Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore

dalle note del prof. Elio del Favero  - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale

prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini  

 

Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario,  è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.

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ó  cong. ovvero, oppure. Prov. ó te màñe sta menèstra ó te sàute sta fenèstra mangi quello che c'è oppure salti il pasto.

 

ó  pron. pers. io. Adoperato spesso in luogo di : véño ànke ó vengo anch'io (v. ió, tabella pronomi).

 

ó3 escl. oh, perbacco. Ó màre kè ke me tóča fèi pa sto bòča mamma mia cosa mi tocca fare per questo ragazzo.

 

obligà vb. trans. (obligéo; obligèo; obligòu) obbligare, costringere, fig. sentirsi in debito. L obligéa so fiól a studià ànke se no l a tèsta obbliga suo figlio a studiare anche se non è intelligente; son obligòu a dì sono costretto a partire.

 

obligažión sf. (inv.) obbligo, debito, impegno. No podarèi mài pagà dùte le obligažión ke èi kon te non riuscirò mai a pagare tutti i debiti di gratitudine che ho verso di te; prov. ko l obligažión no se fa bòne ažión un'azione non è buona se chi la fa vi è costretto.

 

obligòu agg. (pl. obligàde, f. obligàda) obbligato, riconoscente. Te as da èse obligòu a dùte i tuói devi essere riconoscente verso tutti i tuoi parenti.

 

očàda sf. (pl. očàde) occhiata, sbirciata. Làsa ke dàe n očàda a kél ğornàl lascia che dia un'occhiata a quel giornale; da n očàda al tùto fìnke làvo dó bada un po' al bimbo mentre lavo i piatti!

 

očadà vb. trans. (očadéo; očadèo; očadòu) sbirciare, guardare di sfuggita, curiosare. Parkè véñesto sènpre a očadà nte čàśa méa perché vieni sempre a curiosare in casa mia.

 

očàl sm. (pl. očài) occhiale. Kuàn ke liédo, èi da tòle i očài quando leggo devo mettere gli occhiali.

 

očalìn sm. (inv.) dente canino. É chiamato così perché quando sbuca assomiglia a un piccolo occhio bianco. L tùto, śbaéa parkè l béte dó i očalìn il bimbo sbava perché gli stanno spuntando i denti canini.

 

očèl sm. (pl. očiéi) occhiello, asola. Nte sta čaméśa okóre n àutro očèl a questa camicia occorre fare un'altra asola.

 

òčo  sm. (pl. òče) occhio. Òče négre, grìs occhi neri, occhi grigi; òče da fùrbo occhi maliziosi; starlòčo strabico; vèrde i òče aprire gli occhi, fig. farsi furbo; avé òčo avere occhio, aver misura, prestare attenzione; voltà i òče distrarsi per un attimo; fòra de sóte i òče lontano dagli occhi, fuori dallo sguardo; tirà i òče sgranare gli occhi per la meraviglia o per rimproverare, fig. i òče del bró il grasso nel brodo; i òče de le patàte escrescenze delle patate da cui spuntano i germogli; serà n òčo far finta di non vedere; meśurà a òčo prendere le misure a occhio; loc. śgorbà l òčo nascondere in qualche modo il difetto di un oggetto; loc. sta ròba me vién bèlo fòra pài òče sempre la stessa roba da mangiare, o più in generale, di queste cose mi sono ormai stufato; voltà o tirà i òče su sóte svenire, spirare, strabuzzare gli occhi; tirà i òče adocchiare, aguzzare lo sguardo; prov. l òčo del parón guèrna l čavàl solo l'occhio del padrone cura effettivamente la buona conduzione di una proprietà; prov. èse kóme n spórko nte n òčo essere insopportabile; loc. fèi de òčo ammiccare; la bàla de l òčo il bulbo oculare; avé i òče pì grànde de la bóča detto di una persona estremamente avida, ingorda; prov. i òče e la fenèstra déi pekàs gli occhi sono la finestra dei peccati; prov. ànke l òčo vo la so parte anche le apparenze hanno la loro importanza.

 

òčo  escl. attenzione, sta attento. Òčo ài perói attenzione ai sassi; àbie òčo fai attenzione, sta attento; téñelo de òčo tienilo d'occhio, osservalo bene; òčo ke te tóme attento che cadi.

 

odià, odiàse vb. trans. e rifl. (òdio; odièo; odiòu) odiare, odiarsi. I e fardiéi, ma pa la ròba e àne e anòrum ke i se òdia sono fratelli, ma sono tanti anni che si odiano per questioni di proprietà.

 

odiós agg. (pl. odióśe, f. odióśa) odioso, fig. antipatico, insopportabile. Parkè sésto tànto odiós? perché sei così odioso?, perché odi così tanto la gente; l e kosì odiós ke ko lo védo me vién mal de pànža? mi è così antipatico che al solo vederlo mi viene il mal di pancia.

 

oèra sf. (pl. oère) nido d'uova. Sóte la tàsa èi čatòu na oèra: èra la mè pìta ke la dèa là sóte a pónde sotto la catasta di legna ho trovato un mucchio di uova: era la mia gallina che andava lì sotto a deporle. Son dette oère anche le uova in gestazione che si trovano nella gallina quando la si sventra per metterla nella pentola.

 

ofènde vb. trans. (ofènde; ofendèo; ofendù) offendere. No te as da ofènde mài nisùn non offendere mai nessuno.

 

ofensìvo agg. (pl. ofensìve, f. ofensìva) offensivo. Dì paròle ofensìve pronunciare parole offensive, offendere.

 

ofèrta sf. (pl. ofèrte) offerta, obolo. No èi ñànke i skèi da béte a ofèrta sono davvero molto povero; la bórsa de le ofèrte borsa con cui si raccolgono le offerte durante la funzione religiosa.

 

ofižiàl sm. (pl. ofižiài) ufficiale dell'esercito. Me fardèl e ofižiàl déi Alpìne mio fratello è ufficiale negli Alpini.

 

ofižiatùra sf. (pl. ofižiatùre) cerimonia religiosa per i defunti. Mésa e ofižiatùra par le àneme del Purgatòrio Messa e ufficiatura per le anime del Purgatorio; dì a ofižiatùra partecipare ad una cerimonia funebre.

 

ofìžio sm. (pl. ofìžie) ufficio, municipio, Vespro. Són du do n ofìžio sono andato in municipio; són du a Ofìžie sono andato al Vespro, cerimonia religiosa del pomeriggio domenicale (v. komùn).

 

ofrì vb. trans. (òfro; ofrìo; ofrìu) offrire. Ofrì n tin de kafè offrire una tazza di caffè.

 

òio sm. (pl. òie) olio. Òio de oliva, de séme, de koradèla de merlùzo, de rìžino, de lìn olio di oliva, di semi, di fegato di Merluzzo, di ricino, di lino; loc. òio de komedón olio di gomito, buona volontà di lavorare manualmente; par fèi veñì lùstre i séče, okóre òio de komedón per ottenere secchi lucenti bisogna lavorare di braccia; èi tolésto na ónža de òio de rìžino ho bevuto un'oncia di olio di ricino, ho preso la purga; dà na màn de òio de lìn a la tòla dare una mano di olio di lino (verniciare) alla tavola; loc. èse par sóra kóme l òio mettersi sempre in evidenza, cercare di eccellere per prevalere sugli altri.

 

oiùto sm. (inv.) aiuto. Escl. oiùto màre méa de kuóre! aiuto, mamma mia!

 

okaśión sf. (inv.) occasione, opportunità. Èi perdù l okaśión de partì ho perso l'occasione di partire; se te véde l okaśión, kónpreme na karpéta se si tratta di un'occasione, comprami pure una gonna.

 

okóre vb. imp. (okóre; okorèa; okorésto) occorrere, essere necessario, abbisognare. Okóre laurà bisogna lavorare; okóre pì bòna volontà è indispensabile che ci sia più buona volontà; no okóre pì ke te vàde non è più necessario che tu vada (v. bisòña, kóñe, skóñe).

 

okorènža sf. (solo sing.) necessità. Loc. a l okorènža in caso di bisogno, in caso di necessità; a l okorènža, čàmeme in caso di necessità, chiamami.

 

òldentrài escl. piccola canaglia, accidenti. Òldentrài, te sés stòu pròpio fortunòu accidenti, sei stato davvero fortunato.

 

ólko sm. (inv.) schifo, gran fastidio, persona indigesta. Kel la pàrla sólo ke de palón, l me fa ólko, quello parla solo di calcio, mi da fastidio; a mañà sta ròba me fa ólko, questo cibo mi fa schifo.

 

ólpe sf. (inv.) volpe (zool. Vulpes vulpes). La ólpe a mañòu i petùs la volpe ha mangiato i pulcini; la ólpe a lasòu le žapaiàde sul néve la volpe ha lasciato le sue impronte sulla neve; loc. te sés na ólpe sei furbo come una volpe, sei un furbacchione.

 

ométo, omenéto sm. (pl. ométe, omenéte) monaco della capriata, palo del tetto. È il palo verticale, incastrato tra i due puntoni che portano le falde del tetto e che con il palo orizzontale, detto catena, formano il triangolo della capriata del tetto. Il monaco è incastrato tra i due puntoni e sopra di esso è appoggiata la kólmin del tetto, la sua lunghezza non arriva a toccare la catena ma viene lasciato uno spazio di qualche centimetro per permettere il movimento del tetto con il sovrappeso della neve. Senza questo piccolo gioco il monaco andrebbe a caricare tutto il peso sulla catena rischiando di romperla.

 

òn sm. (pl. òmin) uomo, fig. marito. Tu te sés n òn e ió na fémena tu sei un uomo ed io una donna; loc. l e n bón òn è un buon uomo, è un bonaccione; n òn da póčo un uomo da poco; vàrda ke bokón de òn guarda che pezzo d'uomo, che omaccione; n òn da laóro, da fadìa un uomo da lavoro, un uomo da fatica, un buon lavoratore; késto e n parlà da òn! questo sì è parlare da vero uomo; l e n òn de čéśa è un uomo di chiesa, è un uomo devoto; čaméśa, skàrpe, ğakéta da òn camicia, scarpe, giacca da uomo; loc. l e n bón òn kuàn ke l dòrme detto di chi spesso si comporta da attaccabrighe; te sés n òn de pèža sei un uomo di pezza, cioè come uomo non vali niente, lasci che tutti ti comandino; al to òn e n òn de pèža tuo marito è un uomo di pezza, cioè tu fai di tuo marito quello che vuoi; un par òn uno per ciascuno; loc. par òn per ciascuno; al me òn no me a mài dòu pàke mio marito non mi ha mai picchiata; prov. i òmin fa la ròba, ma la ròba no fa i òmin gli uomini si procurano la ricchezza, ma non è la ricchezza che rende gli uomini veramente signori; prov. n òn bàsta ke l sée san, ke l àbie n pàn e ke l sée n bón kristiàn ciò che conta per un uomo è essere sano, avere un lavoro e comportarsi da buon cristiano; prov. l òn bàsta ke l àbie vòia de laurà, ke no l fàže čòka e ke no l dàe pàke per un uomo è sufficiente aver voglia di lavorare, non ubriacarsi e non picchiare la propria moglie; prov. e mèo n òn fàto ke n puliéro màto è meglio sposare un uomo maturo che un giovanotto incostante; prov. i òmin kamìna, ma le kròde rèsta férme le opinioni possono mutare, i principi invece sono incrollabili; prov. val pì n òn de pàia ke n fiól de òro una moglie fa sempre affidamento sul marito, anche se vale poco, piuttosto che su un figlio, anche se questo vale molto di più; questo detto ricorda l'altro proverbio n pàre mantién sète fiói, ma sète fiói no mantién so pàre un padre mantiene sette figli, ma sette figli non riescono a mantenere il proprio padre; dispr. omenàto uomo cattivo; dim. omenùto giovanotto, oppure basso e mingherlino; kél tośàto e bèlo n omenùto quel ragazzo è già un ometto, si comporta già da uomo (v. paròn).

 

ónbol sm. (inv) carne di filetto di maiale. Nkuói me màño n tin de ónbol oggi mi preparo del filetto di maiale.

 

ónbra sf. (pl. ónbre) bicchiere di vino. Bevónse n ónbra beviamoci un bicchiere di vino; loc. dì a ónbre! andare a ombre, bere un bicchiere dopo l'altro; l ónbra è il bicchiere di vino che di solito si beve al bar, corrispondeva alla capacità di circa un decimo di litro. Prov. àne e ónbre no se kónta mài gli anni e i bicchieri di vino è meglio evitare di contarli (v. palànka).

 

onbrèla sf. (pl. onbrèle) ombrello. Èi konpròu na onbrèla ho comperato un ombrello; prov. dùte e bói de tòle su l onbrèla kuàn ke l pióve tutti son capaci di dire cosa si doveva fare dopo che il danno ormai è fatto, il famoso senno del poi.

 

onbrelèi sm. (inv.) ombrellaio. È un artigiano che passa per il paese un paio di volte all'anno e ripara ombrelli, affila coltelli, forbici, stagna recipienti di rame, sostituisce il fondo o le parti consumate delle pentole. Non può vivere in un unico paese perché non guadagnerebbe abbastanza per vivere. E ruòu l onbrelèi è arrivato l'artigiano che aggiusta ombrelli.

 

onbrìa sf. (pl. onbrìe) ombra. Dón a l onbrìa andiamo all'ombra; prov. no sta kréde de fèime onbrìa non credere di ostacolarmi negli affari, oppure non credere di appannare il mio buon nome; fig. no sta sènpre a l onbrìa non stare sempre in ozio; tu te as paùra de la tó onbrìa tu hai paura di tutto le onbrìe de dada siéra le ombre della sera; loc. te me fas onbrìa mi fai ombra, mi dai noia, mi sei d'impaccio.

 

onbrós agg. (pl. onbróśe, f. onbróśa) ombroso, suscettibile. Késto mò e n luógo onbrós questo sì che è un luogo ombreggiato; te sés onbrós kóme i puliére sei ombroso, suscettibile come i puledri.

 

onbróśe sf. (solo pl.) paraocchi. Fig. te as le onbróśe kóme i čavài sei di veduta limitata, vedi solo quello che ti fa comodo; paréča le onbróśe pa l čavàl prepara il paraocchi per il cavallo.

 

ónde vb. trans. (óndo; ondèo; ondù) ungere, lubrificare, fig. picchiare, cercare con denaro o adulazione il favore di qualcuno. Ónde le ròde del karéto ungi le ruote del carretto; fòra pal piàn okóre ónde i audìn de la luóida ko l séu quando si arriva in piano bisogna ungere i pattini della slitta col sego perché scivoli meglio; se te vós čapà àlgo, okóre ónde se vuoi ottener qualcosa devi saper lisciare gli ostacoli; la màre me ónde dùte i dìs la mamma mi picchia tutti i giorni; ónde l vestì sporcare di unto il vestito; se no te stas bón, te óndo kól bastón se non stai buono ti picchio; prov. se no se ónde, no se a se non si fanno regali, non si riesce ad ottenere niente, oppure okóre ónde parkè l čàr vàde è necessario ungere il carro perché proceda, leggera corruzione.

 

ondùda sf. (pl. ondùde) lubrificazione, untura, bastonatura. Tòle la sónda e dài na bèla ondùda a le skàrpe da fèr prendi il grasso e ungi bene le scarpe ferrate; l'operazione si ripete di frequente d'inverno quando la neve rende duro il cuoio delle scarpe ferrate. Se te fas kosì, te vàs a rìsčo de čapàte na bèla ondùda se ti comporti così rischi di prenderti una sonora bastonata (v. sónda).

 

ónğa sf. (pl. ónğe) unghia. Taiàse le ónğe tagliarsi le unghie; fig. avé le ónğe lònge avere le unghie lunghe, essere un ladro, rubare; fig. tàeme na ónğa de formài tagliami una fettina di formaggio; loc. mañà polènta e ónğe essere costretti a mangiare polenta senza alcun companatico; rośeàse, tažàse le ónğe pentirsi di quello che si è fatto o non si è fatto.

 

onğà vb. trans. (ónğéo; onğèo; onğòu) rubare. Tu te ónğée sènpre àlgo tu rubi sempre qualcosa.

 

onğàda sf. (pl. onğàde) unghiata, graffio. Késta e na onğàda de ğàto questo è un graffio di gatto.

 

onğón agg. (pl. onğói, f. onğóna, pl. onğóne) ladro, lesto di mano. No èi mài vedù n onğón kóme to fardèl non ho mai conosciuto una persona lesta di mano come tuo fratello.

 

onór sm. (pl. onóre) onore. Fèite onór, me rakomàndo fatti onore, mi raccomando; paròla d onór parola d'onore; prov. l onór no se lo kónpra kói skèi l'onore non si compra con il denaro; teñì l onór ìnte de le pòrte lavare i panni sporchi in casa; prov. ki ke vo l onór se lo fàže chi vuole essere onorato deve meritarselo.

 

onorà vb. trans. (onoréo; onorèo; onoròu) onorare, rispettare. Onoréa to pàre e to màre devi rispettare tuo padre e tua madre.

 

onoròu agg. (pl. onoràde, f. onoràda) onorato, stimato, ossequiato. Faméa onoràda famiglia stimata; tóśa onoràda ragazza degna di onore, ragazza stimata per la sua serietà.

 

ónta sf. (pl. ónte) untura, lubrificazione, fig. bastonatura. Loc. na ónta e na pónta una carezza e una trafittura; ka okóre na ónta e na pónta qui c'è bisogno di una carezza e di un rimprovero, bastone e carota (v. ondùda).

 

ontižà vb. trans. (ontižéo, ontìžèo, ontižòu) imbrattare, sporcare di unto. Èi ontižòu dùta la ğakéta ho sporcato d'unto tutta la giacca; sta atènti de no ontižàte stai attento a non sporcarti di unto.

 

ontìžo sm. (pl. ontìže) unto, untume. Sti piàte e nkóra pién de ontìžo questi piatti sono ancora sporchi di unto.

 

ontižòu agg. (pl. ontižàde, f. ontižàda) macchiato d'unto. Kè àsto fàto ke te sés dùto ontižòu cosa ti è successo che sei tutto macchiato d'unto.

 

ónto sm. (solo sing.) burro. Dàme n tin de ónto dammi un po' di burro; te sés kóme n pàn de ónto sei un rammollito come un pezzo di burro (v. botìro).

ónto  agg. (pl. ónte, f. ónta) unto, sporco in genere. Te as l garmàl ónto hai il grembiule molto sporco; làvete, ónto ke no te sés àutro lavati, sporcaccione che non sei altro; ónto e biśónto unto e bisunto, sporchissimo.

 

ónža sf. (pl. ónže) oncia. L'oncia è sia una misura di peso che di lunghezza, in pratica significa un dodicesimo. Come peso è un sottomultiplo della libbra e corrisponde ad un dodicesimo, circa 43 gr, come misura di lunghezza corrisponde a un dodicesimo di piede, cioè circa 27 mm. In realtà le cose erano più complesse perché se il termine libbra è unico, la libbra di Sappada pesava sui 450 gr. mentre quella cadorina, veneta, sui 500, esisteva inoltre una libbra grossa e una sottile, da cui detti del tipo: ogni piede ha la sua scarpa ogni campanile la sua campana. Na tàia da òto ónže un tronco da otto once; tòlete na ónža de òio de rìžino e te pasarà dùto prenditi un'oncia di olio di ricino e ti passerà tutto; loc. a ónža, a ónža oncia dopo oncia, un po' alla volta; prov. al màl vién a čàr e va vìa a ónže il male arriva tutto in una volta, ma per guarire ci vuol molto tempo.

 

òña sf. (pl. òñe) inezia, stupidaggine, sciocchezza. Loc. te sés sènpre pién de òñe dici sempre un sacco di stupidaggini; loc. dì n žérka de òñe andare in cerca di sciocchezze; làsa dùto kóme ke é, e no sta dì nžérka de òñe lascia tutto com'è e non cercare di complicare le cose (v. sčòna).

 

òñi agg. (inv.) ogni, tutti. Òñi dì ogni giorno, òñi més ogni mese, òñi an ogni anno; òñi dói o tré dis ogni due o tre giorni, òñi òta ogni volta. Òñi dì a la so krós non c'è giorno che non presenti qualche avversità.

 

òñiùn pron. (f. oñiùna) ciascuno, ognuno. Nte na faméa oñiùn a da fèi la so pàrte de laóro in famiglia ognuno deve contribuire con il suo lavoro.

 

òpera sm. (pl. òpere) lavoro, denti e scanalature delle chiavi, costruzioni.

 

Òpere, Le sf. (top.) fortificazioni costruite tra la prima e la II guerra mondiale in località Kuóibe - Moleniés e in altri punti strategici lungo la direttrice principale. Venne ironicamente definita” linea non mi fido”perché nel frattempo Hitler si era annessa l'Austria. Ìnte da le Òpere nella zona di Kuóibe.

 

opilàse vb. rifl. (me opiléo; opilèo; opilòu) indolenzirsi la muscolatura facendo un grosso sforzo. Dolori ai muscoli addominali per sforzi dovuti a movimenti inconsueti. A fòrža de laurà me èi opilòu a forza di lavorare tanto mi son indolenzito la muscolatura addominale.

 

opilòu agg. (pl. opilàde, f. opilàda) malato di ernia, fig. sfibrato fisicamente. Me èi opilòu a portà dó dùte kéle léñe a portar giù tutta quella legna mi son distrutto, mi son fatto venire l'ernia.

 

òpla escl. su, dai salta. Detto ai bambini per gioco, invito a fare un piccolo salto; anche òpla dài! orsù, suvvia salta!

 

opùr, opùra cong. oppure. Va tu opùra to fardèl! va tu oppure tuo fratello! (v. pùramente).

 

ór sm. (inv.) orlo. Kuśìse mèo sti ór cuci meglio questi orli; dì vìa par l ór camminare lungo il ciglio della strada (v. órlo).

 

óra sf. (pl. óre) ora, tempo. E n óra ke te spiéto è da un'ora che ti aspetto; e óra de mañà è il momento di mangiare; no védo l óra de partì non vedo l'ora di partire; vàdo a pasàme n óra vado a rilassarmi un poco; no vàdo mài a óra de fèi dùto non riesco mai a fare tutto; to fiól e fòra a dùte le óre tuo figlio non è mai a casa; da ka de n óra fra un'ora; loc. e óra ke te fàže ğudìžio, ke te béte la tèsta a pósto è ora che tu faccia giudizio, che tu metta la testa a posto; vàdo a fèi l óra vado in chiesa per l'ora di adorazione; loc. óra ke l vién, fàžo i sarvìśe in attesa che venga, faccio i lavori di casa. Botta e risposta scherzosa: ké óra élo?, l óra de niére a sta óra nè pì tàrde nè pì bonóra che ora è?, l'ora di ieri a quest'ora, né più tardi né più presto; straóra o straóre ad ora insolita, a notte tarda; fig. savé ke óra ke e sapere come vanno le cose.

 

òra sf. (pl. òre) opera, lavoro, giornata lavorativa. Corrispondente ad una giornata intera di lavoro per un operaio. Te as fàto na bèla òra! hai fatto proprio un bel lavoro!; èi debeśuói de dóe òre par dì a kurà ho bisogno di due operai per andare a ripulire i prati; dì a òra andare a lavorare per altri, di solito per un'intera giornata; fèi n òra e dói sarvìśe prendere due piccioni con una fava; l òra de la čàve la parte lavorata, dentellata, della chiave; ka no se finìse mài òra qui non si finisce mai di lavorare, detto specialmente dalle mamme che, con molti figli, hanno sempre qualcosa da fare. Per quanto riguarda il lavoro si diceva prendèra un'intera giornata di lavoro che dà diritto al prandium, cioè alla cena; marendèra 3/4 di giornata che dà diritto alla merenda (marènda); disnèra mezza giornata che dà diritto al desinare (disnà) e solverèra un quarto di giornata che dà diritto ad una piccola merenda per rompere il digiuno del mattino.

 

Òra sf. (nome) soprannome di famiglia e ipoc. di Dorotea.

 

oràkol sm. (pl. oràkoi) oracolo. A parlòu l oràkol ha parlato la bocca della verità, detto in senso ironico; teñì na ròba kóme n oràkol conservare qualcosa con particolare cura come fosse un oggetto sacro.

 

oràrio sm. (pl. oràrie) orario, ora giusta. Nte sta čàśa no e mài oràrio in questa casa non c'è mai un orario, in questa casa ognuno va e torna quando vuole. No te rùe mài a oràrio non rispetti mai l'orario.

 

oražión sf. (inv.) orazione, preghiera. Dì su le oražión recitare le preghiere.

 

orbeśìn agg. (f. orbeśìna, pl. orbeśìne) miope. Tó pàre e sènpre stòu n tìn orbeśìn tuo padre è sempre stato un po' miope.

 

òrbo agg. (pl. òrbe, f. òrba) cieco. L e nasù òrbo è nato cieco; loc. són stràko òrbo sono stanchissimo; dì a la òrba andare alla cieca; prov. i sòlde fa čantà (o balà) l òrbo il denaro mette allegria perfino al cieco, col denaro si risolvono molti problemi; prov. nte l paés déi òrbe, beàto ki ke a n òčo sólo fra persone piene di acciacchi, è beato chi ne ha solo pochi.

 

Òrbo sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

òrbola sf. (pl. òrbole) orbettino (zool. Anguis fragilis). Le òrbole no le e velenóśe gli orbettini non sono velenosi.

 

ordenà vb. intr. (ordenéo, ordéno; ordenèo; ordenòu) ordinare, comandare, dare ordini, mettere in ordine, sistemare. I me a ordenòu de fèi kosì mi hanno ordinato di fare così; no sta ordenà da mañà ke te paréčo ió da disnà non ordinare da mangiare: ti preparo io il pranzo; te as debeśuói de ordenà n tìn ste stànže hai bisogno di mettere un po' di ordine in queste stanze; i l a ordenòu prèe l'hanno ordinato prete.

 

ordenàrio agg. (pl. ordenàrie, f. ordenària) grezzo, scortese, screanzato, zoticone. Kéla là e sènpre stàda ordenària quella è sempre stata grezza; prov. ordenàrio kóme l pàn fàto n čàśa rozzo, grezzo come tutto ciò che si fa alla buona; te sés n ordenàrio fai gesti e parli in modo volgare.

 

Ordenère sm. (top.) località a nordest di Pian dei Buoi, vicino Foržèla Bàsa e Valdažéne

 

ordì , ordìu, ordìvo sm. (inv.) l'ordito del tessuto. Par meśurà skomìnžia da l ordìu per prendere la misura comincia dall'ordito.

 

ordì  vb. trans. (ordìso; ordìo; ordìu) ordire la tela. Ordìse polìto kéla téla se nò la karpéta se deskośìse ordisci bene quella tela altrimenti la sottana si scuce.

 

órdin sm. (inv.) ordine, comando. Dài l órdin de laurà dagli l'ordine di iniziare a lavorare; sta čàśa e sènpre n órdin questa casa è sempre in ordine.

 

orèmus vb. (inv.) il pregare, il chieder scusa. Usato solo all'infinito in forma avverbiale. Loc. veñì a(d) orèmus venire a chiedere perdono. Te veñaràs pùra a(d) orèmus verrà il giorno in cui sarai costretto a chiedere perdono e a pagare per il tuo malfatto; čantà l orèmus cantare l'oremus, rimproverare; kuàn ke te ruaràs, to màre te čantarà l orèmus quando arriverai a casa, tua madre ti farà la predica.

 

òre sm. (solo pl.) gioielli. I òre de čàśa i gioielli di casa.

 

orèr sm. alloro (bot. Laurus nobilis). Na fòia de orèr una foglia di alloro.

 

òrfin agg. (pl. òrfin, f. òrfena, pl. òrfene) orfano, privo, mancante. Ko la e mòrta, l a lasòu kuàtro òrfin quando è morta ha lasciato quattro figli orfani; són òrfin de dùto mi manca tutto, non ho assolutamente niente.

 

organéto sm. (pl. organéte) organetto, fig. chiacchierone. L'organetto di Barberìa passava ogni tanto in paese trasportato su un carrettino, suonando le novità musicali dell'anno accompagnato dall'armonica a bocca. Nkuói e pasòu kel de l organéto oggi è passato per le vie del paese suonando l'organetto; nparà a sonà l organéto imparare a suonare l'armonica a bocca; te sés pròpio n organéto sei davvero un gran chiacchierone.

 

òrgin sm. (inv.) organo. Nte le fèste grànde i sòna l òrgin durante le feste solenni, in chiesa, viene suonato l'organo; loc. sonà i òrgin dare segno di squilibrio mentale; òñi tànto l sòna i òrgin ogni tanto dà segni di stranezze psichiche; bàte i skuèrče, rónpe i òrgin rompere le scatole, disturbare; no sta rónpeme i òrgin non rompermi le scatole.

 

orğè sm. (solo sing.) caffè fatto con orzo tostato. Il termine è in forma scherzosa. Èi bevù na čìkera de orğè ho bevuto una tazzina di caffè fatto con l'orzo.

 

òrğo sm. (inv.) orzo (bot. Hordeum vulgare). Menèstra de òrğo, kafè de òrğo minestra d'orzo, caffè fatto con polvere di orzo tostato e macinato; fig. čapà (da) l òrğo prendere (dare) le botte.

 

orì, urì sm. (solo sing.) aprile. Forma usata solo in alcuni casi, come nel prov. al prìmo de orì, vèrde la pòrta e làseme dì quando arriva il mese di aprile, si tralasciano i lavori di casa per dedicarsi a quelli primaverili dei campi.

 

òrka escl. accidenti, perbacco. òrka, ke bèla tóśa! accidenti, che bella ragazza!

 

òrko  sm. (pl. òrke) orco. Te sés n òrko sei un orco, cioè rozzo e prepotente; i kridèa dùte kóme i òrke urlavano tutti come forsennati.

 

òrko  agg. (f. òrka) porco. Adoperato solo nelle bestemmie, la decenza impedisce di riportare esempi, ma l'aggettivo è usato sia col nome di Dio che della Madonna.

 

òrko3 escl. accidenti, poffarbacco. òrko ke màl! accidenti, quanto male!; loc. òrko bòia! porco boia!; òrko kàne! porco cane!

 

orlà vb. trans. (órlo, orléo; orlèo; orlòu) orlare, fare l'orlo. Órla n tìn sti fažoléte dai, fai l'orlo a questi fazzoletti.

 

órlo sm. (pl. órle) orlo, bordo. Fèi i órle a la čaméśa fare gli orli alla camicia; loc. vìa pa l órlo lungo l'orlo di una strada, di un precipizio (v. ór).

 

òro sm. (pl. òre) oro. Con questo termine si indicava anche la carta stagnola che ricopre la cioccolata e cioccolatini; l anèl de òro l'anello d'oro; tò màre a le màn de òro tua madre è bravissima nei lavori manuali; òro màto oro falso, ottone; kéla e na tóśa de òro quella è una ragazza d'oro, è molto brava; i òre de čàśa gli ori, i monili di casa; prov. no e dùto òro kél ke lùśe non è tutto oro quello che brilla; prov. la salùte no e òro ke la pàge non c'è oro che valga la salute.

 

òrpo escl. accidenti, perbacco. Òrpo, kuànta ròba! accidenti, quanta roba!

 

órse sm. (inv.) orso (zool. Ursus arctors). Na òta ànke ka da neàutre èra i órse una volta gli orsi vivevano anche qui; čapà l órse nte l kù prendere l'orso nel sedere, malanno che ci si procura quando, da sudati, ci si siede su di un sasso freddo; màña, kosì te devènte gràn e te vas a kopà l órse mangia, così diventi grande e andrai a uccidere l'orso; incitamento rivolto ai bambini che hanno poco appetito per invogliarli a mangiare di più.

 

órto sm. (pl. órte) orto. Va nte órto a tòle su n tìn de salàta vai nell'orto a raccogliere un po' di insalata; késto no e l viàdo de l órto non si tratta certo del giro dell'orto di casa, ma di un viaggio molto lungo. Fig. vardà nte órto diventare grandi, maliziosi, dare occhiate furtive alle ragazze; to fiól vàrda bèlo nte órto tuo figlio è già smaliziato, guarda già le ragazze; no e la stràda de l órto non è una cosa facile.

 

òs sm. (inv.) osso. Tòle n tìn de kàrne ko l òs compera un po' di carne con l'osso; l e dùto òs è tutto ossa, è magrissimo; i òs de kùčo le ossa di maiale; gli ossi di maiale, che hanno ancora un po' di carne attorno, possono essere affumicati o messi sotto sale e poi cotti nella minestra di orzo o in quella di fagioli per insaporirla quindi mangiarli con la polenta; loc. avé l òs de pòrko essere poltrone, non avere voglia di lavorare; fig. l òs del pèrsego, del suśìn il nocciolo della pesca, della susina (v. pèndola).

 

ós sf. (inv.) voce. Termine usato molto raramente; siénte ke ós! senti che vocione! (v. vóže).

 

osadùra sf. (solo sing.) ossatura, intelaiatura. Okóre fèi polìto l'osadùra de l kuèrto bisogna costruire bene l'intelaiatura del tetto.

 

osmarìn sm. (inv.) rosmarino (bot. Rosmarinus officinalis). Rósto ko l osmarìn arrosto con il rosmarino.

 

osakòl sm. (pl. osakòi) ossocollo, coppa di maiale insaccata. Mañà pàn e osakòl mangiare pane e ossocollo.

 

ospedàl  sm. (pl. ospedài) ospedale. L e dù a l ospedàl è andato all'ospedale, è stato ricoverato all'ospedale, è gravemente malato; l e péna veñù fòra de l ospedàl è appena uscito dall'ospedale, è ancora convalescente; késto e n màl da ospedàl questa è una malattia molto grave.

 

Ospedàl  sm. (top.) Ospitale. Comune del Cadore che si trova lungo la valle del Piave, oltre Perarolo in direzione di Belluno, a circa venti km da Lozzo.

 

ostarìa sf. (pl. ostarìe) osteria, bettola. Dì pa le ostarìe andare di osteria in osteria, frequentare le osterie, essere un ubriacone; la so čàśa e l ostarìa la sua casa è l'osteria, cioè lui è un ubriacone.

 

òsti escl. accidenti. Òsti, ke brùto! accidenti, che brutto!

 

òstia  sf. (pl. òstie) ostia, particola, fig. fettina. E le mónege ke paréča le òstie è compito delle suore preparare le particole per la Messa; dàme na òstia de salàme, de formài dammi una fettina di salame, di formaggio.

 

òstia , òspia escl. accidenti. Esclamazione che non fa parte del frasario di una persona a modo, è considerata quasi una bestemmia.

 

ostià vb. intr. (ostiéo; ostièo; ostiòu) bestemmiare. Kél vèčo, kuàn ke l se ngrìnta, l'ostiéa una davói l àutra quel vecchio quando s'arrabbia bestemmia in modo esagerato (v. ostionà).

 

ostinàse vb. rifl. (me ostinéo; ostinèo; ostinòu) ostinarsi, intestardirsi. Ki ke no se ostinéa, no riése chi non si impegna, non ottiene alcun risultato.

 

ostinòu agg. (pl. ostinàde, f. ostinàda) ostinato, caparbio. L e ostinòu kóme n mùl è cocciuto come un mulo.

 

ostión agg. (pl. ostiói, f. ostióna, pl. ostióne) birba, furbacchione. Te sés pròpio n ostión sei davvero un birbone.

 

ostionà vb. intr. (ostionéo; ostionèo; ostionòu) imprecare. Al ostionéa par nùia bestemmia, impreca per un nonnulla (v. ostià).

 

ostìžia escl. accidenti, perbacco. Ostìžia, ke bèl accidenti come è bello (v. òsti).

 

òsto  sm. (pl. òste) oste. I òste a sènpre fàto skèi gli osti si sono sempre arricchiti; prov. a fèi i kónte žènža l òsto e da fèili dói òte far i conti senza l'oste, bisogna poi rifarli con lui, cioè due volte. I conti, bisogna farli anche con la controparte altrimenti non valgono.

 

Òsto  sm. (nome) soprannome di famiglia, estinta. Ki de l Òsto.

 

òta  sf. (pl. òte) volta. Na òta, dóe òte, tré òte una volta, due volte, tre volte; n òta par òn una volta ciascuno; késta e la me òta questa volta tocca a me, è il mio turno; n tin a l òta un po' alla volta; sta òta stavolta; n kél òta quella volta; n àutra òta un'altra volta; a le òte, dàle òte alle volte, certe volte, per caso; n grùmo de òte tante volte, spesso; póče òte poche volte, raramente; e póče e ràre le òte ke ... sono poche e rare le volte che, raramente succede che ...; dóe, tré, kuàtro òte tànto il doppio, il triplo, il quadruplo; sóte l òta de n dì nel giro di un giorno, durante una giornata; daspò de kél òta dopo quella volta; òta par òta volta per volta; dóe òte tré fa sié due volte tre fanno sei; pi de na òta più di una volta; sta òta ke vién la prossima volta.

 

òta  sf. (pl. òte) svolta, curva. Kéla òta e perikolóśa quella curva è pericolosa; tòle l òta curvare, fig. superare la crisi di una malattia; kuàn ke te tòle l òta, vàrda de no tomà quando fai la curva, quando svolti, cerca di non cadere; al màl a tolésto l òta la crisi peggiore del male è superata; fèi l òta detto del latte che va a male; se l làte fa l òta, l se péa se il latte viene lasciato inacidire, poi si rapprende; loc. čapà su l òta cogliere qualcuno in fallo (v. peàse).

 

otànta agg. num. (inv.) ottanta. L a volésto otànta frànke ha preteso ottanta lire; dì su pa i otànta essere vicino agli ottanta anni.

 

oteñì vb. trans. (otéño; oteñìo; oteñìu o oteñù) ottenere. Se te vós oteñì àlgo, te skóñe laurà se vuoi ottenere qualcosa, devi lavorare.

 

òto agg. num. (inv.) otto. L a bèlo òto àne ha già otto anni; loc. nkuói òto otto giorni fa, oppure fra otto giorni; niére òto ieri otto; domàn òto otto giorni a partire da domani.

 

otóbre sm. (solo sing.) ottobre. Me neódo e de otóbre, e l tò? mio nipote è nato in ottobre, e il tuo?

 

otón sm. (pl. otói) ottone, oggetto di ottone. Sti kučàre e de otón questi cucchiai sono in ottone (v. latón).

 

ótra avv. prep. oltre, al di là. Dì ótra andare oltre, procedere; pasà ótra l rin andare oltre il ruscello; ótra ke le malatìe l e pién de miśèria oltre ad essere malato è anche in miseria; ótravìa oltre, al di là.

 

 

 

 

eof (ddm 02-2009)