallo forcello o del francolino.

 

pèndol sm. (pl. pèndoi) tipo di “chiodi” in legno per fissare le travi della risina o di altri travi. Tòle nòta kel tòko de làris e fèi fòra dói pèndoi prendi quel pezzo di larice e costruisci dei chiodi in legno.

 

pèndola  sf. (pl. pèndole) cuneo in legno. Ko sta bóra de fagèra farón fòra dóe pèndole da questo grosso tronco di faggio, otterremo delle biette. La pèndola era anche fatta in ferro e serviva per spaccare i pezzi di legna di faggio o larice.

 

pèndola  sf. (pl. pèndole) pezzo di carne di maiale o di pecora. È chiamata così perché viene appesa al soffitto della cucina dove rimane ad affumicare. Una volta salati e affumicati, questi pezzi di carne vengono utilizzati per condire e insaporire la minestra o come companatico alla polenta. Fèi menèstra ko le pèndole condire la minestra con una pèndola; mañà polènta e pèndole mangiare polenta con le pèndole; fig. kéla la e na pèndola fumàda quella donna è molto alta, magra e di carnagione scura.

 

pendolà , pendolàse vb. intr. e rifl. (me pendoléo; pendolèo; pendolòu) penzolare, dondolarsi in altalena, perdere tempo. L a pendolòu dùta la bonóra ha girovagato, perdendo tempo, per tutta la mattinata.

 

pendolà  vb. tr. (pendoléo; pendolèo; pendolòu) fissare le travi della rìśina o di altri meccanismi con delle biette di legno. N òta pendolòu sto ùltimo tòko de rìśina, don a čàśa completiamo quest'ultimo pezzo di rìśina, dopo di che andiamo a casa.

 

pendolón avv. a penzoloni. De pendolón penzoloni; kéla barèla no la puó sta de pendolón quella carriola non può rimanere penzoloni; fig. di o sta de pendolón perdere tempo involontariamente; parkè stàsto sènpre de pendolón? perché perdi sempre il tuo tempo?; èse de pendolón rimanere appeso, restare in bilico.

 

penèl sm. (pl. peniéi) pennello. Tàkete nté l penèl attaccati a qualcosa che non può sostenerti; loc. tòle l penèl, e màn a le mèle prendi il pennello e datti da fare.

 

penìn sm. (inv.) pennino della penna. Èi konpròu sié penìn par kel tośàto ho comprato sei pennini per mio figlio.

 

penitènža sf. (pl. penitènže) penitenza, sofferenza. Fèi penitènža far penitenza, tribolare.

 

penìžo sm. (pl. penìže) struttura per mettere a seccare i prodotti del raccolto, poggiolo, ballatoio. Si tratta di una costruzione attigua al fienile, con ingresso autonomo, che permette di tenere al riparo e lasciare seccare fagioli, canne di granoturco e soprattutto il fieno raccolto ancora umido quando c'è brutto tempo. Béte la sorgàda fòra nté penìžo stendere le canne del mais nel penìžo.

 

pensà, pensàse vb. trans. e intr. e rifl. (me pénso; pensèo; pensòu) pensare, ideare, ricordarsi. Pensà par dùte pensare provvedere per tutti; pénsa par te pensa per te, fatti gli affari tuoi; ki avaràe mài pensòu ke ... chi si sarebbe mai immaginato che ...; no sèi pì ke pensà non so più che cosa pensare; no me pénso pi non mi ricordo più; pénsete n tin kè ké me a točòu! pensa un po', guarda un po' quello che mi è accaduto!; pénsa n tin ànke par te, ke e óra cura un po' di più la tua salute, che è ora; pi stào e mànko me pénso più passa il tempo e meno la memoria funziona; loc. pensà su pensare, meditare, cercare di ricordarsi; prov. okóre pensà ñànte pa no pentìse daspò riflettere bene prima di far qualcosa per non pentirsi amaramente dopo averla fatta; prov. Ñànte de fèi e de di, biśòña pensà kel ke puó veñì prima di agire e di parlare bisogna pensare alle conseguenze.

 

pensàda sf. (pl. pensàde) pensata, idea. Késta si ke e na bèla pensàda! questa sì che è una bella idea!; no te podèe fèi na pensàda pì bèla non potevi avere un'idea più luminosa, detto anche con tono provocatorio.

 

pensiér sm. (pl. pensiére) pensiero, preoccupazione, idea. Son pién de pensiér ho tante preoccupazioni; àbie n tin de pensiér par tó màre cerca di avere qualche attenzione in più per tua madre; èse sóra pensiér essere soprappensiero, meditare; sta n pensiér essere preoccupato; volaràe sentì l tò pensiér vorrei conoscere il tuo parere; ğavàse da n pensiér levarsi un pensiero; prov. kói pìžoi, pensiér pìžoi, kói grànde pensiér grànde quando i figli sono piccoli, le preoccupazioni sono di poco conto, quando diventano grandi anche i pensieri aumentano; prov. žènto pensiér no pàga n dèbito è inutile pensare troppo ai debiti, l'importante è trovare il denaro per pagarli.

 

Péntekòste sf. (nome) Pentecoste. Al di de Péntekòste il giorno di Pentecoste.

 

pentìse vb. rifl. (me pentìso; pentìo; pentìu) pentirsi. Me son pentìu de kel ke èi fàto mi sono pentito di quello ho fatto; me son pentìu de èse du mi sono rammaricato di esserci andato.

 

péña sf. (pl. péñe) zangola. A Mónte i fa nkóra l botìro ko la péña a Pian dei Buoi il burro viene ancora fatto con la zangola; menà la péña ruotare la zangola per fare il burro; fig. siénte ke péña senti che tosse catarrosa, si dice così di chi è malato di bronchite cronica e quando tossisce produce un rantolo catarroso simile al rumore della péña in azione.

 

peñàta sf. (pl. peñàte) pignatta, pentola, vaso di terra cotta per conservare burro cotto, strutto, sego. Lavà do le peñàte lavare le pentole; la peñàta del botìro kuóto, del saìme, del séu il vaso che contiene il burro cotto, lo strutto, il sego; fig. èi la peñàta ke no va sono raffreddato, ho la bronchite; siénte ke peñàta senti che respiro affannoso, ho una tosse dura; prov. ànke le peñàte brùte čàta l sò skuèrčo a tutto c'è rimedio, fig. anche le donne brutte trovano marito.

 

peòu agg. (inv.) detto del latte inacidito. Al làte peòu fa polìto a le budèle il latte inacidito fa bene all'intestino; il latte inacidito è stato considerato a lungo come medicina da somministrare a chi si sentiva poco bene, specialmente se si trattava di malessere allo stomaco o all'intestino.

 

pépol agg. (pl. pépoi, f. pépola, pl. pépole) chi mangia poco e molto lentamente. Ànke da pìžol l èra n pépol a mañà anche quando era piccolo stentava a mangiare.

 

pepolà vb. intr. (pepoléo; pepolèo; pepolòu) mangiare poco e di malavoglia, lavoricchiare. Fin ke te pepolée, no te devènte gràn finché continui a mangiucchiare, non crescerai mai; no sta pepolà kóme l tò sòlito non lavoricchiare, non perdere tempo come fai di solito (v. trafagà, mulatà).

 

pepolón agg. (pl. pepolói, f. pepolóna, pl. pepolóne) chi lavora o si muove svogliatamente. Accrescitivo di pépol; l e sènpre stòu n pepolón è sempre stato una persona abulica; te sés n pepolón, dùte fenìse de mañà ñànte de té, desédete! Sei lento a mangiare, tutti finiscono prima di te, sbrigati allora!

 

pèra sf. (pl. père) sasso, pietra. Tirà père lanciare sassi; di a père andare in cerca di sassi, per costruire i muri; una volta il greto del Rin costituiva la principale cava di sassi, specialmente dopo il grande incendio del 1867 che distrusse buona parte del paese di Lozzo, i sassi che servivano per la ricostruzione delle case venivano prelevati proprio lì. Nžupàse nté na pèra inciampare in un sasso; l a l kuór dùro kóme na pèra è un uomo insensibile; la pèra da botìro, del séu, del saìme il vaso di pietra per contenere il burro, il sego, lo strutto; la pèra de la fàu la cote per affilare la falce; la pèra da guà il sasso su cui affilare il rasoio o i coltelli; la pèra e l ažàl la pietra focaia e l'acciarino; mal de la pèra calcolosi urinaria; loc. tirà la pèra nté l andèi lanciare il sasso nell'andèi, suscitare con un gesto, con una parola, con una frase la reazione di qualcuno; tirà la pèra e skònde l bràžo lanciare il sasso e nascondere il braccio, spiare senza farsi scoprire, parlare con metafore; čamà père e portà màlta essere fraintesi; dugà a le père giocare ai sassi: il gioco consisteva nel prendere cinque sassolini, posarli per terra, lanciarne uno in aria e prima di lasciarlo arrivare a terra, bisognava raccogliere velocemente gli altri quattro uno alla volta, vinceva chi riusciva a raccoglierli tutti per primo; accr. perón; dim. perośìna.

 

pèra da fìlo, pèra da òio sf. (pl. père da fìlo, da òio) pietra d'India. Questa pietra veniva adoperata per affilare i ferri da barba. Si metteva dell'olio sulla superficie della pietra e poi si affilava. Tòle n tin la pèra da fìlo e n tin de òio ke gužón l fèr da bàrba prendi la pietra d'India e un po' di olio così possiamo affiliare il rasoio.

 

Peraruó, Pararuó sm. (top.) Perarolo. Comune in territorio cadorino lungo la valle del Piave, alla confluenza del Piave con il Boite che scende da Ampezzo. Il paese di Perarolo si trova ai piedi della salita della Kavalèra, il tratto di strada che sale a tornanti lungo le pendici rocciose del Monte Zucco verso Tai. Il paese è stato per secoli un importante punto di smistamento del legname condotto a valle per fluitazione, lì infatti lungo il corso del Piave si trovava il più importante žìdol dell'intero Cadore (v. Kavalèra).

 

pèrde, pèrdese vb. trans. e rifl. (me pèrdo; perdèo; perdésto, perdù) perdere, perdersi, smarrirsi. Pèrde le čàve perdere le chiavi; pèrde tènpo perdere tempo; me són perdù nté l bósko mi sono perso nel bosco; pèrdese vìa distrarsi, dimenticarsi; fin ke stào kói tùte me pèrdo n tin vìa finché rimango con i bambini, mi distraggo un po'; òñi tànto ànke ó me pèrdo vìa ogni tanto anch'io dimentico quello che devo fare; pèrdese vìa davòi de àlgo dedicare il proprio tempo libero a qualcosa; di a pèrde andare a perdere, detto della gallina che va a fare l'uovo nel pollaio degli altri, fig. detto dei giovani che si comportano poco correttamente quando sono lontani da casa; prov. a volé čapà dùto, se pèrde dùto quando si vuole tutto, si rischia di perdere tutto; prov. ki ke no se kontènta de l onèsto, pèrde la màntia e ànke al žésto chi troppo vuole nulla stringe.

 

perèra sf. (pl. perère) pero (bot. Pirus communis). Nte brólo èi dóe perère e sié pomère nel brólo ho due peri e cinque meli; sta tòla e de perèra questo tavolo è fatto di legno di pero.

 

perìkol sm. (pl. perìkoi) pericolo. Ka no e perìkol qui non c'è pericolo; vàrdete dài perìkoi! guardati bene dai pericoli!

 

perikolà vb. intr. (perikoléo; perikolèo; perikolòu) esporsi al pericolo, pericolare. No sta di a perikolà! non esporti ai pericoli, sii prudente.

 

perikolós agg. (pl. perikolóśe, f. perikolóśa) pericoloso. E perikolós manadà àga śbroènte è pericoloso maneggiare acqua bollente.

 

Perìna sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

pernegà sm. (pl. pernegàs) passero oltremontano (zool. Passer domesticus). Èi čatòu n pernegà mòrto su l néve ho trovato un passero morto sulla neve; stan i pernegàs me a mañòu dùto l sórgo quest'anno i passeri mi hanno mangiato tutto il granoturco.

 

pèrno nella loc. àrda a ke pèrno ke te sés, màña àlgo de pì guarda come sei magro e pallido, in che stato ti sei ridotto, ti consiglio di mangiare di più.

 

péro sm. (pl. pére) pera. Stan la perèra a fàto n grùmo de pére quest'anno il pero ha prodotto una grande quantità di pere; l péro de la lùśe l'interruttore della luce elettrica; pére de órse frutti del biancospino (bot. Crataegus laevigata); tomà do kóme n péro ñòko cadere come una pera matura, addormentarsi di colpo; ğažòu kóme n péro gelato come una pera, intirizzito; pére botìre pere dolci e tenere; pére da Fórno pere che crescono nel vicino Friuli. Qualità particolare che matura in autunno tardi (v. erbe).

 

perón sm. (pl. perói) sasso, macigno. Tirà perói lanciare sassi; me e tomòu n perón sul pè mi è caduto un sasso sul piede; dùro kóme n perón duro come un sasso, fig. persona testarda; dim. perośìna sassolino.

 

Perón de le Longàne sm. (top.) macigno che si trova lungo il sentiero che da Lozzo sale a Nariéto, a ovest del paese (v. Longàna).

 

Perón de l Konséo sm. (top.) macigno che si trova lungo la Val da Rin alla confluenza con il Ğòu gràn. Confine tra Lozzo e Auronzo.

 

persegèr sm. (inv.) pesco (bot. Prunus persica). Ka da neàutre i persegèr stènta a krese in Cadore i peschi hanno una crescita difficile.

 

pèrsego sm. (pl. pèrsege) pesca. Màñete sto pèrsego mangia questa pesca; i pèrsege vérde i fa mal de pànža le pesche acerbe fanno male alla pancia; tòle pèrsege tačàde, te vién n grùmo kón póče skèi compra pesche un po' ammaccate, così con pochi soldi te ne vengono tante (v. tačòu).

 

personàl sm. (solo sing.) aspetto fisico, personale. Avé n bèl personàl avere un bell'aspetto.

 

persuàde vb. trans. (persuadéo; persuadèo; persuadésto) persuadere, convincere. Lasàse persuàde lasciarsi convincere.

 

pèrtega, pèrtia sf. (pl. pèrtege, pèrtie) pertica. Unità di misura di lunghezza corrispondente a due passi, cioè a 3, 476 m. Èi konpròu n čànpo de diéśe pèrtege ho comperato un campo lungo dieci pertiche (di circa 35 m).

 

Pèrtie sf. (top.) località che si trova al di sotto della strada nazionale che attraversa il paese, scendendo verso il Piave, poco sotto il cimitero. Vàdo a béte patàte do n Pèrtie vado a seminare patate in Pèrtie.

 

perùžola  sf. (pl. perùžole) cincia mora (zool. Parus ater), cinciallegra (zool. Parus major). Al čànta kóme na perùžola canta come una cinciallegra, cioè non molto bene; pién de ràbia kóme la perùžola nté kàbia è rabbioso come una cinciallegra in gabbia, detto di chi è costretto a vivere in un ambiente chiuso (v. potitètì).

 

perùžola  sf. (pl. perùžole) organo genitale femminile.

 

perùžola3 dàla sf. (pl. perùžole dàle) cinciallegra.

 

perùžola4 del čuf (pl. perùžole del čùf) cinciallegra col ciuffo (zool. Parus cristatus).

 

perùžola5 torkiñola (pl. perùžole torkiñole) cinciarella azzurra (zool. Parus cyanus).

 

pés sm. (inv.) pesce. De vèndre se màña pés il venerdì bisogna mangiare pesce; san kóme n pés sano come un pesce; prov. añó ke e àga, e pés dove c'è acqua c'è pesce; prov. al pés gràn, màña kel pìžol pesce grande mangia pesce piccolo; prov. par čapà pés okóre biandàse l ku qualsiasi risultato positivo richiede un certo sacrificio.

 

péśa sf. (pl. péśe) bilancia, stadera, pesa. Tòle la péśa prendere la bilancia.

 

peśà vb. trans. (péśo; peśèo; peśòu) pesare. Al péśa dóe ónže pesa due once; peśà ko la balànža, ko la stadiéra pesare con la bilancia, con la stadera; peśà sal, pére, patàte pesare sale, pere, patate; fig. kel tośàto l péśa bèlo pére il bambino è stanco, si sta già addormentando; te péśe vinti kìle kol sakéto sei molto magro, pesi troppo poco per la tua età; l èi peśòu alòlo l'ho pesato, l'ho valutato immediatamente; prov. ko i e pìžoi i péśa sui bràže, ko i e grànde i péśa sul kuór quando i figli sono piccoli, affaticano fisicamente, ma quando sono grandi pesano sullo spirito.

 

peśankól sm. (pl. peśankói) contrappeso. Ka e debeśuói de n peśankól pì gran qui ci vuole un contrappeso più grande.

 

peśànte agg. (inv.) pesante, ponderoso, greve. Sto pàko e peśànte questo pacco è pesante; ğakéta peśànte giacca pesante, invernale; l e dóvin ma l e bèlo peśànte è giovane, ma si muove già con difficoltà; fig. ke peśànte ke e kel la quello è insopportabile con quel suo modo di parlare. Con quel tale è impossibile parlare.

 

péśo sm. (pl. péśe) peso, onere, obbligo. Portà n péśo portare un peso; n péśo su la kosiénža peso della coscienza, rimorso; ğavàse n péśo dal stómego togliersi un peso dallo stomaco, liberarsi da una preoccupazione; al péśo de la faméa il peso della famiglia; dùto l péśo e su le me spàle tutte le responsabilità sono mie; péśo néto peso al netto; késto mò e n bón péśo questo si che è un buon peso, un peso abbondante; tirà do sul péśo scalare tara o altra cosa. Prima che in Cadore venisse introdotto il sistema metrico decimale, le misure di peso più usate erano: lìbra gròsa (516, 74 g circa); lìbra sotìl (301, 23 g circa); ónža gròsa (corrispondente a 1/2 libbra grossa); ónža sotìl (corrispondente a 1/12 di libbra sottile, cioè 43 g circa).

 

pèste sf. (solo sing.) peste, malanno. Èse na pèste essere una pestilenza, essere insopportabile. Invocazione di un tempo: pèste, fàme tebèlo lìbera nos domine dalla peste dalla fame e dalla guerra liberaci o signore.

 

pestà vb. trans. (pésto; pestèo; pestòu) pestare, distruggere, rompere. Pestà la tèra calpestare la terra; pestà l sal pestare il sale; pestà i pès pestare i piedi, impuntarsi; pestà i pès a la dènte pestare i piedi alla gente, irritare il prossimo; pestà su léñe tagliare la legna a piccoli pezzi; pestà su dùto rompere, distruggere tutto; te pésto vìa l čòu! ti taglio la testa!, è questa la peggiore fra le minacce che un genitore può fare al proprio figlio; pestà polènta nté l làte spezzettare la polenta nel latte; nté la menèstra me piàśe pestà ìnte formài nella minestra mi piace spezzare del formaggio.

 

pestàča sf. (pl. pestàče) specie di roncola. È più larga e meno curva della renkonèla e viene adoperata per sminuzzare la legna, tagliare arbusti. Attrezzo della macelleria usato per tagliare la carne con osso. Per lo stesso lavoro veniva usato in famiglia quando si uccideva il maiale o il vitello .

 

pestačà vb. trans. (pestačéo; pestačèo; pestačòu) sminuzzare usando la pestàča, fig. blaterare, parlare in modo veloce e confuso. Pestačéa su dóe frèise sminuzza con la roncola un po'di frasche!; ma kè pestačéesto? ma cosa borbotti? che cosa farfugli?; kéla la e bòna solo de pestačà quella è solo capace di chiacchierare, di cianciare.

 

pestadìžo agg. (pl. pestadìže f. pestadìža) attaccaticcio, di sapore cattivo. Siénte ke pestadìžo senti com'è attaccaticcio, appiccicaticcio; la vermolìna e pestadìža il vermifugo è particolarmente cattivo.

 

pestaòrğo sm. (pl. pestaòrğe) mortaio di pietra per pestare l'orzo. Al di de nkuói no se véde pì pestaòrğe al giorno d'oggi non si vedono più mortai per l'orzo.

 

pestarìa sf. (pl. pestarìe) cosa o persona cattiva, pestilenziale, fig. gentaglia. Késto tośàto e na pestarìa questo ragazzo è pestifero; no se puó mañà sta pestarìa non si può mangiare questo cibo così cattivo; no vói savé de késta pestarìa non voglio avere rapporti con questa gentaglia.

 

pestariéi sm. (solo pl.) farinata. Si preparano versando farina gialla in acqua e latte bollenti (il rapporto tra acqua e latte è proporzionato alla disponibilità economica della famiglia), si mescola il tutto fino a formare una polentina tenera che si può mangiare accompagnata dal latte o dal vino. Le króste che si formano nel paiolo sono la parte più saporita e che di solito vengono destinate al capofamiglia. Pestariéi ko la duìsa farinata con il colostro della mucca; pestariéi npastolàde farinata a cui sono stati aggiunti fagioli lessati o altri ingredienti quali la farina di frumento. Per farli accettare dai bambini, nel piatto sopra i pestariéi veniva messo una cucchiaiata di zucchero o burro fresco che sciogliendosi davano un sapore diverso e gradevole. Per un breve periodo d'autunno al posto del vino o del latte si usava la mostarda zuccherata (v. npastolàda, duìsa).

 

pestaròla sf. (pl. pestaròle) roncola, coltello dalla lama grande e pesante adoperato per sminuzzare la carne oppure per battere le bistecche. Ka sararàe debeśuói de la pestaròla ci sarebbe bisogno di un coltello pesante.

 

pestasàl sm. (inv.) pestasale. Piccolo mortaio di legno in cui viene pestato il sale con un pestello. Una volta il sale raffinato non era in commercio, bisognava comperare perciò sale grosso e pestarlo poi a casa. Tòle l pestasàl, e fèi n tin de sal fin pal radìčo prendi il pestasale e fa un po' di sale fino per il radicchio.

 

pestèl sm. (pl. pestiéi) pestello. Al pestèl del pestasàl il pestello del mortaio per il sale.

 

pestìžo sm. (pl. pestìže) gente di animo cattivo. Nté kéla faméa i e kuàtro pestìže in quella famiglia sono di animo cattivo. Loc. l a i dènte pestìže ha la dentiera.

 

pestón sm. (pl. pestói) mezzaluna per tagliare il fieno, trancia. Questo ferro viene adoperato per prelevare fieno dalla méda quando questa veniva tagliata solo in parte e perciò quella che rimaneva doveva resistere alle intemperie. Paréča l pestón ke èi da fèi desfrìto ko la žéula prepara la mezzaluna perché devo soffriggere la cipolla.

 

pestužà vb. trans. (pestužéo; pestužèo; pestužòu) sminuzzare, triturare. Pestužà la kàrne triturare la carne; pestužà le léñe sminuzzare la legna per accendere il fuoco.

 

péta sf. (pl. péte) specie di focaccia di granoturco. Originariamente la péta veniva preparata con farina gialla, acqua e sale e cotta sotto la cenere; in un secondo tempo è diventata una torta vera e propria fatta di farina gialla mescolata a farina bianca e impastata con acqua, uova, strutto o burro, uva passa, lievito e sale. La péta viene cotta nel forno della cucina economica; mañà péta e làte mangiare focaccia sminuzzata nel latte, altre varietà sono: péta kói fìge e kól čarié focaccia con i fichi secchi e con il cumino; fèi péta fracassare, sfasciare; èi fàto péta del čaredèl ho sfasciato il carrettino; voltà la péta voltare la schiacciata, fig. cambiare argomento, cambiare le carte in tavola; da da ntènde pàn par péta dar d'intendere pane per focaccia; prov. péta krùda vién rendùda chi la fa l'aspetti.

 

petà vb. intr. (péto; petèo; petòu) andare a sbattere, picchiare. Èi petòu ìnte pa n perón sono andato a sbattere contro un sasso; la màre me a petòu la mamma mi ha picchiato; se no te tàśe, te péto! se non taci, ti picchio!; al péta do il sole batte molto forte.

 

petàča avv. sul fatto. Usato nella loc. son ruòu de petàča sono arrivato sul fatto, nel momento cruciale; ma anche con uso aggettivale come nella loc. la tó čàśa l e pròpio de petàča la tua casa è ben visibile.

 

petàda sf. (pl. petàde) percossa, sbattitura, botta. Tu te avaràe debeśuói de čapà na petàda avresti bisogno di una bella carica di legnate.

 

petasàl sm. (solo sing.) cavalluccio. Il gioco consiste nel portare un bambino a cavalcioni sul collo fingendo di essere un cavallo. Di a petasàl giocare a cavalluccio; portà a petasàl portare a cavalcioni sul collo (v. kavalòto).

 

petažà vb. intr. (petažéo; petažèo; petažòu) scoreggiare. Te petažée kóme n mul scoreggi continuamente e rumorosamente (v. spetažà, skoredà).

 

petažàda sf. (pl. petažàde) scoreggia, peto. Kuàn ke màño žukéte fàdo de kéle petažàde ... quando mangio zucchine, faccio di quelle scoregge ... (v. spetažàda).

 

petažèi agg. (pl. petažèi, f. petažèra, pl. petažère) scoreggione. Il termine petažèra o pisažèra viene usato bonariamente per indicare la nascita di una bambina; me e nasù nkóra na petažèra, pisažèra mi è nata ancora una scoreggiona, una pisciona, cioè una bambina (v. spetažèi).

 

petažón agg. (pl. petažói, f. petažóna, pl. petažóne) scoreggione. To fardèl da pìžol èra n petažón tuo fratello da piccolo era uno scoreggione (v. spetažón).

 

petégol, petegolón agg. (pl. petégoi, petegolói; f. petégola, petegolóna, pl. petégole, petegolóne) pettegolo, pettegolone, chi spettegola o si lamenta continuamente. To nèža e na petégola ke no te dìgo tua nipote si lamenta di continuo; kéla tùta e na petégola quella ragazza è una pettegola.

 

petegolà vb. intr. (petegoléo; petegolèo; petegolòu) spettegolare, lamentarsi.

 

petèl  agg. (inv.) bambinesco. Parlà petèl parlare come i bambini piccoli.

 

petèl  sm. (pl. petiéi, f. petèla, pl. petèle)  persona piagnucolona, insopportabile, fastidiosa. Te sés la sòlita petèla sei la solita persona fastidiosa.

 

petenà, petenàse vb. trans. e rifl. (me petenéo; petenèo; petenòu) pettinare, fig. ripulire al gioco, pettinarsi, ravvivarsi. Vién ka ke te petenéo! vieni qua che ti pettino!; petenà i čavéi pettinare i capelli; petenà la làna, l lin, l kànego scardassare la lana, il lino, la canapa; i me a petenòu a skóa sono stato battuto nettamente al gioco della scopa e ho rimesso dei soldi, perdita al gioco in modo netto e di conseguenza rimettere i soldi, imbrogliare; me son petenàda le dréže mi sono pettinata le trecce; prov. te sés pròpio nasù l di ke l diàu petenèa so màre da sóte n su sei un essere veramente intrattabile, scontroso, riottoso, imbroglione.

 

petenàda sf. (pl. petenàde) pettinata. Dàse na petenàda pettinarsi un po' i capelli; čapà na petenàda prendere una fregatura, essere imbrogliati.

 

petenèla sf. (pl. petenèle) pettine a denti radi. Viene usato dalle donne per pettinarsi e per fermare il concio, fig. dentiera. Petenèla de òs, de čerulòide pettine di osso, di celluloide; petenèla del restèl regolo trasversale del rastrello munito di denti di legno; fig. kéla la a bèlo la petenèla quella donna, pur essendo giovane, porta già la dentiera.

 

pètin sm. (inv.) pettine. Pètin da čavéi, da làna, da lin, da kànego pettine da capelli, da lana, da lino, da canapa; al pètin del molìn rastrelliera di legno che si trova nella gora del mulino allo scopo di fermare sassi e detriti trasportati dall'acqua soprattutto durante piene e temporali. Pètin fis pettine coi denti molto fitti, pètin restuói pettine con i denti molto radi.

 

petìna sf. (pl. petìne) pasticca di menta. Čučàse na petìna succhiare una mentina.

 

péto sm. (pl. péte) scoreggia. Tirà n péto fare una scoreggia; tirà l péto pì gran de l ku fare il passo più lungo della gamba; par te bàsta n péto per eliminare te, ci vuole poco, vali davvero molto poco; kontà n ğìro dùte i péte (le pùže) malignare, pettegolare.

 

pèto sm. (pl. pète) petto, seno. Malatìa de pèto malattia di petto, tubercolosi; bàtese l pèto battersi il petto, pentirsi; negli altri casi il termine usato è stómego; pónta de pèto punta di petto, taglio di carne da brodo; pontapèto spilla, ago da balia.

 

pétol sm. (pl. pétoi) grumo, pallottola untuosa, coagulo. Èi i čavéi piéne de pétoi ho i capelli pieni di grumi (v. pétola).

 

petòl agg. (pl. petòi, f. petòla, pl. petòle) detto di tutto ciò che non è perfettamente sferico o rotondo. Késta ròda e petòla questa ruota non è perfettamente rotonda; tèsta petòla detto di chi ha la testa mal fatta o per indicare che è uno zuccone, che non capisce niente.

 

pétola sf. (pl. pétole) cacarella, grumo di sporcizia. L e pién de pétole è pieno di cacarelle; loc. ğavàse da le pétole cavarsi dagli impicci (v. pétol).

 

Petòla sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

petolón agg. (pl. petolói, f. petolóna, pl. petolóne) petulante. Èse n petolón essere petulante.

 

petoràl sm. (pl. petorài) pettorale, corsetto. Se a spakòu l petoràl del čavàl si è rotto il pettorale del cavallo.

 

petorìna sf. (pl. petorìne) pettorina. Sia quella del grembiule della donna che quella della camicia degli uomini. Garmàl, čaméśa ko la petorìna grembiule, camicia col pettino, camicia con la pettorina.

 

Petorìna sf. (top.) località in alta Val Lonğarìn.

 

petorós sm. (inv.) pettirosso (zool. Motacilla rubecola). Aisùda nté l mè brólo védo n grùmo de petorós a primavera nel mio orto volano sempre molti pettirossi (v. bét).

 

petùme sm. (solo sing.) mistura di acqua cemento e sabbia. Fèi n tin de petùme preparare un po' di calcestruzzo.

 

petumiéra sf. (pl. petumiére) betoniera, recipiente di ferro in cui si mescolano calce, acqua e sabbia per fare la malta. A fèi sto siòlo vo almànko dóe petumiére de čiménto per fare questo pavimento, ci vogliono almeno due betoniere di cemento.

 

petùs sm. (inv.) pulcino. Na koàda de petùs una covata di pulcini; al mè petùs! il mio pulcino!, il mio caro bambinello!; biandòu kóme n petùs bagnato fradicio come un pulcino.

 

petùsa sf. (pl. petùse) femmina di gallina giovane. Definita così da quando si conosce il sesso fino a quando comincia a deporre le uova. Ste petùse no a nkóra skominžiòu a pónde queste pollastre non hanno ancora cominciato a deporre le uova; tiràse su na petùsa prendere una sbornia solenne.

 

petusèl agg. (pl. petusiéi, f. petusèla, pl. petusèle) piccolo e inesperto. Te sés nkóra n petusèl sei ancora piccolo e incapace di difenderti.

 

péver sm. (inv.) pepe. Konžà kol sal e l péver condire col sale e pepe; garniéi de péver grani di pepe.

 

peverìn agg. (pl. peverìn, f. peverìna, pl. peverìne) persona minuta e pungente, aggressiva anche di fronte alle difficoltà. No sta èse kosì peverìn kon tó màre non essere così aggressivo con tua madre.

 

pèža  sf. (pl. pèže) pezza, straccio. Piccolo pezzo di stoffa che di solito si adopera per rattoppare capi di vestiario, fig. persona senza alcun valore, persona da nulla. Na pèža de làna una pezza di lana; la pèža de le skudèle lo straccio per lavare piatti e stoviglie; le pèže da pè pezze per i piedi che sostituiscono le calze, soprattutto nell'anteguerra durante il servizio militare; pèža da ku straccio per pulire il sedere dei bambini; avé le pèže sul ku avere le toppe sui pantaloni; béte su pèže biandàde fare impacchi con acqua calda o medicamenti; no sta pì nté le pèže scoppiare di gioia o di desiderio, di bramosia di qualcosa o di qualcuno; tu te sés na pèža da pès non vali nulla; pàre o màre de pèža padre o madre senza autorità; dim. pežùta, pežéta: béte la pežéta immischiarsi nelle faccende altrui, dire la propria opinione.

 

pèža  sf. (pl. pèže) forma. Pèža de formài forma di formaggio; nižà na pèža de formài aprire una forma di formaggio; dim. pežòla, pežoléta piccola forma di formaggio.

 

pèžo  sm. (pl. pèže) pezzo. Dàme n pèžo de kàrne dammi un pezzo di carne; fèi a pèže le léñe fare a pezzi, sminuzzare la legna; n pèžo de òn un pezzo d'uomo, un uomo grande e grosso; n pèžo de Markantònio un omaccione (v. tòko, bokón).

 

pèžo  sm. un pezzo, molto, riferito al tempo. Te èi spietòu n pèžo ti ho aspettato a lungo; dim. pežéto; me a točòu spietà n pežéto ho dovuto aspettare un bel po'.

 

pežorèl sm. (pl. pežoriéi) piccolo abete. Se no te spurge l bósko, i pežoriéi no vién su polìto se non tagli le piante superflue, i piccoli abeti non possono crescere bene .

 

pežuó sm. (pl. pežuós) abete rosso (bot. Picea excelsa). Brée de pežuó tavole di abete; léñe de pežuó legna di abete; prov. al pežuó no fa žariéśe non si può pretendere da una persona quello che non può dare; dim. pežorèl .

 

avv. più. Son pì bón de te sono più buono di te; no lo vedarèi mài pì non lo vedrò mai più; késte bràge kósta de pì questi pantaloni costano di più; pì ke mài più che mai; mài pì niente affatto; dutalpì tutt'al più, al massimo; par de pì per di più, inoltre; krédese da pì ritenersi superiore; de sóra pì di soprappiù, per giunta, oltre il prezzo pattuito; okóre pì pažénžia ci vuole più pazienza; al pì e fàto il più è fatto; parlà del pì e del mànko parlare del più e del meno; pì ke séa più che altro, specialmente.

 

piàdena sf. (pl. piàdene) zuppiera, piatto fondo. Na piàdena de menèstra un piatto di minestra (v. supiéra, fondìna).

 

piàga sf. (pl. piàge) piaga. Le bugànže a fàto piàga i geloni si sono trasformati in piaghe; la piàga de Piéro Pinžón un male da nulla, una ferita superficiale, commento dei genitori alle piagnucolose lamentele dei figli; l èra dùto na piàga era letteralmente coperto di piaghe.

 

piagàse vb. rifl. (me piagéo; piagèo; piagòu) coprirsi di piaghe. Me son piagòu dùto sono tutto coperto di piaghe.

 

piàn  sm. (pl. piàne) piano. Il piàn è la campagna che si trova nei pressi del paese, oppure si tratta anche di altri terreni relativamente pianeggianti. Paskol de piàn pascolo praticato attorno al paese; il termine forma anche numerosi toponimi: Piàn de Revìs, Piàn d Aósto, Piàn de Pagoñèi, Piàn de Čaśalì, Prapiàn, Piàn de Poórse, Piàn de le Čàve, Piàn de Paradìs, Piàn d Adàmo, Piàn dei Buoi, Piàn de la Lópa, Piàne. Al piàn de la tòla il piano della tavola; vìa pal piàn lungo un terreno pianeggiante; l čànpo e sul piàn il campo è in posizione pianeggiante; tu séa sul piàn e làsa a to pàre l érto tu falcia sul piano e lascia a tuo padre la parte ripida; ió stào al prìmo piàn io abito al primo piano; dim. pianosèl pianoro; prov. al vènto de kròda pòrta sarén, kon kel de piàn no se fa fién il vento che scende dalla montagna porta il sereno, quello di pianura porta il brutto tempo.

 

piàn  agg. (pl. piàne, f. piàna) piano, pianeggiante. La stràda e dùta piàna la strada è tutta pianeggiante.

 

piàn3 avv. adagio, sottovoce. Di a piàn camminare adagio; parlà a piàn parlare sommessamente; fèi a piàn lavora, muoviti senza fare rumore; piàn piàn adagio, adagio; dim. pianéto adagino, molto lentamente; piàn pianéto adagio, lentamente (v. ponpiàn, ponpianéto).

 

Piàn de Paradìs sm. (top) Forcella Paradiso, spallone sui monti a nord di Lozzo. É l'ultima balza della cresta delle Marmarole che dal Čaréido si protende verso nordest. Lo spallone, alpinisticamente detto forcella, si stacca nettamente dalla catena rocciosa per cui dal pianoro di Piàn de Paradìs si dominano la Val Poórse e la Val da Rin sottostanti mentre si può cogliere un ampio panorama che comprende verso nord il Cristallo coi Cadini e le Tre cime di Lavaredo, e ruotando via via verso est, la Croda dei Tóni, il Popera, Cima Bagni, le Cime di Ligonto, l'Aiarnola, tutte sopra Auronzo, Danta, con dietro il Comelico, dal Cavallino al Peralba, e più vicino le Terze col Tudaio, ma anche verso sud, la Mauria col Cridola, gli Spalti di Toro fino a forcella Spé e i monti che si spingono giù per la Valle del Piave, Cima delle Laste, Cima dei Preti, Dubièa e il Sassolungo di Cibiana. Solo verso ovest il Čaréido copre la vista verso l'Antelao e le Marmarole. Una strada mulattiera militare collegava il ricovero di Čaréido, l'attuale rifugio, con Piàn de Paradìs, dov'era situato un importante osservatorio antiaereo collegato via telefono al comando centrale.

 

Piàn de (del) Formài sm. (top.) località nella zona di Pian dei Buoi. All'incrocio della mulattiera per la Kaśèra de le Vàče e la strada che porta a Kòl Vidàl. Era il punto di arrivo della teleferica militare che partiva dalla località Le Spése a Lozzo. Si possono ancora vedere i ruderi.

 

Piàn de Kaśón sm. (top.) il termine si riferisce alla località in Val Lonğarìn, sulla destra orografica del Rio Rin vicino al Perón déi Foržiéi.

 

Piàn de Patèrna sm. (top.) località che si trova vicino a Čanpiviéi, sotto la Kròda de Patèrna.

 

Piàn dei Fàure sm. (top.) località a Moleniés de sóra.

 

Piàn déla Lópa sm. (top.) località vicino a Pian dei Buoi. Pianoro sottostante Pian de Formai immediatamente prima che la mulattiera proveniente da Lozzo incontri la strada militare che porta a Kòl Vidàl.

 

Piàn de la Stua sm. (top.) il termine si riferisce a due località diverse, una in Val Lonğarìn e una in Valdarìn (prima di arrivare al sito dove esisteva la vecchia Kaśèra).

 

Piàn déle Aste sm. (top.) località che si incontra lungo la strada che da Pian dei Buoi conduce a Čanpiviéi.

 

Piàn de Salasé sm. (top.) località che si trova sotto Valdažéne.

 

piàna sf. (pl. piàne) pialla. Laurà de piàna lavorare con la pialla, piallare; fig. di ko la piàna da pulì trattare con prudenza, con tatto; par di d akòrdo kon tó pàre, okóre dorà la piàna da pulì per andare d'accordo con tuo padre, che è un tipo focoso, bisogna usare prudenza.

 

pianà vb. trans. (pianéo; pianèo; pianòu) piallare, fig. appianare. Pianà na bréa piallare una tavola, un'asse; pianà le ròbe appianare le cose, renderle più agevoli, meno difficoltose.

 

piàna da kornìs sf. (pl. piàne da kornìs) pialla del falegname, moderuola.

 

piànde vb. trans. e intr. (piàndo; piandèo; piandésto, piandù) piangere. No sta pì piànde! non piangere più!; me piànde l kuór! mi piange il cuore!, soffro tremendamente!; piànde l mòrto lamentarsi per un male inesistente allo scopo di ottenere dei benefici; prov. piànde l mòrto par čavà l vìu fingersi nella miseria per imbrogliare la gente; piànde l karnavàl piangere il carnevale che finisce e cioè il periodo di allegria; no okóre ke te piànde smettila di piangere per cose da niente; prov. ki puó pi, piànde mànko il più forte e il più ricco sono avvantaggiati rispetto al più debole o povero; prov. ki ke stràža l tènpo da dóvin, piànde da vèčo chi spreca il tempo da giovane, piange poi quando diventa vecchio.

 

piandésta sf. (pl. piandéste) pianto. Parkè la se śbóke, okoraràe na bèla piandésta perché si liberi dal dolore servirebbe un pianto liberatorio (v. žigàda).

 

piandùda sf. (pl. piandùde) pianto. Kuàn ke se a maridòu só fìa, l se a fàto na bèla piandùda quando sua figlia si è sposata, ha pianto molto (v. piandésta).

 

piandužà vb. intr. (piandužéo; piandužèo; piandužòu) piagnucolare. Parkè piandužéesto de kontinuo? perché piagnucoli sempre?

 

pianèla sf. (pl. pianèle) pantofola, ciabatta. Di n pianèle camminare in ciabatte; fig. restà n pianèle rimanere pressoché sul lastrico.

 

pianèla de la Madòna sf. (pl. pianèle de la Madòna) fiore, Pianella della Madonna (bot. Cypripedium calceolus).

 

pianéto avv. pianino, adagino (v. piàn).

 

Piànği sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Pianižòle sf. (top.) località a nordest del paese sopra Loréto.

 

pianpiàn avv. adagio, senza far rumore. Va pianpiàn! cammina adagio!; fèi pianpiàn! muoviti, lavora senza far rumore; dim. pianpianéto adagino.

 

piànta sf. (pl. piànte) albero, pianta. Piànta de làris, pežuó, pin pianta di larice, abete, pino; avé kuàtro bèle piànte essere proprietari di un bosco con alcune piante alte e grosse; piànta da fòia, da déma, da dàsa faggio, larice, abete; fig. la piànta dei pès la pianta dei piedi; piànta de le batadóire incudine .

 

piànta de le batadóire sf. (pl. piànte de le batadóire) incudine per l'affilatura della falce che di volta in volta veniva fissata su una žòka o su una trave o su un sasso con foro apposito. Questo tipo era molto corto a differenza dell'altro che veniva fissato nel terreno ed era pratico per zone distanti dai tabiàs.

 

piantà vb. trans. (piànto; piantèo; piantòu) seminare, trapiantare, abbandonare. Piantà faśuói seminare fagioli; piantà làris, pežuó trapiantare larici, abeti; al me a piantòu sul pì bèl mi ha abbandonato sul più bello; piantà čòde piantare chiodi, fare debiti; piàntela smettila, finiscila; prov. añó ke l pàre piànta l čòdo, l fiól pìča l čapèl spesso i figli per riuscire a far qualcosa, si servono del terreno che il padre ha preparato loro, continuano per tradizione il lavoro del padre (v. npiantà).

 

piantèra sm. (solo sing.) pianterreno di casa e fienile. Èi sènpre vu la kośìna a piantèra ho sempre avuto la cucina al pianterreno.

 

piañukolà vb. intr. (piañukoléo; piañukolèo; piañukolòu) piagnucolare, lamentarsi. Te piañukolée par nùia ti lamenti per un nonnulla (v. piandužà).

 

piañukolón agg. (pl. piañukolói, f. piañukolóna, pl. piañukolóne) piagnucolone. Te sés pròpio n piañukolón! ti lamenti davvero sempre per niente!

 

piàśe vb. intr. (piàśo; piaśìo; piaśésto, piaśìu, piaśù) piacere. Ió piàśo a dùte io piaccio a tutti; me piàśe laurà mi piace lavorare; me piàśe le nośèle mi piacciono le nocciole; fèi pùra kél ke te piàśe fai pure quello che ti piace; prov. kuàn ke piàśe l ğàl, piàśe ànke l polinèi quando piace il proprio marito, allora si accetta anche il suo paese d'origine, l'innamoramento verso un uomo fa passare in secondo ordine il suo stato sociale, come l'abitazione o la provenienza (v. piaśì).

 

piaśènte agg. (nv.) piacente, carino, simpatico. La se a tólesto n òn piaśènte si è sposata con un uomo piacente.

 

piaśentìn agg. (inv.) piacentino, di Piacenza. Formài piaśentìn formaggio piacentino, formaggio grana.

 

piaśì vb. intr. (piàśo; piaśìo; piaśésto, piaśìu, piaśù) piacere. Pénso de piaśì a n grùmo de dènte credo di piacere a tanta gente (v. piàśe).

 

piatèl sm. (pl. piatiéi) piattino. Sottobicchiere, piattino per tazzina. Béve l kafè kol piatèl bere il caffè col piattino, cioè versandolo un po' alla volta nel piattino perché si raffreddi, può avere anche il senso di persona raffinata a cui si offre la tazzina col piattino; di n ğìro kol piatèl elemosinare.

 

piàto sm. (pl. piàte) piatto. Mañà n piàto de menèstra mangiare un piatto di minestra; lavà do i piàte lavare i piatti, le stoviglie; suià do i piàte asciugare i piatti dopo averli lavati (v. fondìna, supiéra, piàdena).

 

piàtola sf. (pl. piàtole) blatta, piattola (zool. Phthirius pubis), fig. chi si lamenta sempre per nulla. Te sés pién de piàtole sei pieno di piattole; te sés pròpio na piàtola sei davvero un piagnisteo.

 

piatolà vb. intr. (piatoléo; piatolèo; piatolòu) piagnucolare, lamentarsi. Parkè piatoléesto sènpre? perché ti lamenti sempre?

 

piatolón agg. (pl. piatolói, f. piatolóna, pl. piatolóne) piagnucolone, piagnisteo. Tó suó e na piatolóna tua sorella è una piagnistea (v. ñàña).

 

Piàve sf. (top.) il Piave, è il fiume principale che attraversa il territorio del Cadore. Nasce sul Peralba e sfocia nel mare Adriatico; lambisce il territorio di Lozzo e segna il confine tra il comune di Lozzo e l'Oltrepiave ricevendo tutte le acque di rivoli e ruscelli. Di a goà do da la Piàve andare a fare il bagno nel Piave.

 

Piàža  sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

piàža  sf. (pl. piàže) piazza. Le piazze del paese sono tre: Piàža Da Rin (nome recente) o delle Fàule dove si riunivano i regolieri per discutere dei problemi amministrativi della comunità; Piàža Vèča ora Piazza Pier Fortunato Calvi che ha una grande fontana; Piàža IV Novènbre detta La Piàža, piazza di Lozzo per antonomasia dedicata ai caduti della I Guerra Mondiale. Di n Piàža vuol dire quindi vado in Piazza IV novembre; fig. fèi piàža pulìda sgomberare, fare spazio; ruinà la piàža rovinare la piazza, abbassare esageratamente i prezzi, screditare qualcuno.

 

piažaròt agg. (pl. piažaròte, f. piažaròta) persona smaliziata, vagabondo, perditempo, fannullone. Tò fiól e sènpre stòu n piažaròt tuo figlio è sempre stato un fannullone (v. strakapiàže).

 

Piàže de Fontàna sm. (top.) località a nord di Lozzo, un tempo prativa e lo testimoniano i vari fienili tuttora esistenti, ci si arriva attraverso una ripidissima mulattiera.

 

Piàže de konfìn sm. (top.) località a nord di Lozzo, sopra la attuale strada che porta al rifugio Baión, circa a metà strada tra il rifugio stesso e il sito dove sorgeva la vecchia casera Konfìn.

 

Piàže de travài sm. (top.) località a nord del Kaśón de Čanpeviéi.

 

piažér sm. (pl. piažéri) piacere, favore, soddisfazione. Ma fèime n piažér! ma fammi un piacere!, ma cosa dici!; èi vu piažér de koñósete mi ha fatto piacere conoscerti; i èi fàto n grùmo de piažér gli ho fatto un sacco di favori.

 

pičà vb. trans. (pìčo; pičèo; pičòu) appendere, agganciare. Èi pičòu la ğakéta sul čòdo ho appeso la giacca al chiodo (v. despičà, pikà).

 

pičačàže sm. (inv.) clavicola. L e tomòu e l se a spakòu l pičačàže è caduto e si è fratturato la clavicola.

 

Pìči  sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

pìči  poči avv. in modo disordinato. Vestìse kóme n pìči-pòči vestire sciattamente e in modo disordinato; te somée n pìči- pòči assomigli ad uno straccione, sei vestito male e senza personalità.

 

Pičòu sm. (top.) località a nord di Lozzo, zona boscata sulla destra orografica del Rio Rin in prossimità delle vecchie prese dell' acquedotto della Tempia.

 

piegà, piegàse vb. trans. e rifl. (piégo; piegèo; piegòu) piegare. Prov. e mèo piegàse ke skavažàse è meglio piegarsi che spezzarsi, meglio cedere in qualcosa che perdere tutto.

 

pién agg. (pl. piéne, f. piéna) pieno, colmo. N gòto pién de làte un bicchiere di latte; pién kóme n lumìn ubriaco fradicio; son bèlo piéna de te non ne posso più di te; pién de bìle pieno di rabbia, di rancore; èse pién fin nté l kòl sono profondamente addolorato, ne ho piene le tasche, essere pieno fino al collo, cioè essere completamente sazio; n pién in compenso; n pién, le ròbe, no va mal nel complesso, le cose non vanno poi così male; fèi le ròbe de pién portare a termine le cose; pién kóme n vuóu pieno come un uovo, pieno pieno, ubriaco fradicio; prov. parkè l sée pién, okóre ke l vàde par sóra una cosa è veramente completa, solo se tutti la vedono.

 

piéra sf. (pl. piére) pietra levigata, pietra focaia. Piéra nfernàl pietra infernale, nitrato di argento adoperato in medicina come caustico; mal de la piéra calcolosi al fegato o alla vescica.

 

pieréta sf. (pl. pieréte) caramellina quadrata di zucchero d'orzo, zolle di zucchero, pietrina dell'accendino. Va dó n kopratìva a tòle n èto de pieréte vai alla cooperativa ad acquistare 1 etto di caramelle d'orzo, o zolle di zucchero; sta makinéta a bèlo la pieréta fruàda questo accendino ha la pietrina consumata.

 

Pierìn, Piéro, Pierùto sm. (nome) ipoc. di Pietro. Añó ke va Piéro, no va pì Pàulo chi ha la pancia già piena, non ha spazio per altro cibo, dove sta una cosa non ce ne può stare un'altra.

 

pièi sm. (pl. piès) pendio, declivio, costa, solatio. Di su pal pièi salire lungo il pendio; di do, ìnte, fòra pai piès discendere la costa, camminare lungo la costa verso est (ìnte) e verso ovest (fòra); śbrisà do pài piès scivolare lungo il pendio; vìa pal pièi lungo il pendio.

 

piéta sf. (pl. piéte) piega, risvolto. La piéta de la čaméśa la piega della camicia; la piéta del lenžuó il risvolto del lenzuolo; fèi le piéte a la karpéta fare le pieghe alla sottana; l a la pèl piéna de piéte ha la pelle piena di rughe; prov. la piéta komodéa dùto per sistemare un vestito a volte basta fare una piega, fig. spesso basta poco per rimediare a un malanno; dim. pietìna.

 

pietìna sf. (pl. pietìne) orlo. Fèi la pietìna al fažoléto fare l'orlo al fazzoletto.

 

piéve  sf. (inv.) pieve, parrocchia (raro). L e stòu par tànte àne piovàn de la piéve de Vìgo è stato per molti anni parroco della pieve di Vigo.

 

Piéve  sm. (top.) Pieve di Cadore. I mañakàrte da Piéve i mangiacarte da Pieve; il soprannome deriva dal fatto che da lungo tempo a Pieve hanno sede molti degli uffici amministrativi importanti per tutto il Cadore.

 

Pifànio sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

pigòto sm. (pl. pigòte) picchio in genere, di varie specie, picchio cinerino (zool. Picus canus), picchio muratore (zool. Sitta caesia), picchio muraiolo (zool. Certhia muraria), picchio nero (zool. Picus martius), picchio minore (zool. Picus minor), picchio verde (zool Picus viridis). Kuàn ke don su dal tabià, sienton l pigòto ke bàte su la piànta quando andiamo su dal fienile, sentiamo sempre il picchio che batte sulla pianta (v. bèkalén).

 

pìk sm. (pl. pìke) piccone. Laurà de pàla e pìk lavorare con il badile e il piccone, lavorare da manovale (v. pikón).

 

pìka sf. (pl. pìke) forca. Trave fornita di cavicchi di legno a cui si appendono gli animali uccisi che devono essere spellati e ripuliti delle interiora. Na òta i sasìn dèa a la pìka una volta gli assassini andavano alla forca, venivano impiccati; tàka sto konìčo a la pìka! appendi questo coniglio al cavicchio!; fig. fèi àlgo par pìka fare qualcosa per ripicca; fig. fèi la pìka fare la forca, tradire; béte a la pìka mandare alla forca.

 

pikà, pikàse vb. trans. e rifl. (me pìko; pikèo; pikòu) impiccare, appendere, agganciare. Pìka sul čòdo la ğakéta appendi la giacca al chiodo; l e du a pikàse è andato a impiccarsi; se te vós pìkete pùra se vuoi va pure a rovinarti (v. npikà, pičà).

 

pikatabàri sm. (inv.) attaccapanni, fig. persona molto alta e magra, spilungone. Béte l kapòto sul pikatabàri! appendi il cappotto all'attaccapanni; se no te màñe te devènte n pikatabàri se non mangi diventi secco come un attaccapanni, uno spilungone.

 

pikolón, de pikolón avv. penzoloni I funàže sta polìto de pikolón le funi si mantengono bene se sono tenute penzoloni, appese ad un chiodo o ad un cavicchio; fig. èse de pikolón essere in forse, essere indecisi.

 

pikón sm. (pl. pikói) piccone. Tòle su l pikón e va a laurà prendi il piccone e va a lavorare (v. pik).

 

pìla sf. (pl. pìle) pila. La pìla de l àga santa la pila dell'acqua santa; la pìla de l òrğo la pila dell'orzo, vaso dove si procede alla pilatura dell'orzo.

 

pilà vb. trans. (piléo; pilèo; pilòu) pilare. Pilà l òrğo pilare l'orzo, liberarlo dalla lolla, cioè dalla brattea che ricopre i chicchi per renderlo adatto al consumo alimentare.

 

pilóna sf. (pl. pilóne) mannaia. Si tratta della mannaia che viene adoperata per levare la corteccia e i nodi delle piante. Adès me tóča tornà nté tabià a tòle la pilóna, ke me la son desmenteàda n àutra òta adesso devo ritornare nel fienile a riprendere la mannaia perché me la sono dimenticata ancora una volta.

 

pilonà vb. trans. (pilonéo; pilonèo; pilonòu) arrotondare gli estremi dei tronchi tagliati. Ñànte de deśboskà le tàe, okóre pilonàle prima di condurre a valle le piante, bisogna arrotondare le estremità, l'operazione viene fatta per facilitare lo scorrimento dei tronchi lungo la discesa fino a valle .

 

pilukà vb. trans. (pilukéo; pilukèo; pilukòu) mangiucchiare, mangiare poco e di malavoglia. Fin ke te pilukée, no te krése finché continuerai a mangiare così poco e di malavoglia, non diventerai grande e grosso (v. pelukà).

 

pìn sm. (inv.) pino silvestre (bot. Pinus sylvestris). Nté l mè bósko é pìn asèi nel bosco di mia proprietà ci sono pini a sufficienza .

 

Pìna sf. (nome) ipoc. di Giuseppina.

 

pinčà vb. trans. (pìnčo; pinčèo; pinčòu) coire, imbrogliare. No sta lasàte pinčà non lasciarti imbrogliare.

 

pinčàda sf. (pl. pinčàde) coito, raggiro, fregatura. Èi čapòu na bèla pinčàda ho preso una bella fregatura, sono stato solennemente imbrogliato.

 

pìndol  sm. (pl. pìndoi) birillo, gioco della lippa. È un gioco estivo che si può fare in diverse maniere: si mette ad una certa distanza un birillo di legno appuntito alto una ventina di centimetri che deve essere rovesciato lanciando sassi scheggiati (làste); oppure si traccia a terra un cerchio di circa cinquanta centimetri di raggio, si prende un pezzettino di legno (pìndol) lungo una decina di centimetri, appuntito da entrambe le parti, lo si posa all'interno del cerchio stesso, e lo si colpisce con un bastone per farlo saltare il più lontano possibile; l'avversario deve cercare di prenderlo e rilanciarlo nel cerchio. Giochi non più praticati, il secondo poi era assai pericoloso.

 

pìndol  agg. (pl. pìndoi) babbeo, semplicione. Tó fardèl e n pìndol tuo fratello è un babbeo.

 

pìnfete escl. colpo. E pìnfete, l e du a śbàte! è andato a sbattere!; fèi pìnfete! andare a sbattere! (v. pùnfete, patapùnfete).

 

pìnia sf. (pl. pìnie) frangia. Le pìnie del fažoléto, del kuertór le frange del fazzoletto da testa, del copriletto.

 

Piniéde, Peniéde sf. (top.) località a sudovest del paese che si trova sotto S. Anna, vicino a Pantàn.

 

pìnio sm. (inv.) pelucchi di tessuto. Te as netòu la fenèstra ma e restòu dùto l pìnio hai pulito la finestra ed ora sono rimasti tutti i pelucchi sui vetri.

 

pìnža  sf. (pl. pìnže) focaccia (v. péta). La èra fàta de làte sórgo butìro e čarié era fatta con farina di mais, latte burro e cumino, si cuoceva dopo averla impastata, e messa in una carta, sotto la cenere del larìn.

 

Pìnža  sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

pinžón loc. la piàga de Piéro Pinžón la piaga di questo fantomatico personaggio, cioè una ferita di nessun conto, una semplice scalfittura.

 

pìo pìo tià tià escl. onomatopeica di richiamo della massaia perché le galline vadano a mangiare il becchime o rientrino nel pollaio.

 

Piói, i sm. (top.) località nel territorio di Lozzo lungo la strada cosiddetta de la Sofìta, che da Moleniés attraverso il Čavalón porta in direzione del Kaśón de Čanpeviéi. Si trattava di un tratto di strada molto pericoloso che necessitava di una protezione sicura per cui vi erano delle travi e delle sponde di legno lungo il percorso.

 

piól sm. (pl. piói) balcone, poggiolo. L piól de la sofìta il poggiolo della soffitta; béte fòra la ròba sul piól a suiàse stendere la biancheria lavata sul poggiolo ad asciugare (v. pòdo, penìžo).

 

piónba sf. (pl. piónbe) sbornia. Èi na piónba ntórneme! ho una sbornia addosso! oppure ho un febbrone, sto molto male; na piónba de sòn avere un sonno terribile.

 

pionbàda sf. (pl. pionbàde) burrone, precipizio, parete di roccia a picco. Do de sóte de Sórakrépa e na pionbàda sotto Sórakrépa c'è un grande precipizio.

 

pionbìn sm. (inv.) piombino del muratore, pallino di piombo con cui si caricano le cartucce. Dòra polìto kel pionbìn, ke l mùro véñe su dréto adopera bene quel piombino in modo che il muro non vada fuori piombo (v. balìn).

 

piónbo sm. (pl. piónbe) piombo, attrezzo del muratore. Òčo ke kel mùro e fòra de piónbo attenzione che quel muro non è dritto, non è a piombo; fig. te sés a piónbo sei a posto, sei sistemato.

 

Pionòno sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

pióva sf. (pl. pióve) pioggia. E óra ke l fàže n tin de pióva è ora che piova un po'; nùvole da pióva nuvole da pioggia; prov. kuàn ke le nùvole fa làna, la pióva no e lontàna quando il cielo è coperto di cirri, la pioggia non tarda a venire; lo stesso per kuàn ke le nùvole fa puìna, la pióva l e vižìna; kuàn ke le nùvole fa saléte, pióva le nprométe quando le nuvole hanno forma simile a degli scalini, promettono pioggia; la prìma pióva d aósto, renfréska l bósko la prima pioggia d'agosto rinfresca il bosco, cioè con la prima pioggia d'agosto, ci si avvia ormai verso l'autunno; prov. pióva de ğenàro, bròśa de màğo pioggia di gennaio, brina di maggio, se non fa freddo d'inverno, farà freddo a primavera; tré kalìge fa na pióva molta nebbia equivale ad un acquazzone; prov. daspò la pióva vién l sarén (bèl tènpo) dopo la pioggia viene il bel tempo, dopo la tristezza torna la gioia; la pióva de nkuói a ruinòu dùte i ğerànie la pioggia battente di oggi ha rovinato tutti i gerani.

 

piovàda, piovùda sf. (pl. piovàde) acquazzone. Sta piovàda a fàto pì mal ke polìto questo acquazzone ha fatto più male che bene; sta piovàda a renfreskòu l ària questo rovescio ha rinfrescato l'aria.

 

piovàn, pioàn sm. (pl. piovàne) pievano. Al pioàn de Vigo il pievano di Vigo (v. piéve).

 

pióve vb. imp. (pióve; piovèa, piovésto o piovù) piovere. Sta nuóte pióve žènžàutro questa notte pioverà senz'altro; se no pióve n tin, sàne autivói se non pioverà un po' non crescerà l'erba per l'ultimo sfalcio dei prati; prov. stelòu fis, domàn l pióve quando il cielo ha molte stelle indica che la pioggia si sta avvicinando; prov. se pióve l di de l Asensión, vién èrba su l perón se piove il giorno dell'Ascensione ci sarà un anno molto fertile; prov. se pióve l di de l Asènsa, pióve dornàde trènta se piove il giorno dell'Assunzione, pioverà per altri trenta giorni; prov. se pióve l di de San Bartolamìo, dùto l autóno i va drìo se piove il giorno di San Bartolomeo (24 agosto), pioverà per tutto l'autunno seguente; prov. se d invèrno pióve, d istàde nevéa se non fa freddo d'inverno, lo farà d'estate.

 

pióvego, piódego sm. (solo sing.) lavoro svolto da ciascun regoliere nell'interesse comune su commissione della Regola o del marìgo. Dapò l śguèrño e dùde dùte a pióvego par śgualivà le stràde dopo il gran temporale tutti i regolieri hanno partecipato alla sistemazione delle strade.

 

pioveśinà vb. imp. (pioveśinéa; pioveśinèa; pioveśinòu) piovigginare. L a pioveśinòu dùta la nuóte ha piovigginato tutta la notte.

 

pioveśìna sf. (pl. pioveśìne) pioggia minuta e rada, pioggerellina. Sta pioveśìna e òro par la salàta questa pioggerellina è ideale per far crescere l‘insalata.

 

pipà vb. intr. (pìpo; pipèo; pipòu) fumare. Tu te pìpe de kontinuo tu fumi continuamente.

 

pipàda sf. (pl. pipàde) pipata, fumata. Fèi na pipàda fare una fumatina; na pipàda de tabàko quantità di tabacco che può contenere una pipa.

 

Pipéta sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

pirèli sm. (solo pl.) scarpe di gomma. Il nome si rifà al produttore, l'industriale Pirelli; me èi konpròu n pèi de pirèli ho acquistato un paio di scarpe di gomma.

 

pirlà  vb. intr. (pìrlo; pirlèo; pirlòu) gorgheggiare. Èi n lugerìn ke pìrla dùto l di ho un lucherino che gorgheggia tutto il giorno.

 

pirlà  vb. intr. (pìrlo; pirlèo; pirlòu) girare vorticosamente, detto di ruote e ingranaggi, fig. svignarsela, correre. Vàrda kóme ke la pìrla guarda come gira vorticosamente quella ruota.

 

pìrola sf. (pl. pìrole) pillola. Pìrola pal mal de tèsta pillola per il male di capo; tòlete na pìrola! prenditi una pillola!; prov. pa sta polìto: pìrola de pìta e n tìn de àga de vìta per mantenersi sani si consigliano uova e qualche bicchierino di grappa.

 

pirón sm. (pl. pirói) forchetta. Mañà la polènta kol pirón comportarsi da gran signore come insegna il galateo; tratà su la pónta del pirón trattare il prossimo sulla punta della forchetta, trattarlo con i dovuti riguardi; markà kol pirón segnare più volte lo stesso credito, agire in modo disonesto.

 

pironàda sf. (pl. pironàde) forchettata. Èi mañòu na pironàda de tegolìne ho mangiato una forchettata di fagiolini.

 

pìs sm. (inv.) piscio, orina. Deśvóita l bokàl del pìs vuota il vaso da notte dell'orina; èse pién de pìs puzzare di orina, farsela addosso (v. čapapìs).

 

pisà vb. intr. (pìso; pisèo; pisòu) pisciare, orinare. Pisàse sóte farsela addosso; pisà nté l liéto fare la pipì a letto; pisà fòra dal bokàl fare le cose fuori tempo e fuori luogo; kè vósto parlà tu ke te pìse nkóra nté l liéto! sei ancora un bambino e vuoi comportarti da adulto! era un modo di dire degli anziani che volevano zittire i più giovani; prov. ki ke pìsa kòntro vènto, se biànda le bràge chi agisce senza buon senso, poi ne subisce le conseguenze.

 

pisàda sf. (pl. pisàde) pisciata. Fèi na pisàda fare una pisciata, orinare; èi na pisàda pa le màn ho un forte bisogno di orinare.

 

pisàndol sm. (pl. pisàndoi) cascatella d'acqua. Dal nome deriva il toponimo Pisàndol cascata che si trova oltre la Val Lonğarìn sul Rodolésko.

 

pisanlèto  sm. (pl. pisanlète) chi fa la pipì a letto, enuresico, fig. marmocchio (v. pisažèi, pisažèra).

 

pisanlèto  sm. (pl. pisanlète) fiore giallo del dente del leone, chiamato anche radìčo da čànpo, soffione (bot. Taraxacum officinale), con azione purgante.

 

pisaròta sf. (pl. pisaròte) piccola vena d'acqua. Ha un getto d'acqua sufficiente per potersi dissetare e per riempire la barìža; fig. fuoruscita abbondante di sangue; dal kanón del brénte vién fòra apéna na pisaròta dalla canna della fontana esce solo un filo d'acqua.

 

pisaròto sm. (pl. pisaròte) sgocciolio, stillicidio. N pisaròto de àga uno stillicidio d'acqua; l pióve a pisaròto piove a catinelle; me èi taiòu e l sàngo veñìa fòra a pisaròto mi sono tagliato ed il sangue usciva ininterrottamente.

 

pisažèi agg. (pl. pisažèi, f. pisažèra, pl. pisažère) piscione, fig. bambino e bambina. Te sés n pisažèi sei un piscione; e nasù n pisažèi, na pisažèra è nato un piscione, una pisciona, sono nati cioè un bambino e una bambina, detto in modo scherzoso.

 

pisažón agg. (pl. pisažói, f. pisažóna, pl. pisažóne) piscione (v. pisažèi).

 

pisìn sm. (inv.) orina, piscio. Fèi pisìn fare la pipì, detto a bambini; no sta sčaudàte l pisìn! non arrabbiarti!

 

pìśol, piśolìn sm. (pl. pìśoi) pisolino. Me son fàto pròpio n bèl pìśol mi sono fatto davvero un bel pisolino.

 

piśolàse vb. rifl. (me piśoléo; piśolèo; piśolòu) appisolarsi. L tùto se a piśolòu alòlo il bambino si è appisolato subito; me èi piśolòu vìa na ğèra mi sono assopito un momento.

 

pisón agg. (pl. pisói, f. pisóna, pl. pisóne) piscione, detto specialmente di un bambino che fa la pipì a letto.

 

pisòto sm. (pl. pisòte) piscio, orina. Termine che appartiene al linguaggio dei bambini; àsto fàto pisòto? hai fatto la pipì?

 

pisòž sm. (pl. pisòže) orina sparsa ovunque, pisciatoio, latrina. Ka e dùto n pisòž qui c'è orina sparsa ovunque!

 

pispóra sf. (pl. pispóre) punta per spaccare grosse pietre. Sta pispóra okóre spižàla parkè no la va pi a questo puntale bisogna rifare la punta perché non funziona più bene.

 

pistàña sf. (pl. pistàñe) bavero della giacca, del corpetto o di altro. La ğakéta a la pistàña de frustàño la giacca ha il bavero di fustagno.

 

Pistèno sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

pistòk sm. (inv.) bastone da montagna con la punta di ferro. Il termine deriva dal tedesco “Alpenstock”. Žènža pistòk no vàdo da nisùna pàrte senza bastone da montagna non vado in nessun luogo; l pistòk se lo dòra par čatà i kaposàlde il bastone con la punta di ferro si adopera per trovare la pietre di confine quando si tracciano le confinazioni.

 

pistór sm. (inv.) panettiere, fornaio. Kel mò e n brào pistór! quello si che è un bravo panettiere; (v. fornér, panetiér).

 

pistorìa (raro) sf. (pl. pistorìe) forno, panetteria. L a lauróu par àne nté na pistorìa ha lavorato per anni in una panetteria (v. fórno).

 

pìta sf. (pl. pìte) gallina. Pìta da vuóve gallina da uova, ovaiola; pìta da bró gallina vecchia buona solo per fare il brodo; molà le pìte far uscire le galline dal pollaio; parà ìnte le pìte mandare le galline nel pollaio; la pìta pónde la gallina depone le uova; la pìta sčòža la gallina che chioccia; čamà le pìte chiamare le galline perché vengano a mangiare; il richiamo tipico è tià!, tià!, pìte tià!; la pèl de pìta la pelle d'oca; prov. òñi pìta vó bén ài sò petùs tutte le mamme amano i propri figli, brutti o belli che siano; prov. pìta vèča fa bón bró gallina vecchia fa buon brodo; prov. le pìte e le màre de le guère le galline sono la causa dei litigi fra vicini di casa; ko vién frédo, le pìte sèra l ku quando viene freddo le galline smettono di deporre le uova; la pìta ke čànta a fàto l vuóu la gallina canta dopo aver deposto l'uovo; prov. mèo n vuóu nkuói, ke na pìta domàn meglio un uovo oggi che una gallina domani; pìta biànka pernice.

 

pitèr sm. (pl. pitère) vaso da fiori (raro). Èi nprestòu a to madòna dói pitèr ho prestato a tua suocera due vasi da fiori nuovi.

 

pìtima sf. (pl. pìtime) persona noiosa, petulante, malessere generale. Va la ke te sés na bèla pìtima! va là che sei davvero noioso!; èi na pìtima ntórneme sono stanco e malaticcio; èi na pìtima ntórneme sono molto ammalato, sono ubriaco fradicio; te as tiròu su na pìtima hai preso una sbornia.

 

pitokà vb. intr. (pitokéo; pitokèo; pitokòu) elemosinare, pitoccare. La e teñóśa grifàña, ke la pitokéa ànke su l da mañà è così avara che risparmia anche sul mangiare.

 

pitokéto sm. (solo sing.) rubamazzo, gioco delle carte. Dugà a pitokéto giocare a rubamazzo.

 

pitòko agg. (pl. pitòke, f. pitòka) miserabile, spilorcio, più in senso morale che materiale. Se véde da kóme ke l se viéste ke l e n pitòko da come si veste si vede che è una persona spilorcia.

 

pitón sm. (pl. pitói) pannocchia di granoturco. Il termine può indicare anche il tutolo, torsolo della pannocchia. Tòle su i pitói raccogliere le pannocchie; kavalòte de pitói mazzi di pannocchie che vengono appesi in soffitta su apposite stanghe perché rimangano all'asciutto e completino l'essicazione; fèi fuóu kói pitói fare fuoco coi tutoli, sistema per fare economia sulla legna; pitón da làte (mùžole) pannocchia di granoturco i cui granelli non sono ancora maturi e sono quindi lattiginosi; la pannocchia viene abbrustolita sulla brace e per essere rosicchiata (v. mùžola).

 

pitonàto sm. (pl. pitonàte) pigna degli abeti, pannocchia senza grani, tutolo della pannocchia del granoturco. Di a pitonàte andare nel bosco in cerca di pigne; npìžà fuóu kói pitonàte accendere il fuoco con le pigne .

 

pitór sm. (pl. pitóre) imbianchino, decoratore. Késto no e n pitór, e n manoàl questo non è un vero imbianchino, è solo un imbrattatele.

 

pitòsto avv. piuttosto. Pitòsto morì ke žiéde! è meglio morire piuttosto che cedere!

 

piùma sf. (pl. piùme) piuma. N kusìn de piùme un cuscino di piume; lediér kóme na piùma leggero come una piuma.

 

piumìn sm. (inv.) piumino. Erano piccoli piumini che si mettevano solo sulle gambe e sui piedi, al di sopra delle coperte, non piumini grandi di penne d'oca come si usa attualmente. D invèrno par sta čàude okóre l piumìn sul liéto d'inverno per stare caldi, è necessario avere a letto il piumino.

 

piurà  vb. trans. e intr. (piùro; piurèo; piuròu) lamentarsi. Kè àsto ke te piùre sènpre? perché ti lamenti sempre?; piùra pùra, tànto no te dào nùia piangi pure, tanto non ti dò nulla!; piurà (piànde) l mòrto, par čavà l vìu lamentarsi con inganno per attirare la compassione del prossimo e per avere un utile.

 

piurà  vb. intr. (piùro; piurèo; piuròu) decantare, lasciar chiarificare un liquido. Lasà piurà la menèstra lasciar decantare la minestra.

 

piurón agg. (pl. piurói, f. piuróna, pl. piuróne) piagnucoloso. Te sés sènpre stàda na piuróna sei sempre stata una persona che si lamenta per un nonnulla.

 

piuròu agg. (pl. piuràde, f. piuràda) decantato, chiarificato. Al kafè no e nkóra piuròu del dùto il caffè non è ancora del tutto decantato.

 

pivìda sf. (pl. pivìde) pipita. Kuàn ke le pìte a la pivìda le a sènpre séide quando le galline hanno la pipita hanno sempre sete; le galline, quando sono colpite da questa malattia per cui la lingua si ricopre di una pellicola bianca, che impedisce la deglutizione, hanno sempre bisogno di bere; fig. detto anche a persona sonnacchiosa e distratta.

 

pižegà vb. intr. e rifl. (me pižegéo; pižegèo; pižegòu) pizzicare, pizzicottare, pizzicarsi, orticarsi. Èi točòu n autrìa e èi dùta la màn ke me pižegéa ho toccato un'ortica e tutta la mano mi pizzica.

 

pìžego sm. (pl. pìžege) pizzicotto, prurito, puntura. I mosìte me a ğenpìu le ğànbe de pìžege i moscerini mi hanno riempito le gambe di punture; loc. pìžego par menìžego ti racconto per filo e per segno; l a fàto l laóro pìžego par menìžego ha realizzato il lavoro rifinendolo punto per punto con precisione.

 

pìžol agg. (pl. pìžoi, f. pìžola, pl. pìžole) piccolo, giovane. Ste skàrpe e pìžole queste scarpe sono piccole, strette; te sés nkóra pìžol sei ancora piccolo, troppo giovane; da pìžoi da piccoli, in tenera età; prov. ko i pìžoi, pensiér pìžoi, kói grande, pensiér grande quando i bimbi sono piccoli, le preoccupazioni sono di poca importanza, quando diventano adulti, anche le preoccupazioni diventano notevoli; dim. pižolùto piccino, molto giovane; dispr. pižolàto detto di bambino irrequieto, vivace, cattivo, dim. pižoléto, pižolóto.

 

plào sm. (solo sing.) riposo. Fèi plào riposare, scioperare; vestì da plào vestito da festa, vestito da passeggio.

 

plèure sf. (solo plurale.) pleurite. Malòu de plèure malato di pleurite.

 

plòta sf. (pl. plòte) lastra di metallo o cemento usata per coprire tombini, botole e simili. Ka okóre na plòta qui c'è bisogno di una lastra; si chiama così anche la piastra della cucina economica.

 

avv. di nascosto. Sta n pó stare nascosti, stare al riparo; ànke se te stas n pó, te védo listéso anche se stai nascosto, ti vedo lo stesso; n pó la pòrta nascosto dietro la porta; fig. ànke par te le n pó la pòrta non credere di rimanere sempre giovane, anche tu con gli anni diventerai vecchio, il tempo passa veloce invecchierai anche tu.

 

avv. e rafforzativo ma si, ma naturalmente poi. Pò ke vósto? ma dunque, che cosa vuoi?; pò si ke védo! ma certamente che vedo!; pò nò ke no te lo dào! ma è naturale che non te lo dia!; kuàn ke pò te sararàs gran ... quando poi sarai diventato grande ...; n pò ke te sés ruòu! eri atteso e sei arrivato in ritardo!; pò su pò do pressappoco.

 

Póa sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

Počéśa sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

pòči loc. oh, l mè pòči! oh, il mio caro bambino! (v. pìči).

 

póčo , puóčo avv. poco. Prov. póčo lén, póče Sant'Antòne i mezzi devono essere adeguati alle necessità; ka de póčo fra poco.

 

póčo  agg. (pl. póče, f. póča) poco. Èi fàto rósto, ma èi mañòu póčo ho fatto l'arrosto, ma ne ho mangiato poco.

 

pòčo3 sm. (solo sing.) fango, mota. No stà sautà, no te véde ke te me skìže su l pòčo? non salterellare altrimenti mi schizzi il fango addosso; pa le stràde e dùto n pòčo le strade sono tutte infangate (v. pàča).

 

podé vb. servile (puói; podèo; podésto e podù) potere. No puói mañà non posso mangiare; no puói pi non ne posso più, non resisto più; puósto fèime sto piažér? puoi farmi questo piacere?; loc. ki puó, puó čò! chi può, può veramente, mio caro!, cioè chi ne ha la possibilità, può fare tutto quello che vuole; loc. se puólo? si può?, è permesso?; puó bén èse può essere, è possibile; poèse, puoèse, podàse può darsi; prov. ki puó pi, piànde mànko chi ha più possibilità, soffre di meno; prov. no se puó parlà e tàśe non si può parlare e tacere, non si possono fare contemporaneamente due cose opposte.

 

pòdin sm. (inv.) zuppiera, piatto molto grande. Me èi mañòu n pòdin de menèstra de faśuói ho mangiato un piatto enorme di minestra di fagioli (v. čadìn).

 

pòdo sm. (pl. pòde) poggiolo, balcone. Vàdo sul pòdo a čapà n tin de sol vado sul poggiolo a prendere un po' di sole (v. piól, penìžo).

 

pofarbìo escl. accidenti. Termine ormai caduto in disuso.

 

pofarmì agg. atteggiamento cupo, provocatorio. Persona, sia donna che uomo, dallo sguardo “bieco”, persona autoritaria, che vuole comandare. kè àsto ke te me vàrde kon kel pofarmì cosa hai contro di me con quello sguardo intimidatorio (v. profarmì).

 

poià, poiàse vb. trans. e rifl. (me póio; poèo; poiòu) appoggiare, deporre, posare, riposarsi, appoggiarsi. Èi poiòu do l pàko ho deposto il pacco; poià do la tèsta appoggiare la testa, addormentarsi; me póio do n tin mi riposo un pochino; no sta poiàte sul mùro ke te te spórke non appoggiarti al muro, altrimenti ti sporchi; dì a poiàse andare a coricarsi; poiàla vendicarsi, fare un brutto scherzo; te l èi poiàda! te l'ho fatta!, mi sono vendicato! (v. frakàda).

 

poiàn sm. (solo sing.) fiacca, sonnolenza. Sia la sonnolenza dovuta al caldo che quella dovuta alla cattiva digestione; èi n poiàn ntórneme! ho una sonnolenza addosso!

 

poiàna sf. (pl. poiàne) poiana (zool. Falco vulgaris). È un rapace ormai in via di estinzione. E ruòu la poiàna e la me a portòu vìa dóe pìte è arrivata la poiana e mi ha rubato due galline.

 

poiaròto sm. (pl. poiaròte) fuoco con molto fumo. Piccolo fuoco di breve durata; fèi n poiaròto a sčaudàse n tin le màn fa un fuochino che ci scaldiamo le mani; kè élo sto poiaròto? che cos'è mai questo fuoco così acre?

 

poiàta  sf. (pl. poiàte) cumulo di legna coperto di terra eretto per la produzione del carbone. N òta par fèi na poiàta okorèa n grùmo de tènpo una volta per costruire una poiàta ci voleva molto tempo; ko sta poiàta no se véde da kà a là con questo fumo non si vede ad un palmo di naso.

 

Poiàta  sf. (top.) località a nordest del paese tra Kornón e Moleniés, zona dove nei tempi passati si facevano le poiàte per fare il carbone.

 

poiàta, poiatèra sf. (pl. poiàte, poiatère) fumo acre prodotto da rami e foglie non completamente secchi che bruciano. Npìža la fràta, ma vàrda ke no fàže poiàta brucia la ramaglia, ma guarda che non faccia troppo fumo (v. barànčo).

 

pòla  sf. (pl. pòle) albero dalle dimensioni straordinarie. Vàrda ke pòle! guarda che piante enormi

 

póla  sf. (pl. póle) gallina. Il termine viene usato per chiamare le galline a mangiare: póle! póle! tià! tià! galline, galline, venite a mangiare; čamà le póle chiamare le galline (v. pita).

 

polàme sm. (solo pl.) pollame. Kuànto polàme! quanto pollame!, quanti polli!; fig. ka se màña sólo polàme qui non si mangia altro che carne di pollo; ió vàdo a kàža sólo de polàme sono appassionato solamente di caccia ai pennuti.

 

polàstro sm. (pl. polàstre) pollo, fig. sempliciotto, ingenuo. Mañà polàstro mangiare carne di pollo; ka no se čàta polàstre! qui non si trova gente da imbrogliare.

 

Pòldo sm. (nome) ipoc. di Leopoldo.

 

poleà sm. (pl. poleàs) cappuccio per proteggere le dita ammalate. Fèime n poleà! fammi una protezione da infilare nel dito ammalato (v. panarìžo).

 

poléfo agg. (pl. poléfe, f. poléfa) babbeo, balordo, grullo. Te sés pròpio na poléfa! sei proprio una balorda!

 

polènta sf. (pl. polènte) polenta. La polenta, assieme alle patate, è stata a lungo il principale cibo per le genti delle nostre vallate, il frumento infatti non cresceva e la farina per fare il pane costava troppo. La polenta veniva fatta tutti i giorni sul fuoco a legna, in un paiolo di rame che veniva appeso alla catena del larìn. Si mangiava calda a mezzogiorno e fredda o abbrustolita la sera a cena e, se avanzava, la mattina a colazione. Per sentirsi sazi, bisognava mangiarne molta, per cui spesso il companatico doveva essere molto piccante (formaggio vecchio con la ğóža o formaggio pecorino detto formài de féde) o veniva diluito molto per poterci intingere molta polenta. In alcuni periodi la miseria era tale per cui si era ridotti a mangiare polenta senza alcun companatico. Polènta dùra, trènda, moleśìta polenta dura, tenera, soffice; mañà polènta e formài, polènta e lugànege, polènta e làte, polènta čàuda, polènta fréda mangiare polenta e formaggio, polenta e salcicce, polenta spezzettata nel latte, polenta appena scodellata, polenta fredda; ñòke de polènta gnocchi di polenta, si preparano tagliando la polenta fredda in cubetti, che vengono poi scaldati nell'acqua bollente e poi conditi con ricotta grattugiata e burro fuso; mañà polènta séka mangiare polenta senza companatico; polènta brustolàda polenta abbrustolita sulla brace o sulla piastra della cucina economica; eh!, te as nkóra da mañà žénto polènte! eh!, devi mangiare ancora molta polenta! la frase è riferita ai bambini che si ritenevano ormai adulti ed emancipati; prov. mañà polènta ko na màn sóte l ku mangiare polenta con una mano sotto il sedere, cioè senza companatico; mañà polènta sùta o mañà polènta e ónğe mangiare polenta senza companatico; prov. ki ke spiéta polènta dài sióre, muóre da fàme chi aspetta di ricevere aiuto dai ricchi, rimane certamente deluso; polènta e formài: mañà da puóre diàu polenta e formaggio: cibo da poveri diavoli; kuàn ke la polènta e pìžola, tiénte la tò féta strénta quando la polenta è piccola, tieni stretta la fetta che spetta a te, perché nessuno te la porti via.

 

polentèi sm. (inv.) chi ama molto la polenta, chi è costretto a mangiare solo polenta. Na òta ereóne dùte polentèi ànke se no voleóne una volta eravamo mangiatori di polenta, perché non c'era possibilità di variare (v. polentón).

 

polentìna sf. (pl. polentìne) polenta tenera. È fatta con acqua, latte e farina gialla e viene versata a cucchiaiate nel piatto e poi condita con latte, ricotta affumicata e con burro fuso.

 

polentón agg. (pl. polentói, f. polentóna, pl. polentóne) persona lenta e goffa nel muoversi, chi mangia sempre polenta. Per essere amanti della polenta, i veneti venivano soprannominati polentoni con tono canzonatorio; se no l se muóve n tin de pi, to neódo restarà n polentón se non si muove di più tuo nipote rimarrà sempre lento e ritardato.

 

Poleśìn sm. (top.) località a nord del paese. Lungo la mulattiera che porta a Pian dei Buoi, poco più in basso di Brakùžo.

 

Polğét sm. (top.) località a nord del paese sull'altopiano di Pian dei Buoi. Dove sorgeva la Kaśèra de le Féde.

 

pòlis  sm. (inv.) pollice, alluce. Èi n panarìžo su l pòlis ho un giradito nel pollice; al pòlis del pè l'alluce.

 

pòlis  sm. (inv.) cardine della porta, cardine della cerniera. Okóre ónde i pòlis bisogna ungere i cardini; ónde i pòlis de la pòrta rendere scorrevoli i cardini della porta (v. brotuèla).

 

polìtika sf. (solo sing.) furbizia, diplomazia. Nte le ròbe okóre n tin de polìtika in qualsiasi situazione è sempre necessaria una certa furbizia, un po' di diplomazia.

 

polìto avv. bene, garbatamente, a modo. Vàrda de fèi polìto guarda di agire bene, guarda di comportarti sempre da galantuomo; l e stòu sènpre n tośàto polìto è sempre stato un bravo ragazzo; adès mò stào polìto adesso si che sto bene, adesso sì che mi sono rimesso; no l a mài fàto polìto non si è mai comportato da persona onesta.

 

polòne sm. (inv.) pollice, talloni, ginocchia di bambino. Avé i polòne ko la kràña avere le ginocchia con la crosta di sporco; avé i polòne de fòra avere le calze rotte al ginocchio.

Polònia sf. (nome) ipoc. di Apollonia

 

Polònio, Polòne sm. (nome) ipoc. di Apollonio.

 

pólpa sf. (pl. pólpe) polpa, polpaccio. Le pólpe de le ğànbe i polpacci; vàrda ke pólpe guarda che polpacci, guarda come è bene in carne.

 

polpéta sf. (pl. polpéte) polpetta di carne. Fèi dóe polpéte nkuói ke e patàte fai delle polpette visto che ci sono le patate per accompagnarle.

 

pólso sm. (pl. pólse) polso. Termine usato solo in alcune locuzioni. Il termine anatomico dialettale è konóğa. Tastà l pólso tastare il polso, sentire le pulsazioni cardiache, intravedere come sarà lo svolgersi di una situazione; fig. òn de pólso uomo di polso, energico.

 

poltrón agg. (pl. poltrói, f. poltróna, pl. poltróne) poltrone, fannullone. Te sés n poltrón sei un fannullone; prov. pài poltrói e sènpre fèsta per i poltroni è sempre festa.

 

poltronà vb. intr. (poltronéo; poltronèo; poltronòu) poltrire, oziare. Io no èi mài vu tènpo de poltronà io non ho mai avuto tempo per oziare, nella vita ho sempre dovuto lavorare duro.

 

poltronìśia sf. (pl. poltronìśie) poltroneria, inerzia, pigrizia. Ma kè élo dùta sta poltronìśia? ma cosa significa questa pigrizia?

 

poltronìte sf. (inv.) poltroneria, inerzia, pigrizia. Kel la sta dùto l di da na bànča a l àutra, l a la poltronìte krònica quello sta tutto il giorno seduto, è proprio un fannullone.

 

pólver sm. (inv.) polvere, sporcizia. Sto vènto ména sólo pólver questo vento solleva solo polvere; vàrda kuànto pólvér n ğìro guarda quanta polvere c'è dappertutto; pólvér da śbàro polvere da sparo.

 

polveréta sf. (pl. polveréte) polverina, cartina medicinale. Polveréta pài vèrme polverina per i vermi, vermifugo.

 

Pomadòna, Kostón o Kòsta de Pomadòna sm. (top.) località a nordest del paese sul versante di Auronzo, sottostante il Piàn de Paradìs sul versante sinistro della Val da Rin.

 

pomèl sm. (pl. pomiéi) pomello, impugnatura di cassetto o mobile in genere, i pomelli delle guance. Al pomèl de l armèr l'impugnatura della credenza; fig. àsto la fióra, ke te as i pomiéi dùte ros? hai la febbre visto che hai le guance così rosse? (v. pómol).

 

pomèla sf. (pl. pomèle) sorbo selvatico. E d autóno tàrde, la pomèla e dùta rósa siamo in autunno inoltrato e i frutti del sorbo sono maturi (v. menèstro).

 

pomèra sf. (pl. pomère) melo (bot. Malus communis). E bèlo àne ke sta pomèra no fa pì póme son anni ormai che questo melo non dà più frutti; stan le pomère e dùte čareàde quest'anno i meli hanno fruttificato molto.

 

pómo sm. (pl. póme) mela. Màñete sto pómo mangiati questa mela; biànko e ros kóme n pómo bianco e rosso come una mela, detto a chi ha il volto con i colori della salute; póme kodói mele cotogne; làseme l krònkol del pómo lasciami il torso della mela.

 

pómol sm. (pl. pómoi) pomello, impugnatura di cassetto o mobile in genere. Se a spakòu l pómol de l armèr si è rotto il pomello dell'armadio; al pómol de la kasèla, de la bagolìna l'impugnatura del cassetto, del bastone da passeggio (v. pomèl).

 

ponàro sm. (pl. ponàre) pollaio. Fig. di a ponàro andare a letto, rientrare in casa (v. pulinèi).

 

pónde  vb. intr. (póndo; pondèo; pondésto, pondù) deporre le uova, fig. lasciare il segno. La pìta a pondésto la gallina ha deposto l'uovo; añó ke te vas, te pónde dovunque passi lasci una traccia; prov. al siór a ànke l ğàl ke pónde a casa del ricco anche il gallo dà uova cioè ricchezza e fortuna spesso vanno a braccetto contrariamente al proverbio del povero che dice piove sul bagnato.

 

pónde , pondése vb. trans. e rifl. (me póndo; pondèo; pondésto, pondù) pungere, pungersi. La vèspa me a pondù la vespa mi ha punto; vàrda de no póndete stai attento a non pungerti; me èi pondù ko le autrìe mi sono punto con le ortiche; prov. le bòne paròle ónde, le trìste pónde le buone parole alleviano il dolori mentre quelle cattive li inaspriscono.

 

pondésta sf. (pl. pondéste) puntura, punzecchiatura. Késta e na pondésta de ràčo questa è una puntura di un aculeo (v. pondùda).

 

pondùda sf. (pl. pondùde) puntura, morso d'insetto. Par tirà fòra la déma dal déi, me èi čapòu n póče de pondùde per togliere gli aghi d'abete dalla gerla mi sono presa alcune punture (v. pondésta).

 

ponión sf. (pl. ponión) opinione, credenza. Sekóndo la mé ponión secondo il mio parere; èi ponión ke ... ho idea che ..., suppongo che ...; fis de ponión fissato nelle proprie idee; ponión al kàśo ke ... supponiamo che ...

 

ponpiér sm. (pl. ponpiéri) pompiere, vigili del fuoco. In Cadore, nello statuto della Magnifica Comunità, già intorno al 1400 si dettarono norme per la tutela degli abitati contro il pericolo del fuoco. Lo Statuto di Cadore, aggiornato al 30 ottobre 1485, al capitolo XLII prescrive: “In ogni Regola del Cadore si faccino dalli beni del Comune di Cador due scale e quattroangheri et in Pieve quattro scale et quattro anghieri, acciò che occorrendo caso di fuoco meglio si possa far diffesa.”; ed il capitolo XLIII ordina agli “officiali et consiglieri di provvedere all'organizzazione di spegnimento degli incendi nelle singole Regole del Centenaro.”. Verso la fine del 1800 si ritiene conveniente creare un'organizzazione apposita per tutti i Comuni del Cadore e nel 1894 venne approvato lo Statuto in occasione del II° Congresso dei Pompieri Volontari cadorini tenuto ad Auronzo. Anche Lozzo aderì alla Federazione che comprendeva fra il 1920 e '30 circa 600 militi (effettivi, aggregati, allievi). I Corpi cadorini erano autonomi finanziariamente poiché la popolazione è sempre stata molto generosa nei loro confronti. Numerose le partecipazioni dei Pompieri di Lozzo al salvataggio di fabbricati e persone anche nei Comuni vicini. Nel 1954 è stato ospitato a Lozzo il 49° Congresso con la presenza delle rappresentanze di tutti i Vigili del Fuoco del Cadore. Negli ultimi anni lo Stato ha avocato a sè il servizio antincendi e dotato alcuni paesi di caserme ed automezzi. Il servizio dei volontari è passato in secondo ordine ma mantiene un'ottima organizzazione che unita ad efficienza, ad un indomabile spirito di corpo e ad un consolidato senso del dovere, hanno fatto notare più volte nelle diverse calamità occorse, la tempestività ed efficienza con cui il servizio volontario riesce a coadiuvare le strutture pubbliche. La popolazione, va orgogliosa di tanta gratuita abnegazione, vi partecipa, e ne è riconoscente (notizie dal dr. Grazioso Fabbiani).

 

pónta  sf. (pl. pónte) punta. Sto vìn a la pónta questo vino ha una punta d'acido, comincia a inacidire; sto làte a na pónta questo latte sta diventarndo acido; le pónte del pirón le punte della forchetta.

 

pónta  sf. (solo sing.) polmonite. Čapà la pónta buscare la polmonite (v. ónta).

 

pontà  vb. trans. (pónto; pontèo; pontòu) appuntare, cucire, imbastire. L'operazione consiste nel congiungere due pezzi di stoffa con spilli o punti di cucito. Pontà la karpéta imbastire la gonna (v. npontà).

 

pontà  vb trans. (pónto; pontèo; puntòu) puntare con filo o spilli stoffe o simili, punti fitti col bulino per forare.

 

pontačavéi sm. (inv.) forcina, fermaglio per capelli.

 

pontakù avv. da cima a piedi. Di a pontakù cadere rotolando sul pendio. La bórsa e veñùda do a pontakù la borsa è rotolata testa coda.

 

pontàl sm. (pl. pontài) puntale, le punte di rinforzo per scarpe e pantofole. Al pontàl de le skàrpe il puntale delle scarpe; Kóñe béte l pontàl ài skarpéte déi tó fiói, kosì i dùra de pì bisogna mettere il rinforzo ai skarpéte dei tuoi figli, così dureranno più a lungo.

 

pontakòtole sm. (inv.) ago di sicurezza. Al se tién su le bràge kol pontakòtole si tiene su i pantaloni con un ago di sicurezza.

 

pontapèto sm. (pl. pontapète) spilla. Añó àsto konpròu kel bèl pontapèto? dove hai comperato quella bella spilla?

 

pontaruól sm. (pl. pontaruói) punteruolo. Tòle l pontaruól e fèi dói bus nté sta lamiéra prendi il punteruolo e fai due buchi su questa lamiera.

 

pònte sm. (inv.) ponte. I ponti principali che si trovano a Lozzo sono due: quello sulla Piave è chiamato il pònte nuóu e quello sul Rin all'entrata nel paese da Domegge, il pónteśel. C'era inoltre anche il pònte del prèe che collegava Pradèle con Čaśàte cioè Lozzo e Lorenzago, ed infine quello di Trepònti che permette di attraversare il Piave alla sua confluenza con l'Ansièi e così raggiungere Kornón e Moleniés. Diversi sono i piccoli ponti che attraversano il rio Rin o altri canali. Di ìnte dal pònte recarsi al ponte nuovo; di do dal pònte recarsi sul ponte del Rin; le nùvole fa pònte le nuvole fanno ponte con uno strato, cioè coprono tutto il cielo e rimangono molto basse senza portare pioggia, espressione che si rifà al detto nébia bàsa, bón tènpo làsa quando la nebbia è bassa contrariamente alle apparenze il tempo sarà buono; dim. pónteśèl (pl. pónteśiéi) ponticello, vìa dal pónteśèl.

 

pontèl sm. (pl. pontiéi) puntello.

 

pontelà vb. trans. (ponteléo; pontelèo; pontelòu) puntellare. Ponteléa polìto kel sofìto se nò vién do dùto puntella bene quel soffitto, altrimenti casca tutto.

 

pontèla sf. (pl. pontèle) puntella, sostegno. Fèi tu la pontèla ko la bréa, e ió bìčo la màlta bastàrda tu fai puntella con la tavola ed io butto la malta magra. La màlta bastàrda ora si compra in sacchi da 30/50 kg: sono separati (nel sacco) sabbia da cemento. Ñante betón na pontèla daspò ğavón l tràvo mettiamo prima il puntello poi togliamo la trave.

 

ponteśèl  sm. (pl. ponteśiéi) piccolo ponte. Ka tóča féi su n ponteśèl se se vo pasà l Rin qui bisogna costruire un piccolo ponte se si vuole oltrepassare il Rin.

 

Ponteśèl  sm. (top.) località lungo il rio Rin alle porte del paese di Lozzo, nei dintorni del ponte.

 

Ponteviére sm. (top.) località a est di Lozzo, sulla attuale via dei Missionari. Un tempo zona agricola ora periferia.

 

Pontičèlo sm. (top.) località ad ovest del paese. A un km sulla strada per Domegge. A Pontičèlo un tempo esisteva un'osteria, l'Osteria al Passeggio, l'espressione di fòra dal Pontičèlo voleva dire allora andare all'osteria del Ponticello a bere una palànka di vino o a fare una partita a carte.

 

pontidà vb. trans. (pontidéo; pontidèo; pontidòu) cucire con lo spago. Pontidà le soléte dei skarpéte cucire le suole delle pantofole; guśèla da pontidà ago per cucire con lo spago. Per far le solette degli skarpéte c' era un'operazione molto lunga da fare, perché si doveva unire insieme più pezzi di stoffa a forma di suola, passando parte per parte con lo spago con punti fitti fitti per darle solidità e durata. Lo spago di tipo sottile, veniva attorcigliato perché rompendo i nodi non si sfilacciassero. L'ago era piuttosto grosso e per agevolare la foratura delle stoffe, le donne punzecchiavano un pezzo di sapone che fungeva da lubrificante e lo spingevano con il ditale infilato nel dito (v. skarpéto).

 

pontìl sm. (pl. pontìi) cancello di legno che conduce nell'orto. L ğardenì del pontìl se a spakòu, dài na ranğàda il palo che fa da cerniera al cancello di legno dell'orto si è rotto, dagli una sistemata.

 

pontìlio sm. (pl. pontìlie) puntiglio, dignità, ripicca, amor proprio, ostinazione. Te sés žènža pontìlio non hai dignità, ti comporti male; fèi le ròbe kon pontìlio fare le cose per bene, con precisione, con tempestività.

 

pontiliós agg. (pl. pontilióśe, f. pontilióśa) orgoglioso, chi ha amor proprio. No se pó dìte nùia, te sés sènpre l sòlito pontiliós non ti si può dire niente, sei sempre il solito orgoglioso, permaloso, suscettibile.

 

pónto sm. (pl. pónte) punto. Èi fàto dói pónte a Skóa ho fatto due punti a Scopa; me mànča nkóra n pónto e èi fenìu mi manca ancora una cosa e poi ho finito; tirà su dói pónte fare una sutura con due punti; ğavà i pónte togliere i punti, togliere la sutura; da dói pónte dare due punti, cucire, rammendare; prov. skànpa n pónto skànpa žènto il proverbio ha due significati: l'uno pratico che si riferisce al lavoro a maglia, se salta un punto ne dovrai disfare parecchi per riprenderlo, l'altro devi far attenzione a non perdere l'occasione buona perché poi te ne capiteranno forse cento ma peggiori. Una volta persa una buona occasione, se ne perdono altre cento di seguito; prov. ki ke no fa l grópo, pèrde l pónto chi non è previdente rimane senza niente.

 

pontòk sm. (pl. inv.) graffa per tenere fermi i tronchi da squadrare. Tòle n òta ki dói pontòk e ponteléa sta tàia da skuarà prendi quelle due graffe e fissa questo tronco da squadrare .

 

pontùra sf. (pl. pontùre) puntura, iniezione, fitta. Fèili na pontùra fagli un'iniezione; siénto na pontùra nté la skéna sento una fitta alla schiena.

 

Pòño, Pòña sm. (nome) ipoc. di Apollonio e di Apollonia.

 

Poórse, Val de Poórse sm. (top.) Valle molto ampia che dall'altipiano di Pian dei Buoi (Valdažéne) scende in territorio del comune di Auronzo ai Tabià da Rin.

 

pòpa sf. (pl. pòpe) cavalla vecchia, cadente e anche molto grassa, fig. donna trasandata e goffa. Kéla pòpa no puó pì laurà quella vecchia cavalla non è più in grado di lavorare; te sés pròpio na pòpa sei davvero una donna trasandata.

 

pòr sm. (inv.) porro, piccola escrescenza sul corpo. Èi le màn piéne de pòr ho le mani piene di porri.

 

porčìto, porčit sm. (solo sing.) maiale, porcellone. Detto di persona sboccata.

 

porkàda sf. (pl. porkàde) azione cattiva, offesa, danno, brutta parte, fig. lavoro fatto male. Késta e pròpio na porkàda questa è davvero un' azione malvagia; no èi mài vìsto na porkàda kóme késta non ho mai visto un lavoro fatto male come questo!

 

porkarìa sf. (pl. porkarìe) sudiciume, cibo o bevanda disgustosi, fig. individuo cattivo, malintenzionato. Kè élo dùta sta porkarìa? che cos'è tutto questo sudiciume?; no èi mài mañòu na porkarìa kóme késta non ho mai mangiato un cibo disgustoso come questo; kel la e sènpre stòu na porkarìa quello è sempre stato un briccone, un individuo intrattabile e pericoloso.

 

pòrko agg. (pl. pòrke, f. pòrka) porco. Il termine viene purtroppo usato molto nelle imprecazioni e nelle bestemmie contro il nome di Dio e della Madonna. Pòrko kàne porco cane; pòrko bòia porco boia; pòrka miśèria porca miseria; pòrko dìnči accidenti; pòrko l séo accidenti; avé l òs de pòrko non avere alcuna voglia di lavorare.

 

porkonà vb. intr. (porkonéo; porkonèo; porkonòu) bestemmiare. Tó bàrba porkonéa de kontinuo tuo zio bestemmia in continuazione.

 

porokàn, puorokàn sm. (pl. porekàne, puorekàne) poveretto, miserabile, fig. povero di spirito, sciocchino. Àrda la kel porokàn kóme ke l se a reduśésto guarda come si è ridotto, è un miserabile (v. kàn).

 

porogràmo, puorogràmo agg. (pl. poregràme, f. poragràma) povero di spirito, stupido (v. gràmo).

 

pòrta sf. (pl. pòrte) porta, uscio. La pòrta de čàśa, de kànbra, de sofìta, de tabià la porta di casa, della camera, della soffitta, del fienile; al soiàl de la pòrta la soglia della porta; dì ìnte par pòrta entrare per la porta; di fòra par pòrta uscire dalla porta; bičà do o parà ìnte la pòrta sfondare la porta; pasà la pòrta entrare o uscire di casa; pàsa pùra la pòrta de čàśa méa kuàn ke te vós vieni a trovarmi tutte le volte che vuoi; no sta pì pasà le pòrte non venire più in casa mia; le me pòrte casa mia, kuàn ke èi vu le me deśgràžie l me a pasòu le pòrte quando ho avuto dei momenti tristi è venuto a farmi visita; l va fòra par pòrta e l vién ìnte par fenèstra detto di persona che è uscita sbattendo la porta e che rientra con un pretesto (v. batèl).

 

Pòrta , La Pòrta sf. (top.) località a nordovest del paese. Nella Val Lonğiarìn, sopra Vialóna.

 

portà vb. trans. (pòrto; portèo; portòu) portare, recare, guidare, fig. sostenere in senso morale, lodare. Portà su le spàle, sul bràžo, su la skéna portare sulle spalle, sul braccio, sulla schiena; portà le féde a pasón guidare le pecore al pascolo; portà dan danneggiare; portà l ku sbandare; portà ìnte guadagnare; portà fòra spendere, oppure far sapere ad altri i segreti di famiglia; sto vènto pòrta pióva questo vento annuncia pioggia; portà l Siñór portare il Viatico; portà vìa rubare; me par ke te pòrte ntin màsa tó fiól mi pare che elogi esageratamente tuo figlio; a mónte ki pòrta revòlta in montagna chi è previdente si porta vivande, chi non lo è sta a guardare; portàsela fòra guarire, cavarsela.

 

portàda sf. (pl. portàde) portata di vivande. Késta e la prìma portàda questa è la prima portata; fèi nkóra na portàda detto all'oste di ripetere il giro di bevande; dùte no e a la tó portàda non sono tutti alla tua portata, cioè non tutti possono competere con te, non tutti sono al tuo livello.

 

portanfànte sm. (inv.) trapuntino a mo' di tasca per portare i neonati. Termine dal francese “porte enfant”; al pùpo dòrme nkóra nté l portanfànte il bimbo dorme ancora nel trapuntino.

 

portantìna sf. (pl. portantìne) lettiga, barella. Àsto debeśuói de la portantìna? hai bisogno della lettiga? Senso ironico di questa frase per sveltire la camminata di una persona.

 

pòrtasaón sm. (pl. pòrtasaói) portasapone.

 

portàž sm. (inv.) smaltitoio, grata di spurgo dei residui. Nella parte terminale della roggia c'è un incavo in cui si depositano sassi, erbe o altro, che vengono fermati perché non arrivino alla ruota del mulino danneggiandone le pale. Kóñe sta atènti parkè l portàž e bèlo pién devo stare attento perché lo smaltitoio è già pieno.

 

porteà sm. (pl. porteàs) cimitero. Di a skòrde kalkedùn do da l porteà partecipare al funerale di un defunto; “órto de Menài” l e l nòstro porteà nome del cimitero, ha preso questo nome dal soprannome del proprietario del luogo (v. kortìna, čéśa).

 

portèl sm. (pl. portiéi) cancelletto, piccolo uscio. Sèra l portèl del sčodìžo chiudi l'usciolino del porcile; al portèl de le pìte, de órto il cancello del pollaio, dell'orto.

 

portèla sf. (pl. portèle) sportello, anta. La portèla de l armèr, de l armerón, del fórno lo sportello della credenza, dell'armadio, del forno; fig. sèra n tin kéla portèla chiudi un po' quella bocca, è ora che tu faccia silenzio!

 

pòrtego sm. (pl. pòrtege) portico. Sta sóte l pòrtego stare sotto il portico, rimanere al riparo.

 

portesión sf. (inv.) processione, fila, fig. calca, accorrere di molta gente. Di n portesión andare in processione; ma kè éla sta portesión? cosa significa tutta questa calca?

 

portiéra sf. (pl. portiére) porta a vetri. Ntrà de fardiéi i a čatòu da di e i a spakòu la portiéra hanno litigato tra fratelli e hanno rotto la porta a vetri.

 

portón sm. (pl. portói) portone. Al portón de čàśa, de la čéśa il portone di casa, il portone della chiesa.

 

portòu agg. (pl. portàde, f. portàda) incline, propenso. Èse portòu par kalkedùn essere propenso per qualcuno, avere un debole per qualcuno; són sènpre stòu portòu pa i lìbre mi è sempre piaciuto leggere.

 

poržèl sm. (pl. poržiéi) maiale, porco, fig. sporcaccione, in senso materiale e morale. Kopà l poržèl macellare il maiale; òs de poržèl ossa di maiale; poržèl da kópa maiale pronto per essere ucciso; lugànege de poržèl salsicce di maiale; frìže de poržèl ciccioli di maiale; te sés pròpio n poržèl! sei proprio un sudicione!; loc. fèi porželùte vomitare, detto specialmente di chi rimanda dopo aver bevuto esageratamente; prov. ñànte l sčodìžo e daspò l poržèl prima di pensare a prendere moglie e farsi una famiglia, bisogna preparare una casa; dim. porželùto, dispr. porželàto. Budèle, vianèla, òs, lónbol, panžéta, vesìa, strùto, saìme, lugànege e muśéto, osakòl, sónda, frìža pèndola salàme e soprèsa sono tutti prodotti ottenuti dalla lavorazione della carne di maiale, salvo la vianèla, che è budella di vitello che si acquista per insaccare le salsicce non essendo sufficiente le budella del maiale.

 

porželìna sf. (solo sing.) equiseto, codacavallina (bot. Equisetum arvense). I rami secchi della pianta, detta coda di cavallo, vengono impiegati dalle massaie per lucidare i pezzi in rame della casa; gli stessi rami possono essere bolliti, si ottiene allora un infuso con proprietà diuretiche, usato anche per curare le nefriti, contro la caduta dei capelli, o comunque per curare i capelli.

 

poržìto, poržìtol sm. (pl. poržìte, poržìtoi) sudiciume, porcaio. Ma kè élo dùto sto poržìto? ma che cosa è mai tutto questo sudiciume? Ka e sólo poržìtol qui c'è solo sudiciume (v. porčìto).

 

pòsì escl. ma si, naturalmente, sicuramente. Pòsì ke l e veñésto sono certo che è venuto.

 

posìbile agg. (inv.) possibile. E mòrto to mesiér, élo mài posìbile? l èra kosì n gànba! è morto tuo suocero, ma è mai possibile? eppure era ancora così in gamba!

 

poskréde escl. non è così, ma è naturale. Te poskréde se e véro ma è naturale che non è vero.

 

pòsta  sf. (pl. pòste) corrispondenza, ufficio postale. Éla ruàda la pòsta? è arrivata la posta, è arrivato il postino?; vàdo a la pòsta vado all'ufficio postale; da fòra la pòsta distribuire la posta.

 

pòsta  avv. intenzionalmente, apposta. Fèi a pòsta, fare apposta, appositamente; loc. fèi da só pòsta far da sè, agire senza l'aiuto di nessuno; dìlo a pòsta fingere, dire una cosa per un'altra.

 

pòsta3 sf. (pl. pòste) postazione del cacciatore durante una battuta di caccia. Bétese n pòsta appostarsi in attesa della preda.

 

postà, npostà vb. trans. (postéo; postèo; postòu) collocare bene, sistemare, postare, posizionare. Posté polìto kéle léñe, ke no pàrte dùta la tàsa sistemate bene quella legna in modo che non si rovesci tutta la catasta (v. npostà).

 

postèrna sf. (pl. postèrne) cassa della porta o della finestra, infissi. L a bèlo fàto le postèrne de le pòrte de la čàśa nuóva ha già fatto le casse delle porte per la nuova casa.

 

postèrno agg. (inv.) rivolto a nord. L'aggettivo viene adoperato per indicare i terreni che sono rivolti a nord. Kolòi e a postèrno la località di Kolòi è rivolta a nord; añó ke e a postèrno l néve dùra n grùmo de pì la neve dura molto più a lungo sui terreni rivolti a nord.

 

postìn sm. (inv.) postino, portalettere. L postìn a bèlo portòu fòra la pòsta il postino ha già distribuito la posta.

 

postìžo agg. (pl. postìže, f. postìža) posticcio, falso. Čavéi postìže capelli posticci, dènte postìže denti finti.

 

pòsupodó, pò sù po dó avv. pressappoco, circa, all'incirca. E pòsupodó le dói sono circa le due; l a pòsupodó nonànta àne ha pressappoco 90 anni (v. ).

 

pósto sm. (pl. póste) luogo, posto. Kìsti no e póste par te! questi non sono luoghi per te, non devi venire qui; vàrda ke te béto a pósto guarda che ti sistemo; béte a pósto dùto metti tutto in ordine; te sés fòra de pósto sei fuori posto; paràse na konóğa fòra de pósto provocarsi una lussazione al polso; sta al tó pósto rimani al tuo posto, non immischiarti nelle faccende altrui; fèi pósto fare posto, allontanarsi, spostarsi; čapà pósto prendere posto, impiegarsi; kél la no e déi nòstre póste quello non è originario dei nostri paesi, non è nativo di qui; di sul pósto andare sul posto; ruà sul pósto arrivare sul posto; teñì la lénga a pósto tenere la lingua a posto, controllarsi nel parlare.

 

potačà vb. trans. (potačéo; potačèo; potačòu) pasticciare, ingarbugliare, scarabocchiare. Ke potačéesto nkuói? che cosa prepari da mangiare oggi?; késto no se čàma skrìve, ma potačà questo non è scrivere, è solo uno scarabocchio (v. spotačà).

 

potàčo sm. (pl. potàče) pasticcio, scarabocchio, macchia. Al kuadèrno e pién de potàče il quaderno è pieno di scarabocchi; kéla fémena no la sa fèi da mañà, la fa solo ke potàče quella donna non sa far da mangiare, fa solo “pasticci” (v. spotàčo).

 

potačón, spotačón agg. (pl. potačói, f. potačóna, pl. potačóne) pasticcione, scarabocchione.

 

potèta sf. (potète) donna povera di spirito, sciatta e trasandata. Te sés pròpio na potèta! sei davvero una con poca energia.

 

potìfo, potìfa sm. e sf. (pl. potìfe) pantofolaio, uomo introverso, quieto. Fig. te sés pròpio n potìfo, te stas dùto l di ntórno al larìn sei proprio un pantofolaio, sei sempre in casa, non esci mai (v. kùžažender).

 

potifón sm. (pl. potifói) cucitura mal fatta. Te as pròpio fàto n potifón hai proprio cucito male quello strappo.

 

potitèti sf. (inv.) (zool. Parus montanus) Il termine si rifà al particolare verso che fa l'uccello. Sul mùro de l tabià èra na kóa de potitèti sul muro del fienile c'era un nido di cincie bige.

 

pòtol sm. (pl. pòtoi) sterco, fig. uomo piccolo, groviglio di capelli o di lana. Sto trói e pién de pòtoi de čàn sul sentiero c'è sterco di cane; àsto vedù ke pòtol kel òn? hai visto come è piccolo quell'uomo?; vezz. al me pòtol! al me potolùto! il mio caro bambino, il mio caro bambinello!; čavéi o làna pién de pòtoi groviglio di capelli o di lana.

 

potòro sm. (solo sing.) acqua sporchissima. Èi lavòu su l siòlo e l àga èra n potòro ho lavato il pavimento di casa e l'acqua era veramente sporca.

 

potrèla sf. (pl. potrèle) putrella. Ka okóre na potrèla qui c'è bisogno di una putrella (v. sina).

 

póž sm. (inv.) pozzo, cisterna. Al póž e pién de àga il pozzo è pieno di acqua; sta aténto de no tomà nté póž stai attento a non cadere nel pozzo; avé n póž de ròba essere possidente.

 

požalìna sf. (pl. požalìne) pozzetta del cappello. Viene fatta una pozzetta sul cappello anche per raccogliere l'acqua da bere.

 

požaràko sm. (pl. požaràke) piccola polla d'acqua. Pozza dove gli uccelli ed altre bestie vanno ad abbeverarsi. Anni addietro seppure proibito, si potevano trovare le panie preparate dagli uccellatori. Béte le visčàde ntórno l požaràko mettere le panie attorno al laghetto (v. visčàda).

 

požolón agg. (pl. požolói, f. požolóna, pl. požolóne) detto di giovane robusto che ha poca voglia di lavorare. Te sés pròpio n požolón! sei grande e grosso, ma lento e pesante!

 

prà sm. (pl. prà, pràs) prato di alta montagna. Di a prà andare a falciare l'erba in montagna con pernottamenti; kurà i pràs ripulire i prati da sassi, ramoscelli e da tutto ciò che può rovinare il filo della falce e la qualità del fieno (v. vàra).

 

Pradèle sf. (top.) località a sudest del paese, sotto la borgata Ğòuda dove passa la tangenziale di Lozzo.

 

Prà de l'Àga sm. (top.) località a ovest del paese vicino al confine con il comune di Domegge. Si trova poco prima di Dumèle sul sentiero che da Lozzo attraverso Nariéto e Prapiàn arriva al rifugio Baión. In questa località c'è una piccola sorgente, da cui deriva il toponimo.

 

Prapiàn sm. (top.) località ad ovest di Lozzo ad una quota di circa 1200 m dove si trovano numerosi fienili. È sul confine tra i comuni di Lozzo e Domegge sul sentiero che porta a Baión.

 

pràtega sf. (pl. pràtege) pratica, bravura, esperienza. Ka okóre pràtega in questo lavoro ci vuole pratica, esperienza; čapà pràtega prendere pratica, imparare bene il mestiere; fèi pràtega esercitarsi nel mestiere scelto; avé pràtega aver pratica, essere esperto; béte n pràtega mettere in pratica, dimostrare di saper fare; fèi le pràtege preparare i documenti; prov. val pì la pràtega, ke la gramàtega vale più l'esperienza che la teoria.

 

prategà vb. trans. (prategéo; prategèo; prategòu) praticare, frequentare. L e dotór ma no l pràtega è medico, ma non esercita la professione; kéla e dènte da no prategà quella è gente da non frequentare.

 

pràtego agg. (pl. pràtege, f. pràtega) pratico, esperto, conoscitore. L e pràtego de dùto è pratico di tutto, è un conoscitore di tante cose, sa far di tutto; pràtego de mestiér pratico, esperto del mestiere; pràtego dei luóge esperto conoscitore dei luoghi.

 

prategón agg. (pl. prategói, f. prategóna, pl. prategóne) praticone, chi esercita un'arte in modo empirico. Kel prategón sa pì de n dotór quel praticone è più bravo di un medico.

 

pratènde vb. trans. (pratèndo; pratendèo; pratendésto, pratendù) pretendere, esigere, supporre, credere. Tu te pratènde màsa tu pretendi troppo; kel la pratènde de avé reśón quello crede di aver ragione.

 

pratéśa sf. (pl. pratéśe) pretesa, esigenza. Tó fiól e pién de pratéśe tuo figlio è pieno di pretese, è molto esigente; l a fàto dùto žènža pratéśe ha fatto tutto senza pretese, alla buona; prov. al san a žènto pratéśe, l malòu ùna sóla un sano pretende cento cose, un malato ha solo la pretesa di guarire.

 

prè sm. (inv.) don. Il termine è impiegato solo come prefisso di un nome proprio; prè Piéro don Pietro (v. prèe).

preà vb. trans. (préo; preèo; preòu) pregare. Preà l Siñór, la Madòna, i Sante del Paradìs pregare il Signore, la Madonna, i Santi del Paradiso; preà pa i só mòrte pregare per i propri defunti; te préo, no sta fèi kosì! ti prego, non fare così; preà l Siñór ke... pregare il Signore che, voglia il cielo che...; préa l Siñór ke dùto vade pa la só stràda prega il Signore che tutto proceda per la strada giusta, voglia il cielo che tutto vada a buon fine; préa l tó Dio ke...! prega il tuo Dio, altrimenti per te saranno guai.

 

prediàl sf. (pl. prediài) prediale, imposta su terreni e su fondi rustici, tassa in genere, fig. peso finanziario, onere. In Cadore il termine indica la tassa come concetto generico. Pagà le prediài pagare le prediali; tó fardèl e sènpre stòu na prediàl par veàutre tuo fratello è sempre stato un peso sulle vostre spalle.

 

prèdika sf. (pl. prèdike) predica, sermone, rimprovero. Àsto sentìu ke bèla prèdika? hai sentito che bella predica?; fenìsela ko le tó prèdike! piantala con i tuoi rimproveri!; prov. prèdike kùrte, lugànege lònge nella vita ci vogliono poche chiacchiere e molti fatti.

 

predikà vb. intr. (predikéo; predikèo; predikòu) predicare, ammonire, rimproverare. Pi te predikéo e mànko te kapìse più ti spiego e meno capisci; ka no sèrve predikà qui non c'è bisogno di ammonimenti, di far prediche!; prov. no ğóva predikà, se bón eśènpio no se da non serve a niente fare prediche se non si dà il buon esempio, gli ammonimenti non accompagnati dal buon esempio non valgono nulla; prov. e fàžile predikà ko la pànža piéna, è facile predicare a pancia piena, è facile dare buoni consigli quando si sta bene.

 

prèe, prève sm. (inv.) prete, sacerdote (raro). Al nòstro prèe e bèlo n grùmo de àne ke le a Lóže il nostro parroco è a Lozzo da molti anni; čamà l prèe chiamare il prete per l'estrema unzione; di prèe entrare in seminario per diventare sacerdote; studià da prèe frequentare il seminario; vestìse da prèe vestirsi da chierichetto; loc. va prèe se te vos mañà pìta! fatti prete se vuoi mangiare pollo!; una volta i sacerdoti sembrerebbe vivessero in una condizione privilegiata rispetto a quella della gente comune, anche in paese trovava credito questo modo di pensare; prov. làgreme de prèe, sàngo de sčós e sudór de stradìn no se e mài vìsto lacrime di prete, sangue di lumaca e sudore di stradino non si sono mai visti; il detto nasce dalla constatazione che i sacerdoti, anche nei momenti più tristi, trattengono le emozioni e non li si vede piangere mai; prov. la Stemàna Sànta e la ğòba dei prèe durante la Settimana Santa i fedeli sono più generosi nelle loro offerte; dim. preùto pretino, il diminutivo preùto viene spesso attribuito ai chierichetti; dispr. preàto pretaccio; accr. preón pretone, prete grande e grosso (v. prè).

 

preferènža sf. (pl. preferènže) preferenza. De preferènža tòlo n tin de kafè di solito preferisco prendere un po' di caffè; vàrda de no fèi preferènže kói tó fiói cerca di essere imparziale coi tuoi figli.

 

prefìl sm. (inv.) l'ultima trave perimetrale del tabià. Sulla kólmin e sul prefìl appoggiano i degorènte. I prefìl veñèa sènpre pendolàde le travi perimetrali venivano sempre fissate con delle biette.

 

préme vb. trans. (prémo; premèo; premésto, premù) premere, spingere, gravare, fig. balbettare, atteggiare il viso al pianto. Préme l čàr, la barèla, la luóida spingere il carro, la carriola, la slitta; préme dùro premi con forza; me préme ke te stàe polìto la tua salute mi sta a cuore; no sta préme par nùia, mò non metterti a piangere per nulla, detto ai bambini; òñi tànto l préme ogni tanto balbetta (v. spréme, skàfa).

 

premìžia sf. (pl. premìžie) primizia, decima. La primizia è l'offerta di una parte del raccolto, che viene data alla Chiesa da ogni famiglia del paese come contributo al mantenimento del sacerdote. La Primizia viene consegnata al parroco alla fine della stagione dei raccolti, il 13 dicembre, nel giorno di Santa Lucia. Questo appuntamento veniva ricordato con il suono delle campane, normalmente vengono suonate le campane in tale occasione alle 13.00 pomeridiane. Késto radìčo e na premìžia del mè órto questo radicchio è una primizia del mio orto; àsto portòu la premìžia al kuràto? hai portato la decima al parroco? (v. dèžima).

 

prémol agg. (pl. prémol, prémola, prémole) balbuziente, chi tartaglia mentre parla. Si riferisce soprattutto ai bambini che iniziano a parlare. L tùto a skominžiòu a parlà àlgo, ma l e prémol il bambino ha iniziato a parlare un po', ma tartaglia.

 

premùda sf. (pl. premùde) spinta. Le donne che rientravano in paese con il carretto o la slitta carichi dei raccolti dei campi o con la legna e fieno, per affrontare la salita del ponte all'entrata del paese speravano nell'aiuto di qualcuno che le aiutassero a spingere il mezzo pesante. Spesso venivano aiutate dai propri bambini ma non sempre la spinta era sufficiente. Tośàte nkóra na premùda e ruón n žìma ragazzi, forza, ancora una spinta e arriviamo in cima alla salita (v. prénta, spremùda, sprénta).

 

premuràse vb. rifl. (me premuréo, premùro; premurèo; premuròu) darsi da fare, manifestare sollecitudine. Me son premuròu de dìlo mi sono premurato di farglielo sapere.

 

prendèra sf. (pl. prendère) quota di campo o di prato corrispondente ad una intera giornata di lavoro, quota di pascolo giornaliero. Domàn kanbión prendèra domani cambiamo zona di pascolo (v. solverèra, disnèra, marendèra).

 

prénta sf. (pl. prénte) spinta, aiuto, raccomandazione. Nkóra na prénta e rueóne n čòu ancora una spinta e saremmo arrivati alla conclusione; se te me das na prénta, fenìso de seà se mi dai una mano, finisco di falciare; ka okoraràe na prénta qui ci vorrebbe una spintarella; te sés na mèda prénta sei una mezza cartuccia (v. sprénta).

 

prentón sm. (pl. prentói) spinta violenta, spintone. No sta dàme sènpre prentói non darmi sempre spintoni; dàme n prentón e fenìso dammi un buon aiuto e riuscirò a finire il lavoro; žènža prentói no se fa stràda senza raccomandazioni non si fa carriera (v. sprentón).

 

prentonà vb. trans. (prentonéo; prentonèo; prentonòu) spingere, urtare. Parkè me prentonéesto sènpre? perché mi spingi continuamente?; nkóra n tin ke te me prentonée, tómo! se continui a darmi spintoni, mi farai cadere (v. sprentonà).

 

prentonàda sf. (pl. prentonàde) spinta, spintone. L me a dòu na prentonàda parkè l avèa paùra ke parlàse àlgo mi ha dato uno spintone per evitare che svelassi qualcosa, che fossi indiscreto (v. sprentonàda).

 

prenžipià vb. intr. (prenžipiéo; prenžipièo; prenžipiòu) iniziare. Io prenžipiéo al laóro, tu te lo fenìse io inizio il lavoro, tu lo porti a termine (v. skominžià).

 

prenžìpio sm. (pl. prenžìpie) principio, inizio. Késto e l prenžìpio de dùte le ròbe questo è l'inizio di tutte le cose; n òn de bói prenžìpie uomo di buoni principi, di solidi principi morali; avv. da prenžìpio, n prenžìpio da principio, all'inizio, dapprima; da prenžìpio se sàpa e daspò se semenéa prima si zappa e poi si semina (v. prinžìpio).

 

prèsa sf. (pl. prèse) fretta. Avé prèsa avere fretta, affrettarsi; fèi prèsa fare fretta, sollecitare; avv. n prèsa affrettatamente; fèi le ròbe n prèsa fare le cose affrettatamente; prov. la ğàta pa la prèsa, a fàto i ğatolìn òrbe le cose fatte in fretta sono sempre malfatte; prov. ki ke a prèsa, vàde a piàn a far di fretta si fa male; loc. maledéta la prèsa frase detta dopo un lavoro mal riuscito a causa della fretta (v. festinàse).

 

préśa  sf. (pl. préśe) presa, pizzico. Na préśa de tabàko, de sal, de péver un pizzico di tabacco, di sale, di pepe; fèi préśa far presa, indurire, detto del cemento, del gesso o materiali simili.

 

préśa sf. (pl. préśe) striscia di prato suddivisa per lo sfalcio. Si procede nello sfalcio con questa tecnica quando il prato da falciare è molto esteso. Ogni striscia viene falciata e lavorata in tempi successivi, secondo un preciso ordine per evitare di sprecare energie nel lavoro e per evitare anche di mescolare i diversi tipi di fieno. Me mànča nkóra da seà kéla préśa per finire di falciare mi manca ancora quella striscia.

 

préśa3 sf. (pl. préśe) punto di raccolta dell'acqua sorgiva per fornire l'acquedotto.

 

preśentà, preśentàse vb. trans. e rifl. (me preśènto; preśentèo; preśentòu) presentare, presentarsi, comparire. Sto laóro preśènta n grùmo de roñe questo lavoro è difficile; no sta pì preśentàte nté čàśa méa! non farti più vedere in casa mia!

 

preśènte agg. (inv.) presente. Èse preśènte essere presente, essere consapevole; teñì preśènte tener presente, ricordare; fèi preśènte far presente, rammentare.

 

preśènža sf. (pl. preśènže) presenza, aspetto. Karestìa de la tó preśènža carestia della tua presenza! espressione rivolta a chi si fa vedere molto raramente; na tóśa de bèla preśènža una ragazza di bella presenza.

 

presiùto, parsùto (raro) sm. (pl. presiùte) prosciutto. Sia cotto che crudo ricavato dalla coscia del maiale non nella produzione locale, ma acquistato al libero commercio dagli anni '50 in poi. L presiùto e n mañà da sióre il prosciutto è cibo da ricchi; mañà pàn e presiùto mangiare pane e prosciutto.

 

preśón sf. (inv.) prigione. Béte o mandà n preśón mandare in prigione, arrestare; ki ke ròba va n preśón coloro che rubano, vanno in prigione; se no te stas bón, te béto n preśón! se non stai buono ti chiudo in una stanza e ti lascio lì da solo, è la minaccia delle mamme esasperate dai figli troppo vivaci.

 

preśoniér sm. (pl. preśoniéri) prigioniero di guerra. Ànke o son stòu preśoniér déi Todéske anch'io durante la guerra sono stato prigioniero dei tedeschi.

 

preùto sm. (pl. preùte) chierichetto che serve la Messa. N òta dùte i tośàte dèa preùte una volta tutti i bambini facevano i chierichetti.

 

prevéde vb. trans. (prevédo; prevedèo; prevedésto, prevedù) prevedere. A sto móndo no se puó prevéde dùto a questo mondo non si può prevedere ogni cosa.

 

prèžio sm. (pl. prèžie) prezzo, valore. I prèžie krése sènpre i prezzi crescono di continuo; le màre no a prèžio le mamme sono impagabili, è impossibile quantificare il valore che hanno le mamme.

 

prežiós agg. (pl. prežióśe, f. prežióśa) prezioso. Késta e ròba prežióśa questa è roba di grande valore; fèi l prežiós farsi prezioso, farsi pregare; no sta fèi l prežiós, mò! non farti pregare, dunque!, non essere il superbo.

 

prežipità vb. intr. (prežipitéo; prežipitèo; prežipitòu) fare le cose in fretta. Nté le ròbe no se a mài da prežipità nelle cose non si deve mai agire in fretta.

 

prežipitós agg. (pl. prežipitóśe, f. prežipitóśa) avventato, precipitoso, sconsiderato. Tu te sés màsa prežipitós tu sei troppo avventato.

 

prežipìžio sm. (pl. prežipìžie) precipizio, burrone. Tomà nté n prežipìžio cascare in un burrone; sikutèra n prežipìžio sicut erat in principio, così era in principio; la frase di origine latina è stata furbescamente manomessa nell'ultima parola; viene adoperata a commentare un comportamento avventato, e lascia intendere che tutto deve essere rifatto da capo.

 

prežìśo agg. (pl. prežìśe, f. prežìśa) preciso, esatto, identico. L e prežìśo a só màre è identico a sua madre; no te sés mài stòu prežìśo sul laóro non sei mai stato puntuale o accurato sul lavoro; l e sènpre prežìśo nté le só ròbe è sempre esatto nei suoi lavori; vàrda de èse ka a le diéśe prežìśe cerca di essere qui alle dieci in punto.

 

primaròl agg. (pl. primaròle, f. primaròla) primogenito. Vedèl primaròl vitello nato dal primo parto di una mucca.

 

primaròla sf. (pl. primaròle) bestia che ha figliato per la prima volta. La vàča làura e na primaròla la mucca laura ha partorito per la prima volta.

 

prìmo agg. (pl. prìme, f. prìma) primo. Al prìmo de dùte il primo di tutti; la prìma òta la prima volta; al prìmo o i prìme del mes, de la stemàna, de an il primo o i primi giorni del mese, della settimana, dell'anno; stan vàdo n prìma quest'anno frequenterò la prima classe elementare; vàrda ke sée la prìma e l ùltima òta! sorta di rimprovero: ti avverto che sia la prima e l'ultima volta!; sonà la prìma suonare la prima campana nei giorni festivi. La Messa festiva veniva annunciata con tre segnali, tre scampanii intervallati, da cui le espressioni: sonà la prìma dare il primo segnale, circa 15 minuti prima, la sekónda il secondo, 5 minuti prima, la térža il terzo Kólpo, cioè la kanpanèla infine annunciava che la funzione stava ormai per iniziare (v. sonà, kanpanèla).

 

prìmodeàn sm. (pl. prìmedeàn) capodanno. Secondo la tradizione, il primo giorno dell'anno i bambini si recavano dai nonni o dai parenti stretti per chiedere una piccola mancia dicendo bondì a ti e la bòna màn a mi gli auguri a te e la mancia a me. Da primodeàn l nòno me daśèa sènpre la bòna màn a capodanno il nonno mi dava sempre del denaro per mancia.

 

privatìva sf. (pl. privatìve) privativa, rivendita di sali e tabacchi, appalto. Va a la privatìva a konprà dói forminànte e n tin de sal va alla rivendita a comperare alcuni fiammiferi e del sale (v. tabakìn).

 

prò sm. (solo sing.) vantaggio. Fèi bón prò risultare vantaggioso; béte a bón prò impiegare bene le proprie risorse.

 

pròa sf. (pl. pròe) prova. Fèi la pròa fare la prova, tentare; al Siñór ne béte òñi di a la pròa il Signore ci mette ogni giorno alla prova; késta e na pròa ke no me okorèa questa è una sofferenza di cui non avevo proprio bisogno.

 

proà vb. trans. (pròo; proèo; proòu) provare, soffrire, assaggiare. Proà n vestì, n pèi de skàrpe, l čapèl provare un vestito, un paio di scarpe, il cappello; èi bèlo proòu màsa ho già sofferto abbastanza; pròa n tin sta menèstra assaggia un po' questa minestra; dùte a da proà le sóe ciascuno deve sopportare le proprie avversità della vita; se te vos proà, pròa pura! se vuoi provare, prova pure!; pròa se te sés bón! frase di sfida, prova se hai il coraggio e la capacità!; prov. se no se pròa àlgo, no se vién da àlgo, se no se pròa nùia, se vién da nùia chi non prova qualche amarezza nella vita, non diventerà mai un vero uomo.

 

prodùśe vb. trans. (produśéo; produśèo; produśésto) produrre. Le vàče ke no prodùśe e da kopàle le mucche che non danno latte vanno macellate; par dì navànte okóre prodùśe per andare avanti, per migliorare bisogna lavorare, produrre.

 

proebì vb. trans. (proebìso; proebìo; proebìu) proibire, vietare. Te proebìso de di pì ste stranbarie ti proibisco di dire ancora cose così insensate!

 

profarmì avv. a muso duro. Usato nella locuzione l e veñù kon profarmì mi ha affrontato con cipiglio.

 

proferì vb. trans. (proferìso; proferìo; proferìu) offrire. Al me a proferìu n tin de kafè, ma ió no èi volésto mi ha offerto un po' di caffè, ma io non l'ho voluto; l a proferìu paròle ke tàia e ke brùśa ha detto parole offensive; al se a proferìu de veñì a sta su si è offerto di vegliare il malato.

 

profèrta sf. (pl. profèrte) offerta, profferta, disponibilità. Ió no sèi ke fèi de le tó profèrte io non so cosa farmene delle tue offerte, delle tue proposte.

 

profità, profitàse vb. intr. e rifl. (me profitéo; profitèo; profitòu) approfittare, avvantaggiarsi. Puói profità ànke o de la tó luóida? posso approfittare anch'io di usare la tua slitta?; profìta pùra fin ke e approfittane pure finché c'è, cioè mangia pure finché ti viene permesso; profitàse de la ròba de kiàutre abusare della roba degli altri; dòra sta ròba, ma no sta profitàte! adopera queste cose, ma non abusarne, non farla tua.

 

profìto sm. (pl. profìte) profitto, guadagno, giovamento. A laurà i čànpe, ka su da neàutre, ìda ma no da tànto profìto lavorare la terra, da noi in montagna, aiuta a vivere ma non dà gran profitto; fèi profìto fare profitto, trarre giovamento; laurà žènža profìto lavorare senza alcun vantaggio.

 

pròloga sf. (pl. prològe) proroga, dilazione, fig. riposo. Domandà la pròloga de di sóte le armi chiedere la proroga, il rinvio del servizio militare; n tin de pròloga no fa mài mal un po' di riposo non fa mai male.

 

prologà vb. trans. (prologéo; prologèo; prologòu) prorogare, posticipare. I a prologòu le funžión hanno posticipato le funzioni religiose.

 

promovésto, promuovésto agg. (pl. promovéste, promuovéste, f. promovésta, promuovésta) promosso, detto di scolaro promosso a scuola. I me fiói e stàde promovéste dùte dói entrambe i miei figli sono stati promossi.

 

promuóve vb. trans. (promuóvo; promuovéo; promuovésto) promuovere. Se no i te promuóve to pàre te da na kàrega de bòte se non sarai promosso tuo padre te le darà di santa ragione.

 

prònto agg. (pl. prònte, f. prònta) pronto. E bèlo dùto prònto è già tutto pronto; la karpéta e bèlo prònta la sottana è già terminata.

 

propietà sf. (pl. propietà) proprietà, possesso. L a maridòu un ke a n grùmo de propietà ha sposato un possidente.

 

pròpio avv. proprio. E pròpio véro è proprio vero; i me a čamòu pròpio me hanno chiamato proprio me.

 

pròsimo sm. (inv.) prossimo. Àbia konpasión almànko pal tó pròsimo abbi compassione almeno per il tuo prossimo.

 

pròspero  sm. (pl. pròspere) fiammifero. Skàtola de pròspere scatola di fiammiferi di legno; va a konprà na skàtola de pròspere vai a comperare una scatola di fiammiferi di legno (v. furminànte).

 

Pròspero  sm. (top.) località a nord del paese.

 

protèğe vb. trans. (proteğéo; proteğèo; proteğésto, proteğù) proteggere, essere indulgente. La Madòna ne a sènpre proteğésto la Madonna ci ha sempre protetto; parkè proteğéesto sènpre i tó fiói? perché difendi sempre i tuoi figli con troppa indulgenza?

 

Pròu sm. (top.) la parte più alta dell'abitato di Lozzo. Le altre zone del paese vengono chiamate: Lagùna la parte centrale del paese, ossia la piazza e dintorni, Bróilo la zona in prossimità del Piave, Ğòuda quella verso il paese di Pelos, Kródego, Ğèi e Maneàda le zone del paese che sono state costruite più di recente, Mèdavìla la parte centrale del paese tra Lagùna, e Pròu.

 

provéde vb. trans. e intr. (provedéo; provedèo; provedésto, provedù) provvedere, andare a fare la spesa, fig. elemosinare. Di a provéde andare in cerca di cibo, elemosinare. Detto proverbiale: va a provedetéla cercati un lavoro, una casa se vuoi essere indipendente; Dio véde e provéde Dio vede e provvede, aver fiducia nella provvidenza.

 

provèrbio sm. (pl. provèrbie) proverbio. Pasà par provèrbio essere proverbiale, essere noto a tutti.

 

provìn sm. (inv.) provino, spia. La parola veniva usata quasi esclusivamente per la verifica della genuinità del latte portato in latteria che doveva essere appena munto. Fèi n provìn fare un provino, misurare la densità dei liquidi. N latarìa i fa i provìn parkè i sòče no bìče àga nté l làte in latteria viene fatto il provino per controllare che i soci non annacquino il latte e non ci sia sofisticazione.

 

provinà vb. trans. (provinéo; provinèo; provinòu) misurare la densità dei liquidi (latte) e la solidità dei manufatti. L'operazione avveniva ovviamente senza preavviso e nei giorni più impensati, sia di mattina che di sera. L'operazione veniva intensificata quando la resa subiva un calo. Nkuói a la latarìa i a provinòu l làte de dùte i sòče oggi alla latteria hanno controllato se qualcuno avesse annacquato il latte.

 

provinadór sm. (inv.) controllore della qualità del latte. Il provinadór veniva nominato annualmente dai soci della latteria e per il suo incarico non era tenuto a ricevere con regolarità alcuno stipendio. Àli bèlo fàto l provinadór? hanno già scelto per quest'anno il controllore per il latte?

 

prudènte agg. (inv.) prudente, discreto, ben educato. Èse prudènte essere discreto, beneducato.

 

prudènža, prudènžia sf. (pl. prudènže) prudenza, creanza, discrezione. L e sènpre stòu pién de prudènža è sempre stato molto discreto, molto educato; uśà prudènža ... e dùto da guadañà avere prudenza, essere pieno di creanza alla fine ci si guadagna.

 

puaréto agg. (pl. puaréte, f. puaréta) povero, poveretto, mendicante, malandato di salute, privo di forze. Ka son dùte puaréte qui siamo tutti poveri, ridotti alla miseria; fèi la karità ài puaréte fare l'elemosina ai mendicanti; kè àsto ke te sés kosì n puaréto? cosa ti è successo che sei così malandato, così pallido?; prov. vive da puaréte par morì sióre non è saggio chi risparmia privandosi del necessario durante la vita per poi morire lasciando la ricchezza ad altri.

 

puarón agg. (pl. puarón, f. puaróna, pl. puaróne) pallido, macilento. Kè àsto ke te sés kosì n puarón? che cosa hai che sei così magro e pallido?; Sanpuarón pover uomo, chi vive di elemosina.

 

puaròn sm. (pl. puaròi) siero. È il siero che rimane dopo che è stato lavorato il latte per produrre il burro, il formaggio e la ricotta, il più povero degli alimenti che si ottiene dal latte (v. làte, skòlo).

 

publikažión sf. (inv.) pubblicazione di matrimonio. Béte fòra le publikažión esporre le pubblicazioni di matrimonio in Chiesa e in Comune.

 

pùf, pùnf sm. (inv.) debito. Fèi n pùf lasciare un debito; di a mañà a pùf mangiare nella casa degli altri; pién de pùf pieno di debiti.

 

pùi sm. (inv.) pugno, manciata. Da pùi dare pugni, picchiare; čapà pùi ricevere o incassare pugni, farsi picchiare; mostrà i pùi mostrare i pugni, minacciare; dàme n pùi de farìna dammi un pugno di farina; késto e kóme n pùi nté l òčo è come un pugno in un occhio, è una stonatura, uno sgorbio; dim. puñùto pugnetto, manciatina (v. puñèla).

 

puìna sf. (pl. puìne) ricotta. Puìna de vàče ricotta di latte di mucca; puìna de féde ricotta di latte di capra e di pecora, è ritenuta molto più buona e più delicata di quella de vàče. La ricotta è stato uno fra i cibi molto usati nell'alimentazione delle famiglie di un tempo; poteva essere mangiata fresca, soprattutto quella de féde, o veniva affumicata e grattugiata in alternativa al formaggio. Avé le màn de puìna detto di chi lascia cadere per sbadataggine quello che ha nelle mani; prov. puìna, pì se màña e mànko se kamìna la ricotta ti riempie la pancia ma non ti dà energia per fare lavori di fatica o lunghe camminate; avé la žiéra da puìna essere pallidi in volto; èse n òn de puìna essere un uomo senza energia (v. làte, piaśentìn).

 

puinèi sm. (inv.) poveretto, chi si nutre quasi esclusivamente di ricotta. Al femminile fa puinèra, pl. puinère. Puinèi de n puinèi sei più che altro un mangiatore di ricotta; dare ad uno del puinèi era un'offesa perché si metteva in risalto la sua condizione misera.

 

Puìo sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

pùla sf. (solo sing.) pula. Ğenpì le ntimèle de pùla riempire le federe dei cuscini di pula; la pula sostituiva la lana per riempire i cuscini.

 

puliéro sm. (pl. puliére) puledro. Èi konpròu n puliéro ho comperato un puledro; fig. puliéro o puliéra ragazzino o ragazzina pieni di vitalità e brio; tò fiól e pròpio n puliéro tuo figlio è davvero un ragazzino pieno di brio.

 

pùlis sf. (inv.) pulce. Sta letiéra e piéna de pùlis questo letto è pieno di pulci; al me a betù n pùlis nté la réğa mi ha messo una pulce nell'orecchio; dùte gràta i sò pùlis ognuno deve sopportare le proprie magagne; prov. ki ke dòrme kói čàn, lèva su kói pùlis inevitabilmente chi dorme con i cani si sveglierà pieno di pulci e cioè chi coltiva cattive compagnie sarà poi, suo malgrado, un cattivo soggetto.

 

pulìśie sf. (inv.) cimiciaio. Il complesso delle cimici che si annidano in uno stesso posto, soprattutto nelle commessure dei letti; sto liéto e pién de pulìśie questo letto è colmo di cimici (v. žìmis).

 

pulinèi sm. (inv.) pollaio, fig. caos, confusione. Parà le pìte nté pulinèi mandare le galline nel pollaio; ma kè élo dùto sto pulinèi? ma che cos'è mai tutta questa confusione?

 

pùlka sf. (pl. pùlke) il ballo della polka. Balónse na pùlka a la vèča balliamoci una polka alla vecchia maniera; fig. fèi balà la pùlka scuotere dalla pigrizia, far filare diritto; vàrda ke te fàžo ió balà la pùlka sta attento che se non ti muovi, ti scuoto io dalla tua inerzia.

 

pùlpito sm. (pl. pùlpite) paracarro, anche pulpito della chiesa. L e du a śbàte ìnte pal pùlpito è andato a sbattere contro un paracarro; kamìna raśènte i pùlpite cammina vicino ai paracarri; loc. da ke pùlpito ke vién la prèdika equivalente a predica bene e razzola male (v. paračàr, tólpo).

 

Pùmer sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

pùña sf. (pl. pùñe) lotta fra animali forniti di corna. Àsto vìsto kóme ke l pùña kél kòčo hai visto che razza di combattimento ha fatto quel caprone; fèi la pùña fare baruffa tra ragazzi; èse kóme la pùña detto a chi veste sempre allo stesso modo o mangia sempre lo stesso cibo perché ne ha gran passione.

 

puñà  vb. intr. (pùño; puñèo; puñòu) lottare, cozzare con le corna tra animali. La vàča, l tòro, la mànda, la féda, l róko, la čàura, l kòčo, l audòla pùña la mucca, il toro, la giovenca, la pecora, il montone, la capra, il caprone, la capretta lottano a cornate.

 

puñà  vb. intr. (pùño; puñèo; puñòu) fare i capricci, imbronciarsi. Se no ti kónpre kè kel vó l pùña dùto l sànto di se non gli comperi quello che vuole tiene il broncio tutto il giorno.

 

pùn puñéto sf. (solo sing.) gioco fatto con le mani chiuse a pugno. Si tratta di tenere nascosto qualcosa in un pugno e chiedere all'altro giocatore di indovinare in quale pugno si trova; dugà a pùn puñéto, giocare a pùn puñéto.

 

puñàda sf. (pl. puñàde) cornata. Sta lontàn dal róko, se nò te te čàpe na puñàda stai lontano dal montone altrimenti rischi di prenderti una cornata.

 

puñèla sf. (pl. puñèle) manciata. Nprésteme na puñèla de farìna prestami una manciata di farina; te dào na puñèla de bronbolùže ti do una manciata di prugne selvatiche.

 

puóčo, puóko agg. poco. Ka ìnte e frédo, te as fàto puóčo fuóu qui dentro fa freddo, hai tenuto il fuoco troppo basso (v. póko, póčo).

 

puodàseke, podàseke, puó dàse ke avv. può darsi che. Puodàseke l pióve può darsi che piova; veñaràla tó màre? puodàse! verrà tua madre? forse?

 

puóro, póro agg. (pl. puóre, póre, f. puóra, póra) povero, misero. Na puóra bèstia una povera bestia; n puóro òn un povero uomo; puóre fiói poveri figli; puóro tu, se no te màñe! guai a te se non mangi!; l é n puóro lui è una persona povera di spirito (v. puaréto, puarón, porokàn, porogràmo).

 

Pùpo  de Iği sm. (pl. Pùpe de Ìği) persona smorta, senza vita, senza ardore. Usato nella loc. te sés kóme l Pùpo de Ìği sei una persona senza vita, senza ardore, senza spirito. Iği era un artigiano del legno, costruttore di giocattoli, di gerle e zoccoli che viveva e lavorava a Lozzo.

 

Pùpo  de Sanlaurènžo sm. (top.) torre rocciosa posta in mezzo alla Forcella di San Pietro, a nord di Lozzo. Si tratta di una torre molto nota, detta l Pùpo, o l Pùpo de San Laurènžo, o ancora dai forestieri l Pùpo de Lóže. La Forcella di San Pietro è la grande forcella, con il Pùpo in mezzo, che ha il Častelìn sul lato ovest e il Čaréido sul lato est. Non confondere cioè l Pùpo con la torre de San Laurènžo, che è la torre a est del Čaréido, sulla costa che scende in Pomadòna.

 

pùpola sf. (pl. pùpole) polpastrello, capocchia dei fiammiferi. Me èi dòu na martelàda do par la pùpola del pòlis mi sono dato una martellata sul polpastrello del pollice; le pùpole déi furminànte e dùte biandàde e no le čàpa le capocchie dei fiammiferi sono tutte bagnate e per questo non si accendono.

 

pur, pùra avv. pure, anche. A sto móndo biśòña pur laurà a questo mondo bisogna lavorare; ió no èi paùra, čàma pùra tó màre chiama pure tua madre, io non ho paura.

 

pùrga sf. (pl. pùrge) purga, purgante. Tòle la pùrga prendere la purga, purgarsi; i purganti più comuni erano fino agli anni 80 l làte peòu il latte inacidito, la manasièna la senna, al sal de kanàl il sale inglese, l òio de rìžino l'olio di ricino; quando non danno alcun effetto, si ricorre allora al sotratìvo, il clistere e per ultimo al medico.

 

purgà, purgàse vb. trans. e rifl. (me pùrgo; purgèo; purgòu) purgare, ripulire, purgarsi, prendere la purga. Èi purgòu me fiól ho dato la purga a mio figlio; purgà la salàta, l radìčo, l òrğo, l sórgo togliere la mondiglia all'insalata, al radicchio, all'orzo, al granoturco; purgà l bósko ripulire il bosco da tutto ciò che impedisce alle giovani piante di crescere bene: sterpaglia, alberi ormai vecchi o guasti; nkuói me èi purgòu oggi ho preso la purga; fig. di a purgàse déi pekàs andare a confessarsi.

 

puśèl sm. (solo sing.) pochino. N puśèl de...! un pochino di...!

 

pusiéra, pulsiéra sf. (pl. pusiére) polvere della miniera. Termine di derivazione francese da “mal de poussière”; mal de pusiéra silicosi; l e mòrto de mal de pusiéra è morto di silicosi.

 

pùster agg. (inv.) uomo o cavallo proveniente dalla Val Pusteria. Èi konpròu n pùster ho comperato un cavallo di provenienza pusterese; àsto vìsto ke i pùster pòrta l garmàl kóme le fémene? hai visto che gli uomini in Pusteria indossano il grembiule come da noi le donne?

 

putàna sf. (pl. putàne) puttana, svergognata. Fig. èi na fàme putàna ho una fame terribile; èi na séide putàna ho una sete grande.

 

putaniér sm. (inv.) donnaiolo. Da dóvin l a fàto n tin l putaniér, ma daspò l a betù la tèsta a pósto da giovane è stato un donnaiolo, ma poi ha messo la testa a posto.

 

pùža sf. (pl. pùža) puzza, scoreggia, fig. pettegolezzo, frottola. Siénte ke pùža! senti che puzza!; no sta pì tirà pùže non fare più scoregge; no sta veñì ka a kontà pùže non venire qui a raccontare frottole, pettegolezzi del paese; di a tòle su dùte le pùže de sto móndo raccogliere tutti i pettegolezzi; portà pùže raccontare pettegolezzi (v. spùža).

 

pužà vb. intr. (pùžo; pužèo; pužòu) puzzare. Kè àsto mañòu ke te pùže l fiòu? cosa hai mangiato che hai l'alito così pesante?; làvete ke te pùže kóme n kòčo lavati perché puzzi come un caprone; sta ròba me pùža questa cosa sa di sotterfugio, mi insospettisce; prov. le ròbe pì se le mìsia e pì le pùža più si discutono le questioni del passato e più sembrano brutte, più si ritorna sugli scherzi del passato e più fanno male, oppure più si rimestano, si ricordano i vecchi dissapori più rattristano, oppure vengono a nausea (v. spužà).

 

pužón agg. (pl. pužói, f. pužóna, pl. pužóne) puzzolente, scoreggione, pettegolo. No èi mài vìsto n pužón kóme te non ho mai visto un uomo puzzolente, scoreggione, pettegolo come te (v. pužós).

 

pužós agg. (pl. pužóśe, f. pužóśa) puzzolente, curioso, pettegolo, fig. schizzinoso. Tó suó e n tin pužóśa tua sorella è un po' pettegola (v. pužón).

 

 

 

 

eof (ddm 02-2009)