Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore

dalle note del prof. Elio del Favero  - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale

prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini  

 

Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario,  è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.

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ka avv. qui, qua. Èse ka essere qua; veñì ka venite qua; porté ka l funàžo portate qui la fune; da ka kel kučàro passami quel cucchiaio; da ka de n an fra un anno; da n tòko n ka da molto tempo a questa parte; ka de ka da questa parte; dì de ka e de là, dì n ka e ñà procedere a zig zag, andare qua e là; tìrete n ka avvicinati. Questo avverbio unito a: fòra, ìnte, su, dó, sóte, sóra acquista un significato diverso qualora preceda o segua l'avverbio. Se lo precede si hanno forme che indicano un luogo ben determinato: ka su quassù, ka dó quaggiù, ka ìnte qui dentro, ka fòra, qui fuori, ka sóte qui sotto, ka sóra qui sopra. Se invece lo segue, viene indicato un luogo non ben precisato: su ka quassù, dó ka quaggiù, ìnte ka qui dentro, fòra ka qui fuori, sóte ka qui sotto, sóra ka qui sopra. Ka su no vién mài nisùn quassù non viene mai nessuno; su ka no vién mài nisùn da queste parti, non viene mai nessuno. Kanavànte o dakanavànte (ka n avànte, da ka n avànte) d'ora in poi; ka de fra; ka de tré àne fra tre anni, di qui a tre anni; loc. son ka ke no puói pì non ne posso più (v. ).

 

kàbia sf. (pl. kàbie) gabbia. Se te béte kél aužèl nte kàbia l muóre se chiudi quell'uccello in gabbia, morirà; la to fémena te a betù nte kàbia, tua moglie ti tiene in casa e non ti lascia frequentare gli amici; dispr. kabiàta; accr. kabión; dim. kabiùta (v. mosàvia).

 

kabiaròto, kabiòto sm. (pl. kabiaròte) cuccia, baracca. L kabiaròto de le léñe la baracca per il deposito della legna. Kabiòto del čàn la cuccia del cane.

 

kabìbo sm. (solo sing.) appellativo usato scherzosamente per indicare i meridionali. Me suó a maridòu n kabìbo mia sorella ha sposato un meridionale.

 

kàbola sf. (pl. kàbole) bugia, fandonia. Kel là kónta sènpre kàbole quello lì non fa che raccontare frottole.

 

kabolà vb. intr. (kaboléo; kabolèo; kabolòu) mentire, raccontare bugie. Parkè kaboléelo? ma perché racconta sempre bugie?

 

kabolèi agg. (pl. kabolèi, f. kabolèra, pl. kabolère) bugiardo, mentitore. Te ses sènpre l sòlito kabolèi sei sempre il solito bugiardo.

 

kadenèla sf. (pl. kadenèle) catenina, catenella. Na kadenèla de òro una catenina d'oro (v. čadenèla).

 

kadó, ka dó avv. quaggiù. Kadó se sta polìto, a Pròu e na ğažèra. Quaggiù si sta bene, ma a Pròu fa molto freddo (v. ka).

 

Kadóre sm. (top.) Cadore. In Comelico e in altre zone del Cadore stesso si usa anche la denominazione Čadór.

 

il cadore.

Geograficamente il Cadore comprende il bacino superiore del Piave e dei suoi affluenti Ansiei, Pàdola, Bóite. Appartiene al Cadore anche la Val Fiorentina con Selva che fa parte del bacino del Cordevole, e Zoppé. Il Cadore non comprendeva fino a metà ‘800 Sappada, inclusa nei confini amministrativi solo di recente, ma che costituisce un'isola a sè. Per un lungo periodo inoltre i confini del Cadore comprendevano anche territori nella valle della Gail, anticamente detta Zeglia, ora Austria (v. Fabbiani, e Dol. Bel. 1996 P.G. Cesco Frare), anche Cluat, Cimolais, fino a Barcis, secondo Ciani, storia del Cadore, per un certo tempo sono appartenuti al Cadore.

I comuni del Cadore sono attualmente ventidue. Le maggiori notizie sul Cadore sono state raccolte da Giovanni Fabbiani che ha molto approfondito gli studi sui laudi e sulla storia del Cadore riportata nel suo lavoro pubblicato in più edizioni dalla Magnifica Comunità, ma ne parla anche Ezio Baldovin nel volumetto introduttivo al comune di Lozzo edito nel 1931, citando però solo 21 comuni. Komèlego de sóra (con quattro frazioni Kandìde, Dośolédo, Pàdola e Kaśamažàño), San Nikolò (con le frazioni di Kòsta, Kanpedèl, Lagùna e Ğéra), Dànta, San Piéro (con le frazioni di Kostàuta, Val, Mare e Preśenàio), San Stèfin (con tre frazioni Čanpolòngo, Kostalisòio, Kaśàda), Aurònže (costituito da tre frazioni Vilagrànda, Vilapìžola e Reàne), Vìgo (con tre frazioni Làio, Pelós, Penié), Lorenžàgo, Lóže, Domiéğe (con le due frazioni Gréa e Valeśèla), Čalàuž (con una frazione Režuós), Piéve (con le frazioni Požàle, Sótekastèl, Tai, Nebiù, Damós), San Vìdo (con le frazioni Resìnego, Valeśèla, Kòsta, Sèrdes, Čapùža), Bórča (con le frazioni Kančìa e Vilanòva), Vódo (con le frazioni Vìnigo e Peàio), Žopé (composto delle frazioni Sagùi e Vila), Žubiàna (con le frazioni Maśarié e Pianéže), Vàl (con le frazioni Venàs e Valeśìna), Peraruó (con la frazione Karàlte), Ospedàl (con le frazioni Tèrmin, Davèstra, Rivàlgo), Sélva (con le frazioni Kòsta, Santa Fóska, Peskùl). Attenzione, la dicitura dei nomi dei paesi qui riportata è quella usata a Lozzo, che in alcuni casi non corrisponde al nome usato in loco. Rimangono escluse Sappada e anche Cortina. Nella riedizione del 1983 del volumetto di Ezio Baldovin presentata dal Comune di Lozzo viene invece inclusa anche Sappada1. I ventidue comuni così indicati costituiscono il corpo dell'attuale Magnifica Comunità Cadorina. In realtà per avere tutto il Cadore si deve aggiungere anche Anpéžo, che fino al 1511 apparteneva anch'esso alla Magnifica Comunità Cadorina, ma con la presa di Botestagno, il 18 ottobre 1511, gli ampezzani devono piegarsi all'imperatore austriaco e non partecipano più alle sedute della Magnifica Comunità. L'ultima seduta alla quale gli ampezzani parteciparono è quella del 12 gennaio 15102. Da allora il loro seggio è vuoto, e tale è conservato tuttora nella sede della Magnifica Comunità. L'assenza degli ampezzani creò un vuoto nel numero dei Centenari del Cadore, dieci per tradizione, e per rimpiazzarlo venne costituito il Centenaro di Pescul e Selva che fino ad allora era stato parte del Centenaro di San Vito. Si rigenera così la struttura amministrativa del Cadore ripartita in dieci Centenari o Decanie: (Ampezzo, fino al 1511), 1. San Vito (con Chiapuzza, Resìnego, Sèrdes, Borca, Taulèn, Marceàna, Cancìa, dal 1511) 2. Pescùl e Selva 3. Venàs (con Cibiana, Vìnigo, Peàio, Vodo, Zoppè) 4. Valle (con Suppiane, Vallesina, Perarolo, Caralte, Ospitale, Davèstra, Termine, Nebbiù, Tai e Damós) 5. Pieve (con Pozzale, Calalzo, Sottocastello, Grèa, e Rizziós) 6. Domegge (con Lozzo e Vallesella) 7. Oltrepiave (con Vigo, Laggio, Pelós, Pinié e Lorenzago) 8. Auronzo 9. Comelico Superiore (con Candìde, Casamazzagno, Pàdola, Dosolédo, Costa, San Nicolò, Gèra e parte di Danta) 10. Comelico inferiore (con Santo Stefano, Trasàga, parte di Danta, Casada, Ronco, Costalissoio, Campolongo, San Pietro, Stavello, Costalta, Valle, e Presenaio)4.

 

kafè sm. (inv.) caffè. Kafè négro de kalderìn o kafè de kógoma caffè nero, caffè normale; kafé pùro caffè puro; kafè biànko caffèllatte; kafè de òrğo caffè d'orzo; di solito, il caffè era mescolato con l'orzo tostato e macinato. Il caffè vero e proprio era riservato alle occasioni speciali, lo si faceva a Natale e a Pasqua. Il caffè si comprava crudo in chicchi (gràne de kafè), si tostava nel tostacaffè (la bàla da kafè), si macinava, si mescolava con l'orzo, alle volte secondo alcuni perché fosse un po' più leggero, in realtà perché altrimenti costava troppo. Inoltre veniva largamente fatto uso di surrogati del caffè quali l' Olandese, il vero Frank (cicoria), l'Okebon, il Tostato Brasil e il Malto Kneip. Poi lo si faceva bollire nella kógoma o col kalierìn. Il caffè si beveva alla mattina e a merenda mescolato con un po' di vino o di burro fresco.

 

kagà vb. intr. (kàgo; kagèo; kagòu) cacare, defecare, e tutti i traslati connessi, fig. perdere. Nkuói èi kagòu tré òte parkè èi la mòsa oggi ho defecato tre volte, perché ho la diarrea; fig. èi kagòu nkóra na òta le čàve de čàśa ho perso un'altra volta le chiavi di casa; l diàu kàga sènpre sul grùmo gran la fortuna cade sempre su chi non ne ha bisogno.

 

kagàda sf. (pl. kagàde) cacata, fig. cosa di poco valore. I èi dòu la màna al pùpo e l a fàto pròpio na bèla kagàda ho dato la mannite al bimbo e ha fatto una bella cacca, cioè si è liberato l'intestino completamente.

 

kagadói sm. (inv.) cacatoio, cesso. Son dù ìnte kagadói e èi fàto na bèla skuaràda sono andato abbondantemente di corpo (v. kòmedo).

 

kagadùro agg. (pl. kagadùre, f. kagadùra) stitico, avaro, chi paga i debiti con grosso ritardo. Te sés sènpre stòu n kagadùro sei sempre stato uno spilorcio.

 

kagarèla sf. (pl. kagarèle) caccarella, diarrea. Èi čapòu frédo e èi la kagarèla ho preso freddo e mi è venuta la diarrea.

 

kagasèno sm. (pl. kagasène) sputasentenze, cacasenno, uomo piccolo, poco sviluppato. Kuàn ke l e n piàža l fa l kagasèno quando si trova in piazza si comporta da sputasentenze.

 

kagéta agg. (pl. kagéte) superbo, vanaglorioso, uomo da poco. Tó neódo no l sa fèi àutro ke l kagéta tuo nipote si comporta da superbo.

 

kagón agg. (pl. kagói, f. kagóna, pl. kagóne) vanitoso, detto anche di persona o bambino che la fa sempre addosso, fig. superbo, borioso. Kosì gràn e nkóra kagón sei già grande e te la fai ancora addosso; kagón de n kagón superbo che non sei altro (v. kagéta).

 

kagòto sm. (solo sing.) diarrea. L a l kagòto ha la diarrea, fig. se la fa addosso per la paura; loc. čapà l kagòto prendere un grosso spavento.

 

kagòu agg. (pl. kagàde, f. kagàda) preciso, identico. L e so pàre kagòu è identico a suo padre (v. spakòu, fetìvo).

 

kài sm. (inv.) pipa. Siénte ke spùža ke fa kél kài senti che puzza produce quella pipa. Ğenpì al kài caricare la pipa di tabacco; desvoità al kài svuotare la pipa dai rimasugli di tabacco e cenere; fig. ñànte de respònde, e mèo npižà l kài prima di rispondere, è meglio prendere un po' di tempo per sapere bene cosa si deve dire.

 

kaià vb. (kaiéo; kaièo; kaiòu) fumare la pipa. Kel vèčo al kàia dùto l sànto dì quel vecchio fuma la pipa tutto il giorno.

 

kaiàda sf. (pl. kaiàde) fumata di pipa. Daspò ke èi mañòu, me fàžo sènpre na kaiàda dopo mangiato fumo sempre la pipa.

 

kaìn escl. ahi. Esclamazione chiaramente riferita al guaito del cane. Žigà kaìn gridare per il dolore; al se a dòu na martelàda sul déido e l se a betù a žigà kaìn si è dato una martellata sul dito e si è messo a urlare per il dolore. I èi dòu na peàda e l čàn a fàto kaìn gli ho dato un calcio e il cane si è messo a guaire; loc. fèi kaìn bastonare qualcuno fino a farlo guaire come un cane.

 

kàka sf. (solo sing.) cacca, fig. boria, superbia e significati traslati. L e pién de kàka è pieno di boria.

 

kàl sm. (pl. kai) callo. Kuàn ke a da pióve, l kàl me fa màl quando sta per piovere, il callo mi fa male; da non confondere con čal, indurimento della pelle sulle mani o sui piedi.

 

kàla sf. (pl. kàle) strada stretta. Dì dó pa le kàle scendere per una strada ripida, scendere lungo un pendio (v. pàla).

 

kàla  sf. (pl. kàle) spessore in pietra o in legno. Quando si deve alzare un grosso masso, appena lo si è spostato, viene posto al di sotto un piccolo sasso che facilita il sollevamento con la leva. Ste dóe père le va pròpio polìto a fèi le kàle ke ne sèrve queste due pietre vanno proprio bene per fare gli spessori che ci servono.

 

kalà vb. trans. (kàlo; kalèo; kalòu) calare, diminuire. Ka l botìro kàla sènpre de pì in questa casa si consuma sempre troppo burro; me rakomàndo, no sta kalà le bràge mi raccomando, non cedere alla prima difficoltà; sul kalà de lùna sul calare della luna, quando dalla luna piena si va verso l'ultimo quarto o verso la luna nuova; loc. kalà le àrie o le réğe diventare più umili; kalà i pónte diminuire i punti nel lavoro a maglia.

 

kalàda sf. (pl. kalàde) diminuzione, calo. Daspò kéle strùsie èi dòu dó na kalàda da fèi paùra dopo quelle grandi fatiche sono dimagrito paurosamente; da kàlke dì la vàča a dòu na kalàda màsa grànda da qualche giorno la mucca ha avuto un calo di latte eccessivo.

 

kàlda sf. (solo sing.) febbre. Kel tośàto l skòta: l avarà žènžàutro la kàlda quel bambino scotta: deve avere senz'altro la febbre.

 

kaldàna sf. (pl kaldàne) caldana, vampata di calore con stato di malessere. Čapàse na kaldàna prendersi un colpo di sole.

 

kaldàna  sf. (pl kaldàne) levigatura del pavimento. Si tratta di uno spessore di malta ben levigata fatta con sabbia e cemento e stesa sopra il solaio per poter poi incollare le piastrelle.

 

kalderèla sf. (pl. kalderèle) secchio basso usato dal muratore. Manoàl fèime na kalderèla de màlta manovale, preparami un secchio di malta.

 

kàle sf. (solo sing.) abitudine, soluzione. Loc. čapà la kàle prendere l'abitudine; čatà la kàle trovare la soluzione, prendere la strada giusta.

 

kalegèr sm. (inv.) seggiolaio. Kuàn ke pàsa l kalegèr dài la kariéga a ğustà quando passa il seggiolaio dagli la sedia da aggiustare (v. karegéta).

 

kalegèr  sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

kalènde sm. (solo pl.) fandonie, scuse. È difficile spiegare come sia giunta nella parlata locale una simile allusione alle famose “calende greche”. Loc. no sta čatà fòra kalènde non tirar fuori storie, non cercare scuse, pretesti.

 

kalìbrio sm. (solo sing.) equilibrio. Tiénte n kalìbrio se nò te tóme tieniti in equilibrio, altrimenti cadi.

 

kaliéra, kaldiéra sf. (pl. kaliére, kaldiére) paiolo per la polenta, pentolone. La kaliéra è per antonomasia il paiolo per la polenta, normalmente in rame, può indicare anche la pentola grande per la minestra, o altro pentolone. La kaliéra de la polènta il paiolo della polenta; e óra de kaldiéra è ora di mettere il paiolo sul fuoco per preparare da mangiare; dim kalierìna, kalderìna.

 

 

kalierìn, kalderìn sm. (inv.) pentolino. Béte su l kalierìn e fèi n tìn de kafè metti sul fuoco il pentolino e prepara un po' di caffè; il kalierìn poteva avere forme diverse, poteva essere anche un piccolo paiolo, molto simile a quello per la polenta.

 

kalierón, kalderón sm. (pl. kalierói, kalderói) caldaia, bollitore, grosso recipiente per scaldare l'acqua del bucato o per grosse quantità d'acqua necessarie alla macellazione del maiale. Paréča l kalierón ke èi da lavà i lenžuós prepara la caldaia piena d'acqua perché devo lavare le lenzuola; l kalierón de la lesìva la caldaia per scaldare l'acqua per il bucato.

 

kaligàda, kalidàda sf. (pl. kaligàde) carreggiata. Sono i solchi lasciati sulla strada dal passaggio dei carri e dalle luóide sulla neve. Pasòu Loréto se véde nkóra le kaligàde de n òta oltre Loréto sul terreno si vedono ancora le carreggiate di una volta. Sono infatti ancora ben visibili, vicino alla chiesetta di Loréto, i solchi scavati nella pietra dai carri che transitavano già in epoca romana. La luóida e màsa čareàda e la làsa su l néve kaligàde fónde diéśe skèi la slitta è troppo carica e lascia sulla neve solchi profondi 10 cm.

 

kalìgo sm. (pl. kalìge) nebbia, nuvole basse, caligine. I kalìge se àuža, ka de n tìn tórna a pióve la nebbia si alza, fra poco ricomincerà a piovere; prov. tré kalìge fa na pióva le nuvole molto umide hanno l'effetto di una piovuta.

 

kalisón avv. nella loc. son pién kóme n kalisón mi sono abbuffato ed ora sono sazio.

 

kàlke agg. (inv.) qualche. Àsto kàlke patàta da nprestàme? hai qualche patata da prestarmi?

 

kalkeàutro, kàlke àutro pron. e agg. (f. kalkeàutra, kàlke àutra) qualche altro, qualcun altro. Kalkeàutro te nseñarà le bòne maniére qualcun altro ti insegnerà le buone maniere (v. àutro).

 

kalkedùn pron. (f. kalkedùna) qualcuno. Èi sènpre vu kalkedùn ke me a idòu ho sempre avuto qualcuno che mi ha aiutato.

 

kalkedunàto pron. (f. kalkedunàta) qualcuno trovato per caso. Strana forma laterata di kalkedùn; te čataràs sènpre kalkedunàto ke te idarà troverai sempre qua o là qualcuno che ti aiuterà.

 

kalkèra sf. (pl. kalkère) fornace per produrre la calce. A Lozzo ce n'erano due lungo il Rin. Nel territorio di Lozzo ce n'erano diverse e erano indispensabili quando si dovevano costruire i tabiàs in muratura (v. čaučèra, màrmol de Revìs).

 

kàlkol sm. (pl. kàlkoi) calcolo, stima. Fèi kàlkol contare su qualcuno o su qualcosa; no sta fèi kàlkol su de me non contare su di me; okóre teñì kàlkol de dùte le spéśe è necessario tener nota di tutte le spese; parkè no te fas mài kàlkol de nisùn? perché non tieni mai in considerazione nessuno?

 

kalkolà vb. trans. (kalkoléo; kalkolèo; kalkolòu) calcolare, stimare, considerare. Kalkoléo de èse a čàśa pa le nuóve conto di essere a casa per le nove; no i me a mài kalkolòu non sono mai stato molto considerato; kalkolón ànke ke i e dùte sióre consideriamo anche che sono tutti ricchi.

 

kalmà vb. trans. (kàlmo; kalmèo; kalmòu) calmare, quietarsi, cessare. Kàlmete pùra, parkè no sèrve a nùia ngrintàse calmati pure perché non serve a niente arrabbiarsi; se àlo kalmòu l màl de pànža? è cessato il mal di pancia?; adès ke la pióva se a kalmòu, dón a seà ora che la pioggia è cessata, andiamo a falciare.

 

kalmèla sf. (pl. kalmèle) innesto d'albero. Bàrba Kànği a fàto la kalmèla a l armelìn lo zio Arcangelo ha fatto l'innesto all'albicocco.

 

kalònega sf. (pl. kalònege) canonica. Vàdo su n kalònega a portà la premìžia vado in canonica a portare la parte dei prodotti della terra e della stalla che si dovevano offrire al parroco; loc. néta kóme na kalònega detto di una casa perfettamente pulita e ordinata (v. primižia).

 

kalór sm. (pl. kalóri) caldo, calore, febbre. Siénte ke kalóri senti che caldo; se te vós ke te pàse l kalór, tòle na gèra de sàl de kanàl se vuoi che ti passi il riscaldo, prendi un po' di sale inglese; ste léñe fa póčo kalór questa legna scalda poco; sto istàde e stòu kalóri da fèi paùra questa estate c'è stato un caldo spaventoso.

 

kalumà vb. imp. (kaluméa; kalumèa; kalumòu) fumigare, alzarsi della caligine, formarsi di nebbia bassa. Al kaluméa si sta alzando la nebbia.

 

kalumèra, kalupèra sf. (pl. kalumère, kalupère) caligine densa e nera. Ambiente fumoso, nero, tipico delle casere e dei locali con camini che funzionano male. Vàrda ke kalumèra ke a fàto sto fornèl, a da èse l kamìn ke no tìra guarda che fumo che ha fatto il focolare, deve essere il camino che tira poco.

 

kalùpa sf. (pl. kalùpe) fumo denso e acre. L barànčo fa sólo kalùpa il pino mugo, bruciando, non fa caldo, ma solo fumo acre e denso; béte via kél kài, no te véde ke kalùpa ke te fàs metti via quella pipa, non vedi quanto fumo acre provochi (v. fumatèra).

 

kalžón sm. (pl. kalžói) gambale di mezzalana. Si indossavano i kalžói quando si doveva andare a lavorare in mezzo alla neve. Kuàn ke se a da dì a strožà tae o a časpedà l néve, okóre tirà su i kalžói quando si deve andare a trainare i tronchi d'albero o quando si deve fare strada nella neve, è necessario indossare i gambali (v. strožà, časpedà).

 

kamamìlia sf. (pl. kamamìlie) camomilla (bot. Matricaria chamomilla). Èi fàto ndiğestión, fèime dóe kamamìlie ho fatto indigestione, preparami un infuso di camomilla; tòlete n tìn de kamamìlia se te vós dormì sta nuóte bevi un po' di camomilla se vuoi dormire questa notte.

 

kamèl sm. (inv.) fig. grande fame. Fig. avé l kamèl avere una fame insaziabile; se véde ke te as l kamèl si vede che non mangi da tanto tempo; patì l kamèl soffrire la fame.

 

kamìn sm. (inv.) camino. Al kamìn a čapòu fuóu il camino ha preso fuoco; al kamìn no tìra parkè l e spórko il camino non ha tiraggio perché è sporco; loc. vàrda ke no la vién mìa dó pal kamìn frase allusiva che voleva far capire che niente viene dato gratuitamente; prov. la ròba vién ìnte par pòrta e la va su pa l kamìn la troppa abbondanza finisce presto.

 

kaminà vb. intr. (kamìno; kaminèo; kaminòu) camminare, andare via, partire. Kaminà con l'ausiliare avé significa avanzare, procedere: la nfežión a kaminòu sènpre de pì l'infezione è andata sempre più avanti. Con l'ausiliare èse, invece, significa partire, andarsene: kuàn ke son ruòu, i èra bèlo dùte kaminàde quando sono arrivato erano già partiti tutti; kél tùto kamìna bèlo quel bimbo sa già camminare.

 

kaminàda sf. (pl. kaminàde) camminata. Fèite na bèla kaminàda se te vos ke te véñe fàme vai a fare una bella camminata se vuoi che ti venga appetito.

 

kàmis sm. (inv.) camice, veste sacerdotale. Nkuói l kuràto a nprimòu n kàmis nuóu oggi il parroco ha indossato una nuova veste.

 

kamufà, kamufàse vb. trans. e rifl. (me kamuféo; kamufèo; kamufòu) camuffarsi. Te me as kamufòu su le ròbe hai camuffato le cose tanto che in realtà risulto danneggiato.

 

kamùfo sm. (pl. kamùfe) guarnizione, decorazione per abito elegante. La màre a n vestì kol kamùfo la mamma ha un vestito guarnito.

 

kàn sm. (sf. kàna) cane (zool. Canis canis). Il termine è usato solo in alcune imprecazioni pòrko kàne, kàn da l òstia, kàna da l òstia, kàn dal sečèl, fiól de n kàn, kàn dal pòrko, bòia kàne, kàn da ùa; invece ha valore diverso nelle locuzioni puóro kàn poveretto; puóra kàna poveretta; loc. al skoredéa kóme n kàn scoreggia moltissimo (v. čan).

 

kàna sf. (pl. kàne) canna, tubo come quello della cucina economica. Le kàne del sórgo i gambi del mais; le kàne de la kośìna i tubi della cucina economica; tìra dó le kàne de la kośìna e nétele togli i tubi della cucina e puliscili; la kàna de l kài la cannuccia della pipa; loc. sta na kàna stare benone; ka e na kàna qui si sta benissimo; le kàne de l kòl l'esofago e la trachea.

 

kàña sf. (solo sing.) indolenza, fiacca, sonnolenza. Ko sto čàudo èi na kàña ntórneme quest'afa mi ha messo addosso una fiacca terribile (v. kañòla).

 

kàña  sf. (pl. kàñe) attrezzo per carradore. Si tratta di una leva dalla quale si staccava una specie di dente a punta, che serviva al carradore per montare la lama sulla ruota di legno del carro.

 

kanàia sf. (pl. kanàie) canaglia, imbroglione. Te sés sènpre stòu na kanàia sei sempre stato un imbroglione; kanàia de n tùto birbante di un bimbo.

 

kanaiàda sf. (pl. kanaiàde) imbroglio, canagliata, monelleria. Kel là e pién de kanaiàde quello non fa altro che furberie; élo kanaiàde da fèi? sono monellerie da combinare?

 

kanàpia sf. (pl. kanàpie) naso grande. Àsto vedù ke kanàpia? hai visto che razza di naso ha quel tale? (v. kanòpia).

 

kañarìa sf. (pl. kañarìe) cattiveria, comportamento scorretto, fig. gentaglia. I te a fàto pròpio na kañarìa ti hanno fatto davvero una grande cattiveria; no èi a karo ke me fiól vàde kón kéla kañarìa non mi piace che mio figlio frequenti quella gentaglia.

 

kanarìn sm. (pl. inv.) canarino (zool. Serinus canarius). Uccello domestico diffuso ma che non appartiene all'ambiente di Lozzo. In Cadore e in altre valli di montagna vengono invece tenuti in gabbia i tordi, i lucherini o i becchincroce sia per il canto, sia perché vengono usati come richiami. Venivano denominati kanarìn anche i finanzieri, perché indossano la divisa con le mostrine gialle come i canarini; nkuói me a čapòu i kanarìn e i me a fàto la mùlta oggi mi hanno fermato e controllato i finanzieri e mi hanno fatto la multa, sono frasi d'uso nei rapporti con la gente del Comelico quando esisteva il contrabbando di tabacco dall'Austria verso il Cadore.

 

kanàula sf. (pl. kanàule) collare di legno usato per sostenere il campanaccio delle capre e delle pecore che venivano portate a Pian dei Buoi durante l'estate. Domàn le čàure va a Mónte e okóre béti la kanàula ko la kanpanèla domani le capre vanno all'alpeggio ed è necessario mettere loro il collare con il campanello; fig. béte la kanàula domare qualcuno; fig. la to fémena te a betù la kanàula, eh! tua moglie ti tiene sotto controllo eh!

 

kanàula  sf. (pl. kanàule) attrezzo di ferro per misurare i tronchi abbattuti, carotide. Si tratta di un sistema antico, lo strumento infatti è stato sostituito dal kavaléto. Alcuni esempi di kanàule sono conservati presso il municipio di Lozzo; te tàio le kanàule ti taglio la carotide, espressione di forte minaccia .

 

kanavànte, ka n avànte, dakanavànte avv. d'ora in poi, da qui in avanti. Kanavànte te diraràs a laurà d'ora in poi andrai a lavorare (v. ka).

 

kanberìn sm. (inv.) ripostiglio, camerino. Le stràže bétele nte kanberìn porta questi stracci nel ripostiglio (v. kanberòto).

 

kanberón sm. (pl. kanberói) laboratorio dell'artigiano. Se te vas nte kanberón, te véde dùte i mè atréže se vai in laboratorio vedrai tutti i miei attrezzi.

 

kanberòto sm. (pl. kanberòte) ripostiglio. Stan èi betù a pósto n kanberòto nte sofìta quest'anno ho riordinato un ripostiglio in soffitta (v. kanberìn).

 

kanbià vb. trans. (kànbio; kanbièo; kanbiòu) cambiare, mutare. L tènpo kànbia il tempo cambia; kànbiete de čàuže ke le e róte cambiati le calze perché sono rotte; kè àsto ke te as kanbiòu žiéra? cosa ti è successo che sei impallidito?; kànbieme sti skèi fatemi moneta; le brùte konpañìe l a kanbiòu le cattive compagnie l'hanno trasformato.

 

kànbra sf. (pl. kànbre) camera da letto. Va nte kànbra a fèi l liéto va in camera a rifare il letto; dim. kanbrùta, dispr. kanbràta.

kandéla sf. (pl. kandéle) candela, fig. moccio del naso. Npižà la kandéla accendere la candela; la Madòna de le kandéle o Kandelòra, l dì dela Madòna il giorno della Madonna che si festeggia il 2 febbraio; avé la kandéla avere il moccio al naso.

 

kandeliér sm. (inv.) candeliere. Sora la nàpa e l kandeliér de la màre sopra la cappa del camino tengo il candeliere di mia madre.

 

kandelòto sm. (pl. kandelòte) ghiacciolo, fig. moccio. Nkuói sóte le čanàs se véde i kandelòte oggi sotto le condutture in legno che portano l'acqua al mulino si vedono i ghiaccioli; avé i kandelòte sui mostàče avere i ghiaccioli attaccati ai baffi perché fa molto freddo; no sta netàte i kandelòte ko la mània de la ğakéta non pulirti il moccio con la manica della giacca.

 

kànego sm. (solo sing.) canapa (bot. Cannabis sativa), sia la pianta che il tessuto. Lenžuós de kànego lenzuola di canapa (v. čanèipa).

 

kanèla sf. (pl. kanèle) canna, piccolo tubo. Spinà l vìn ko la kanèla spillare il vino con una canna.

 

kanèla  sf. (solo sing.) cannella, cinnamomo (bot. Cinnamomum zeylinicum). Kanèla e bròke de garòfol cannella e chiodi di garofano; kanèla n kàna o n pólver cannella in canna o in polvere.

 

kanevàža sf. (pl. kanevàže) canovaccio. Tòle su la kanevàža e sùia dó le skudèle prendi il canovaccio e asciuga le scodelle.

 

kanevèla sf. (solo sing.) tela di canapa adoperata per fare lenzuola e canovacci. I lenžuós de la nòna i e de kanevèla le lenzuola della nonna son di tela di canapa.

 

kanevèla  sf. (solo sing.) colla da falegname, colofonia. Fig. te ses takadìžo kóme la kòla kanevèla sei appiccicoso come la colla da falegname, sei petulante, noioso.

 

Kànğa sf. (nome) ipoc. di Arcangela.

 

kanğà vb. intr. (kanğéo; kanğèo; kanğòu) spegnersi, morire. Son dù a čatà bàrba Kéko, l e malòu da n tòko e a mi me par ke l kanğéa sono andato a far visita allo zio Francesco che è gravemente malato e ho la vaga impressione che si stia spegnendo.

 

Kànği, Kànğo sm. (nome) ipoc. di Arcangelo.

 

Kanìgo sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

kanočàl sm. (pl. kanočài) cannocchiale. Al pàre véde dùto kól kanočàl il papà vede tutto più difficile, più pericoloso; loc. nkóra n tìn ke te spiéte, te le vedaràs kól kanočàl se aspetti ancora un po' non troverai niente di quello che speri.

 

kañól sm. (pl. kañói) dispositivo di avanzamento del carrello della sega alla veneziana. Si tratta di un dispositivo che, puntando su una puleggia di legno, permetteva l'avanzamento del carro della sega alla veneziana.

 

kañòla sm. (pl. kañòle) spossatezza, debolezza, svogliatezza. Va là ke te ses sènpre stòu n kañòla va là, che sei sempre stato un fannullone, un poltrone; dìli a kel kañòla ke l se deśbrìge dì a quello svogliato di sbrigarsi (v. kàña).

 

kanón sm. (pl. kanói) cannone, cannella della fontana. Kuàn ke èra la nvaśión, i śbarèa kol kanón durante l'invasione (1917) sparavano col cannone; l brénte de Piàža Vèča l a kuàtro kanói la fontana di Piazza Vecchia ha quattro cannelle; àga de kanón acqua di fontana, veniva presa direttamente dalla cannella e non attinta dalla vasca (v. salòta).

 

kanòpia sm. (pl. kanòpie) nasone. Vàrda ke kanòpia guarda che razza di nasone (v. kanàpia).

 

kanpadà, kanpedà vb. intr. (kanpadéo; kanpedèo; kanpadòu) camminare avanti e indietro a piccoli passi, ciabattare. Kuàn ke la e a čàśa, no la fa ke kanpadà su pa le kànbre quando è a casa, non fa altro che passare da una stanza all'altra per pulire e spolverare.

 

kanpanèi sm. (solo pl.) campanelli. Voce di provenienza veneta, solo nella loc. te ses n tìra kanpanèi sei un buono a nulla, un perditempo, una persona che vive sulle spalle degli altri.

 

kanpanèl sm. (pl. kanpaniéi) campanello. No sta sonà l kanpanèl parkè te dàs fastìde a dùte non suonare il campanello perché disturbi tutti; domàn la čàura va a Mónte: tàka l kanpanèl a la kanàula e bétila ntórno l kòl domani la capra andrà a Pian dei Buoi: attacca il campanello al suo collare e mettiglielo attorno al collo. Quando con la bella stagione si portava il bestiame all'alpeggio, ad ogni animale veniva messo un collare fornito di un campanello, per poterlo facilmente ritrovare in caso di allontanamento dal gregge. I campanelli venivano fatti suonare dai bambini durante la processione del Corpus Domini e dell'Ottavario; tòle su l kanpanèl e va n portesión: sòna pùra ma no sta fèi malegràžie prendi il campanello e va alla processione: suonalo, ma non combinare monellerie.

 

kanpanèla sf. (pl. kanpanèle) campanella. Era così chiamata la quinta campana del campanile della chiesa parrocchiale di Lozzo. Si suonava per segnalare l'inizio delle funzioni. Altre campanelle sono quella di San Rocco a Pròu e quella di Loréto. Siénte, sòna bèlo la kanpanèla e e óra de dì a Mésa senti, suona già la campanella ed è ora di andare a Messa.

 

kanpanèla  sf. (pl. kanpanèle) genzianella, genziana azzurra (bot. Gentiana bavarica).

 

kanpanèr sm. (inv.) campanaro. A Nadàl i kanpanèr pàsa pa le čàśe a tòle su kél ke i dà a Natale i campanari passavano di casa in casa a raccogliere un'offerta. Le funzioni di campanaro venivano normalmente svolte dal sacrestano, aiutato occasionalmente da volontari e chierichetti. In occasione dei funerali e delle feste solenni, suonavano le campane ki de l kanpanòto e, ultimata la funzione, i familiari offrivano la merenda a base di pane, formaggio, salame e un fiasco di vino. Alla vigilia di Natale, erano soliti passare di casa in casa per fare gli auguri e per consuetudine veniva offerto loro denaro, fagioli o altre vettovaglie. La gente del paese dimostrava quindi di apprezzare il servizio che veniva prestato. Il campanaro non veniva pagato regolarmente, anche se il suo impegno era gravoso e faticoso, per cui si era tacitamente convenuto, che durante le feste natalizie il campanaro passasse di casa in casa a raccogliere un'offerta che poteva essere di denaro, fagioli, orzo e altre vettovaglie (v. čanpàna).

 

Kanpanì sm. (top.) località a nordest del paese di Lozzo.

 

kanpanì , čanpanì sm. (inv.) campanile. A Lozzo ci sono tre campanili: il più importante è quello della chiesa parrocchiale, costruito nel 1882, ha la forma di torre cinta di merli ghibellini ed è provvisto di quattro campane ottenute con la fusione del bronzo dei cannoni nemici, a cui si aggiunge una campanella. Un altro campanile è quello della chiesa di San Rocco, metà in muratura e metà in legno, che si alza dal tetto della chiesa, e ultimo quello della chiesa di Loréto.

 

kànpano sm. (solo sing.) gioco della campana. I giocatori dovevano essere almeno due. Per giocare bisognava disegnare per terra, con un sasso appuntito o con un pezzo di legno, il kànpano formato da sei o più caselle con i lati di circa mezzo metro. Poi si tirava a sorte (bruskéta) per stabilire chi doveva iniziare. Il primo lanciava una pietra piatta nella casella numero uno e, reggendosi su un piede solo, doveva spingere la pietra con lo stesso piede nella casella numero due evitando che uscisse o si fermasse sulla riga, poi nella terza casella e via di seguito. Dopo una breve sosta di riposo, il giocatore ripartiva fino ad uscire dal kànpano. A questo punto, con gli occhi chiusi o bendati, doveva attraversare tutte le caselle evitando di toccare le righe e fermandosi a riposare alla quarta casella. Giunto alla fine, con le spalle voltate al kànpano, lanciava la pietra in una delle caselle e se ne impadroniva qualora non avesse toccato la riga con la pietra. A questo punto il giocatore ricominciava da capo per impadronirsi delle altre caselle e così via. Se però durante il gioco toccava col piede o con la pietra una riga, doveva passare la mano ad un altro giocatore, che doveva evitare sempre la casella conquistata dall'avversario e saltarla, sia con la pietra che con il piede. Vinceva colui che conquistava un numero maggiore di caselle.

 

Kànpano  sm. (top.) zona agricola vicino alla borgata di Ğòuda presso il vecchio cinema, vicino alle ultime abitazioni in direzione di Pelós.

 

kanpanòto sm. (solo sing.) particolare modo di suonare le campane. Per le solennità religiose, le campane venivano suonate con rintocchi particolari: prima lo scampanio veniva fatto a mano sulla campana pìčola e sulla tèrža. Subito dopo si facevano suonare a stormo le due campane più grandi, la medàna e la grànda, a cui si aggiungeva ritmicamente lo scampanio delle due più piccole; successivamente, le quattro campane tacevano e il kanpanòto concludeva con lo scampanio iniziale. In occasioni meno solenni, ad esempio quando moriva un neonato, la tecnica era simile; invece di far suonare a stormo le due campane più grandi, la grànda restava ferma e la medàna veniva azionata muovendo direttamente con una corda il battaglio (batòkol). Un tempo il suono del kanpanòto portava allegria nelle famiglie, perché annunciava la festa, il riposo, la gioia dello stare insieme; oggi da molti è considerato un rumore assordante e fastidioso. Ki del kanpanòto coloro che suonano il kanpanòto.

 

kanpardìn agg. (inv.) zerbinotto, elegantone, vivace. To pàre l e nkóra n kanpardìn tuo padre è tuttora molto vivace.

 

kanpión sm. (pl. kanpiói) campione. Di solito il termine viene usato con significato ironico; va là ke te sés n bèl kanpión va là che sei davvero un bel tipo.

 

Kanpión, Kòl Kanpión sm. (top.) località ad est del paese.

 

kantarèl sm. (pl. kantariéi) gallinaccio (bot. Cantharella cibarius). Fungo lamellato, di colore aranciato, mangereccio solo se cotto, molto saporito; nkuói èi mañòu polènta e kantariéi oggi ho mangiato polenta e gallinacci (v. ğaléto).

 

kantinèla sf. (pl. kantinèle) cantinella, asta di legno lunga e stretta. Viene adoperata per fare graticci, tramezzi e soprattutto il soffitto delle stanze. Èi desfàto l sofìto de kànbra e èi n grùmo de kantinèle da bruśà ho disfatto il soffitto della camera e adesso ho molte cantinelle da bruciare.

 

kantinelà vb. trans. (kantineléo; kantilenèo; kantinelòu) soffittare con le kantinèle. Ñànte kantineléo l sofìto e daspò dào l grédo prima inchiodo sul soffitto le cantinelle e poi dò la malta grezza.

 

kantonàl sm. (pl. kantonài) cantonale, angoliera. Destùda la kandéla e bétela sul kantonàl spegni la candela e posala sull'angoliera.

 

kanùča sf. (pl. kanùče) canna della pipa, portapenne. Na òta se skrivèa ko la kanùča una volta si scriveva con cannuccia e pennino; la kanùča de l kài se a ngorğòu: tòle n festùko e deśgórğela la cannuccia della pipa si è otturata: prendi un fuscello e puliscila.

 

kanžèl sm. (pl. kanžiéi) catasta di tronchi. N kanžèl de tàe una catasta di tronchi; n kanžèl de brée una catasta di tavole. Il kanžèl de tàe viene preparato nel bosco dai boscaioli scegliendo un luogo dove i tronchi possono essere facilmente caricati e trasportati in segheria, un kanžèl viene fatto anche in segheria in modo da poter facilmente prelevare i tronchi per metterli sul carrello della sega. Il kanžèl de brée viene preparato nelle vicinanze della segheria, le tavole vengono intercalate a graticcio, o in torri a quadrato o a triangolo, in modo tale che possano stagionarsi all'aria, senza ammuffire né seccarsi troppo e quindi deformarsi, vengono inoltre coperte con una tettoia di protezione dalle intemperie (v. brée, tàe).

 

kanželà vb. trans. (kanželéo; kanželèo; kanželòu) accatastare tronchi o tavole. Kanželà tàe, brée accatastare tronchi, tavolame .

 

kanžón sf. (inv.) canzone, coro, inno. Čantón na kanžón de le nòstre cantiamo una canzone delle nostre; e sènpre la sòlita kanžón è sempre la solita scusa, la solita tiritera.

 

kàpa sf. (pl. kàpe) coppa, dentello, ornamento. Na karpéta ko le kàpe una sottana con l'orlo ricamato a dentelli; dim. kapéta.

 

kapàra sf. (pl. kapàre) caparra. Se te vos èse segùro de l afàr, dài la kapàra se vuoi essere sicuro dell'affare, dagli la caparra.

 

kaparà, kaparàse vb. trans. e rifl. (me kaparéo; kaparaèo; kaparòu) accaparrare. Me èi kaparòu dùte le stèle mi sono accaparrato tutte le schegge del legno.

 

kapèla sf. (pl. kapèle) cappella, errore, recluta. La kapèla de la Madòna de l Rośàrio la cappella della Madonna del Rosario; ma ke kapèla me àsto konbinòu? ma che pasticcio mi hai fatto?; to fiól e na kapèla tuo figlio è una recluta militare.

 

kapelàda sf. (pl. kapelàde) sbaglio. Fèi na kapelàda commettere un errore grossolano.

 

kapì vb. trans. (kapìso; kapìo; kapiu) capire, comprendere. Kapìsesto o nò? capisci o no?; to neódo no a mài kapìu nùia tuo nipote non ha mai capito niente; al me a fàto kapì ke l e malòu mi ha fatto capire di essere ammalato; làseme kapì n òta lasciami il tempo di capire; l a kapìu na ròba par n àutra ha frainteso.

 

kapità vb. trans. (kàpito; kapitèo; kapitòu) capitare, succedere, arrivare. Àsto vedù ke deśgràžia ke i e kapitòu? hai visto che disgrazia gli è capitata?; nkuói e kapitòu a čàśa l bàrba oggi è arrivato a casa lo zio; me kàpita despés de piànde mi succede spesso di piangere.

 

kapitèl sm. (pl. kapitiéi) cappellina, edicola con tabernacolo. Piccolo edificio dedicato al culto della Madonna o dei Santi, collocato al punto di sosta lungo la strada, o in ricordo di eventi fausti/infausti, o lungo il percorso delle rogazioni. Kapitèl de la Madonéta il tabernacolo della Madonna, vicino al ponte nuovo; al kapitèl de Sant'Ana la cappella dedicata a Santa Anna lungo la statale tra Lozzo e Domegge, appunto in località S. Anna.

 

Kapitèl  sm. (top.) località a nord del paese, punto in cui si trovava una piccola edicola.

 

kàpo sm. (pl. kàpe, sf. kàpa) capo, caposquadra, fig. autentica bellezza. Tu te ses nasù par fèi l kàpo sei nato per comandare; te as n fiól ke e n kàpo hai un figlio che è una vera bellezza, che è degno di stima; kapomenàda responsabile della menàda; késto vestì e pròpio n kàpo questo vestito è proprio bello.

 

Kàpo sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

kaponèra sf. (pl. kaponère) pollaio, prigione, luogo in disordine, fig. testa. Pàra i petùs nte kaponèra fai entrare i pulcini nel pollaio; l e dóvin, ma l e bèlo stòu doe òte nte kaponèra è giovane, ma è già stato due volte in prigione; ma késta no e na čàśa, e na kaponèra questa non è una casa, c'è solo un disordine incredibile; ma ke àsto nte kéla kaponèra? ma che cosa hai in quella testa?

 

kaporàl sm. (pl. kaporài) caporale, fig. chi fa il comandante. Sóte la nàia èro kaporàl sotto le armi ero caporale; ka i e dùte kaporài qui tutti comandano.

 

kaporión sm. (pl. kaporiói) caporione, capomastro. Te ses n bon kaporión sei una canaglia capobanda.

 

kaposàldo sm. (solo sing.) caposaldo, pietra di confine. Si tratta della pietra di confine tra più proprietà sulla quale sono incise una o più croci. Era il punto base per le misurazioni dei terreni circostanti. Attorno alla pietra, per identificare meglio il punto, vengono piantati dei paletti di legno talvolta anche colorati. Se ci sono alberi nelle vicinanze, vengono segnate sulla corteccia delle croci in direzione del cippo confinario ad un'altezza pari alla distanza fra albero e croce. No te véde la krós su l kaposàldo? non vedi la croce sulla pietra di confine? (v. konfìn).

 

kapòto sm. (pl. kapòte) cappotto, pastrano. Me son konpròu n kapòto nuóu mi sono comperato un cappotto nuovo; fèi kapòto vincere tutto, alle carte, vincere tutte le mani di una giocata, di solito chi faceva cappotto riscuoteva il doppio della posta.

 

kapòžola sf. (pl. kapòžole) capriola, capitombolo. Fèi kapòžole fare le capriole; al làte a fàto la kapòžola il latte è andato a male, si è inacidito.

 

kaprìžio sm. (pl. kaprìžie) capriccio. Èse pién de kaprìžie avere molti capricci.

 

kaprižiós agg. (pl. kaprižióśe, f. kaprižióśa) capriccioso. Te as nvižiòu to fiól e l e deventòu n kaprižióś hai viziato tuo figlio che è diventato un capriccioso.

 

kapùla sf. (pl. kapùle) cappello, papalina, zuccotto per frati. Il termine sta a indicare qualsiasi copricapo strano o ridicolo; te as pròpio na bèla kapùla hai davvero un bel cappello.

 

kapùt agg. (inv.) rotto, distrutto, morto. Dal tedesco “kaputt”, rotto, guasto, e anche in senso fig. stanco morto, sfinito. Kel tabià èra màsa vèčo, l a fàto kapùt quel fienile era troppo vecchio ed è crollato me tóča dì nte liéto parkè son kapùt devo andare a dormire perché sono sfinito.

 

kapùža sf. (pl. kapùže) testa, capoccia. Te savése ke kapùža ke a kel tośàto se sapessi com'è intelligente quel ragazzo.

 

kapùžo sm. (pl. kapùže) cavolo cappuccio. Èi mañòu polènta e kapùže ho mangiato polenta e cavoli; te me as fàto la tèsta kóme n kapùžo mi hai frastornato.

 

karabiniér, karabuniér sm. (pl. karabiniéri, f. karabiniéra) carabinieri, fig. persona seria, severa, vigilante. Se no te stas bon, čàmo i karabiniéri se non ti comporti bene, chiamo i carabinieri, è la minaccia rivolta ai bambini irrequieti; la màre e sènpre stada na karabiniéra kói so fiói la mamma è sempre stata molto severa con i suoi figli.

 

karadà vb. trans. (karadéo; karadèo; karadòu) trasportare merce col carro. Il termine si riferisce soprattutto al trasporto del legname. No se puó karadà pa le vàre non si può passare con il carro attraverso i prati. Nel Laudo di Lozzo sono indicati in modo preciso tempi, luoghi, permessi e divieti nell'uso del carro per il trasporto delle merci (v. vàra).

 

karadàda sf. (pl. karadàde) carrettata, quantità di merce trasportata da un carro. Par menà dùte ste tàe, okóre n grumo de karadàde per trasportare tutti questi tronchi, è necessario fare molti carichi.

 

karadór sm. (inv.) carrettiere, carradore. E póče i bràe karadór sono pochi gli artigiani esperti che fabbricano carri (v. karetiér).

 

karàute sm. (solo pl.) crauti. Prodotto tipico della Val Pusteria, è composto di cavoli cappucci tagliuzzati, pigiati in un barile con sale e aceto e fatti fermentare; si mangiavano spesso d'inverno cotti con le pèndole del maiale. Nkuói èi mañòu polènta, karàute e pèndole de kùčo oggi ho mangiato polenta, crauti e pèndole di maiale.

 

karbonàžo sm. (pl. karbonàže) grosso foruncolo infetto. Òñi karbonàžo e na malatìa de mànko ogni sfogo una malattia in meno, era diffusa la convinzione che questi grossi foruncoli dessero sfogo a tutti i malanni del corpo che venivano poi liberati attraverso il pus (v. màrsa).

 

karbonèr sm. (inv.) carbonaio. Al dì de nkuói no se véde pì ñànke n karbonèr al giorno d'oggi non si vedono più carbonai.

 

karbonèr  sm. (inv.) biacco nero (zool. Coluber carbonarius). Serpente non velenoso, da giovane di color verde e giallo da adulto il dorso diventa molto scuro, praticamente nero, molto comune, lungo anche più di un metro, vive nel bosco, fa impressione a chi non lo conosce ma è innocuo. Kol čàudo ànke i karbonèr se fa véde col caldo anche i biacchi escono dal loro letargo.

 

karbùro sm. (solo sing.) carburo. Il carburo si ottiene dalla mescolanza della calce col carbone o carbonella. Come la calce viva con aggiunta di acqua bolle e raggiunge temperature elevate, così mescolata col carbone genera gas di acetilene che può esser usato per scoppi, per sviluppare calore, o per far luce. Il carburo veniva adoperato per alimentare le lampade dei minatori, i fanali dei carri o delle biciclette. Quando il carburo era consumato, ciò che rimaneva nella lampada veniva gettato, ma restava sempre qualche pezzettino del minerale che i bambini usavano per far botti, per giocare. Prendevano i contenitori di latta vuoti, ne levavano il fondo e sulla parte superiore praticavano un foro. Facevano poi per terra una piccola buca, vi mettevano dell'acqua con pezzettini di carburo producendo acetilene. Sopra mettevano il vaso e con un dito tenevano tappato il buco finché si riempiva di gas. A questo punto, avvicinavano al foro un fiammifero e il vaso saltava in aria con uno scoppio terribile.

 

kardènža sf. (pl. kardènže) credenza. La farìna dàla e nte kardènža la farina gialla si trova nella credenza; nte kéla čàśa la kardènža e sènpre seràda in quella casa si mangia solo ad orari prestabiliti; nte kéla čàśa la kardènža e sènpre vèrta in quella casa il cibo è sempre abbondante, si è liberi di mangiare quando si vuole.

 

kardènža  sf. (pl. kardènže) credito sulla fiducia. Dùte me fa kardènža parkè son onèsto tutti mi fanno credito perché sono onesto; kel là a konpròu dùto n kardènža e l se a ruinòu quello ha sempre comperato a credito e per questo si è rovinato; loc. fèi kardènža far credito.

 

kardenžón sm. (pl. kardenžói) oggetto voluminoso, fig. donna grande e grossa. Vàrda ke kardenžón de fémena guarda che donna alta e grassa (v. skardenžón).

 

kàrega sf. (pl. kàrege) carico di materiale, a volte troppo pesante. L e ruòu a čàśa ko na kàrega de léñe è arrivato a casa con un carico di legna; l a čapòu na kàrega de bòte ha preso tante botte; i èi dòu na kàrega gli ho dato un sacco di botte; èi na kàrega de mal de pànža ho un forte mal di pancia.

 

karegéta sm. (pl. karegéte) seggiolaio. Il karegéta era indispensabile perché le sedie buone, quelle col sedile di paglia intrecciata avevano una durata limitata. Per questo le sedie più comuni erano invece col sedile in stecche di legno. Kuàn ke rua l karegéta fàžo ğustà le kariége de la nòna quando passa il seggiolaio, faccio sistemare le sedie della nonna.

 

karegéta  sm. (pl. karegéte) seggiolone per bambini. Béte kel tùto nte karegéta metti il bambino sul seggiolone.

 

kàrego sm. (pl. kàrege) carico. N kàrego de fién un carico di fieno; par portà via ste tàe, okóre na luóida da kàrego per trasportare questi tronchi ci vuole una slitta da carico; loc. fèi kàrego caricare.

 

Karéśema sf. (solo sing.) quaresima. Prov. daspò karnavàl vién la karéśema dopo il carnevale viene la quaresima, cioè dopo la gioia viene il dolore; lòngo kóme la karéśema lungo come la quaresima, detto di cosa che non finisce mai.

 

karéta sf. (pl. karéte) carretta, carrozza. Loc. l e partìu n karòža e l e tornòu n karéta è partito ricco ed è tornato povero; te ses pròpio na karéta sei proprio una persona molto fragile di salute; tirà la karéta tirare avanti a fatica.

 

karetèl sm. (pl. karetiéi) botticella, caratello. Èi konpròu n karetèl de vìn ho acquistato una botticella di vino; l e tóndo kóme n karetèl è grassottello come un caratello.

 

karetiér sm. (inv.) carrettiere. Nte čàśa nòstra i a sènpre fàto i karetiér in casa nostra tutti hanno sempre fatto il mestiere del carrettiere (v. karadór).

 

karéto sm. (pl. karéte) carretto a mano a due o a quattro ruote. Il timone poteva essere a stanga oppure ad arco (kornói); paréča l karéto ke avón da dì a tòle fién prepara il carretto perché dobbiamo andare a prendere del fieno; a mi me tóča sènpre tirà l karéto io devo sobbarcarmi tutte le fatiche e tutte le preoccupazioni.

 

karéža sf. (pl. karéže) carezza. No l a mài fàto na karéža a nisùn non è mai stato affettuoso con nessuno.

 

karéže sf. (solo pl.) travi squadrate e caricate sul carro. Fèime fòra n póče de karéže da kéle piànte da quelle piante ricavami alcune travi squadrate .

 

karì vb. trans. (karìso; karìo; karìu) elemosinare, estorcere. Tu te me karìse sènpre àlgo tu mi convinci a darti sempre qualcosa; nte la só vita no la fàto àutro ke karì nella sua vita non ha fatto altro che elemosinare; dì a karì chiedere l'elemosina.

 

kariéga sf. (pl. kariége) sedia. Le sedie erano di legno e impagliate. Se a róto l pè de la kariéga si è rotto il piede della sedia; dim. kariegùta, sup. kariegón.

 

kariól, kauriól sm. (pl. kariói) capriolo (zool. Capreolus capreolus). Mañà polènta e kariól mangiare polenta e capriolo.

 

karižà vb. trans. (karižéo; karižèo; karižòu) trasportare il legname dal bosco alla segheria con un carro o slitta. Vó na stemàna par karižà dùte ste tàe ci vuole una settimana per trasportare tutti questi tronchi (v. karadà).

 

Kàrlo sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Kàrmin sf. (inv.) Carmine. Nella loc. la Madòna del Kàrmin. La Madonna del Carmine viene festeggiata il 16 di luglio a Villapiccola in Auronzo. In questa occasione si svolge una fiera importante per il Cadore, paragonabile a quella dei Sànte a Santo Stefano in Comelico e a quella dei SS. Pietro e Paolo a Pieve di Cadore.

 

Karña sf. (top.) Carnia, in Friuli. Dì n Karña a konprà pére andare in Carnia a comperare pere; si tratta di un tipo di pere piccole, buone solo se cotte, che vengono anche detta pére da fórno.

 

karnavàl sm. (pl. karnavài) carnevale. Prov. ki ke no le a fàte a karnavàl, le fa de karéśema chi prima e chi dopo, tutti attraversano un periodo di sbandamento. Durante il carnevale ci si vestiva in costume col viso coperto da una maschera, in genere la maschera era di legno, c'erano bravi intagliatori in paese che ne preparavano di belle raffiguranti molto spesso volti dall'espressione cattiva, burbera e aggressiva. Vestiti in maschera, si andava per le case in cerca delle ragazze. Le ragazze invitavano in casa e lì si ballava, si mangiavano le frìtole e si facevano anche incontri interessanti. L'ultimo giorno di carnevale, martedì grasso, l ùltimo de karnavàl, veniva festeggiato con una mascherata generale, ci si divertiva a forsiñà le ragazze e la sera si dava l'addio a questo breve periodo di pazzie andando in giro per il paese avvolti in un lenzuolo bianco con una lanterna accesa, ko n feràl, a piànde l karnavàl. La maschera, spesso un po' alticcia, se non ubriaca del tutto, girava per le strade gridando con voce lamentosa come se si trattasse della morte di una persona cara: oiùto, oiùto, puóro l mè karnavàl de kuóre, no lo védo pì, espressione di lamento che lascia intendere che dopo la fine del carnevale non ci si diverte più. Dopo questi festeggiamenti, comincia la quaresima, periodo fatto di pensieri tristi e rinunce, è il periodo in cui si riprende il lavoro dei campi, si sentono di più le fatiche, e se l'inverno è stato lungo, anche la miseria.

 

karnavalàda sf. (pl. karnavalàde) pagliacciata, buffonata. Tu te sas fèi sólo karnavalàde tu sai fare solo buffonate.

 

karnavalùto sm. (solo sing.) giovedì di metà quaresima. È il giorno che interrompe la monotonia della quaresima: si fa un po' di festa e la sera si brucia un fantoccio fatto di paglia e stracci, la vèča, in località Maneàda presso il nuovo campo sportivo. Una volta quando il paese era più ristretto la vèča veniva bruciata in Kródego (v. vèča).

 

kàrne sf. (solo sing.) carne. Solo da Pàska e da Nadàl se màña kàrne da neàutre si mangia carne solo a Pasqua e Natale; kàrne màta pelle morta; kàrne bòna ferite di pronta guarigione; la kàrne pì bòna e kéla apède l òs la carne più buona è quella vicina all'osso.

 

kàro agg. (pl. kàre, f. kàra) caro, gentile, costoso. L e pròpio n kàro è proprio una persona gentile, amabile; kàro ti nel senso di: ma che cosa dici; ròba kàra merce costosa; dim. karùto caruccio.

 

karobèra sf. (pl. karobère) stamberga, casaccia. Kéla no e na čàśa, ma na karobèra quella non è una casa, ma una stamberga.

 

karòbola sf. (pl. karòbole) carruba (bot. Ceratonia siliqua), fig. botta, legnata, persona magra. Nkuói èi mañòu dóe karòbole oggi ho mangiato delle carrube; èi čapòu n grùmo de karòbole ho preso molte botte; te ses màgro kóme na karòbola sei molto magro.

 

karobolà vb. trans. (karoboléo; karobolèo; karobolòu) picchiare. Kuàn ke l me fa na senestràda, lo karoboléo quando mi combina qualche monelleria, lo picchio.

 

karól sm. (pl. karói) tarlo del legno, larva del formaggio. Al formài e pién de karói il formaggio è pieno di vermi; e stàde i karói a fèi sti bùs nte la pòrta sono stati i tarli a fare questi buchi nella porta; prov. òñi lén a l so karól ognuno ha le sue magagne .

 

karolàse vb. rifl. (me karoléo; karolèo; karolòu) tarlarsi, riempirsi di tarli. Le kornìs se a karolòu dùte le cornici sono tutte tarlate.

 

karolòu agg. (pl. karolàde, f. karolàda) tarlato, fig. cariato. Èi dùte i dènte karolàde ho tutti i denti cariati; formài karolòu formaggio pieno di vermi.

 

karòña sf. (pl. karòñe) carogna, spregevole, malvagio. Usato solo in senso offensivo. Tu te ses sènpre stòu na karòña sei sempre stato un essere spregevole.

 

karotì, karoté escl. caro te, macché, ma che dici mai.

 

karòža sf. (pl. karòže) carrozza. N viàdo de nòže, son dùde n ğìro ko la karòža durante il viaggio di nozze siamo andati in giro in carrozza.

 

karpéta sf. (pl. karpéte) sottana, gonna. Le nostre vèče le portèa sènpre karpéte lònge, ma kol pasà dei àne, le karpéte e deventàde sènpre pì kùrte le nostre nonne indossavano sempre sottane lunghe, ma col tempo le gonne sono andate accorciandosi; loc. tirà le karpéte a la Madòna pregare insistentemente la Madonna perché conceda una grazia; kuàn ke i me fiói èra n guèra, tirèo despés la karpéta a la Madòna quando i miei figli erano in guerra pregavo spesso la Madonna che li facesse ritornare sani e salvi; la locuzione è probabilmente dovuta al fatto che i bambini, quando vogliono qualcosa dalla mamma, le tirano la sottana; śgorlà le karpéte detto della donna molto attiva ed energica o di donna che vuole attirare l'attenzione degli uomini, così come menà l kù sculettare.

 

karpetèi sm. (inv.) uomo troppo attaccato alle gonne della moglie. Da kuàn ke l se a maridòu, l e deventòu n karpetèi da quando si è sposato è sempre attaccato alla moglie.

 

karpetóna sf. (pl. karpetóne) chiacchierona, pettegola, impicciona. To madòna e sènpre stàda na karpetóna tua suocera è sempre stata una donna pettegola.

 

kàrta sf. (pl. kàrte) carta. Il significato va esteso anche a carta da gioco, carta moneta, documento, pagina. Kàrta da pàke carta da imballaggio; kàrta sugànte carta assorbente; kàrte da dógo carte da gioco; misià, mesedà le kàrte o fèi le kàrte mescolare le carte; tirà le kàrte giocare le carte per predire il futuro; kàrta da žénto, da mìle banconota da cento, da mille lire; savé na kàrta pì del lìbro essere saccente; fèi le kàrte preparare i documenti per emigrare; fèi le kàrte a un fare testamento a favore di qualcuno; fèi kàrte fàlse far di tutto per raggiungere lo scopo prefissato, imbrogliare; prov. ki ke fa kàrte n vìta muóre n sofìta cioè chi regala i propri averi quando è in vita, muore povero e dimenticato; dugà a le kàrte giocare alle carte; i giochi più comuni erano: tresète, brìskola, skarabòčo, mažéto, pitokéto, sète e mèdo, dugà a bèstia, dugà a la màta.

 

karteğà vb. intr. (karteğéo; karteğèo; karteğòu) carteggiare, fare documenti. Se te vós avé àlgo, okóre karteğà se vuoi ottenere qualcosa, bisogna fare i documenti necessari. Sta bréa no e lìsa, mèo karteğàla nkóra n tìn questa tavola non è liscia, è meglio passare ancora un po' la carta vetrata.

 

kartolìna sf. (pl. kartolìne) cartolina, polverina preparata dal farmacista. Se vàdo a Venèžia te màndo na kartolìna se vado a Venezia ti spedisco una cartolina illustrata; va da spežiér e tòle na kartolìna pa i vèrme vai dal farmacista e compera una polverina contro i vermi, un vermifugo; spiéto la kartolìna par dì sóte le armi aspetto la cartolina precetto per andare a fare il servizio militare.

 

kartón sm. (pl. kartói) cartone. Késte siòle no e de koràme ma de kartón queste suole non sono di cuoio, ma di cartone.

 

kartùča sf. (pl. kartùče) cartuccia. Késto sčòpo e žènža kartùče questo fucile è senza cartucce; domàn vàdo do da la Piàve a śbarà kartùče domani vado in riva al Piave a sparare cartucce.

 

residui bellici.

Riferisce il prof. Del Favero che a Ğòuda, nei campi vicini alla vecchia polveriera che i soldati italiani avevano fatto esplodere nel 1917 prima dell'arrivo dei tedeschi, alla ritirata di Caporetto, si trovavano cartucce, balistite e molti altri residuati bellici. Noi ci divertivamo, dice Del Favero, ad accendere e a giocare con la balistite. Ancora più pericolosi erano i giochi che facevamo con le cartucce. Le foravamo con un chiodo, poi davamo fuoco alla polvere che, con uno scoppio, faceva partire la pallottola. Altre volte prendevamo la cartuccia, estraevamo la pallottola e con un martello o un sasso richiudavamo. Fatto un foro con un chiodo nella pancia del proiettile, avvicinavamo un fiammifero, la polvere si accendeva e faceva esplodere la cartuccia come una granata lanciando attorno pericolosissime schegge. Per fortuna, dice Del Favero, non è mai successa alcuna disgrazia.

 

karùkola sf. (pl. karùkole) carrucola. Par muóvete okoraràe na karùkola per farti muovere ci vorrebbe la carrucola (v. žikiñòla).

 

karulàda sf. (pl. karulàde) buffonata, scherzo. Il termine è derivato dal soprannome di una famiglia, i Karuli, che notoriamente passano per gente scherzosa; késta e pròpio na karulàda questa è davvero una buffonata.

 

Karùli sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

kàsa sf. (pl. kàse) cassa, cassapanca. La kàsa de la biankarìa la cassa dove si conservava la biancheria; la kàsa da mòrto la bara; l a bèlo n pè nte kàsa è tanto malato, è ormai tanto vecchio che gli rimane ancora poco da vivere.

 

kaśaménto sm. (pl. kaśaménte) casa di grandi dimensioni. Detto in senso dispregiativo. Ma ke kaśaménto àsto fàto su ka? ma che razza di casa hai costruito?

 

kaśèl sm. (pl. kaśiéi) casello per tener fresco il latte, caseificio, latteria. Il kaśèl è un edificio di piccole dimensioni, o uno scomparto della casera dove si tiene in fresco il latte. Successivamente il nome è traslato alla latteria sociale dove si raccoglie il latte per preparare burro e formaggio. Tòle sta séğa de làte e pòrtela do dal kaśèl prendi questo secchio di latte e portalo alla latteria.

 

kasèla sf. (pl. kasèle) cassetto, di solito della credenza dove si teneva la farina o le posate, fig. gobba. La kasèla de la farìna, dei kučàre, dei pirói, dei gortiéi il cassetto della farina dei cucchiai, delle forchette, dei coltelli; àsto vedù ke kasèla ke l a? hai visto che gobba ha quella persona?

 

kasèla da spižadùre sf. (pl. kasèle da spižadùre) attrezzo impiegato per dare una diversa angolatura alla tavola di legno.

 

kaśèra sf. (pl. kaśère) casera, ricovero di pastori, fig. casa disordinata e sporca. Késta no e na čàśa e na kaśèra questa non è una casa, ma un luogo pieno di disordine e di squallore.

 

malga / casera

Il termine malga recentemente introdotto, ma che nella parlata tradizionale di Lozzo non esiste, va sostituendo a poco a poco la voce casera. Malga è usato in altre valli o in italiano con un significato generico, a volte per indicare gli edifici a volte per indicare il pascolo nel suo complesso. Il termine kaśèra, voce tradizionale cadorina, è sempre stata usata per indicare l'edificio per la produzione del formaggio (caseus) e che normalente funge anche da ricovero dei pastori. Il pascolo di Lozzo è sempre stato detto La Mónte, intendendo con ciò l'altipiano di Pian dei Buoi mentre la casera per antonomasia è sempre stata la Kaśèra de le Armente, o Kaśèra de le Vàče. Il termine malga, di importazione lombarda, si va comunque sostituendo anche nella parlata corrente, dato che la funzione di caseificio va anch'essa ormai scomparendo per via delle ben note limitazioni CEE sulle quote latte. Lozzo aveva due casere importanti a Pian dei Buoi: quella per le mucche (la Kaśèra de le Vàče) e quella per le pecore e le capre (Kaśèra de le Féde). C'erano poi le altre kaśère o kaśói: Kaśèra Konfìn, Kaśón de Valdažéne, Kaśón de Valdarìn, Kaśón de Čanpeviéi, Kaśón de Valsàlega, dove venivano mandate al pascolo le mànde, cioè le mucche che non danno ancora latte. Nel Kaśón de Foržèla Bàsa venivano invece portati i tori. Negli anni sessanta sono stati adibiti a ricovero dei boscaioli (v. Kaśón).

 

kaśèrma sf. (pl. kaśèrme) caserma, fig. casa grande e spaziosa. La kaśèrma de Sorakrépa la caserma di Sorakrépa; la tò čàśa soméa la kaśèrma dei Alpìne la tua casa è grande come la caserma degli alpini; ci si riferisce alla caserma degli Alpini di Pieve di Cadore, dove quasi tutti quelli di Lozzo hanno prestato il servizio militare come Alpini della Brigata Cadore.

 

kaséta sf. (pl. kaséte) cassetta. Ğénpe la kaséta de léñe e pòrtela nte čàśa riempi la cassetta di legna e portala in casa.

 

kàsia sf. (pl. kàsie) acacia, robinia (bot. Robinia pseudoacacia). Pianta delle leguminose, aromatica, i cui frutti dolciastri sono adoperati come leggeri lassativi. Importata dall'America settentrionale verso il 1600 e diffusa in Europa da un certo J. Robin si diffuse rapidamente al punto di esser confusa attualmente con le piante spontanee originarie. É importante perché ha radici lunghe e fissa il terreno delle coste scoscese di bassa montagna. Va da spežiér e kónpreme n tìn de kàsia n kàna parkè no vàdo de kòrpo va' dal farmacista e comprami un po' di cassia in canna, perché sono stitico; il frutto aveva la forma di grosso legume, nero e duro esternamente; rotto il baccello si trovava all'interno una pasta nera e dolciastra che si succhiava.

 

kàśo sm. (solo sing.) caso. Fèi kàśo a na ròba dare importanza a una cosa. Àsto fàto kàśo ke... ti sei accorto che...; e n kàśo se son ruòu è un caso se sono arrivato; kàśo mài caso mai, se per caso.

 

kaśomài cong. nel caso che, semmai, caso mai. N kaśomai l ruàse, ti i dis ke son dù a léñe nel caso arrivasse, digli che sono andato a raccogliere legna.

 

kaśón sm. (pl. kaśói) casone, edificio boschivo. Si tratta di una costruzione, spesso in muratura, dove alloggiano i boscaioli. Nel territorio di Lozzo ci sono il Kaśón de Valdažéne, il Kaśón de Čanpeviéi, il Kaśón de Vàl da Rin, il Kaśón de Foržèla Bàsa, il Kaśón de Valsàlega e quello di Konfìn che è andato in rovina a causa di un incendio. Questi Kaśói sono stati costruiti per il pascolo degli armenti quando il solo pascolo dell'altipiano era divenuto insufficiente; in un secondo tempo, con la diminuzione dei capi di besiame, sono stati adibiti a ricovero per pastori e successivamente per i boscaioli.

 

kasonéto sm. (pl. kasonéte) cassonetto, telaio della porta o della finestra.

 

kaśòto sm. (pl. kaśòte) casotto, gabinetto. Di solito era il gabinetto che si costruiva nell'orto adiacente all'abitazione, fig. confusione. Ma kè élo sto kaśòto? ma che cos'è questa confusione? (v. kòmedo).

 

kastaña sf. (pl. kastañe) castagna. Kastaña màta falsa castagna, frutto dell'ippocastano.

 

kastañèr salvàrego sm. (pl. kastañèr salvàrege) ippocastano (bot. Aesculus hippocastanum).

 

kastèl sm. (pl. kastiéi) castello, catasta di legna. Fèi kastèl accatastare la legna disponendola alternativamente in lungo e di traverso; i kastiéi de le nośèle, de le kùče i rami colmi di nocciole e di noci sulla pianta.

 

kastelà vb. trans. (kasteléo; kastelèo; kastelòu) accatastare la legna. È un lavoro che richiede una certa maestria, bisogna disporre i pezzi alternativamente per lungo e per traverso per dare stabilità della catasta .

 

Kastelàto de Pomadòna sm. (top.) colle roccioso che si trova in Vàl de Pomadòna.

 

kastigà vb. trans. (kastigéo; kastigèo; kastigòu) castigare, punire. Maltràta to pàre, daspò l Siñór te kastigarà maltratta tuo padre, vedrai che dopo il Signore ti punirà.

 

kastìgo sm. (pl. kastìge) castigo, punizione. Te ses n kastìgo de Dio sei un castigo di Dio, detto però in senso bonario; béte n kastìgo mettere in castigo; dì n kastìgo andare in castigo.

 

kastrà vb. trans. (kastréo; kastrèo; kastròu) castrare, fig. imbrogliare. L se a kastròu ko le so màn si è rovinato con le sue mani.

 

kastrón sm. (pl. kastrói) lavoro mal fatto, uomo balordo. Ma ke kastrón me àsto fàto su? ma che lavoraccio mi hai combinato?; te ses l sòlito kastrón sei il solito balordo.

 

kastronàda sf. (pl. kastronàde) lavoro mal fatto, stupidaggine. No sta fèi kastronàde non fare stupidaggini; késta e na kastronàda questo è un lavoro mal fatto.

 

kasù, ka su avv. quassù. Ka su da neàutre pióve despés e d invèrno nevéa n grùmo qui da noi piove spesso e d'inverno nevica molto (v. ka).

 

katabùia sf. (pl. katabùie) prigione. L e stòu n katabùia parkè l avèa robòu è stato in carcere perché aveva rubato; te ses na katabùia, al mè fiól sei davvero un poco di buono, figlio mio.

 

Kàte sf. (nome) ipoc. di Caterina.

 

Katìna sf. (nome) ipoc. di Caterina.

 

kauré sm. (inv.) capretto. La čàura a fàto n kauré e na audòla la capra ha partorito un capretto e una capretta.

 

kauré  sm. (inv.) ernia. Èi čapòu l kauré mi è venuta l'ernia.

 

kauriól sm. (pl. kauriói, kariói) capriolo (zool. Capreolus capreolus). L a čapòu n kauriól ha abbattuto un capriolo a caccia; dì a kauriói andare a caccia di caprioli (v. kariól).

 

kavalèr sm. (inv.) carrettiere. Fèi l kavalèr fare il carrettiere.

 

Kavalèra sf. (top.) strada per cavalli. Avón stentòu a veñì su pa la Kavalèra kol karéto čareòu de sórgo abbiamo faticato a salire la Cavallera con il carro carico di granoturco. Per antonomasia in Cadore la Kavalèra è la strada che con alcuni tornanti ripidi sale da Perarolo verso Tai di Cadore. Alcuni di questi tornanti sono stati incisi nella roccia a suon di dinamite dall'ardimento dell'ingegneria di fine ottocento.

 

kavaléta sf. (pl. kavaléte) chiodo a forma di U con due punte, sostegno per le carrucole della teleferica. Béte polìto kéla kavaléta sui dói žimàs, se nò li perdón pa stràda fissa bene la cavalletta sui due cimali, altrimenti rischiamo di perderli.

 

kavaléto sm. (pl. kavaléte) cavalletto. L kavaléto de le léñe il cavalletto su cui si mette la legna da segare.

 

kavaléto  sm. (pl. kavaléte) calibro usato per misurare il diametro dei tronchi. Questo calibro veniva adoperato anche per fare la stima delle piante in piedi (v. kanàula).

 

kavalòto sm. (pl. kavalòte) ciuffo di pannocchie. Le pannocchie raccolte, si aprivano e si privavano di alcune foglie esterne; si formavano poi i mazzi di cinque-sei pannocchie legate insieme per le foglie con giunchi freschi e flessibili; il kavalòto appunto, che veniva esposto al sole in soffitta su apposite stanghe o appeso ai chiodi in modo che i chicchi del sorgo si seccassero definitivamente. Una volta seccate, le pannocchie venivano staccate dalle foglie e sgranate a mano o con una rudimentale sgranatrice; il tutolo (pitón) veniva adoperato per il fuoco e le foglie per fare sacchi (paión) per dormire o per le lettiere nelle stalle. Si ripulivano infine i chicchi dalla pula, che veniva utilizzata per riempire le federe (ntimèla) dei cuscini, e da ultimo si portavano i chicchi a macinare al mulino per farne farina da polenta.

 

kavalòto  sm. (pl. kavalòte) cavallo dei pantaloni. L a śbreòu l kavalòto de le bràge ha strappato il cavallo dei pantaloni; vàrda ke kavalòto de n òn guarda che spilungone d'uomo.

 

kavalòto3 sm. (solo sing.) gioco della cavallina. Portà a kavalòto mettersi carponi e portare sulla schiena un bambino; dugà a kavalòto giocare alla cavallina. Si trattava di un gioco piuttosto violento: un giocatore si metteva ritto contro un muro, un secondo gli appoggiava le spalle contro la pancia, assumendo la posizione di un cavallo, un terzo appoggiava le sue spalle contro il sedere del primo e così via a seconda del numero dei giocatori; si era formato così una specie di treno i cui vagoni erano costituiti dai giocatori piegati in due; a questo punto altri giocatori prendevano la rincorsa e saltavano sulla schiena degli avversari piegati a mò di cavallo, fermandosi a cavalcioni. Vincevano i cavalli, se riuscivano a sopportare il peso dei cavalieri; vincevano invece i cavalieri se col loro peso avevano sfiancato i cavalli. A questo punto i ruoli si dovevano invertire (v. petasàl).

 

kavalòto4 sm. (pl. kavalòte) ferro a forma di U per il trasporto della legna. Si tratta di un pezzo di ferro a due punte che veniva infisso sulla testa di un troncone d'albero (stànğa) fino a formare un anello dentro il quale si faceva passare una catena che permetteva di trascinare le stànğe a casa. Veniva utilizzato anche per legare i tronchi e assicurarli quando si trasportavano a valle dal bosco. Tòle su doi kavalòte pa strožà doe stànğe, se no dovón tornà ko le màn nte màn prendi due ferri per trascinare dei tronchi a casa, altrimenti ce ne torniamo con le mani in mano (v. klàmera).

 

kavedàño sm. (pl. kavedàñe) cavedagno, capo pastore. L nòno a fàto par àne l kavedàño il nonno per anni ha fatto il capo pastore.

 

kaveriàda, kaviriàda sf. (pl. kaveriàde) capriata. Trave di sostegno del tetto e per estensione ogni tipo di intelaiatura di copertura di tetti. Su la kaveriàda del tabià èra n grùmo de kóe de vèspe sulla capriata del fienile c'erano molti nidi di vespe.

 

kavéža sf. (pl. kavéže) testa, cavezza. Se te vós fermà l čavàl, tìra la kavéža se vuoi fermare il cavallo, tiralo per la cavezza; kél tośàto a debeśuói de la kavéža quel ragazzo ha bisogno di un po' di disciplina.

 

kavežàl sf. (pl. kavežài) capezzale. Il capezzale è un rialzo, un cuscino stretto e lungo quanto la larghezza del letto. Veniva messo sotto il lenzuolo dalla parte della testa e usato solitamente da chi stava molto a letto. Attualmente non si usa più. O te tìre vìa l kusìn o l kavežàl, no son mìa bón de dormì ko la tèsta àuta o togli il cuscino o togli il capezzale, io con la testa così alta non riesco a dormire.

 

kàvo sm. (pl. kàve) capo, soluzione di un problema. Molto usata è l'espressione: čatà l kàvo trovare il capo; no son bón de čatà l kàvo de késta àža non sono capace di trovare il capo di questa matassa; n kàlke módo ka okóre čatà l kàvo in qualche modo bisogna trovare la soluzione al problema; loc. l a paùra de pèrde l kàvo detto a chi non smette mai di lavorare per paura di perdere tempo o l'abitudine; al a perdù l kàvo ha perso il filo logico del discorso (v. tròu, trado)

 

kàža sf. (pl. kàže) caccia. Dì a kàža de luóire andare a caccia di lepri; dì a kàža de sčós andare in cerca di lumache, cioè cercare qualcosa che è difficile trovare.

 

kažà vb. trans. (kažo; kažèo; kažòu) andare a caccia, scacciare, ficcare. Àsto kažòu àlgo? hai preso qualcosa a caccia?; i me a kažòu via mi ha cacciato via, oppure: i me a paròu via; loc. kàža dó kéla menèstra sforzati di mangiare; loc. bén kažàda ben ti sta, così impari.

 

kažàda sf. (pl. kažàde) stupidaggine. To fiól sa dì sólo ke kažàde tuo figlio sa dire solo stupidaggini.

 

kažadór sm. (inv.) cacciatore. Nkuói i kažadór e partìde ñante dì stamattina i cacciatori sono partiti molto presto.

 

kažavìde sm. (inv.) cacciavite. Ka okóre l kažavìde c'è bisogno del cacciavite.

 

kàžo sm. (solo sing.) pene. Loc. l a tolésto n kàžo par na riga de čàśe ha frainteso ogni cosa, ha scambiato una cosa per l'altra; dì kol kàžo n su andare a gambe all'aria (v. stratènde).

 

kàžo  escl. accidenti, perbacco. Una delle interiezioni più comuni del discorso corrente. Kàžo ke mal accidenti che male.

 

kažòl sm. (pl. kažòi) cappello, elmo. Sia nel senso dispregiativo di cappellaccio, che in quello vezzeggiativo di cappelluccio e in quello ironico di cappello buffo. Tìrete dó kél kažòl levati quel cappellaccio.

 

kažòla sf. (pl. kažòle) cazzuola, fig. persona magra. Dòra la kažòla se te vós ślisà la màlta adopera la cazzuola se vuoi rendere liscio l'intonaco; te ses kóme na kažòla sei molto magro.

 

kažuól sm. (pl. kažuói) cassa per portare a spalla la malta fresca. Al kažuól e gràn, no sta ğenpìlo de malta se nò te te fas l kauré la cassa è grande: non riempirla completamente di malta altrimenti ti fai venire l'ernia.

 

pron. e agg. (inv.) che, che cosa, quale. Ké libro vósto? che libro vuoi, quale libro vuoi?; dàme n tìn de kéla menèstra ké me piaśe dammi un po' di quella minestra che mi piace; ké bèla fémena che bella donna; vói savè l ké e l kóme voglio sapere il perché e il come; avé n tìn de kél ké se dis avere un po' di buon senso; ké un ke te ses che strano tipo sei; ki ké kè? chi, che cosa ha detto? di cosa parli? (v. kèe). Bóča ké vósto: pan e vin e rósto Una lusinga che non si avverava quasi mai.

 

 cong. che. Ió dìgo ké te as śbaliòu dico che hai sbagliato; ké bruta che brutta, quanto è brutta; ké e, kè ké no e quand'ecco; ké e, kè ké no e, e kapitòu la màre quand'ecco, improvvisamente, arrivò la mamma.

 

 cong. perché, dato che. Dàme le tò skarpe ké le mée e róte prestami le tue scarpe, dato che le mie sono rotte.

 

kè, kèe pron. interr. o escl. che, che cosa, che cosa credi mai. Krédesto ke kèe ma che cosa credi mai; ke kèe? ma che dici? ma sei matto; loc. l àuno a fàto žariéśe, ke kèe? l'ontano ha fatto ciliege, ma che dici? kè pó che dici mai (v. kèpo).

 

kèga sf. (solo sing.) paura. Loc. avé la kèga aver paura. L a la kèga è pieno di paura; l a na kèga ha una tal paura addosso; kél tós e n tin kèga quel ragazzo è un fifone.

 

kègol agg. (pl. kègoi, f. kègola, pl. kègole) piccolo, minuto, detto di persona che cresce poco. Vàrda ke kègol guarda che nanerottolo.

 

kègola sf. (pl. kègole) escrementi di capra o pecora; fig. piccola porzione di qualcosa. Kègole de féda, de čàura, de sorìža cacherelle di pecora, di capra, di topo; a čàśa sóa la a sènpre fàto le kègole menùde a casa sua ha sempre patito la fame; dàme na kègola de pàn dammi un pezzettino di pane; kél tùto e gràn kóme na kègola quel bimbo è alto come una kègola cioè come un soldo di cacio.

 

kègole de čàura sf. (sol pl.) stitichezza. E tre dis ke fàžo kègole de čàura ho stitichezza da tre giorni.

 

kèk sm. (inv.) peppola, fringuello montano (zool. Fringilla montifringilla), fig. ingenuo, fesso. Il fringuello appartiene al gruppo di uccellini dai colori vivaci, granivoro, come il cardellino e il lucherino. Il fringuello comune è il più frequente (zool. Fringilla coelebs), poco più grande di un passero, rosso sul petto, castano sul dorso, blu sulla nuca e sulla testa. La peppola è un po' più piccola, sempre col petto rosso ma il dorso è quasi nero con una striscia bianca verso la coda. C'è poi il fringuello alpino (zool. Montifringilla nivalis) che vive sui 2000 m e oltre, ma è poco colorato, ha il petto grigio e il dorso bruno. Al e tomòu ìnte kóme n kèk ci è cascato come un fesso.

 

Kéka, Kekùta, Kekìna sf. (nome) ipoc. di Francesca.

 

kekè vb. intr. (irregolare) parlare. Solo nella loc. ki kekè? che cosa ha detto, chi ha parlato ?

 

Kéki, Kéko, Kekùto, Kekìn sm. (nome) ipoc. di Francesco. Loc. Te ses Kéko, stà da Kéko non darti della arie.

 

kéko sm. (inv.) verme. Sti póme e tomàde do sóle parkè i a ìnte l kéko queste mele sono cadute dall'albero perché hanno il verme e all'interno sono bacate.

 

kekolà vb. intr. (kekoléo; kekolèo; kekolòu) balbettare. Pàrla a piàn se no te vós kekolà parla adagio se non vuoi balbettare; kél là kekoléa kuàn ke l vó quello sa quando deve parlare e quando tacere.

 

kekolón agg. (pl. kekolói, f. kekolóna, pl. kekolóne) balbuziente. L e nasésto kekolón è balbuziente dalla nascita.

 

kél agg., pron. (pl. ki, f. kéla, pl. kéle) quello. Ki lìbre quei libri. Kél lìbro e bèl quel libro è bello; kéla là no me piàśe quella non mi piace; ki kauré e kéle čàure e mée quei capretti e quelle capre sono miei; ki da Lóže e retegós gli abitanti di Lozzo sono litigiosi; par kél ke l a dìto per quello che ha detto; avé n tìn de kéla ke se dìs avere un po' di buon senso; bén par kél appunto per quello; avé kéla de..., avere intenzione di...; loc. l e kél ke puó èse è una persona intrattabile, cattiva o anche eccezionale; kelàutro quell'altro.

N.B. Talvolta l'aggettivo kél, kéla, ki, kéle accompagnando alcuni sostantivi, acquista il significato di articolo determinativo o di aggettivo possessivo, perché indica di chi o di che cosa si parla (di solito il suo possessore), il che appare chiaro dal contesto del discorso; čàma n tìn kél tośato, kéla tośàta, ki tośàte, kéle tośàte chiama un po' quel bambino, quella bambina, quei bambini, quelle bambine, cioè chiama un po' mio (tuo, suo, ecc.) figlio, mia figlia, i miei figli, le mie figlie; añó éli ki tośàte? dove sono i miei (tuoi, suoi, ecc.) figli?

 

kelfàto ke escl. ecco, ecco perché è successo. Àsto sientìu ke e mòrto Nani, kelfàto ke so suó piandèa hai sentito che è morto Giovanni, ecco perché sua sorella piangeva.

 

kenùg avv. abbastanza. Dal tedesco “genug”; ió èi bèlo kenùg de le to čàčere ne ho già abbastanza delle tue chiacchere.

 

kèpo inter. ma che dici, impossibile, altroché. Questa esclamazione ha molti significati: ma che cosa dici mai, è una cosa impossibile, ma sei matto. èrelo bón al tòčo? kèpo era buono lo spezzatino? altroché!

 

késto agg. o pron. (pl. késti, f. késta, pl. késte) questo. Késto pàn e dùro questo pane è duro; késta la e bèla questa sì che è bella; késta e n àutra questa è una novità; késto e l tò e késto e l mè questo è il tuo e questo è il mio; késto e kuànto questo è quanto dovevo dirti e basta. Késto si abbrevia spesso in sto e st.

 

ki  pron. interr. (inv.) chi. Ki? chi?, kon ki? con chi?, par ki? per chi?, de ki? di chi?, a ki? a chi?, apède ki? insieme a chi?; ki sésto? chi sei?; kon ki, par ki laóresto? con chi, per chi lavori?; ki kekè? che cosa ha detto, chi ha parlato?

 

ki  agg. dim. pl. o pron. rel. pl. (sing. kél) quelli. È il plurale irregolare maschile di kél; spesso ki funge anche da articolo plurale: ki tośàte i bambini; ki tośàte (kéi tośàte) no me piàśe par nùia quei bambini non mi piacciono per niente; kiàutre quegli altri; ki ke no laóra no màña chi non lavora non mangia; prov. ki ke no fa, no fàla chi non fa, non sbaglia; ki ke se vó chicchessia (v. àutro, kikesevó, kikeséa).

 

kiatà, kietà vb. trans. (kiàto; kiatèo; kiatòu) quietare, tranquillizzare. No son bón de kiatà kél pùpo: e da n siéra ke l piànde non sono capace di calmare quel bimbo: è da ieri sera che piange; al màl de pànža se a kiatòu il male di pancia si è calmato; me kiéto n tìn e daspò lèvo su mi riposo un po' e poi mi alzo.

 

kierikéto sm. (pl. kierikéte) chierichetto. Al prèe kon kuàtro kierikéte e kón dùta la dènte davòi e désto ntórno tavèla. il prete, con quattro chierichetti e con tutta la gente dietro in processione è andato a benedire i campi.

 

kiéto agg. (pl. kiéte, f. kiéta) quieto, tranquillo. Sta kiéto sta calmo, fa silenzio, non muoverti; staśé kiéte tośàte, se podé state buoni bambini, se potete; prov. fèi sta kiéte i tośàte e kóme fèi kóre i vèče far stare calmi i bambini è come far correre i vecchi, detto per una cosa impossibile da ottenere.

 

kikeséa pron. chiunque, chichessia. L e màsa bón, l vèrde la pòrta de čàśa a kikeséa è troppo buono, apre la porta di casa a chiunque.

 

kikesevó pron. chiunque, chichessia. Véñe pùra, kikesevó (ki ke se vó), ió no kànbio ponión venga pure chichessia, io non cambio opinione.

 

kìlo sm. (pl. kìle) chilogrammo. Al botìro kósta diéśe frànke l kìlo il burro costa dieci lire al chilo; konprà la ròba n tànto l kìlo acquistare merce a peso e non a numero, si dice anche per indicare una gran quantità di merce a basso costo che non ha un gran valore.

 

Kin  sm. (nome) ipoc. di Gioacchino.

 

Kin  sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Kìna sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

kìpa sf. (pl. kìpe) pendio scosceso. Par dì su dal me tabià, tóča fèi na kìpa per arrivare fino al mio tabià, bisogna salire un forte pendio.

 

kipàse vb. rifl. (me kìpo; kipèo; kipòu) piegarsi, sdraiarsi, riposare, accasciarsi, afflosciarsi dei fiori. Èro tanto stràko ke apéna ruòu a čàśa, me son kipòu dó ero così stanco che appena arrivato a casa mi sono sdraiato; i bokaléte apéna toléste su, i se kìpa dó i mughetti appena raccolti si afflosciano.

 

kiribìri sm. (solo sing.) basco, berrettino a forma di cupolino. Al a nprimòu n àutro kiribìri ha messo per la prima volta un nuovo basco.

 

kisakè pron. (inv.) chi sa che cosa. Se te fàs polìto a skòla te dào kisakè se vai bene a scuola, non sai cosa ti regalo. Spesso voleva dire niente.

 

kisakì pron. (inv.) chi sa chi. Soméa ke rue kisakì sembra che arrivi chissà quale persona importante.

 

kitèta sf. (pl. kitète) capretta, fig. sbarazzina, sventatella. Vàrda ke bèla kitèta guarda che bella capretta; te ses pròpio na kitèta sei davvero una sbarazzina, una ragazza priva di buon senso.

 

klàmera, klànfa sf. (pl. klàmere, klànfe) graffa di ferro. Dal tedesco “die Klammer”, parentesi, le graffe hanno la forma di una parentesi quadra. Ferro lungo da 20 a 40 cm, con punte piegate ad angolo retto, utilizzata per tenere aggangiati a due a due i tronchi d'albero quando si trascinavano (strožà). Tàka kéle dóe tàe kon la klànfa unisci quei due tronchi con una graffa .

 

klàper sm. (inv.) sasso, macigno. Kói laóre e ruòu n klàper nte l mè čànpo durante i lavori è caduto un masso nel mio campo (v. klòmer, plandér).

 

klàse sf. (inv.) classe, anno di nascita. Ke klàse fàsto? che classe frequenti?; de ke klàse sésto?, di che classe sei?, cioè in che anno sei nato?

 

Klauśédo sm. (nome) nomignolo di famiglia, originaria di Clauzetto (PN), paese alla sinistra orografica del Tagliamento, di fronte a S. Daniele del Friuli.

 

klòmer sm. (inv.) sasso, macigno, fig. uomo robusto. Par pasà l Rin, èi dovù béte doi klòmer n mèdo per riuscire ad attraversare il Rin ho dovuto mettere due sassi nell'acqua; to fiól e pròpio n tòko de klòmer tuo figlio è davvero robusto, è ben piazzato (v. klàper, plandér).

 

avv. quando. Avverbio usato soprattutto con i verbi di moto. Kó te vién, pòrteme l làte quando vieni, portami il latte; loc. kó bén te èi dìto, l èi bèlo fàto faccio più in fretta a fare una cosa che a dire a te di farla (v. kuàn, kón).

 

kóa sf. (pl. kóe) nido. Dì a kóe andare in cerca di nidi per catturare gli uccellini, era una abitudine diffusa tra ragazzi; loc. èse da kóa o te sés da kóa sei ingenuo; èse sóra kóa essere sopra il nido, star covando; kuàn ke l aužèl a fàto la kóa, l muóre quando l'uccello ha fatto il nido muore, cioè quando un uomo ha coronato il sogno di costruirsi una casa, non se la può godere perché è ormai arrivato in punto di morte, come fàta la kàbia muóre l aužèl.

koà vb. trans. (kóo; koèo; koòu) covare, tramare. La kòka kóa l petùs la chioccia sta covando i pulcini; kél tùto e màsa kiéto, al kóa àlgo de segùro quel bimbo è troppo tranquillo, cova senz'altro qualche malanno; tu te kóe sènpre àlgo tu trami sempre qualche cattiveria. Tòle la pìta e bétela a koà prendi la gallina e mettila a covare.

 

koačàse vb. rifl. (me koačéo; koačèo; koačòu) calmarsi, tranquillizzarsi, stare buono in silenzio, accovacciarsi detto di animali. Al pùpo se a koačòu il bambino si è calmato e tace; al čan se a koačòu dó il cane si è accovacciato.

 

koàčo agg. (pl. koàče, f. koàča) calmo, tranquillo. Bétete koàčo mettiti calmo.

 

koàda sf. (pl. koàde) covata, nidiata. Èi čatòu na koàda de darèse ho trovato una nidiata di tordi maggiori.

 

koakàžola sf. (pl. koakàžole) ballerina bianca o gialla (zool. Motacilla alba, ballerina bianca, Motacilla cinerea, ballerina gialla). Uccellino con una lunga coda grigia, quand' è posato si bilancia avanti e indietro facendo muovere su e giù la coda. La ballerina gialla ha il petto e una striscia gialla sulla coda. Daisùda ntórno al tabià e n afar de koakàžole in primavera intorno al fienile, ci sono molte ballerine.

 

koatàse vb. rifl. (me koatéo; koatèo; koatòu) acquattarsi, rannichiarsi sotto la coperta. Kóme ke l e tornòu da Mónte, l se a koatòu sul sofà appena è ritornato da Pian dei Buoi, si è sistemato sul divano.

 

koatìž, kuatìž sm. (solo sing.) sporcizia, groviglio, disordine, legna che fatica ad accendersi. Kè élo dùto sto koatìž? che cos'è tutta questa sporcizia?; te a betù ìnte léñe vérde e te as fàto dùto n koatìž hai messo nella cucina la legna ancora verde e fatica a prendere fuoco.

 

koatòu agg. (pl. koatàde, f. koatàda) accovacciato, accoccolato al calduccio, ben coperto. Sta koatòu ke fa frédo sta ben coperto, perché fa freddo.

 

kočèno agg. (pl. kočène, f. kočèna) rozzo, non affabile, avaro. To bàrba e pròpio n kočèno tuo zio è una persona veramente rozza.

 

kòčo  sm. (pl. kòče) slitta con pattini di ferro. A differenza della slitta luóida, che ha un piano di carico, il kòčo è solo un assale su pattini di ferro. Serve per trascinare i tronchi sulla neve. L'uso più frequente era quello per il traino di tronchi su strade gelate piuttosto pianeggianti. Un cavallo trascina il kòčo che sosteneva la testa del primo tronco, gli altri tronchi, anche una ventina, venivano attaccati uno all'altro con klànfe, stròž e čadéne e scivolavano sul ghiaccio. Era un lavoro che si poteva fare solo d'inverno. Quando si doveva trasportare materiale molto ingombrante, se te as da strasinà ròba ke péśa n grùmo, te as da tòle dói kòče e te li tàke ko n tavolàžo si univano due slitte e si metteva sopra un pianale per portare il carico così da formare un dópio kòčo o čaréžo. Si otteneva così una slitta piuttosto snodabile. Il kòčo è anche lo slittino monoposto per scendere sul ghiaccio o sulla neve gelata, in questo caso l'assale è coperto da un piccolo sedile, ci si afferra con le mani alle due sporgenze posteriori (kornói), e lo si guida con i piedi. Dì kól kòčo andare a slittare con lo slittino (v. luóida feràda).

 

kòčo  sm. (pl. kòče) becco, caprone. Te pùže kóme n kòčo puzzi come un caprone.

 

kòčo3 agg. (pl. kòče) duro, chiuso, avaro, egoista. Va là ke te ses pròpio n kòčo va là che sei davvero un grande avaro.

 

kočonà vb. intr. (kočonéo; kočonèo; kočonòu) blaterare, spettegolare. Kéle doe kočonéa sènpre quelle due spettegolano di continuo.

 

kóda sf. (pl. kóde) coda, residuo, fine, rimasuglio. La kóda del čavàl la coda del cavallo; ka e restòu da mañà sólo la kóda qui sono rimasti da mangiare solo gli avanzi, i rimasugli; èi nkóra na kóda de salàme se te vós mañàla mi è rimasto l'ultimo pezzo del salame se vuoi mangiarlo; ió resteléo l gròs tu te restelée la kóda io rastrello il grosso del fieno e tu ne rastrelli i rimasugli; dì a kóde andare a falciare l'erba anche nei luoghi più magri; tu te ses sènpre n kóda dapardùto sei sempre ultimo in ogni cosa; la kóda e sènpre la pì dùra a deśgorteàse la coda è sempre la più dura da ripulire, cioè la fine di un lavoro è sempre la parte più difficile; loc. točà un su la kóda pungere uno sul vivo; loc. èse ndavòi kóme la kóda del mùs essere indietro come la coda del mulo essere proprio un cretino; l a čapòu la kóda ntrà la pòrta è stato incastrato.

 

Kóda sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

kodalònga sf. (inv.) codibugnolo (zool. Aegithalos caudatus). Uccellino simile a una cincia, si appende al ramo e protende in avanti una lunga coda nera bordata di piume bianche, molto caratteristica.

 

kodamožìna sf. (solo sing.) coda cavallina, equiseto (bot. Equisetum arvense). Erba impiegata per infusi sia per il trattamento delle malattie renali che per dolori articolari che, ancora, per uso esterno come collirio, collutorio ed è indicata per bagni contro le malattie cutanee. Se te te fàs màl, fèite dói npàke de kodamožìna se ti fa male, fatti alcuni impacchi di coda cavallina.

 

kodarós sm. (inv.) codirosso (zool. Phoenicurus phoenicurus), codirossone (zool. Monticola saxatilis). Uccello del gruppo dei pettirossi e degli usignoli, dalla coda tremolante color ruggine, col dorso dello stesso colore.

 

kóde sf. (inv.) cote per affilare la falce. Si tratta di un attrezzo indispensabile per chi falcia l'erba; viene posta nel suo fodero, l kodèi, riempito d'acqua, dopo l'uso viene tenuta ferma nel suo contenitore con un pugno di erba. Se la fàu no tàia, dòra la kóde se la falce non taglia, affilala con la cote.

 

kodèi sm. (inv.) fodero della cote. È fatto con corno di mucca svuotato o più spesso di un tronchetto di legno incavato e lavorato al tornio oppure di lamiera; si tiene appeso nella parte posteriore della cintura e contiene la kóde immersa in acqua. Me rakomàndo, no sta desmenteàte l kodèi mi raccomando: non dimenticarti il fodero della cote; fig. avé l kodèi de fòra avere il lembo della camicia che spunta dai pantaloni rotti sul sedere; kodèi de vèspe un nido, un bugno delle vespe (v. vespèi).

 

kodìčo, kodìča sm. (pl. kodìče) codino del maiale, capelli raccolti a coda di cavallo. La kodìča del kùčo la coda del maiale. Késta no e na dréža, e n kodìčo questa non è una treccia è un misero codino con pochi capelli; tàifel kodìčo accidenti, espressione rimasta nella parlata di Lozzo dopo le esperienze in territori tedeschi, è evidentemente un misto di Teufel - diavolo, e kodìče - coda di porco; dàme a mi l kodìčo del salàme da a me l'ultimo pezzetto di salame (v. tàifel).

 

kódol sm. (pl. kódoi) rimasuglio. A mi me tóča sènpre l kódol del muśéto a me tocca sempre la parte finale del cotechino (v. kóda, kodìčo).

 

kodòl sm. (pl. kodòi) collare di erbe intrecciate. Si tratta di un collare di erbe intrecciate che si metteva attorno alla cima della méda, un pagliaio conico che si allestisce all'aperto sui prati di alta montagna quando è impossibile portare il fieno a casa al coperto perché la stagione è ormai avanzata, oppure quando non ci sono fienili di proprietà vicino. Kuànto staśéu a fenì kel kodòl, èi da veñì là ànke ò? quanto tempo ci mettete a finire di intrecciare quel collare, devo venire là io a farlo?

 

kodón sm. (pl. kodói) mela cotogna. Béte dói póme kodói nte l armerón ko la biankarìa metti due mele cotogne nell'armadio per profumare la biancheria.

 

kógo sm. (pl. kóge) cuoco, cuciniere. Te ses n kógo de òro, o de lùso sei un cuoco d'oro; una volta, quando le donne andavano a lavorare in campagna, gli uomini che rimanevano a casa, più spesso ancora i ragazzi, preparavano da mangiare.

 

kogolà vb. (kogoléo; kogolèo; kogolòu) ammucchiare. Kogoléa su nòta kéle père ammucchia quei sassi.

 

kogolùžo sm. (pl. kogolùže) mucchio d'erba, fig. uomo curvo e piccolo. I kogolùže si fanno per impedire che il fieno non del tutto secco si inzuppi per la pioggia o l'umidità notturna. Lo si raccoglie in piccoli cumuli dell'altezza di un metro circa, in tal modo si bagna solo lo strato più superficiale mentre l'erba all'interno rimane asciutta. Poi, col ritorno del sole, a braccia o con l'aiuto di una forca, si ridistende perché si asciughi completamente. Son detti kogolùže anche i mucchi di erbacce in genere, di fogliame o altro; fèi su kogolùže fare mucchi di fieno; vàrda ke kogolùžo guarda che individuo goffo, piccolo e grasso.

 

kógoma sf. (pl. kógome) cuccuma, caffettiera. Béte su la kógoma e fèi n tìn de kafè metti sul fuoco la cuccuma e prepara un po' di caffè.

 

kói sm. (inv.) cuneo, bietta. Žènža kói no te śbrée ste bóre senza bietta non riuscirai mai a spaccare questi pezzi di legna; bàte kói fare i capricci, tenere il broncio.

 

Kóilo sm. (top.) località a nord del paese, quasi in cima alla costa che da Lozzo sale a Mónte (v. Kuóilo).

 

koión sm. (pl. koióne, koiói) testicolo. Te ses sènpre l sòlito koión sei sempre il solito sciocco. Te dao na peàda n te i koióne ti dò una pedata sui testicoli.

 

koionà vb. trans. (koionéo; koionèo; koionòu) prendere in giro, deridere. Tò fiól e sólo bón de koionà la dènte tuo figlio è capace solo di prendere in giro la gente.

 

koionàda sf. (pl. koionàde) canzonatura, stupidaggine. Òñi dì, le sòlite koionàde ogni giorno combini le solite stupidaggini.

 

koionadùra sf. (pl. koionadùre) presa in giro. L se a čapòu n póče de koionadùre parkè l pàrla màsa l' hanno preso in giro perché parla troppo (v. koionàda).

 

kóisa sf. (pl. kóise) coscia. Èi màl nte le kóise ho male alle cosce, mi dolgono le cosce (v. kuóisa).

 

kòka sf. (pl. kòke) chioccia. Béte sóte kòka mettere una gallina a covare; kéla kòka a bèlo koòu tré petùs quella chioccia ha già covato tre pulcini.

 

kòke sf. (solo pl.) bolle di sapone. Loc. fèi le kòke fare le bolle di sapone. Per fare le bolle di sapone si scioglieva in un piccolo recipiente pieno d'acqua un po' di sapone da bucato e dopo aver mescolato il tutto ben bene, si giocava, servendosi di un gambo di tarassaco.

 

kòko sm. (pl. kòke) uovo (voce infantile). Se te stàs bón, te dào n kòko a dì a tòlete àlgo de bón se sei buono, ti darò un uovo così potrai comperare qualcosa di dolce; l'uovo era usato come merce di scambio presso il fornaio, il droghiere ed altri negozianti.

 

kokodà vb. intr. (kokodéo; kokodèo; kokodòu) chiocciare, ciarlare, fare il verso della gallina e della chioccia. Kéla tośàta va ntórno dùto l dì a kokodà quella ragazza va in giro tutto il giorno a ciarlare; la pìta kokodéa, de segùro l a pondésto la gallina fa il verso, ha fatto sicuramente l'uovo.

 

kokodèk sm. pl. (solo pl.) chicchi di granoturco fatti saltare in padella. Màre, faśéme dói kokodèk mamma fatemi un po' di pop-corn (v. garnèl).

 

kokón sm. (pl. kokói) crocchia di capelli, cocchiume, zipolo della botte o del barile. Vàrda ke bèl kokón ke a to fìa guarda che bella crocchia di capelli ha tua figlia; ğàva l kokón e spìna n tìn de vìn cava lo zipolo e spilla un po' di vino; prov. teñì pa la spìna e molà pal kokón risparmiare sugli acquisti di poco conto e scialacquare su quelli importanti.

 

kòl  sm. (pl. kòi) collo, gola. Èi mal nte l kòl ho male alla gola; kòl del pè collo del piede; fig. kel là e àuto de kòl del pè quello è un tipo altezzoso; fažoléto da kòl fazzoletto da collo, foulard; loc. te vói bén dùto ntórno l kòl ti odio a morte; n kòl de àga quantità di acqua che si riusciva a portare con due secchi e l'arconcello; loc. se pàsa l kòl, pàsa ànke l ku quello che si ingerisce poi si digerisce; corrisponde pressapoco al proverbio kél ke no pàsa, ngràsa quello che non passa, ingrassa; dùto se remèdia fòra ke l òs del kòl tutto si aggiusta eccetto l'osso del collo; loc. dì a tòle n kòl de àga andare a prender due secchi d'acqua con l'arconcello (v. ženpedón).

 

kòl  sm. (pl. kòi) colle. In paese sono ricorrenti i nomi dei seguenti colli: Kòl Kanpión, Kòl Vidàl, Kòl Žarvèra, Kòl Medàn, Kòl de le Fòe, a sudest della casera delle armente, Kòl de Fontànabòna, Kòl Négro si trova sopra il Kaśón de Čanpeviéi, Kòl dei Piàža, Kòl Burğòu o Burğón, Kòl de Tanbèr, Kòl de Vialóna; via pai kòi andar per prati, su e giù per i colli.

 

kòla sf. (pl. kòle) colla, amido, appretto. Kòla kanevèla o da marengón colla da falegname; kòla da manifèste colla fatta con farina bianca ed acqua per appendere i manifesti al muro; kòla da čaméśe colla per camice, amido, appretto; késta e kòla da nkolà i Sànte questa è colla adatta per incollare i Santi; detto del brofìto troppo liquido e quindi colloso.

 

kolà  vb. trans. (kólo; kolèo; kolòu) colare, filtrare, grondare. Kolà l rìśo, la pàsta scolare riso, pasta; kolà l làte, l bró filtrare il latte, il brodo; loc. kolà gras da dùte le pàrte essere straordinariamente grasso, fig. avere a disposizione ogni ben di Dio; kolà sudór grondare di sudore.

 

kolà  avv. termine usato in forma avverbiale per indicare le zone coltivate a campi o a prato. Fòra kolà nei campi verso Domegge; ìnte kolà nei campi verso Auronzo; notare l'uso di ìnte e fòra riferito alla Valle del Piave. Domàn dón a sapà fòra kolà domani andiamo a zappare nel campo verso Domegge, (naturalmente chi parla e chi ascolta sa dove si trovano esattamente il campo o il prato); nkuói son stòu ìnte kolà oggi sono stato nel campo, uno dei campi, verso Auronzo; dó kolà laggiù; su kolà lassù in un posto ben definito. Come si vede le espressioni: fòra kolà (verso ovest), ìnte kolà (verso est), su kolà (verso nord), dó kolà (verso sud), indicano le diverse direzioni rispetto a Lozzo verso i quattro punti cardinali.

 

koladìžo sm. (solo sing.) colaticcio, stillicidio. Kè élo dùto sto koladìžo? che cos'è tutto questo gocciolio?

 

koladói sm. (inv.) setaccio. Era solitamente costituito da una vecchia tela di canapa e serviva a trattenere la cenere della lisciva quando si faceva il bucato; con lo stesso nome si indicava anche il colino del caffè, il colapasta e il setaccio per passare la calce liquida prima di procedere all'imbiancatura o per preparare la malta fine. Paréča l koladói ke èi da kolà la mostàrda prepara il setaccio che devo colare la mostarda.

 

kolàina sf. (pl. kolàine) giogo per i buoi. Netà la kolàina dei bòs pulire il giogo dei buoi (v. dòu).

 

kolàna sf. (pl. kolàne) collana. Kolàna de korài collana di coralli; le bambine confezionavano le collane con bacche rosse e rosa del cappello del prete. Na kolàna de bužolài una collana di ciambelle; era il regalo che il padrino o la madrina faceva al figlioccio nel giorno della Cresima (v. bužolài).

 

kolàr sm. (inv.) collare, guinzaglio. Al kolàr del čàn il guinzaglio del cane; kolàr del kamìn fascia di lamiera che circonda il camino sul tetto.

 

kolarìn sm. (inv.) collare. Il collare bianco, rigido, che portano i preti attorno al collo della camicia. Al kuràto se a deśmenteòu l kolarìn il parroco si è dimenticato di mettere il collare.

 

kolarìna sf. (pl. kolarìne) cravatta. Nkuói e fèsta: bétete la kolarìna oggi è festa: mettiti la cravatta (v. veludìna).

 

kolavìa avv. lontano, molto lontano. Añó élo dù l pàre? kolavìa, fiól mè dove è andato mio padre? molto lontano, figlio mio.

 

kolažión sf. (inv.) colazione. Mañà da kolažión fare colazione; prov. kolažión bonóra, disnà a la sò óra bisogna far colazione di prima mattina e pranzare all'ora prestabilita.

 

kolèga, kolègo (raro) sm. (pl. kolège) collega, amico, compagno. Tu e i to kolège se sènpre a bètole tu e i tuoi amici perdete sempre tempo in osteria.

 

kolenèl sm. (pl. koleniéi) area regoliera assegnata a turno ai regolieri. Un tempo veniva assegnata a turno alle famiglie del paese. A Lozzo ci sono state nove assegnazioni dei beni regolieri in koleniéi; la prima nel 1573, l'ultima nel 1882 con la quale venne assegnato in proprietà ad ogni cittadino allora vivente, con esclusione quindi dei deceduti, un kolenèl, ciascuno formato da lotti di venti teste o solo parti di teste, comprendente sia terreno boschivo che seminativo. Oggi i koleniéi sono ormai in mano a pochi proprietari.

 

Koleniéi sm. (top.) località a sudovest del paese. La denominazione rievoca certamente l'assegnazione a sorte del territorio.

 

Koleśèl sm. (top.) località a nord del paese.

 

koléta  sf. (pl. koléte) colletta. Raccolta di denaro o di altri generi fatta a beneficio di persone colpite da disgrazie. I a fàto koléta parkè al se tórne fèi su la čàśa hanno fatto una colletta perché possa ricostruirsi la casa (v. kòlta).

 

Koléta  sf. (nome) ipoc. di Nicoletta.

 

koléto sm. (pl. koléte) colletto, bavero. Koléto de la ğakéta bavero della giacca; koléto de la čaméśa colletto della camicia.

 

kòlika sf. (pl. kòlike) colica. Sta nuóte me e veñù na kòlika de màl de pànža stanotte mi è venuta una colica di mal di pancia.

 

kolìn sm. (inv.) licopodio (bot. Lycopodium clavatum). Erba che veniva anticamente adoperata per filtrare il latte dalle impurità. L'uso era molto frequente in casera, dove di solito mancavano i colini traforati in metallo o la reticella di filo per filtrare il latte. Va a čatàme n tìn de kolìn ke èi da pasà al làte va a raccogliere un po' di erba di licopodio che devo filtrare il latte.

 

Kòlis sm. (top.) località ad est del paese.

 

kólmin  agg. (pl. kólmin, f. kólmena, pl. kólmene) pieno, colmo. N piàto kólmin, na skudèla kólmena un piatto pieno, una scodella piena (v. kólmo).

 

kólmin  sm. (inv.) culmine, linea di dispulvio del tetto. Nkuói i e ruàde su la kólmin oggi sono arrivati sul culmine del tetto; con questa frase si rendeva noto che i muratori e i carpentieri erano ormai arrivati al tetto e perciò si doveva festeggiare anche se mancavano ancora le rifiniture esterne ed interne della casa. Si inchiodava allora un piccolo abete sulla kólmin e la sera, coloro che avevano partecipato all'esecuzione dell'opera, venivano invitati dai padroni ad una cena per festeggiare l'avvenimento. Non tutti potevano permettersi di offrire una cena, ma si limitavano ad una merenda abbondante. fig. kólmin del màl il culmine della malattia.

 

kólo sm. (pl. kóle) colabrodo, colo, crivella. Tòle l kólo ke pàso l bró prendi il colabrodo che passo il brodo; dim. kolìn piccolo colo, colino.

 

Kolòi sm. (top.) località in territorio di Domegge a sud di Lozzo. Prov. kuàn ke Kolòi verdeğéa, Peniéde semenéa quando Kolòi verdeggia, Peniéde semina, quando il primo si copre d'erba, a Peniéde si è già seminato; il detto fa riferimento alla posizione delle due località, mentre infatti Kolòi e a postèrno (rivolto a nord), Peniéde e a solìvo (rivolto a sud).

 

kolónba sf. (pl. kolónbe) colomba. A Pàska la sàntola me dà sènpre la kolónba a Pasqua la mia madrina mi regala sempre una colomba; si tratta di un dolce tradizionale fatto con la stessa pasta delle focacce e con un uovo sodo nel mezzo, che il padrino o la madrina della Cresima offrivano al loro figlioccio in occasione della Pasqua.

 

kolonbèra sf. (pl. kolonbère) colombaia. La kolonbèra e piéna de pìžoi de kolónbo la colombaia è piena di piccoli di colombo.

 

kolonbìna sf. (pl. kolonbìne) moneta d'argento da cinque lire in uso nel periodo fascista. Così chiamata perché su una faccia era riprodotta un'aquila che a forza di essere presa fra le mani, si rovinava fino a essere confusa con una colomba. L nòno me a dòu na kolonbìna parkè lo èi idòu a fèi léñe il nonno mi ha regalato una moneta d'argento perché lo ho aiutato a preparare la legna.

 

kolónbo sm. (pl. kolónbe) colombo. Piccione.

 

kolór sm. (inv. oppure pl. kolóre) colore, tinta, colorito. Dà su l kolór ài mùre tinteggiare le pareti; adès mò, te as n bèl kolór adesso hai davvero un bel colorito; al me a fàto de dùte i kolóre me ne ha combinate di tutti i colori; prov. sóra sta i kolór, sóte sta i dolór l'apparenza inganna, il colore nasconde le magagne.

 

kólpa sf. (pl. kólpe) colpa, causa. E sólo kólpa tóa è soltanto colpa tua; la kólpa de dùto e ke no te pénse mài su la ragione di quanto è accaduto, è che non pensi mai alle conseguenze di quello che fai; kóme l sòlito dùte le kólpe e mée come al solito tutte le colpe sono mie; kólpa ke no laurèo, l me a paròu vìa dato che non lavoravo, mi ha licenziato.

 

kólpo sm. (pl. kólpe) colpo, malore, impressione. Tu te fàs kólpo tu fai sempre una bella impressione; l a čapòu n kólpo ha avuto una crisi cardiaca; nkóra n kólpo e avón fenìu ancora uno sforzo ed abbiamo finito; loc. dùto nte n kólpo tutto ad un tratto, improvvisamente; prov. ko n kólpo sólo no se tàia da pè per fare qualcosa di importante ci vogliono tempo e fatica.

 

kòlta sf. (pl. kòlte) era il complesso delle imposte locali conferite da Lozzo al Čentenàro di Domegge, corrispondeva alla quota che si chiedeva ai proprietari di boschi e bestiame per soddisfare le spese. Anche il Comune imponeva una kòlta quando doveva sostenere delle spese straordinarie. Era proporzionata alle possibilità dei singoli.

 

koltrìna sf. (pl. koltrìne) tendina della finestra. Tìra dó le koltrìne e làvele ke le e spórke togli le tendine e lavale perché sono sporche.

 

koltùra sf. (inv.) letame, brodo del letame. Béte n tìn de koltùra nte i vàs dei ğerànie se te vós ke i véñe su polìto metti un po' di brodo di letame nei vasi dei gerani, se vuoi che crescano bene.

 

komandà vb. intr. (komàndo; komandèo; komandòu) comandare, ordinare. Ka komàndo ió qui comando solo io; komandà da béve, da mañà ordinare da bere, da mangiare; loc. se te komànde... se vuoi mangiare..., forma di invito a sedersi a tavola; prov. al tènpo e a le fémene no se komànda al tempo e alle donne non si comanda; oppure: al tènpo e ài parói no se komànda al tempo e ai padroni non si comanda.

 

komandadór sm. (inv.) ufficiale della Magnifica Comunità, fig. persona autoritaria. Il Consiglio della Magnifica Comunità eleggeva un masàro, due stimadór e dieci komandadór, uno per centenaro, con le mansioni degli odierni Ufficiali Giudiziari5. Attualmente messo comunale o cursore.

 

komandaménto sm. (pl. komandaménte) ordine, comandamento. Se no te npàre i diéśe komandaménte no i te béte de Komunión se non sai i dieci comandamenti a memoria, non potrai essere ammesso alla Comunione.

 

komandarìa sf. (solo sing.) funzione dell'antico komandadór.

 

komandìn, komandón agg. (pl. komandìn, komandói; f. komandóna, komandìna; pl. komandìne, komandóne) prepotente, chi ama solo comandare o pretendere. Móna de n komandìn accidenti che prepotente; ka i e dùte komandói qui tutti vogliono comandare.

 

komàndo sm. (pl. komànde) ordine, comando, amministrazione. Se te vós vìve n pàs nte kéla čàśa, okóre obedì ài komànde se vuoi vivere in pace in quella casa, devi obbedire agli ordini; a čàśa tóa e sènpre stòu n bón komàndo in casa tua c'è sempre stata una buona amministrazione; to fiól no a mài volésto savé de komànde tuo figlio non ha mai voluto saperne di essere comandato.

 

komànko avv. usato nella locuzione: kóme komànko? come? in che modo?; te as podésto ğustà la barèla, komànko àsto fàto? hai potuto aggiustare la carriola. come hai fatto?

 

komarà vb. intr. (komaréo; komarèo; komaròu) chiacchierare, malignare, perdere tempo in ciarle. Kéla là no sa ke komarà quella non sa che sparlare.

 

komàre sf. (inv.) comare, testimone di nozze, levatrice. Vàdo a čatà mè komàre vado a far visita alla mia comare; va a čamà la komàre ke l pùpo e davòi nàse va a chiamare la levatrice, perché il bimbo sta per nascere; loc. avé le màn kóme na komàre detto di chi ha le mani belle e liscie perché non sono rovinate dal lavoro manuale, oppure lunghe e sottili.

 

komarènda sf. (pl. komarènde) pane condito con uova, burro, mandorle. Si tratta di un pane condito che la comare portava alla puerpera, molto più sostanzioso di quello cui le donne erano abituate. Ka par mañà àlgo de bon, okóre la komarènda in questa casa per mangiare qualcosa di buono ci vuole la komarènda, bisogna cioè avere figli (v. pàn konžòu, màndole brustolàde).

 

Komàro sm. (nome) soprannome di famiglia. Ènči Komàro soprannominato così perché era figlio della levatrice.

 

komarò sm. (solo sing.) chiacchiericcio. Ka e dùto n komarò qui è tutto un chiacchiericcio, tutti hanno da dire qualcosa. E una tipica frase pronunciata dal maestro di scuola che vuole zittire i ragazzi mentre fanno i compiti.

 

komatèi sm. (inv.) sellaio, colui che faceva i komàte. Solo n Aurònže e n komatèi solo ad Auronzo esiste un sellaio.

 

komàto sm. (pl. komàte) basto, collare che si mette al cavallo per attaccare i finimenti. Sta màia e dùra kóme n komàto questa maglia è resistente come un basto (v. tiradór).

 

kóme avv. come. Kóme vàla? la va kóme ke la vó come va la vita? così così; dìme l kè e l kóme dimmi tutto quello che sai; loc. kóme mòrto, rèkia, kóme vìu l èra na porkarìa adesso che è morto pace all'anima sua, quando era vivo però, era un attaccabrighe; prov. kóme ke se fà, se čàta, kóme ke se làsa, se čàta ciò che è stato fatto, lo si trova così come lo si è lasciato; prov. kóme ke se fà, se la spiéte in base a come si agisce, se ne devono accettare le conseguenze.

 

kòmedo sm. (pl. kòmede) gabinetto, cesso. Il gabinetto di solito veniva costruito all' esterno dell'abitazione, preferibilmente in un angolo dell' orto; il più delle volte si trattava di un piccolo casotto di assi (brée o skòrž) con un buco per gli escrementi; quando c'era un sedile, era sempre di legno. Un unico gabinetto serviva a diverse famiglie del caseggiato o rione. L kòmedo del nòno a na sènta grànda pai òmin e na pìžola par ki tośàte il gabinetto del nonno ha due sedili: uno alto per gli adulti e uno basso per i bambini.

 

komedón sm. (pl. komedói) gomito. Èi màl nte l komedón ho male ad un gomito; i komedói de la čaméśa e fruàde la camicia è lisa sui gomiti; čapàsela nte i komedói essere imbrogliato da qualcuno; loc. lekàse i komedói essere contenti che tutto sia andato bene; prov. se no se ména i komedói, no se ména le gràmole se non si lavora, non si mangia; avé i komedói de fòra avere i gomiti della camicia consumati o rotti.

 

komeleàn agg. (pl. komeleàne, f. komeleàna) comeliano, fig. furbacchione. I komeleàne na òta èra puaréte, ma adès i e siorói i comeliani una volta erano poveri, ma adesso sono dei signoroni; va là komeleàn ke no te ses àutro va là furbacchione; gli abitanti del Comelico erano considerati astuti, furbacchioni e affaristi.

 

Komèlego sm. (top.) Comelico. Comprende il territorio della Valle del Pàdola e la parte alta di quella del Piave. Il Comelico viene distinto in Komèlego de sóra, Comelico Superiore, la Valle del Pàdola e Komèlego de sóte, Comelico Inferiore, la Valle del Piave. Loc. ñànke sta òta la ròba va n Komèlego la roba resta in loco, detto dai lozzesi a chi, avendo prole, lascia i propri beni ai figli e perciò la ròba resta in paese, oppure a chi si sposa con una donna ricca del paese e evita così che i suoi averi vadano dispersi fuori. Detto analogo, la ràža no la va n Komèlego l'eredità, la roba buona, rimane in paese. Va precisato che il toponimo Komèlego è generico; va inteso come paese lontano da Lozzo. (v. ràža).

 

komesùra sf. (pl. komesùre) incastro, commettitura. Késta komesùra e màl fàta: okóre refèila questo incastro è fatto male: bisogna rifarlo.

 

kométe vb. trans. (kométo; kometèo; kometésto, kometù) commettere, far combaciare. Kométe pekàs commettere peccati; fèi kométe le brée far combaciare perfettamente le assi.

 

komò sm. (inv.) cassettone. Béte le čaméśe nte kasèla del komò riponi le camice nel cassettone.

 

kòmoda sf. (pl. kòmode) seggiolone per i vecchi su cui era anche possibile andare di corpo. Kél puóro vèčo e sènpre su la kòmoda quel povero vecchio è sempre sul seggiolone.

 

komodà, komodàse vb. rifl. (me komodéo; komodèo; komodòu) aggiustare, accomodarsi, sedersi a mangiare. Kuàn ke te vàs nte čéśa, komodéete polìto quando vai in chiesa cercati un buon posto a sedere; komodéve e mañé ko neàutre sedetevi e mangiate con noi; sésto bòna de komodà ste bràge? sei capace di aggiustare questi pantaloni?; vàdo a komodà n tìn mèo la biankarìa vado a sistemare meglio la biancheria; késto no me kòmoda questo non mi va, non mi piace; prov. al tènpo komodéa dùto il tempo aggiusta tutto; komodéete pùra accomodati, adopera pure i miei attrezzi.

 

komodón, komodìn agg. (pl. komodói, f. komodóna, pl. komodóne) persona che bada agli affari propri, incurante di disturbare o recare danno agli altri. Guài se dùte fóse komodói kóme te guai se tutti fossero prepotenti come sei tu; móna de n komodón accidenti che tipo, non si cura nemmeno a chiedere il permesso.

 

komòl sm. (pl. komòi) catasta di tronchi. Ìnte n Čanpopiàn èra n grùmo de komòi de tàe a Čanpopiàn c'erano molte cataste di tronchi.

 

komùn sm. (inv.) comune, municipio. I me a čamòu n komùn mi hanno convocato in municipio; al komùn de Lóže il comune di Lozzo; loc. làsa ke pai afàre de komùn pénse l Sindìko pensa ai fatti tuoi e lascia che gli altri pensino ai loro; la ròba de komùn no e de nisùn la proprietà del comune è di tutti e di nessuno, spesso non viene rispettata e molti cercano di approfittarne; ki sèrve l komùn no sèrve nisùn chi amministra un comune, per quanto operi correttamente, non riesce mai a soddisfare le esigenze di tutti; prov. ki ke fa pa l komùn no fa par nisùn cioè chi vuole accontentare tutti, non accontenta nessuno.

 

komunegà, komunegàse vb. trans. e rifl. (me komunegéo; komunegèo; komunegòu) dare la comunione, comunicarsi. È più usata però la forma: fèi la Komunión; kéla là va òñi dì a komunegàse quella va ogni giorno alla Comunione; no bàsta komunegàse òñi dì non è sufficiente essere pii, bisogna essere anche onesti.

 

Komunión sf. (inv.) Eucaristia, Comunione. Fèi la Komunión ricevere l'eucarestia, béte de Komunión oppure dì de Komunión ammettere alla prima Comunione; dà la Komunión impartire la Comunione.

 

Komunità sf. (solo sing.) Magnifica Comunità Cadorina (v. Kadóre).

 

kón, kó prep. con (art. kól, pl. kói, f. kóla, kóle = kó l, kó i, kó la, kó le). Vién kón me vieni con me; kó le bòne no se otién nùia con le buone maniere non si ottiene nulla; l e veñù kó l idèa de laurà è venuto con l'intenzione di lavorare; stào kól pàre, kóla màre, kói mé fardiéi e kó le mé suós vivo col babbo, con la mamma, con i miei fratelli e con le mie sorelle; kól dis, al fa è di parola; kól vo l vo quello che vuole non si discute.

 

koñà vb. intr. (kóño; koñèo; koñòu) piagnucolare, lamentarsi per niente, fare il broncio. To fiól kóña sènpre tuo figlio tiene sempre il broncio.

 

konàğo sm. (pl. konàğe) caglio. Par fèi formài okóre l konàğo per fare il formaggio c'è bisogno del caglio; konàğo parte dell'intestino del vitello che contiene il caglio (v. làte).

 

konàstro sm. (pl. konàstre sf. konàstra) pianta, legno dalle fibre storte; fig. testardo, cocciuto, scapolo. Quando il legno si presenta così, risulta difficile da lavorare e da spaccare. Sto žòk e konàstro: okóre kói e mažùia pa spakàlo questo pezzo di legno ha le fibre storte: servono cuneo e mazza per spaccarlo; te ses sènpre stòu n konàstro sei sempre stato cocciuto; kóre konàstro, marìdete forza, sposati, espressione di invito a trovare moglie .

 

konbinà vb. trans. (konbinéo; konbinèo; konbinòu) combinare, realizzare, concludere, fare. No l konbìna mài nùia de bón non combina nulla di buono; konbinà n bón afàr realizzare un buon affare; konbinàse combinarsi, mettersi d'accordo; daspò tante kostión i se a konbinòu dopo tante discussioni si sono messi d'accordo; te konbìne de dùte i kolór o de dènue le combini tutte.

 

konbinažión sf. (inv.) combinazione, caso, occasione, indumenti intimi femminili. Pàr konbinažión èi čatòu tó màre ho trovato tua madre per caso; èi čatòu na bòna konbinažión ho trovato una buona combinazione, un buon mezzo di trasporto; vói regalà na bèla konbinažión a tó fìa voglio regalare a tua figlia una bella combinazione, cioè degli indumenti intimi molto fini.

 

kondežión sf. (inv.) condizione, stato. Te savése n ke kondežión ke l èi čatòu se tu sapessi in quale brutto stato l'ho trovato, adès le so kondežión e bòne e l puó dì avànte adesso le sue condizioni economiche sono buone e perciò può andare avanti; ste bràge l e nkóra n bòne kondežión e te puós portàle questi pantaloni sono ancora in buono stato, per cui puoi ancora portarli.

 

kondóta  sf. (pl. kondóte) conduttura, tubazione. La kondóta de l àga pàsa davànte čàśa la tubatura dell'acqua passa davanti casa; la kondóta de le tàe percorso obbligato lungo il quale si fanno scivolare i tronchi che devono essere avvallati .

 

kondóta  sf. (inv.) comportamento, condotta. L a sènpre teñù na bòna kondóta ha sempre avuto una buona condotta; diéśe àne de bòna kondóta e te la dào frase rivolta ironicamente ad un amico al passaggio di una ragazza non troppo bella, cioè se ti comporterai bene per dieci anni, permetterò che tu la sposi.

 

kondóto  sm. (pl. kondóte) gabinetto, cesso, latrina. Me a točòu kanbià le brée de l kondóto ke le èra màrže ho dovuto cambiare le tavole del gabinetto perché erano marce (v. kòmedo).

 

kondóto  sm. (pl. kondóte) medico condotto. Èi dovésto čamà al kondóto ho dovuto chiamare il medico condotto.

 

kóñe, skóñe vb. imp. (kóñe; koñèa, koñù, koñésto) occorre, bisogna, è necessario. Kóñe dì a seà bisogna andare a falciare l'erba; èi koñésto mañà ho dovuto mangiare, è stato necessario che mangiassi; a volte il verbo è adoperato anche in forma personale: koñón partì dobbiamo partire (v. biśòña, okóre).

 

koñèi agg. (pl. koñèi; f. koñèra; pl. koñère) chi tiene il broncio per un motivo banale. Kel tośàto e n koñèi kóme so nòno quel ragazzo è lunatico come suo nonno.

 

koñèra sf. (pl. koñère) cuneo di ferro. Viene adoperato per spaccare i grandi massi utilizzando un elemento apposito per tener separate le due parti. Il cuneo poteva essere anche di legno e, una volta conficcato, veniva bagnato di continuo per far si che, aumentando di volume, rompesse la pietra.

 

konfesà, konfesàse vb. trans. e rifl. (konfèso; konfesèo; konfesòu) confessare, confessarsi. Konfesà i pekàs confessare i peccati, le colpe; dì a se konfesà andare a confessarsi; prov. konfesàse e no mendàse, se va a rìsčo de danàse confessarsi senza emendarsi, si rischia di dannarsi.

 

konfesión sf. pl. (inv.) confessione. Fèi na bòna konfesión fare una buona confessione, confessarsi seriamente.

 

konfèto sm. (pl. konfète) confetto, chicca in genere. Se te stàs bón, te dào n konfèto se ti comporti bene, ti dò un confetto; dì a portà i konfète andare a distribuire i confetti del matrimonio; loc. i konfète e nkóra su la tòla e i fa bèlo barùfa si sono appena sposati e già litigano.

 

konfidènža sf. (pl. konfidènže) confidenza, familiarità, libertà. Kè élo dùta sta konfidènža? che cosa è tutta questa confidenza?, come mai ti prendi tanta libertà con me?; se no te i dàs konfidènža, éla se la tòle se non le dai confidenza, allora è lei che se la prende; kè okóre tànta konfidènža? perché tanta confidenza?, chi te l'ha mai data?

 

konfìn  sm. (inv.) confine, limite. Dì a tirà konfìn andare a tracciare le linee di confine tra una proprietà e l'altra; dì a béte dó i konfìn andare a piantare i paletti di confine; il segno di confine poteva essere indicato da paletti di legno oppure da sassi ben visibili sui quali veniva incisa una croce molto evidente (v. kaposàldo).

 

Konfìn  sm. (top.) località a nordovest del paese. La zona si trova ai piedi del Častelìn, al confine dei comuni di Lozzo e Domegge, dove nasce il rio Konfìn, affluente di destra del Rin. Lungo il sentiero che da Pian dei Buoi porta a Col Baión si trovava un'importante casera, la Kaśèra de Konfìn, della quale restano i ruderi.

 

konfinà vb. trans. (konfinéo; konfinèo; konfinòu) tracciare confini, delimitare le proprietà con paletti o sassi. Dì a konfinà andare a tracciare confini; al to čànpo konfìnéa ko l mè il tuo campo confina con il mio (v. konfìn, tražià).

 

konfinànte agg. (inv.) contiguo, adiacente, confinante. Tu te ses mè konfinànte tu sei mio confinante; kél là konpraràe dùte i konfinànte quello lì è tanto avido che vorrebbe essere padrone di tutto.

 

konfónde, konfóndese vb. trans. e rifl. (me konfóndo; konfondèo; konfondésto) confondere, confondersi, scambiare una cosa con un'altra. Ió konfóndo sènpre dùto io confondo sempre tutto; kuàn ke l pàrla, l se konfónde sènpre quando parla si confonde sempre.

 

konfórme agg. o avv. (inv.) conforme. Dùto e konfórme tutto è conforme; konfórme a kél ke te as dìto in relazione a quanto hai detto; konfórme a kè ke te as fàto, te dào i skèi verrai pagato in base al lavoro fatto. L'uso dialettale è opposto a quello italiano, l'avverbio si usa infatti per indicare una risposta indecisa e piena di dubbi: añó vàsto domàn? konfórme ke me siénto dove vai domani? vedrò come mi sento.

 

konfrontà vb. trans. (konfrontéo; konfrontèo; konfrontòu) confrontare, mettere a confronto. Konfrònta n tìn ste dóe čàuže e vàrda se le e konpàñe confronta un po' queste due calze e verifica che siano uguali.

 

konfrònto sm. (pl. konfrònte) confronto. Béte a konfrònto confrontare due persone per conoscere la verità, confrontare due cose per vederne la somiglianza; n konfrònto a kél ke te me as kontòu, késto e nùia rispetto a quanto mi hai raccontato, questo è nulla.

 

konfuśión sf. (inv.) confusione, parapiglia. Fèi konfuśión fare confusione.

 

kòngli sm. (inv.) organetto, uccello (zool. Carduelis flammea). Uccellino del gruppo dei fringuelli e dei lucherini, dai colori vivaci, è bruno come un passero ma con un ciuffetto rosso sulla fronte.

 

koničèra sf. (pl. koničère) conigliera, fig. famiglia numerosa. Késta e pròpio na koničèra questa è davvero una conigliera, qui i figli sono numerosi come conigli.

 

konìčo sm. (pl. konìče) coniglio (zool. Oryctolagus communis), fig. vile, timido. Na koàda de konìče una nidiata di conigli; te ses sènpre stòu n konìčo sei sempre stato timido, pauroso, vigliacco; f. konìča.

 

koñižión sf. (inv.) cognizione, conoscenza. Žènža koñižión de l mestiér no se puó laurà non si può lavorare bene senza conoscere esattamente il proprio mestiere.

 

konóğa sf. (pl. konóğe) polso, articolazione del polso. Me son spakòu na konóğa mi sono fratturato il polso; me son paròu fòra na konóğa mi sono lussato un polso.

 

koñòme sm. (inv.) cognome, casato. Ezio Baldovin, nella breve guida di Lozzo del 1931, riporta i cognomi delle antiche famiglie di Lozzo. Le prime famiglie sarebbero i Baldovìn, Bórka, Kaligàro, Da Pra, De Diàna, Del Fàvero, De Mèio, Grandelìs, Lagùna, Piàža, Žanèla o Danèla; in seguito si sono aggiunte le famiglie: Màrta (1630), De Martìn (1646), Žanétti o Danéti (1646), Lovarìni (1708), Barnabò (1755), Poklèner (1797), Pelegrìni (1876), Fabiàni (1884). Nel secondo dopoguerra a questi cognomi se ne sono aggiunti altri ancora. Ai cognomi sono stati inoltre sempre affiancati dei soprannomi, per distinguere i diversi ceppi delle famiglie, ne citiamo solo alcuni esempi: Del Fàvero Bortolìna, Del Fàvero Mosìto, Del Fàvero Kìna, Del Fàvero Pèle, Del Fàvero Gòto e così via. Un elenco dei soprannomi rilevati dall'archivio storico comunale e da quello parrocchiale è inserito nella  scheda famiglia in appendice, di questi molti sono riferiti a cognomi diversi.

 

konomìa sf. (pl. konomìe) economia, risparmio. Okóre fèi konomìa occorre fare economia; ko dùte le só konomìe, l e sènpre puaréto nonostante tutti i suoi risparmi, non ha migliorato la sua situazione economica; me èi konpròu la čàśa ko le konomìe de dùta na vìta mi sono comperato la casa con i risparmi di una vita.

 

koñóse vb. (koñóso; koñosèo; koñosésto, koñosù) conoscere, riconoscere, capire. No koñóso nisùn de ki tós non conosco nessuno di quei giovanotti; te èi koñosésto da la ğakéta ti ho riconosciuto dalla giacca; èi koñosù adès ki ke te ses solo adesso ho davvero capito chi sei, sono riuscito a vederti meglio.

 

konóse, koñóse vb. trans. (konóso; konosèo; konosù, konosésto) conoscere, riconoscere, capire. Ió konóso dùte i tuói io conosco tutti i tuoi familiari; l èi konosésto da la vóže l'ho riconosciuto dalla voce; adès konóso ki ke te ses solo adesso ti conosco a fondo.

 

konotàte sm. (solo pl.) connotati. Usato solo nella frase: te kànbio i konotàte a forza di botte, ti spacco la faccia che non sembri più tu.

 

konpài  agg. (pl. konpài, f. konpàña, pl. konpàñe) uguale, preciso. L e konpài de te è preciso a te; fèime n restèl konpài de késto fammi un rastrello uguale a questo; l e konpàña de te è precisa a te; par me e konpài per me fa lo stesso, è la stessa cosa.

 

konpài  sm. (inv.) compagno, compagna. Konpài de skòla compagno di scuola.

 

konpanaśegà vb. intr. (konpanaśegéo; konpanaśegèo; konpanaśegòu) consumare, accompagnare, accompagnare polenta, patate o pane in abbondanza solo con poco companatico. Késto tìn de formài no me bàsta pàr konpanaśegà questo formaggio non mi basta come companatico; avón póko salàme, dovón konpanaśegà abbiamo poco salame, dobbiamo consumarlo con moderazione.

 

konpanàśego sm. (pl. konpanàśege) companatico. Te màñe pì konpanàśego ke polènta mangi più companatico che polenta; frase rivolta ai bambini che spesso mangiavano il formaggio o la carne senza accompagnarlo alla polenta; mañà polènta kol làte fa da konpanàśego mangiare la polenta col latte fa da companatico. La povera gente prendeva il latte o il vino come companatico. Il konpanàśego accompagnava di solito una polenta piuttosto insipida, perciò doveva essere molto piccante o molto sugoso tanto da potersi saziare spendendo poco. Come companatico si prendeva di solito formaggio di mucca o di capra, ricotta, uova sode o fritte nel burro, verdure varie cotte o crude (fagiolini, patate, fagioli, cavoli), prodotti ricavati dal maiale (salame, salcicce, cotechino, pèndola), raramente pollo e coniglio, fegato, baccalà. L' aringa, e le sarde salate avevano un consumo notevole.

 

konpañìa sf. (pl. konpañìe) compagnia. Mañà n konpañìa mangiare in compagnia; fèi konpañìa o teñì konpañìa fare o tenere compagnia; dì ko le bòne konpañìe oppure ko le trìste konpañìe frequentare buone o cattive compagnie; al màl e na brùta konpañìa il male è una brutta compagnia; nkuói bonóra e pasòu na Konpañìa de Alpine questa mattina è passata una Compagnia di Alpini.

 

konpàre sm. (inv.) compare, testimone dello sposo. Me fàsto da konpàre kuàn ke me marìdo? mi farai da testimone quando mi sposerò?

 

konparì vb. intr. (konparìso; konparìo; konparìu) comparire, far bella figura. Nte n, ke ke no e, e konparìu so pàre improvvisamente comparve suo padre; tu te vós sènpre konparì tu vuoi sempre essere al centro dell'attenzione; no okóre beléža, bàsta i skèi par konparì non serve la bellezza, basta il denaro per far bella figura.

 

konparižión sf. (inv.) comparsa, comparizione, manifestazione. La konparižión de la Madòna de Loreto l'apparizione della Madonna di Loreto.

 

konpartì vb. trans. (konpartìso; konpartìo; konpartìu) fare le parti, distribuire equamente le cose. To màre a sènpre konpartìu ğùsto l mañà ntrà de veàutre fiói tua madre ha sempre distribuito equamente il cibo tra voi figli.

 

konpàs sm. (inv.) compasso. Laurà de konpàs lavorare di compasso, lavorare con precisione; kel marengón là l laóra l lén kóme kól konpàs quel falegname sa lavorare il legno con precisione.

 

konpasionà vb. trans. (konpasionéo; konpasionèo; konpasionòu) avere compassione, commiserare. No okóre ke te me konpasionée non serve che tu abbia compassione di me.

 

konpatì vb. trans. (konpatìso; konpatìo; konpatìu) compatire, tollerare, avere comprensione. No puói pì konpatìlo non posso più tollerarlo; te konpatìso parkè te ses nkóra pìžol ti tollero perché sei ancora un bambino; no èi konpatìu mài ke i mè fiói fumàse non ho mai tollerato che i miei figli fumassero.

 

konperméso, konparméso escl. permesso, si può entrare? Forma di cortesia usata quando si entra in casa d'altri. In paese le porte si son sempre lasciate aperte, non c'erano i campanelli per annunciarsi, uno entrava e diceva: Konperméso, élo ruòu Tòni o àlo nkóra da ruà? permesso, Antonio è arrivato o deve ancora arrivare?; e óra ke te ùśe i to fiói a domandà konperméso è ora che abitui i tuoi figli a chiedere permesso.

 

konpète vb. intr. (konpèto; konpetèo; konpetésto, konpetù) competere, gareggiare, spettare, toccare in sorte. Èi sènpre konpetù kón dùte ho sempre gareggiato con tutti; a ti no te konpète nùia a te non spetta niente; konpète a só pàre de ndrežàlo spetta a suo padre metterlo sulla buona strada; da la reśón del nòno no me a konpetésto nùia da parte del nonno non ho ricevuto niente in eredità.

 

konpì vb. trans. (konpìso; konpìo; konpìu) compiere, adempiere, assolvere. Dùte a da konpì l sò dovér ognuno deve compiere il proprio dovere; kuàn konpìsesto i àne? quando compi gli anni?

 

konpiàn avv. pianino, adagio. Kamìna konpiàn par no desedà al tùto ke dòrme cammina piano per non svegliare il bimbo che dorme (v. ponpiàn).

 

konpiànde vb. trans. (konpiàndo; konpiandèo; konpiandésto) compiangere. Adès la se fa konpiànde da dùte adesso si fa compiangere (v. piànde).

 

konpiaśì vb. intr. (konpiaśìso; konpiaśìo; konpiaśìu) compiacere. Te te fàs konpiaśì da dùte sei amata da tutti.

 

kónpra sf. (pl. kónpre) acquisto. Te as fàto pròpio na bèla kónpra hai fatto davvero un bell'acquisto, detto in senso ironico.

 

konprà vb. trans. (kónpro; konprèo; konpròu) acquistare, comperare. Se l avése podésto, to nòno avaràe konpròu ànke l móndo se avesse potuto, tuo nonno avrebbe comperato il mondo intero; la mòrte no se puó konpràla tutti dobbiamo morire; l a da konprà deve avere un figlio, deve partorire.

 

konseguènža sf. (pl. konseguènže) conseguenza. La mórte de so pàre a vù n grùmo de konseguènže la morte di suo padre ha avuto molte conseguenze.

 

konseñà vb. trans. (konséño; konseñèo; konseñòu) consegnare, affidare. Te konséño sta ròba: no sta točàla ti affido questa roba, tienila così senza metterci mano.

 

konservà vb. trans. (konsèrvo; konservèo; konservòu) conservare, mantenere. Konsèrvo dùte le létre de la màre conservo tutte le lettere della mamma.

 

konservàse vb. rifl. (me konsèrvo; konservèo; konservòu) mantenersi sani, conservarsi. Al nòno se konsèrva sènpre polìto il nonno si mantiene sempre bene; sono molto usate forme di augurio come: konsèrvete, konservéve mantieniti sano, mantenetevi bene, guarda di star bene.

 

konsiderà vb. trans. (konsideréo; konsiderèo; konsideròu) considerare, tenere conto, avere comprensione. Te èi sènpre konsideròu n fardèl ti ho sempre considerato come un fratello; konsideròu ke te ses me fiól, te pardóno dùto tenuto conto che sei mio figlio, ti perdono tutto; l a sènpre konsideròu le nòstre kondižión ha sempre avuto comprensione per le nostre condizioni.

 

konsideražión sf. (inv.) considerazione, comprensione. No te as mài vù konsideražión par to màre non hai mai avuto comprensione per tua madre; no te me tién n nisùna konsideražión non mi tieni in nessun conto, non hai alcuna stima di me.

 

konsilià vb. trans. (konsìlio; konsilièo; konsiliòu) consigliare, ammonire. Èi debeśuói ke te me konsiliée polìto ho bisogno che tu mi dia buoni consigli; konsìlia n tìn me fiól, parkè a mi no l me dà rèta dai qualche consiglio a mio figlio, perché a me non da retta.

 

konsìlio sm. (pl. konsìlie) consiglio, ammonizione, consiglio comunale. L tò konsìlio i a servìu il tuo consiglio gli è servito; dì a konsìlio partecipare o assistere al consiglio comunale.

 

konsolà vb. trans. (konsoléo; konsolèo; konsolòu) consolare, rallegrare. Konsoléa n tìn to màre ke la piànde sènpre consola un po' tua madre che piange sempre; me konsoléo ke dùto sée dù polìto mi rallegro che tutto sia andato bene.

 

kontà vb. trans. (kónto; kontèo; kontòu) contare, raccontare. No sta kontà bàle non raccontare bugie; kóntemela n tìn raccontami un po' come è andata; prov. al sa kontà fin a diéśe, ma l a fàto n grùmo de skèi è di poca cultura, ma si è arricchito ugualmente; èi n màl ke no te kónto ho un dolore molto forte; prov. ki ke kónta, dónta colui che riferisce di un fatto avvenuto, aggiunge quasi sempre qualcosa di proprio.

 

Kònte sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

kòntena sf. (pl. kòntene) grosso chiodo a sezione quadrata, grappa da muro. Viene adoperato di solito per le travi. Ka no bàsta n čòdo, okóre na kòntena qui non basta un chiodo, c'è bisogno di una grappa.

 

konteñì, konteñìse vb. trans. e rifl. (kontéño; konteñìo; konteñù, konteñésto) contenere, contenersi, comportarsi. Žérka de konteñìte n tin cerca di comportarti bene.

 

kontéño sm. (solo sing.) contegno, comportamento. Okóre pì kontéño davànte a ki tośàte c'è bisogno di un comportamento migliore davanti a quei ragazzi.

 

kontentà, kontentàse vb. trans. e rifl. (me kontènto; kontentèo; kontentòu) accontentare, viziare. Se te vós kontentà to màre, va a skòla se vuoi far veramente contenta tua madre, va a scuola; to suó kontènta màsa i só fiói tua sorella vizia troppo i suoi figli; loc. kóme vàla? me kontènto come stai? non c'è male; al se kontènta de póčo si accontenta di poco; prov. a volé kontentà dùte, no se kontènta nisùn quando si vuole accontentare tutti, alla fine non si riesce ad accontentare nessuno; prov. ki ke no se kontènta de l onèsto, pèrde la màntia e ànke l žésto chi non si accontenta di quel che gli spetta, perde anche quello che ha già.

 

kontentéža sf. (pl. kontentéže) contentezza. No èi mài vù nisùna kontentéža non ho mai avuto alcuna gioia; da la kontentéža l se a betù a sautà per la felicità si è messo a saltare.

 

kontentìn sm. (solo sing.) contentino, piccola gioia, piccola concessione. Dài almànko l kontentìn dagli almeno il contentino.

 

kontènto agg. (pl. kontènte, f. kontènta) contento. Basta póčo par èse kontènte basta poco per essere contenti; kontènto o nò, kóñe fèi kosì volente o nolente, bisogna fare così, bisogna cioè obbedire; prov. l e kontènto ke l fàže tènpo bón è contento se fa bel tempo, chi si accontenta, gode; prov. pàn e polènta fa la faméa kontènta basta poco per rendere felice la gente.

 

kontinuà vb. intr. (kontìnuo; kontinuèo; kontinuòu) continuare. Kontìnua kosì e dùto dirarà mèo continua così e tutto andrà per il meglio.

 

kontìnuo avv. continuamente. Loc. de kontìnuo continuamente. Al piurèa de kontìnuo si lamentava continuamente.

 

kónto sm. (pl. kónte) conto. Fèi l kónto o fèi fòra i kónte fare il conto, fare i conti; portà i kónte presentare i conti; tirà i kónte fare le somme; parà su l kónto maggiorare le cifre; no sta fèi kónto non badarci; no sta fèi kónto su de me non fare affidamento su di me; sta par kónto so stare per conto proprio, vivere da solo; no l vó laurà par nisùn kónto non vuole assolutamente lavorare; te diraràs ben a rènde kónto anche tu prima o poi renderai conto dei tuoi misfatti; me rèndo kónto ke èi śbaliòu mi rendo conto di avere sbagliato; teñì kónto, teñì da kónto tenere caro, conservare gelosamente, risparmiare; loc. kìsti e i kónte del balón questi sono conti sbagliati; prov. ki ke fa i kónte žènža l òste, li fa dóe òte chi fa delle spese senza fare prima un preventivo, di solito ci rimette.

 

kòntra  avv. o prep. verso, incontro. Le veñésto n kòntra de me mi è venuto incontro, è venuto verso di me; prov. kòntra l kanón, no vàl reśón contro la violenza, non c'è ragione che tenga (v. nkòntra).

 

kòntra  sm. (inv.) fune per bilanciare il carico. Questa fune si adoperava per bilanciare il carico, per legarlo e poi trattenerlo lungo i forti pendii. A fine stagione, il fieno veniva portato a valle per essere conservato nei fienili per l'inverno, veniva allora caricato su di una slitta e calato lungo i ripidi pendii ormai gelati o innevati. Perché il peso fosse bilanciato, bisognava dunque legare bene il carico.

 

kontràda sf. (pl. kontràde) rione, contrada. Il termine, più che per indicare una via, come nella parlata veneta, è usato a Lozzo per indicare un intero rione del paese. La me kontràda e la pì bèla il mio rione è il più bello; l e bón žènža àutro, l e de la me kontràda è senz'altro una brava persona, abita infatti nel mio rione.

 

kontrakanbià vb. trans. (kontrakànbio; kontrakanbièo; kontrakanbiòu) contraccambiare. A késto móndo, se i te dà àlgo, okóre kontrakanbià a questo mondo quando si riceve qualcosa, è necessario poi contraccambiare.

 

kontràrio agg. (pl. kontràrie, f. kontrària) contrario, avverso. I me e dùte kontràrie mi sono tutti avversi; kéla bréa a la véna kontrària, no se puó pianàla polìto quella tavola ha le fibre nodose e storte e non si può piallare bene; Bastiàn kontràrio contestatore; te ses l sòlito Bastiàn kontràrio sei il solito contestatore, oppositore; avé àlgo n kontràrio avere qualcosa in contrario.

 

kòntrovelén sm. (inv.) antidoto. Le stòu bekòu da na vìpera e i a dòu l kòntrovelén è stato morso da una vipera e gli hanno somministrato l'antidoto. Ai bambini che, per errore, ingerivano varecchina, come antidoto si faceva bere latte per farli vomitare. L làte e n kòntrovelén Il latte è un antidoto contro i veleni.

 

kontrovòia avv. controvoglia, malvolentieri. Fèi le ròbe kontrovòia fare le cose malvolentieri.

 

konturbà vb. trans. (konturbéo; konturbèo; konturbòu) nauseare, stomacare. Kéla spùža me a konturbòu quell'odore mi ha preso allo stomaco.

 

konturbèla sf. (solo sing.) nausea, voltastomaco. Èi mañòu màsa pestariéi e me e veñésto n tìn de konturbèla ho mangiato troppi pestariéi e mi è venuto il voltastomaco.

 

konveñì vb. trans. e imp. (konvéño; konveñìo; konveñù, konveñésto) convenire, riconoscere. Konvién konprà adès ke i prèžie e bói conviene fare acquisti adesso che i prezzi sono buoni; konvéñesto ke te as falòu? riconosci di avere sbagliato?

 

konvèrsa sf. (pl. konvèrse) canaletta in lamiera per raccogliere l'acqua di due falde del tetto convergenti.

 

konvìnže, konvìnžese vb. trans. e rifl. (me konvìnžo; konvinžèo; konvinžésto) convincere, convincersi. Žerkarèi de konvìnželo pal sò bén cercherò di convincerlo per il suo bene.

 

kònž sm. (inv.) piccole gronde. Elementi in legno tubolare di dieci o quindici cm di diametro che venivano utilizzati per incanalare l'acqua da condurre in paese prima che si costruissero i moderni acquedotti. Hanno lo stesso nome anche gli anelli in metallo di congiungimento che tenevano uniti i diversi spezzoni di tubo. Nkuói avón betù dó trènta mètre de kònž oggi abbiamo posto in opera trenta metri di kònz.

 

konžà vb. trans. (kònžo; konžèo; konžòu) condire, sistemare, rinforzare, fig. ungere, adulare. Konžà la menèstra condire la minestra; konžà le čàuže rinforzare le calze sotto i piedi e sui calcagni perché durino più a lungo. Si cuciva una soletta di vecchio panno sotto la calza e sui calcagni. L'operazione era indispensabile soprattutto sui kalžeròte che si adoperavano al posto delle scarpe per lavorare nei campi. Loc. konžà pa le fèste dare una buona lezione a qualcuno a suon di botte; konžà kol nàs de la ğàta preparare i cibi senza usare alcun condimento; te ses sólo bón de konžà e de deskonžà quando discuti non prendi mai una posizione, sei ambiguo; ka okóre konžà qui si rende necessario ricorrere all'adulazione, corrompere; konžà sóte fermare con puntelli i punti traballanti di una trave per evitare che oscilli.

 

kònžapeñàte agg. (inv.) intrigante, maneggione, mediatore. Chi riesce ad ottenere o a fare dimenticare qualcosa con le moine, persona che dà un colpo alla botte e uno al cerchio. Kél la sa sólo fèi l kònžapeñàte quello sa fare solo l'intrigante, lo smorfioso.

 

konžèrto sm. (pl. konžèrte) concerto. Termine adoperato in senso ironico. Faśé pròpio n bèl konžèrto russando fate quasi un concerto.

 

konžiéde vb. trans. (konžiédo; konžiedèo; konžiedésto) concedere, permettere. Parkè konžiédesto dùto a ki tośàte? perché permetti ai tuoi figli di fare qualsiasi cosa?; te konžiédo l àndito e l trànśito sul mè ti concedo il diritto di passaggio sulla mia proprietà.

 

konžiér sm. (inv.) condimento. Nkóra n tìn de konžiér no diraràe màl ancora un po' di condimento in questo cibo non andrebbe male.

 

kónžo sm. (solo sing.) unità di misura di liquidi pari a 77,98 litri, mastella, damigiana. Va a la nte kopratìva e kónpra n kónžo de vìn négro pa i boskadór va alla cooperativa a comperare una damigiana di vino nero per i boscaioli.

 

kóp sm. (pl. kópe) tegola a forma di semicerchio. Al kuèrto spànde: a da èse róto o svenòu kàlke kóp il tetto perde: deve essersi rotta o incrinata qualche tegola (v. tabèla).

 

kòpa sf. (pl. kòpe) tazza, scodella. Èi péna mondésto l làte, bévete na kòpa sono appena andato a mungere, beviti una tazza di latte.


kópa sf. (inv.) macello. Béstia da kópa vacca da mandare al macello, quando una vacca non dava più latte, si definiva così; èse da kópa valere poco o niente.

 

kopà vb. trans. (kópo; kopèo; kopòu) uccidere, accoppare, fig. sfinire. Kuàn kópesto l kùčo? quando uccidi il maiale?; se no te tàśe, te kópo se non stai zitto, ti picchio; le fadìe l a kopòu le fatiche l'hanno distrutto; al se kópa de laóro a forza di lavorare si rovina la salute; vàrda de no kopàte stai attento a non ammazzarti di fatica, è detto con ironia a chi ha poca voglia di lavorare; loc. ànke késta e fàta, a dito kél ke avèa kopòu so màre espressione iperbolica usata dopo aver compiuto un lavoro che sembrava interminabile.

 

kópe sf. (solo pl.) coppe, seme delle carte da gioco. Te ses kóme l àso de kópe sei ambiguo, hai la doppia faccia; čapà su l dói de kópe prendere il due di coppe, cioè scappare; no valé ñànke l dói de kópe non valere neppure il due di coppe, non valere proprio nulla; è noto infatti che, nel gioco della briscola, il due è la carta che vale di meno.

 

kopéto sm. (pl. kopéte) piccolo mestolo. Mañéte n kopéto de menèstra mangia un mestolo di minestra, una scodella di minestra.

 

kopìn sm. (inv.) nuca, collottola. Se no te kamìne, te čàpo pàl kopìn se non te ne vai con le buone, ti costringo a farlo con la forza.

 

kòpo sm. (pl. kòpe) mestolo. Generalmente con questo termine si indica il mestolo di rame usato per bere acqua o per attingerla dai secchi. Ardónde n kòpo de àga a la menèstra aggiungi un mestolo d'acqua alla minestra; kè élo pì bón de n kòpo de àga kuàn ke se a séide? che cos'è più buono di un po' d'acqua quando si ha sete?; dim. kopùto (v. kopéto).

 

kopratìva sf. (solo sing.) cooperativa. La cooperativa di Lozzo fondata nel 1905 con 190 soci, attualmente è ancora in vita. Kol paržènto de la kopratìva, me tòlo dóe skudèle con la percentuale che ricevo dalla cooperativa, mi compero alcune tazze

 

koradèla sf. (pl. koradèle) coratella, fegato, fig. coraggio. I sióre màña l bón e i puaréte la koradèla ai ricchi va la parte buona del maiale, ai poveretti rimangono le frattaglie; par reusì okóre n tìn de pì de koradèla per avere successo, ci vuole coraggio.

 

koràğo sm. (solo sing.) coraggio. Avé koràğo avere coraggio, osare; fèi koràğo fare coraggio, rincuorare; fèise koràğo farsi coraggio, prendere l'iniziativa; dàse koràğo darsi coraggio, rincuorarsi; loc. koràğo ke l màl e de pasàğo coraggio, perché il dolore è passeggero.

 

koràl  sm. (pl. korài) frutto dell'evonimo (bot. Evonymus europaeus, L.) detto anche “berretto da prete” per la sua forma caratteristica. Per il vistoso colore rossocorallo che questi frutti assumono in autunno, venivano adoperati come perle da collana. Èi na kolàna de korài ho una collana di corallo vero, oppure ho una collana di perline di vetro colorato o di frutti di evonimo.

 

koràl  sm. (pl. korài) corallo, perlina, conterìe. Èi na kolàna de korài ho una collana di corallo vero, oppure ho una collana di perline di vetro colorato.

 

koràme sm. (inv.) cuoio. Na ženturèla de koràme una cintura, una cinghia di cuoio; kol koràme de le skàrpe vèče, faśarèi le soléte de i skarpéte con la tomaia delle scarpe vecchie, farò le suole alle pantofole di panno o velluto. Le suole di panno delle pantofole venivano rinforzate con il cuoio delle scarpe vecchie perché durassero più a lungo.

 

koramèla sf. (pl. koramèle) striscia di cuoio. Il termine va riferito sia alla striscia impiegata per affilare i rasoi, sia alla parte della fionda in cui si appoggia il sasso da lanciare. Nprésteme n tìn la tó koramèla, ke la méa e róta prestami per favore la tua coramella, perché la mia è rotta.

 

kòrda sf. (pl. kòrde) corda, legaccio. No bàsta na kòrda pa leà dùto sto fién non basta una corda per legare tutto questo fieno; le kòrde del kòl i fasci muscolari del collo; loc. no l te dararàe ñànke la kòrda pa npikà l diàu non ti darebbe la corda neppure per impiccare il diavolo, detto a chi è molto avaro.

 

kordamìna sf. (pl. kordamìne) miccia. Npìža la kordamìna e skanpa accendi la miccia e poi scappa di corsa.

 

kordèla sf. (pl. kordèle) fettuccia. Kordèla mètrika fettuccia metrica; tòle n tin de kordèla ke èi da meśurà i vetràs prendi un po' di fettuccia che devo prendere le misure alle tendine.

 

kordón sm. (pl. kordói) cordone, legaccio da scarpe, cordiglio. I kordói de le skàrpe le stringhe delle scarpe; i kordói de i fràte funicelle con le quali i frati si legano alla vita; no bàsta spago, okóre kordón par leà sto pàko non basta spago, c'è bisogno di cordone per legare questo pacco.

 

kóre vb. intr. (kóro; korèo; korésto) correre, accorrere, affaccendarsi, decorrere. To màre kóre sènpre tua madre è sempre affaccendata; kóro a véde kè ké e sužiedésto corro a vedere quello che è successo; kuàn ke te as avù debeśuói, èi sènpre korésto quando hai avuto bisogno di qualcosa, mi sono sempre data da fare; to fìa kóre davòi a n póko de bón tua figlia si è innamorata di un poco di buono; tàka a kóre affrettati; no sta fèime kóre par nùia non darmi pensieri inutili; prov. no se kóre davòi a ki ke skànpa non si rincorre chi sta scappando. Loc. kórese davòi il giocare a rincorrersi: colui che veniva raggiunto nella corsa, diventava prigioniero, così di seguito fino a quando tutti i fuggitivi erano catturati. La pàga kóre da nkuói la paga decorre da oggi; kóre kóre, móna ma va là cretino.

koréa sf. (pl. korée) cinghia, specie quella dei pantaloni. Da Nadàl me nòra me a dòu na bèla koréa nuóva per Natale mia nuora mi ha regalato una bella cintura nuova.

 

korédo sm. (pl. koréde) corredo. Per corredo si intende la biancheria che la sposa doveva avere con sè per il giorno delle nozze e quindi portate in dote. Per prepararlo davano il loro contributo un po' tutti i componenti della famiglia che lavoravano per anni; il numero delle lenzuola preparate poteva essere rilevante, e nel complesso si può dire che la ricchezza di una famiglia si misurava dalla consistenza del corredo della sposa che veniva fatto conoscere ad arte. Àsto sientésto ke korédo ke a portòu kéla là? hai sentito quanta roba ha portato in dote quella sposa?

 

korèğe vb. trans. (korèğo; koreğèo; koregésto) correggere, ammonire. Korèğe i tośàte correggere, ammonire i figli; korèğe i śbàlie fàte correggere gli errori commessi.

 

korèn avv. di corsa, subito, presto. Va korèn e no sta fermàte va di corsa e non fermarti; kuàn ke lo čàmo l vién korèn quando lo chiamo, accorre immediatamente; va korèn se te vós ruà a óra vai subito se vuoi arrivare in tempo.

 

kórikóri sm. (solo sing.) diarrea, dissenteria. Avé al kórikóri avere la diarrea.

 

korindiñón agg. (pl. korindiñói, f. korindiñóna, pl. korindiñóne) pettegolo, chiacchierone, curioso, perditempo. To màre e na korindiñóna tua madre è una pettegola.

 

korléto sm. (pl. korléte) filatoio. Prima che entrasse in uso il korléto, si filava con la rocca e il fuso; la filatrice tendeva dalla rocca le fibre di lana cardata in numero tale da riuscire a torcerle con la punta delle dita fino ad ottenere un filo unico. Alla sua estremità il filo era fissato al fuso che veniva tenuto sempre in continua rotazione per riuscire a torcere il filo senza interruzione. Mentre nella filatura a mano la torsione doveva essere continuamente interrotta perché era necessario fermarsi per avvolgere il filo sul fuso, con il filatoio a pedale si poteva invece filare in continuazione perché il filo veniva torto e avvolto in contemporanea, essendo sia il fuso che l'aletta mossi dalla ruota e dal pedale. Gli elementi che compongono il korléto sono la ròka (la rocca), al fùs (il fuso), la ròda (la ruota di trasmissione), la breèla o breùta (l'assicella su cui si spinge il piede per far girare la ruota).

 

kórlo sm. (pl. kórle) Arcolaio. Il kórlo serviva per svolgere la matassa e fare i gomitoli. Se no te as nùia da fèi, tòle l kórlo e bétete a fèi àlgo se non hai nulla da fare prendi l'arcolaio e mettiti a lavorare.

 

kornàča sf. (pl. kornàče) cornacchia in genere, fig. uccello di malaugurio. Ci sono diversi tipi di uccelli chiamati con questo nome, che si assomigliano e vengono facilmente scambiati uno con l'altro: la cornacchia nera (zool. Corvus corone corone), cornacchia grigia (zool. Corvus corone cornix), corvo (zool. Corvus fragilegus) e il gracchio (zool. Pyrrhocorax graculus). Le cornacchie grigie sono le più frequenti nei nostri cieli, volano in stormi, battono le ali per spostarsi, non planano. Viste da vicino si nota che la parte centrale del corpo, all'attaccatura delle ali e sulla pancia, è chiara e grigia; la punta delle ali è nera. Le cornacchie nere sono invece completamente nere, vivono solitarie o in coppia. Il volo è dritto lento e regolare. Il corvo è un uccello molto più grande della cornacchia, una volta e mezza, solitario, vola planando in quota. In alta montagna, tra le rocce, si vedono i gracchi, piccoli, neri con un vistoso becco giallo, si avvicinano facilmente alle case in cerca di pane. Àsto vedù kuànte kornàče dó par Pradèle? hai visto quante cornacchie in Pradelle? Pradèle è la località che si trova immediatamente sotto la strada nazionale, vicino al fiume Piave. Le cornacchie si facevano sentire, insieme ai corvi soprattutto in autunno e la loro presenza segnalava che presto sarebbe caduta la prima neve; fig. te ses pròpio na kornàča sei un uccello del malaugurio.

 

kornéto sm. (pl. kornéte) cornetto, forma particolare di panino, varietà piccola e precoce di patata. Kél là no fa ke destrùğe kornéte quello non sa far altro che mangiare; čò vìnti skèi e va da kel del pan a tòlete n kornéto ecco venti centesimi e va' al panificio a comprarti un cornetto di pane; era questa una merenda dei benestanti: i più poveri dovevano accontentarsi di mangiare polenta e formaggio o patate e ricotta.

 

kornìs sf. (inv.) cornice. Sto kuàdro a debeśuói de na bèla kornìs questo quadro ha bisogno di una bella cornice; immagini religiose incorniciate più o meno artisticamente adornavano le pareti di tutte le stanze di casa, la stalla e il fienile (v. soàda).

 

korniśón sm. (pl. korniśói) cornicione. Al korniśón de kéla čàśa e davòi krepà dó il cornicione di quella casa sta per crollare.

 

kòrno sm. (pl. kòrne) corno, bernoccolo. I kòrne de bò, I kòrne de vàča, de čàura, de róko, dei sčós le corna di bue, di mucca, di capra, di montone, delle lumache; èi śbatù kòntro la pòrta e me son fàto n kòrno ho battuto contro la porta e mi è spuntato un bernoccolo; n òta i sonèa l kòrno par čamà le féde e le čàure una volta suonavano il corno per raggruppare pecore e capre; no sta dàte tante àrie parkè te fàžo ió śbatùbasà i kòrne non darti troppe arie, ci penso io a farti diventare più umile, più modesto; n kòrno per niente, non ti do niente; loc. béte n kòrne e krós creare antagonismi e odio tra persone; sekà i kòrne infastidire.

 

kòrnola sf. (pl. kòrnole) corniòla, frutto del corniòlo. I frutti rossi del corniolo dal sapore acidulo ma gradevole sono utilizzati come succo di frutta o per aromatizzare liquori. Čàta dóe kòrnole da béte sóte śñàpa raccogli alcune corniole da mettere nella grappa.

 

kornolèi sm. (inv.) còrniolo, albero delle còrniole (bot. Cornus mas). I ràme de l kornolèi e bói par fèi sàče i rami del còrniolo sono adatti per fare le corde con cui legare le fascine della legna.

 

kornón  sm. (pl. kornói) impugnatura doppia a forma di corna di stambecco per tirare il carretto. L'impugnatura della luóida e del kòčo erano meno rotondeggianti rispetto a quelle del carretto. Čàpa ìnte i kornói e tìra duro se te vós ke la luóida śbrìse su l néve afferra le due impugnature e tira forte se vuoi che la slitta scivoli sulla neve (v. kòčo).

 

kornón  sm. (pl. kornói) getto d'acqua, cannella delle fontane. L brénte de Piàža Vèča a kuàtro kornói, ma kél de Ğòuda a sólo un la fontana di Piazza Vecchia ha quattro canne, mentre quella di Giòuda ne ha soltanto una (v. brénte, kanón).

 

Kornón3 sm. (top.) località a nordest del paese.

 

koróna sf. (pl. koróne) corona di fiori, ghirlanda, corona del rosario. Tòle su la koróna e diśón su l rośàrio prendi la corona e recitiamo il rosario; àsto vedù kuànte koróne davòi kél vèčo? hai visto quante corone di fiori accompagnavano la bara di quel vecchio?; prov. vàrdete dai dènte de čàn e da ki ke tién sènpre la koróna nte màn guardati bene dai denti dei cani e da chi tiene sempre la corona del r osario in mano, spesso cioè l'apparenza inganna.

 

kòrpo sm. (pl. kòrpe) corpo, corporatura, corpo dell'esercito. De ke kòrpo sésto stòu?, dei Alpìne? a quale corpo appartieni? sei degli Alpini?; dì de kòrpo andare di corpo, defecare; prov. kuàn ke l kòrpo se frùsta, l ànema se ğùsta quando si invecchia si ritorna alla pratica religiosa; prov. sète óre dòrme n kòrpo, òto n pòrko sette ore di sonno sono sufficienti per riposare bene, se dormi di più vuol dire che sei uno sfaticato.

 

korporì vb. ntr. (korporìso; korporìa; korporìu) amalgamare. Detto specialmente delle minestre nelle quali sia aromi che condimenti vengono cotti finché le componenti formano una amalgama. Se no te làse korporì polìto la menèstra kol làte, rèsta le stéle se non lasci che la minestra di latte si amalgami bene, resteranno evidenti le chiazze di grasso.

 

kortà sm. (inv.) cortile, luogo di riunione per regolieri, campo recintato. Nte l kortà de Pròu se čatarón la stemàna ke veñarà nel cortile di Pròu ci riuniremo la prossima settimana; sèra le féde ìnte kortà chiudi le pecore nel cortile, si tratta dello steccato che impediva agli animali di recar danno agli appezzamenti coltivati.

 

kórte sf. (inv.) letamaio. Ména la gràsa nte kórte porta il letame nel letamaio; bró de kórte il liquame del letame (v. loamèra).

 

kortìna sf. (pl. kortìne) il terreno attorno alla chiesa dove si seppellivano i morti, oggi sagrato. È ben noto come il toponimo Cortina d'Ampezzo prenda origine dal terreno che era delimitato da una recinzione e che si trovava attorno al campanile e alla chiesa principale di tutta la conca ampezzana, l'attuale chiesa parrocchiale di S. Giacomo. N òta a Lože ntórno la čéśa, èra ànke la kortìna una volta a Lozzo c'era il sagrato recintato attorno alla chiesa.

 

kortìvo sm. (pl. kortìve) cortile. Čàma to pàre ke e nte l kortìvo chiama tuo padre che è nel cortile.

 

kórva sf. (pl. kórve) la parte del carro che permette la rotazione del timone. Il raccordo è fatto sul mozzo del timone che è munito di un disco per la parte superiore e di un controdisco per la parte inferiore, a volte ridotti a una mezzaluna. Disco e controdisco servono per dare un appoggio quando il timone gira, se il timone è fisso, come in molti casi, queste non ci sono. Se si alza e si abbassa solamente, ma non segue la direzione di tiro, non ha la curva. Il carro da fieno perciò ha solo due stanghe da tiro, il carro e la carrozza con i cavalli hanno solo le due ruote anteriori girevoli e il pianale del carro poggia su queste. La curva, appoggiata alla kòntrokórva, ondùda polìto ko l smìr permetteva al timone di girare a destra o a sinistra. Dài su n tìn de smìr a kéla kórva ke la fa fadìa a ğirà dai un po' di grasso a quella kórva, perché fa fatica a girare (v. smìr).

 

korvatà vb. intr. (korvatéo; korvatèo; korvatòu) gracchiare, fare l'uccello del malaugurio. Kél là e bón sólo de korvatà quello è capace solo di portare cattive notizie.

 

korvatàda sf. (pl. korvatàde) cattiva notizia. Si intende precisamente una cattiva notizia riportata in modo malizioso. Mài na bòna nuóva da to mesiér, sènpre korvatàde mai una buona notizia da tuo suocero: sa portarne solo di cattive.

 

kòrvo sm. (pl. kòrve) corvo (zool. Corvus frugilegus). Uccello ormai piuttosto raro, quelle che si vedono spesso sono le cornacchie (zool. Corvus corone corone) che non sono le femmine del corvo, ma una specie leggermente diversa. Il corvo comune, non il corvo imperiale (zool. Corvus corax), ha il becco chiaro mentre la cornacchia ha il becco nero. Kè vó dì ke no se véde pì kòrve ka da neàutre? come mai non si vedono più corvi dalle nostre parti?; kòrvo da le màle nuóve corvo dalle notizie cattive, detto di una persona che porta solo cattive nuove; e ğažòu l kòrvo n žìma l pežuó espressione ironica rivolta a chi si lamenta della temperatura bassa, anche se non ancora troppo rigida; négro kóme n kòrvo di carnagione e di capelli corvini.

 

kosì, kusì avv. così, in questo modo. No se laóra kosì, te as da fèi polìto non si fanno le cose a questo modo, bisogna farle bene; loc. kosì kosà alla meno peggio; prov. mèo kosì ke pèdo è meglio così che peggio di così.

 

kośì vb. trans. (kośìso; kośìo; kośìu) cucire, rammendare. Adès te kośìso le bràge adesso ti cucio i pantaloni; màkina da kośì macchina per cucire; kośìsete n tìn kéla bóča taci che fai meglio; dì a kośì apprendere l'arte del cucito; nparà a kośì imparare il cucito; tòle a kośì prendere qualcuno per insegnargli il mestiere del sarto; béte a kośì mandare qualcuno ad imparare a cucire; kośì su rattoppare, rammendare; kośìseme su ste čàuže ke le e róte sul talón rammendami queste calze che sono rotte sul calcagno (v. takonà).

 

kośidùra sf. (pl. kośidùre) cucitura. La kośidùra de le bràge la cucitura dei pantaloni.

 

kosìènža sf. (pl. kosiènže) coscienza, consapevolezza di sè. Avé n péśo su la kosiènža sentirsi colpevole. Métese na man su la kosiènža valutare le proprie responsabilità.

 

kosìn sm. (inv.) cuscino, guanciale, piumino. Kosìn de làna, de pùla, de foiòle, de krìna, de kapò cuscino riempito di lana, di pula del sórgo, di foglie di pannocchie, di crine, di un particolare tipo di lana. I cuscini di foiòle erano rari, molti infatti li riempivano con la pula ottenuta dal vaglio dei chicchi del granoturco; chi aveva maggior possibilità economiche, aveva guanciali di lana e poi di crine, lo stesso avveniva per il kavežàl. Prov. al kosìn pì trèndo e la kosiénža néta solo chi non ha rimorsi dorme tranquillo.

 

kośìna sf. (pl. kośìne) cucina. Con questo termine si indica la cucina economica; la cucina come ambiente dove si prepara da mangiare e si trascorre gran parte della giornata, si chiama čàśa. Me èi konpròu na kośìna nuóva ho comperato una cucina economica nuova; prov. kośìna pìžola, čàśa grànda se in cucina si risparmia, dopo è possibile avere una casa grande.

 

kośinà vb. trans. (kośinéo; kośinèo; kośinòu) cucinare, far da mangiare. Forma piuttosto recente, molto più adoperata è la forma kuóśe, fèi damañà.

 

koskrìto sm. (pl. koskrìte) coscritto, coetaneo. Ki del didisète e me koskrìte i nati nel 1917 sono tutti miei coetanei, f. koskrìta.

 

kòśo sm. (pl. kòśe) cosa, oggetto in genere, persona non definita. Dàme n tìn sto kòśo dammi un po' questa roba; kòśo a dìto ke... quel tale ha detto che...

 

kóśol, sm. (pl. kóśoi, kuóśoi) baccello. Di solito i kóśoi venivano colti e dati al bestiame; durante l'invasione degli austriaci nel 1917-18 però, durante un periodo di insufficienza alimentare, i kóśoi venivano lessati e mangiati anche dalla popolazione (v. kóśui).

 

kospetón, skopetón sm. (pl. kospetói, skopetói) aringa. Polènta e kospetón polenta e aringa, salacca; l'aringa era un companatico che costava poco, inoltre, per la sua sapidità, bastava consumarne poco, per accompagnare molta polenta. Si racconta che nelle famiglie molto povere e numerose, questo pesce affumicato veniva appeso alla catena del fogèr e tutti si limitavano solo a toccarlo con la polenta giusto per insaporirla un po'; l'aringa vera e propria alla fine veniva poi mangiata solo dal capo famiglia. Àsto fenìu de točà l kospetón ko la polènta, vósto nkokonàte? hai finito di toccare l'aringa con la polenta, vuoi ingozzarti? (v. rénga).

 

kostà vb. trans. (kósto; kostèo; kostòu) costare. Kuànto kóstele ste skàrpe? quanto costano queste scarpe?; te kósta póčo lavà dó le skudèle non ti costa poi molto lavare le scodelle.

 

kòsta  sf. (pl. kòste) costa, costato, costone, pendio. Èi màl nte le kòste ho male al costato; dì su pa la kòsta salire la costa, il costone della montagna; loc. ndrežà le kòste a kalkedùn far rigare dritto qualcuno; loc. tiràse su na kòsta fare un buon guadagno, mangiare qualcosa di buono.

 

Kòsta  sf. (top.) è il nome di due località, una prativa a nord del paese, l'altra prativa e boschiva più a nordest, vicino a Laržéde, a ovest del Rio Rodolésko. Citiamo qui di seguito alcuni dei numerosi toponomi che dalla configurazione del terreno (costa, costone) hanno dato origine ai nomi di molte nostre local ità: Kòsta, Kòsta de Valskùra, Kòsta Mùla, Kòsta Lònga, Kòsta Kòmoda, Kòsta dei Vediéi, Kòsta de i Avedìs, Kòsta de Pomadòna, Kòsta de Dàsa.

 

Kòsta de i Folói, Folòi sf. (top.) ripido costone boscoso che dalla Val Lonğarìn, sale fino al pianoro di Pràpiàn.

 

kòsta de la sanpòña sf. (pl. kòste de le sanpòñe) collare in legno per le mucche. Adès le kòste de le sanpòñe se le dòra par beléža al giorno d'oggi i collari per le mucche vengono appesi alle pareti di casa come ornamenti particolari.

 

Kòsta de Vèrna sf. (top.) costa al sole, prativa e coperta in parte da bosco di larici a ovest di Mižói, lungo la strada militare che sale a Pian dei Buoi, in corrispondenza di un ampio tornante.

 

Kóstabrén, Pale de Kóstabrén sf. (top.) erti prati al sole, antica zona da sfalcio, nonostante la forte pendenza. Si trova alle pendici meridionali di Sómakuóilo.

 

Kosta Mùla sf. (top.) località che si raggiunge salendo da Vàl verso Kuóilo. È una costa molto ripida e boscosa attraversata da un sentiero che partendo da Sórasàle conduce direttamente a Sórakròde. Poco a destra passa la mulattiera, detta “strada della montagna”, che sale a Pian dei Buoi passando per Kuóilo.

 

kosteśìna sf. (pl. kosteśìne) costa di maiale, costina, costicina. Èi mañòu polènta e kosteśìne ho mangiato polenta e costicine di maiale. È uno dei piatti prelibati della cucina rustica. La costicina di maiale viene cotta nel burro oppure sulla graticola (gardèla) o sulle molle del fuoco (moléte) e la si mangia con la polenta appena scodellata o riscaldata sulla graticola o sulla piastra della cucina economica. Una volta solo le persone più abbienti potevano permettersi l'allevamento di un maiale, solo chi possedeva campagna e bestiame poteva mantenerli dando loro da mangiare qualsiasi cosa, sorgo, patate e altro. I maiali, comunque, non ingrassano bene se sono allevati con le erbe del prato (palmós) o con gli avanzi di cucina (vanžadùra) specie se queste sono magre. Data la prelibatezza del cibo, perché la gioia durasse più a lungo, chi uccideva il maiale, oltre che ai parenti più stretti, ne distribuiva un po' ad altri che avevano pure il maiale; costoro, quando a loro volta uccidevano il proprio, ricambiavano. In questo modo la festa durava molto più a lungo.

 

kostión sf. (inv.) lite, questione, battibecco concitato. Tu te fàs sènpre kostión kon dùte tu fai sempre baruffa, sei sempre in lite con tutti; no e sólo kostión de skèi non si tratta solo di soldi, ma anche di qualcos'altro.

 

kostionà vb. intr. (kostionéo; kostionèo; kostionòu) litigare, sollevare questioni, discutere animatamente. Nkuói èi kostionòu ko la màre, la vó sènpre avé reśón éla oggi ho discusso con mia madre, vuole sempre avere ragione; ki là kostionéa sènpre pài konfìn quelli discutono, litigano sempre per questioni di confini.

 

kostipažión sf. (inv.) raffreddore, infreddatura grave. Te as čapòu pròpio na bèla kostipažión ti sei buscato davvero una brutta raffreddatura.

 

kósto sm. (solo sing.) costo. Nella loc. a kósto de mañàme dùto, ma te la nséño sono disposto a tutto pur di darti una lezione sonora.

 

kostodì, kostudì vb. trans. (kostudìso; kostudìo; kostudìu) custodire. Kostudì le bèstie custodire, fare la guardia al bestiame; kostudì i tośàte badare, custodire i bambini.

 

kostrénde vb. trans. (kostréndo; kostrendèo; kostrendésto) costringere, obbligare. Se no l vó, te lo kostrénde se non vuole, costringilo, obbligalo.

 

kostrižión sf. (inv.) costrizione, coercizione. Žènža kostrižión no se ğàva nùia senza costrizione non si ottiene nulla.

 

kostumà vb. trans. (kostuméo; kostumèo; kostumòu) educare, allevare bene. Ió èi sènpre žerkòu de kostumà i mè fiói ho sempre cercato di educare bene i miei figli; kostuméa n tìn mèo to fìa educa un po' meglio tua figlia.

 

kostùme sm. (inv.) costume, costumanza, usanza morale. Solo nella loc. no te as ñànke la féde déi bòne kostùme sei completamente amorale, ti manca anche la più piccola virtù, sei pieno di vizi.

 

kóśui sm. (solo pl.) baccelli di legumi, specialmente dei fagioli. Tòle su i kóśui e dàili a le féde raccogli i baccelli dei fagioli e dalli a mangiare alle pecore (v. mèla).

 

kòte sf. (solo sing.) solletico. Loc. fèi kòte solleticare, provocare il solletico accarezzando sotto le ascelle o sotto la pianta dei piedi. Coi bambini piccoli si accompagna affettuosamente il gioco con le parole: kòte, kòte, kòte!

 

kòtola sf. (pl. kòtole) gonna, sottoveste. Èi konpròu na kòtola nuóva ho comperato una gonna, una sottana nuova.

 

kotórno sm. (pl. kotórne) coturnice (zool. Alectoris graeca). Uccello del gruppo delle pernici, quaglie e fagiani, assomiglia molto alla pernice rossa, vive sulle rocce e al limite del bosco. Nkuói son dù a kàža e èi čapòu n kotórno oggi sono andato a caccia ed ho preso una coturnice.

 

kòž sm. (inv.) sporcizia accumulata in diverso tempo. Detto specialmente dei vestiti molto sporchi o degli angoli di una stanza. Vàrda ke kòž nte sta čàśa guarda che sporcizia negli angoli di questa cucina; kuànto élo ke no te làve sta čaméśa?, no te véde ke kòž quant'è che non lavi questa camicia?, non vedi quanto è sporca?; e n pèžo ke no te te làve l kòl, te as n déido de kòž è già da parecchio che non ti lavi il collo, lo hai proprio sporco (v. nkožà).

 

kràkeśa sf. (pl. kràkeśe) macchina traballante, attrezzo sgangherato, fig. persona poco sana, molto debole. Késto no e n karéto, e na kràkeśa questo non è un carretto, è una carcassa; àsto čapòu la kostipažión n àutra òta?, te ses pròpio na kràkeśa hai preso di nuovo il raffreddore? sei davvero una mezza cartuccia.

 

kràña, kràsta sf. (pl. kràñe o kràste) crosta di sudiciume. Ki tośàte e pién de kràña sui denóğe ke se puó semenà patàte quei bambini hanno le ginocchia talmente sporche, che si possono seminar patate. Una volta ci si lavava solo con l'acqua perché il sapone (quello da bucato e non certo le saponette profumate) costava troppo; se poi si pensa che i bambini vivevano sulla strada dove giocavano seduti o inginocchiati per terra e che di solito i piccoli odiano l'acqua, tanta sporcizia non faceva certo meraviglia. Loc. bàte kràña battere la fiacca.

 

kravatìn sm. (solo sing.) piccola cravatta. Loc. čapà un pal kravatìn prender qualcuno per il collo, affrontare qualcuno.

 

kreànža sf. (pl. kreànže) creanza, gentilezza, galateo. Val pì n tìn de kreànža ke dùte i sò skèi val più un po' di gentilezza che tutti i suoi soldi, detto di persona ricca, ma sgarbata.

 

kréde vb. intr. (krédo; kredèo; kredésto, kredù) credere, pensare, ritenere. Tu te kréde a dùto kél ke i te dìs tu credi a tutto quello che ti viene raccontato; ma kè krédesto, ke sée pròpio n móna? ma che cosa credi, che io sia proprio un imbecille?; prov. ki ke no kréde, vàde a véde chi non crede, vada pure ad accertarsi; prov. ki ke kréde de fèila a kiàutre, se la fa par sé colui che crede di danneggiare il prossimo, senza accorgersene danneggia se stesso; prov. ki ke no kréde ai Sànte, kréde ài miràkoi chi non crede alle parole, deve credere ai fatti.

 

krèdito sm. (pl. krèdite) credito, considerazione, stima. Èi nkóra nosakè krèdite da tò pàre ho ancora qualche credito da tuo padre; na òta l avèa krèdito pède dùte, al dì de nkuói nvénži, nisùn a pì fedùžia de lùi una volta godeva la stima di tutti, oggi invece, nessuno ha più fiducia in lui.

 

krekà vb. intr. (krèko; krekèo; krekòu) cedere sotto un peso eccessivo, fig. ritirarsi da una gara. Kon kél peśo su la skéna, par fòrža ke l e krekòu sóte con quel peso sulla schiena per forza è crollato, ha ceduto.

 

krèn sm. (solo sing.) rafano (bot. Armoracia rusticana). Pianta dalla radice carnosa e piccante che viene impiegata in cucina. Gràteme n tìn de krèn sul lèso ànke se l bèka grattugiami un po' di rafano sul lesso, sebbene sia piccante; vàrda se nte l dérdin te čàte kàlke radìs de krèn guarda se, nel cumulo di erbacce all'angolo del campo, trovi qualche radice di rafano.

krepà vb. intr. (krèpo; krepèo; krepòu) crepare, morire. Pénsa ke deśgràžia, nkuói i e krepòu la vàča pensa che disgrazia, oggi gli è morta la mucca; l brùsko e krepòu fòra il foruncolo è scoppiato.

 

krepadùra sf. (pl. krepadùre) crepa, incrinatura, screpolatura. Il termine si riferisce soprattutto a mani e piedi screpolati dal freddo. Sto mùro e dùto na krepadùra questo muro è tutto una crepa; ànke sta terìna a bèlo na krepadùra anche questa terrina ha già una incrinatura; al frédo me ğénpe le màn de krepadùre il freddo mi riempie le mani di screpolature.

 

krepàse vb. rifl. (krèpo; krepèo; krepòu) incrinarsi, rompersi. La skudèla se a krepòu la tazza si è incrinata.

 

krépo sm. (pl. krépe) sasso, macigno, rupe, roccia. L a tiròu n krépo e l me a spakòu l viéro de la fenèstra ha lanciato un sasso e mi ha rotto il vetro della finestra; póia la fàu sul krépo e dón a rodolà appoggia la falce sul sasso e andiamo a spargere l'erba. Come per kòsta, anche krépo ha dato origine a numerosi toponimi: Krépe de Bàl, Krépe de le Pastùre, Krépe de Žividàne, Krépe de Piàn de le Čàve, Krépe Rós, Krépe de Filuói, Krépo de Ronžìe, Krépe de Somòl, Krépe de Bañórse.

 

Krépo de le Krós sm. (top.) località a nordovest del paese. Si tratta di un grande macigno ben visibile che si incontra percorrendo il sentiero che da Laržéde porta ai Tabiàs de la Foržèla.

 

Krépo de le Longàne, Perón de le Longàne sm. (top.) grosso macigno a nordovest del paese attorno al quale si credeva che si riunissero le Longàne. Il sasso si trova lungo il sentiero che dalla Manadóira oltrepassa il Rin, risale la costa destra che incombe sul Rin e porta a Nariéto e a Prapiàn. È sorta la credenza che sotto il sasso abitassero le Longàne (streghe) e attorno ad esso si riunissero per i loro sabba.

 

krepón sm. (pl. krepói) macigno, sasso molto grande. Sti krepói biśòña rónpeli ko la màža per rompere questi macigni occorre la mazza.

 

krése vb. intr. (kréso; kresèo; kresésto, kresù) crescere, aumentare. Vàrda kóme ke l e kresésto guarda com'è cresciuto; ka dùto krése qui tutto aumenta di prezzo. Loc. sul krése de lùna no e da taiàse mài i čavéi non bisogna mai tagliarsi i capelli quando c'è luna crescente; ki fiór e mórte pròpio sul krése quei fiori sono morti proprio mentre stavano crescendo.

 

kréśema sf. (pl. kréśeme) cresima, bastonatura. Dì a la kréśema andare alla cresima; kuàn te béti de kréśema? quando sarai ammesso alla cresima?; nkuói èi čapòu la kréśema oggi ho preso un sacco di botte; la locuzione deriva dal fatto che durante l'amministrazione di questo sacramento, il vescovo dà uno schiaffetto simbolico sulla guancia al cresimando (v. bužolài, sàntol, fiòžo, arlòio).

 

kreśemà vb. trans. (kreśeméo; kreśemèo; kreśemòu) cresimare, picchiare. Nkuói i kreśeméa oggi si amministra la cresima; ànke niére la màre me a kreśemòu anche ieri la mamma mi ha picchiato.

 

kreśemàda sf. (pl. kreśemàde) bastonatura. No pàsa dì ke no l čàpe la so kreśemàda non passa giorno che non si meriti la dose di bastonate.

 

krésta sf. (pl. kréste) cresta, iattanza, vigore. Al ğàl se e sàn, l a la krésta rósa se il gallo è sano, ha la cresta rossa; arbàsa n tìn kéla krésta abbassa un po' quella cresta, cioè cerca di essere un po' più umile; vàrda ke krésta ke a nkóra to nòno guarda quanto vigore ha ancora tuo nonno.

 

krestalìn sm. (inv.) cielo sereno, terreno coperto da ghiaccio. Vàrda ke krestalìn guarda che magnifico cielo sereno; e dùto n krestalìn il terreno è tutto lucido, è una lastra di ghiaccio.

 

kresùda sf. (pl. kresùde) crescita. Vàrda sto sórgo ke bòna kresùda guarda come è cresciuto bene questo granoturco.

 

kridà vb. intr. (krìdo; kridèo; kridòu) gridare, sgridare. Krìda n tìn de pì se te vós ke i te siénte grida un po' più forte se vuoi che ti sentano; la màre me a kridòu parkè no son dù a vèspro la mamma mi ha sgridato perché non sono andato alla funzione religiosa del Vespero; kridà da nòže gridare di gioia; kuàn ke son pai pràs da da siéra, krìdo sènpre da nòže quando sono a segare l'erba (in alta montagna), la sera, grido sempre per la gioia. Il detto kridà da nòže si riferisce a quando, durante lo sfalcio in alta montagna, alla sera, prima di andare a dormire sul fieno, ragazzi e ragazze gridavano in un modo gioioso; a queste grida, rispondeva un secondo gruppo di ragazzi, da un prato lontano e quindi un terzo e poi un altro ancora; era l'espressione della gioia della gioventù e una maniera di divertirsi in modo semplice. Si gridava ad esempio: véla véla la rośàda su la tèsta tóa pelàda, iufufùi sta arrivando la pioggia sulla tua testa pelata, evviva! Se va dùto polìto, te puós pròpio kridà da nòže se tutto va bene, puoi davvero gridare per la contentezza; prov. ki ke krìda, vó bén chi ama, quando serve, rimprovera le persone amate.

 

kridàda sf. (pl. kridàde) sgridata, rimbrotto, grido. Te meritaràe na bèla kridàda ti meriteresti una bella sgridata; l a dòu na kridàda ke me a fàto veñì i grìśoi ha lanciato un urlo tale da farmi venire i brividi.

 

Krìdola sf. (top.) nome di un gruppo montuoso e di un torrente che si trovano nel territorio di Lorenzago.

 

krìka sf. (pl. krìke) gentaglia, discordia. Va là ke te vàs ko na bèla krìka va' là che vai in giro con della gentaglia; e da n tokéto ke nòra e madòna l e n krìka è da un po' di tempo che tra nuora e suocera c'è disaccordo.

 

krìna sf. (pl. krìne) crine. N stramàž de krìna un materasso di crine. La màre a kanbiòu dói stramàž de krìna kon ki de làna de féda la mamma ha sostituito i due materassi di crine con quelli di lana.

 

kristiàn  sm. (pl. kristiane) cristiano, uomo pietoso ed onesto. Okóre èse bói kristiàne bisogna comportarsi da buoni cristiani; te ses n bón kristiàn sei un uomo buono ed onesto; kél lugerìn e kóme n kristiàn, kuàn ke l me véde, l čànta quel lucherino è come una persona, quando mi vede, canta.

 

kristiàn  agg. (pl. kristiàne, f. kristiàna) cristiano, fig. buono. Kéla là, mò, e na bòna kristiàna quella sì che è una donna di buon animo.

 

krìsto  sm. (solo sing.) telaio della lama dentata nella sega alla veneziana.

 

Krìsto  sm. (solo sing.) crocifisso. Lungo le strade e i sentieri in montagna o fra i campi si possono trovare piccoli tabernacoli con un'immagine sacra o una scultura rappresentante un crocifisso. In territorio di Lozzo, a Fiés, lungo la strada nazionale per Domegge, si trova una località chiamata Krìsto, fòra dal Krìsto, dove si vede un bel crocifisso in legno. Trovasi in un'edicola affissa al fienile che fiancheggia la strada nazionale.

 

Krìsto3 sm. (solo sing.) Cristo. Appellativo di Gesù. Fig. puóro krìsto persona mal ridotta.

 

kritikà vb. trans. (kritikéo, kritikèo; kritikòu) criticare, malignare. Tu te ses sólo bón de kritikà tu sei solo capace di criticare.

 

kritikón agg. (pl. kritikói, f. kritikóna, pl. kritikóne) detto di persona che critica ogni cosa in modo beffardo. Èko l sòlito kritikón ecco il solito criticone.

 

kritikós agg. (pl. kritikós, f. kritikóśa, pl. kritikóśe) maldicente, maligno, attaccabrighe. Ki élo pì kritikós de to pàre? chi è più maldicente di tuo padre?

 

krivèl sm. (pl. kriviéi) crivello, setaccio, vaglio. Pàsa n tin sta sàbia kol krivèl passa la sabbia al setaccio (v. drèi).

 

krivelà vb. trans. (kriveléo; krivelèo; krivelòu) setacciare, vagliare, crivellare. Okóre krivelà sta màlta bisogna setacciare questa malta; krivelà la farìna passare la farina al setaccio (v. tamés).

 

kròda sf. (pl. kròde) croda, rupe, roccia. Da questo termine hanno preso origine numerosi toponimi: Kròda Àuta, Kròda Bàsa, Kròda de Patèrna, Sórakròde, Kròda dei Róndoi; prov. l vènto de kròda pòrta sarén, kon kél del piàn no se fa fién il vento proveniente dalla montagna porta bel tempo, quello che proviene dalla pianura, porta pioggia e quindi impedisce di raccogliere il fieno; da sta stemàna l sól fàla la kròda da questa settimana il sole passa al di sopra della montagna (in questo caso il Montanèl), si stanno cioè allungando le giornate.

 

Kròda de Gražióśo sf. (top.) località a nord di Lozzo. Sul versante verso Auronzo, sulla destra orografica della Val de Poórse, dove sbocca in Val da Rin. È una spalla rocciosa facilmente identificabile che emerge dal bosco. Riferimento importante nei confini con Auronzo.

 

Kródego sm. (top.) località e borgata del paese. Quando sul colle di Kródego c'erano ancora poche case, si andava a bruciare la vèča a metà quaresima, karnavalùto.

 

krònko agg. (pl. krònke; f. krònka) mogio, giù di morale, malato. Kè àsto ke te ses kosì krònko? cosa c'è che sei sempre mogio?

 

krònkol  sm. (pl. krònkoi) gambo d'insalata, o anche il nodo circolare che si forma sul tronco di un albero dopo aver tagliato un ramo.

 

krònkol  sm. (pl. krònkoi) torsolo di mela. Làseme l krònkol lasciami il torsolo della mela.

 

krós sf. (inv.) croce, crocefisso. Il termine ha dato origine a molti toponimi: Krépo de la Krós, Val de Krós, Piàže de la Krós, La Krós; dim. krośùta piccola croce, piccolo crocefisso; un segno a doppia croce veniva inciso sui sassi che poi interrati servivano come punti di riferimento (kaposàldi) per le misurazioni dei terreni, quando si dovevano tracciare i confini. Dì a portà la krós sostenere la croce astìle durante funerali o processioni, trascinare la croce durante la processione del Venerdì Santo; dùte a la sò krós ciascuno ha la propria croce da portare; loc. no sta béteme n krós non mettermi in croce, cioè non tormentarmi più a lungo, non chiamarmi in causa in questa brutta faccenda; tirà na krós cancellare un conto o dimenticare un piacere fatto; prov. ki ke no a krós, se le fa chi non ha né dolori né preoccupazioni, va a finire che se le procura; oppure dùte a la sò krós: ki no la a, se la fa; se un va n piàža ko la so krós, al tórna a čàśa ko la sóa, parkè la pésa nkóra mànko de kéla de ki àutre chi ha un dispiacere e lo confronta con quelli degli altri si rincuora al solo constatare che gli altri ne hanno anche di più grandi.

 

krośèra sf. (pl. krośère) crocicchio, crocevia, interstizio tra l'ultima vertebra e l'osso sacro. É il punto che di solito fa male quando si ha mal di schiena. Kuàn ke te rùe n krośèra, vòlta a žànča quando arrivi al crocicchio, volta a sinistra; nkóra n tìn e me ronpèo la krośèra ancora un po', e quasi e mi rompevo parte della spina dorsale (v. leśùra).

 

krósta sf. (pl. króste) crosta. Krósta del pàn, del formài crosta del pane, del formaggio; króste de la polènta, dei pestariéi croste che si formano nel paiolo quando si cucinano pestariéi o polenta; le croste della polenta si mangiavano poi nel latte freddo e quelle dei pestariéi venivano grattate col cucchiaio dal capofamiglia o, a turno, dai vari componenti della famiglia. No sta gratàte vìa la krósta del tai, se nò te vién fòra nkóra sàngo non togliere la crosta che si è formata sulla ferita, altrimenti ti esce di nuovo il sangue; loc. òñi pàn a la sò krósta ogni cosa presenta le sue difficoltà.

 

króstol sm. (pl. króstoi) galano, crostolo. Si tratta di un dolce fatto di pasta dolce, ben spianata, sottile e croccante, che si preparavano per le grandi occasioni, ai matrimoni ad esempio non mancavano mai e si distribuivano agli invitati in sostituzione dell'attuale bomboniera; kuàn me màndesto i króstoi? quando mi mandi i crostoli, cioè a quando le nozze?

 

krù  sm. (inv.) antica monetina. Èse žènža n krù essere senza un soldo, essere povero in canna; no valé n krù non valere proprio nulla, essere un individuo insignificante; no te laóre, no te véde, no te siénte, no te kapìse n krù non lavori, non vedi, non senti, non capisci niente.

 

krù  agg. (pl. krùde, f. krùda) crudo, acerbo, immaturo. No sta béve làte krù ke l te fa màl non bere latte non bollito, perché ti fa male; sti póme e nkóra krùde queste mele sono ancora acerbe; to fiól e nkóra màsa krù par mandàlo a laurà tuo figlio è ancora troppo giovane perché lo mandiate a lavorare.

 

krùk sm. (pl. krùke) straniero in genere, tedesco in particolare. Àsto vedù kuànte krùk stan? hai visto quanti stranieri, quanti tedeschi ci sono quest'anno?

 

krùkol agg. (pl. krùkoi, f. krùkola, pl. krùkole) detto di persona piccola e tozza. L se a maridòu n krùkol si è sposata con un uomo tozzo.

 

krùkola sf. (pl. krùkole) bernoccolo. Ma añó te sésto parkuròu sta krùkola? ma dove ti sei procurato questo bernoccolo?; sta bréa e dùta piéna de krùkole quest'asse è piallata male (v. bróñola).

 

kružià, kružìàse vb. trans. e rifl. (me krùžio; kružièo; kružiòu) crucciarsi, irritare, tormentarsi. Pa nkuói te me as kružiòu asèi per oggi mi hai tormentato abbastanza.

 

krùžio sm. (pl. krùžie) cruccio, tormento, dolore. Son pién de krùžie sono pieno di crucci, di dolori.

 

sm. (pl. kùs) culo, sedere, posteriore. Vàrda ke kù guarda che sedere grosso; l bùs del kù l'ano; l kù de la buśèla la cruna dell'ago; l kù de le bràge i fondelli dei pantaloni; l kù de la kaliéra il fondo del paiolo; l kù del salàme la parte terminale del salame; menà l kù dimenare le anche, detto di ragazze poco serie che sculettano per attirare l'attenzione; voltà l kù voltare le spalle, essere poco riconoscente verso chi ha fatto del bene; menà pal kù o tòle pal kù prendere in giro, canzonare; portà l kù sbandare, detto di slitta o di altro mezzo di trasporto che sbanda sulla neve; loc. l a n kù kóme n vàn ha un sedere come un ventilabro; mostrà l kù esporsi, compromettersi per qualcuno o esporre i propri mali e le proprie miserie; loc. tirà l kù ndavòi ritirarsi di fronte a qualche difficoltà o a qualche responsabilità; me pióve sul kù ànke se stào sentòu capitano tutte a me, mi piove sul sedere anche se sto seduto; dì kol kù n su andare colle gambe all'aria, andare in fallimento; èse (restà) kol kù de fòra rimanere povero in canna, perdere tutto; dì a sèsa kù andare all'indietro, retrocedere; volé tirà l péto pì gràn del kù esagerare nel fare le cose; loc. èse de kù dùro essere svogliato; loc. l kù no a dènte detto di solito ai bambini: non ci si fa tanto male se si cade col sedere; prov. kol frédo le pìte sèra l kù con il freddo le galline non depongono più uova; prov. pì se va su, pì se móstra l kù più si sale nella vita sociale e più si fa mostra di se e più si è esposti alle critiche.

 

kuadèrno sm. (pl. kuadèrne) quaderno, notes. In ogni famiglia si annotavano i conti delle entrate e delle uscite. Vàrda l kuadèrno e dìme kuànto ke avón spendù sto més guarda sul notes e dimmi quanto abbiamo speso questo mese.

 

kuàdro sm. (pl. kuàdre) quadro, immagine, ritratto. Al kuàdro de la Madòna l'immagine della Madonna; nte kànbra èi i kuàdre del pàre e de la màre in camera tengo i ritratti del papà e della mamma.

 

kuàia sf. (pl. kuàe) quaglia (zool. Coturnix coturnix). Uccello del gruppo delle pernici e fagiani, color giallo sabbia di sotto, scuro sul dorso, vive in zona prativa. Son dù a seà e èi čatòu na kóa de kuàe sono andato a falciare l'erba ed ho trovato un nido di quaglie.

 

kuàl agg. e pron. interr. rel. (pl. kuài, f. kuàla, pl. kuàle) quale. Kuàla karpéta tìresto su? quale sottana indossi?; kuài tośàte àsto vedù a Mésa? quali bambini hai visto a Messa?; l e tal e kuàl so pàre è tale e quale suo padre; loc. òñi kuàl tràto di tanto in tanto.

 

kuàn avv. e cong. quando. Kuàn véñela tó suó? quando viene tua sorella?; kuàn mài èi dìto na ròba konpàña? quando mai ho detto una cosa simile?; kuàn ke quando; vién kuàn ke te vós vieni quando vuoi; kuàn ke liédo, vói sta n pàs quando leggo non voglio essere disturbato.

 

kuànto agg. e pron. (pl. kuànte, f. kuànta) quanto. Kuànta menèstra vósto? quanta minestra vuoi?; kuànte deśgràžie nte késta čàśa quante disgrazie in questa casa; dàme kuànto ke mèrito dammi quel che merito; loc. kuànta tu hai un bel dire tu.

 

kuarànta agg. num. (inv.) quaranta. Ànke to fiól e bèlo ntórno ai kuarànta anche tuo figlio ha ormai quasi quarant'anni.

 

kuarantaòto sm. (inv.) quarantotto, fig. caos, confusione. Ma kè élo dùto sto kuarantaòto? ma che cos'è tutta questa confusione?; se rùa to màre la fa dùto n kuarantaòto se arriva tua madre, butta tutto all'aria.

 

kuarèla sf. (pl. kuarèle) querela. Se no te pàge, l te fa kuarèla se non paghi, ti querela, ti cita in tribunale; avé le kuarèle aspettarsi rimproveri o botte per aver combinato qualcosa di sbagliato; me a dìto to màre ke te as le kuarèle, kè àsto konbinòu? mi ha detto tua madre che sai di meritarti una punizione, che cosa hai combinato?

 

kuàrta sf. (pl. kuàrte) spanna. Misura di lunghezza della mano aperta tra il pollice e il mignolo. Dàme tré kuàrte de kordèla dammi tre spanne di fettuccia; kél tośàto l e na kuàrta sóra tèra e l biasteméa bèlo quel bambino è alto una spanna e bestemmia già; tu te meśùre dùto ko la to kuàrta tu misuri tutto con il tuo metro, non sei obiettivo. La kuàrta corrispondeva a 1/4 de bràžo cioè a circa 19,45 cm. La kuàrta era anche la quarta parte, circa 20 cm, dell'assicella di legno usata per misurare la stoffa; ogni kuàrta si divideva a sua volta in sei once.

 

kuartaruó sm. (inv.) quarteruolo. Unità di misura di capacità per le biade, corrispondente a un quarto de čalvéa; nprésteme n kuartaruó de patàte prestami un quarteruolo di patate; te fàžo n mùśo kóme n kuartaruó ti distruggo la faccia con le botte.

 

kuartiér sm. (inv.) alloggio. Añó sésto de kuartiér? dove hai trovato alloggio?

 

kuàrto  agg. num. (pl. kuàrte, f. kuàrta) quarto. Késta e la kuàrta audòla ke véndo questa è la quarta capretta che vendo; dàme n kuàrto de sñàpa dammi un quarto di litro di grappa; sto arlòio bàte ànke i kuàrte questo orologio batte anche i quarti d'ora; me fardèl fa la kuàrta mio fratello frequenta la quarta elementare; l èrba se séa l prìmo kuàrto de lùna e i čavéi se li tàia l ùltimo kuàrto l'erba deve essere falciata durante il primo quarto di luna e i capelli devono essere tagliati durante l'ultimo quarto. Si riteneva infatti che l'erba crescesse di più se veniva falciata con il primo quarto di luna (sul krése de lùna) e che i capelli crescessero meno se venivano tagliati con l'ultimo quarto (sul kàlo de lùna). Loc. bàte i kuàrte battere i quarti, combinare stranezze, fare capricci.

 

Kuàrto  sm. (nome) Quarto.

 

kuartór sm. (inv.) copriletto. Kànbia l kuartór ke l e róto cambia il copriletto, perché è rotto (v. kuertór).

 

kuàśi avv. quasi, circa. E kuàśi le òto sono quasi le otto; kuàśi, kuàśi me fararàe n bàtol de polènta quasi, quasi mi farei una piccola polenta (v. skuàśi).

 

kuatàse vb. rifl. (me kuàto, kuatéo; kuatèo; kuatòu) coprirsi, mettersi al calduccio, fig. calmarsi, tranquillizzarsi. Va nte liéto e kuatéete polìto vai a letto e cerca di rimanere al caldo; al pùpo ñànte l a piandésto e pò l se a kuatòu il piccolo prima ha pianto, ma poi si è tranquillizzato (v. koatàse).

 

kuatòrdeśe agg. num. (inv.) quattordici. L avèa bèlo kuatòrdeśe àne kuàn ke l se a kreśemòu aveva ormai quattordici anni quando ha ricevuto la cresima.

 

kuatrà vb. intr. (kuatréo; kuatrèo; kuatròu) rinforzare, inquartare, aggiungere due cavalli ai due che tirano il carro. Quando il carico era troppo pesante e due cavalli non bastavano, si attaccava all'anello terminale del timone un grosso bilancino (balanžèra); a questo venivano appesi due bilancini più piccoli (balanžìn) ai quali si legavano i finimenti di altri due cavalli. Si otteneva così una quadriglia composta di due pariglie disposte una dietro l'altra. La rìva e érta: okóre kuatrà la salita è ripida: bisogna aggiungere altri due cavalli (v. kùbia).

 

kuàtro agg. num. (inv.) quattro. Èi kuàtro čànpe da sapà ho quattro campi da zappare; kuàn ke l rùa, èi kuàtro da dìli non appena arriva, gli farò una bella ramanzina; ki krédelo de èse par ki kuàtro skèi ke l a? ma chi crede di essere si da tante arie solo perché ha un po' di denaro?

 

kubà vb. tr. (kùbo; kubèo; kubòu) calcolare il volume complessivo di qualche cosa, stimare la cubatura ottenibile dagli alberi ancora in piedi o già tagliati. Kuànto kubaràla sta piànta? quanti metri cubi misurerà questo albero?; loc. ka le ròbe no kùba qui i conti non tornano; adès te èi kubòu adesso posso dire di valutarti bene .

 

kùbia sf. (pl. kùbie) pariglia di cavalli, coppia. Okóre dóe kùbie par tirà sto čàr servono due pariglie per trascinare questo carro; de là, ke se na bèla kùbia siete davvero una bella coppia; loc. bétese de kùbia formare una coppia, andare insieme (v. pèi).

 

kubià, kubiàse vb. trans. e rifl. (kubiéo; kubièo; kubiòu) accoppiare due cavalli o due buoi per il traino, guadagnare. Me son kubiòu n frànko ho guadagnato qualcosa; me son kubiòu na śbèrla ho preso uno schiaffo.

 

kùča  sf. (pl. kùče) noce. I tośàte me a robòu dùte le kùče i bambini mi hanno rubato tutte le noci; fra ragazzi c'era l'abitudine di rubare la frutta degli orti e dei frutteti, anche se era ancora acerba. L e žènža dènte, ma la tàža kùče kóme n kàn è senza denti, ma schiaccia le noci come se ne avesse; deskofolà le kùče togliere il mallo alle noci; prov. na kùča par sàko, na pìta par kaponèra, na fémena par čàśa una noce per sacco, una gallina per pollaio, una donna per casa, chi ama la pace ed il silenzio non tenga più di una noce in un sacco, più di una gallina in un pollaio e più di una donna in una sola casa.

 

kùča  sf. (pl. kùče) cuccia. Dì a kél čàn ke l fàže kùča ordina a quel cane che faccia cuccia e di non abbaiare.

 

kučarìn sm. (inv.) cucchiaino. N kučarìn de žùkero un cucchiaino di zucchero; se puó tòlelo su kól kučarìn questo oggetto si è talmente sbriciolato che si può raccogliere solo con il cucchiaino.

 

kučàro sm. (pl. kučàre) cucchiaio. Ki là màña nkóra kól kučàro de lén quelli sono così poveri, che mangiano ancora col cucchiaio di legno. Mangiare col cucchiaio di legno era indice di grande miseria; l'uso delle posate di legno è venuto meno nel periodo fra le due guerre; màñete n kučàro de menèstra mangiati un po' di minestra; kučàro de latón cucchiaio di ottone; loc. kél là mañaràe ànke l kučàro quell'uomo è insaziabile (v. skulié).

 

kučàse vb. rifl. (kùčo; kučèo; kučòu) accovacciarsi, abbassarsi, distendersi per riposarsi un po'. Kuàn ke son stràko me kùčo n tìn quando sono stanco mi stendo un po' per riposare; se no te te kùče, no puói dàte su polìto al déi se non ti abbassi un po' non posso darti la gerla sulle spalle (v. kufàse, kužàse).

 

kùčer sm. (inv.) cocchiere. Termine di probabile origine tedesca.

 

kučèra sf. (pl. kučère) noce, l'albero (bot. Juglans regia). Il noce ha bisogno di terreni profondi. É una pianta che non sopporta molto il gelo, cresce cioè in bassa montagna, dà legno pregiato e si usava piantarne una per ciascun nuovo nato. Késta kučèra fa pì kùče ke fòe questo noce fa più noci che foglie (v. nogèra).

 

kučéta sf. (pl. kučéte) letto singolo di ferro o di legno, cuccetta. Nte kéla kučéta se puó dormì n dói: un da pès e n àutro da čòu in quella cuccetta si può dormire in due: uno dalla parte della testa e l'altro dalla parte dei piedi.

 

kùči avv. cuccia. Fèi kùči mettiti a cuccia, usato specialmente per i cani.

 

kùčo sm. (pl. kùče) maiale, fig. sudicio, sporco. Nkuói avón kopòu l kùčo oggi abbiamo ucciso il maiale; ma vàrda ke kùčo de n tośàto ma guarda che sudicione di un bambino (v. poržèl).

 

kuerčà vb. trans. (kuèrčo; kuerčèo; kuerčòu) mettere il coperchio. Se no te kuèrče kéle patàte, no le se kuóśe pì se non metti il coperchio a quelle patate, non si cuociono (v. deskuerčà).

 

kuèrčo sm. (pl. kuèrče) coperchio. Ğàva l kuèrčo de kéla peñàta togli il coperchio di quella pentola; loc. bàte i kuèrče battere i coperchi, dar di matto; no volaràe ke l Siñór molàse dó l kuèrčo non vorrei che il Signore perdesse la pasienza con noi peccatori (v. skuèrčo).

 

kuèrde vb. trans. (kuèrdo; kuerdèo; kuerdésto) coprire. Kuèrde kél tùto se no te vós ke l se màle copri quel bimbo se non vuoi che si ammali (v. skuèrde).

 

kuèrta  sf. (pl. kuèrte) coperta da letto, lenzuolo per trasportare il fieno. Bàsta na kuèrta parkè e bèlo čàudo è sufficiente una coperta perché fa già caldo; kuèrta de làna coperta di lana; kuèrta nbotìda imbottita; la kuèrta dei skarpéte, de le skàrpe la tomaia delle scarpe e delle pantofole; na kuèrta de fién un telo di fieno (v. lenžuó).

 

kuèrta  sf. (pl. kuèrte) parte in legno che compone la fascia esterna della ruota del carro.

 

kuèrto sm. (pl. kuèrte) tetto, tettoia. Kuèrto de sàndole tetto di tegole di legno; kuèrto de bànda tetto di lamiera; loc. dì a kuèrto andare al coperto, ripararsi dal freddo o dalle intemperie, arrivare al colmo del tetto con le strutture portanti di una casa in costruzione; voltà l kuèrto capovolgere le scandole di larice del tetto perché si conservino più a lungo.

 

kuertór sm. (inv.) copriletto. La màre me a konpròu n kuertór ko le frànde la mamma mi ha regalato un copriletto con le frange (v. kuartór).

 

kufàse vb. rifl. (me kùfo; kufèo; kufòu) piegarsi, accovacciarsi. La pòrta e bàsa: kùfete dó se te vós pasà la porta è bassa: piegati se vuoi passare (v. kučàse, kužàse).

 

kùfol sm. (pl. kùfoi) piccolo e tozzo. Vàrda ke n kùfol de tośàto guarda che bambino piccolo e tozzo; l mè kùfol caro il mio bambino; espressione affettuosa, rivolta ai figli ancora piccoli, accompagnata da un bacio e da un abbraccio; dim. kufolòto nanerottolo.

 

kufolàse vb. rifl. (me kufoléo; kufolèo; kufolòu) accovacciarsi, accucciarsi. Par dugà kon me fiól, me tóča kufolàme per giocare con mio figlio devo accucciarmi (v. kufàse).

 

kufoléto sm. (pl. kufoléte) gnomo, folletto. Se no te stas bón, čàmo l spìrito kufoléto o foléto se non stai buono, chiamo lo spirito folletto; espressione forte rivolta ai bambini per calmarli.

 

kufolón avv. stare accucciato. Sta nkufolón e de kufolón stare accucciato, accosciato. Bétete n kufolón mettiti rannicchiato.

 

kufolòu agg. (pl. kufolàde, f. kufolàda) accucciato, sdraiato. Le to fìe e sènpre kufolàde le tue figlie stanno sempre accovacciate, non hanno voglia di fare niente.

 

kuforlón avv. a rotoli, allo sfascio. Nella loc dì a kuforlón andare a rotoli lungo una discesa.

 

kuiétro sm. (pl. kuiétre) amministratore annuale delle malghe sul pascolo di Pian dei Buoi. Il compito del kuiétro era di tenere il conto delle spese e dei prodotti da distribuire alla fine di ogni stagione a ciascun proprietario. Quando il kuiétro misurava le quote del latte, riservava al parroco del paese tutte le eccedenze ai cento grammi e ai multipli. Al kuiétro vó èse sènpre a òñi meśuražión l'amministratore vuole essere sempre presente ad ogni misurazione.

 

kuìndeśe agg. num. (inv.) quindici. Èi bèlo kuìndeśe àne ho già quindici anni; al pàre e del kuìndeśe mio padre è nato nel 1915; nkuói kuìndeśe quindici giorni fa, oppure fra quindici giorni, a seconda che l'aggettivo sia accompagnato da un verbo al tempo passato o al tempo futuro (v. nkuói).

 

Kuìnta sf. (nome) Quinta.

 

kuintàl sm. (pl. kuintài) quintale, peso eccessivo. Kél poržèl pésa pì de n kuintàl quel maiale pesa più di un quintale; te puós aužà ànke tu kél sàko, no l péśa mìa n kuintàl anche tu puoi alzare quel sacco perché non pesa mica un quintale.

 

kuìnto  agg. num. (pl. kuìnte, f. kuìnta) quinto (della serie), quinto (frazionario). Son ruòu kuìnto sono arrivato quinto; dàme n kuìnto de śñàpa dammi, vendimi un quinto di litro di grappa.

 

Kuìnto  sm. (nome) Quinto.

 

kukàse vb. rifl. (me kùko; kukèo; kukòu) guadagnarsi qualcosa, meritarsi qualcosa di insperato. Me son kukòu dói frànke ho guadagnato due lire.

 

Kùki sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

kùko  sm. (pl. kùke) cuculo (zool. Cuculus canorus). Uccello di color grigio azzurro, abbastanza grosso, si sente cantare a maggio col tipico fischio a cu-cu, vive al margine del bosco di media montagna. Depone le uova in nidi di altri uccelli e le lascia covare al suo proprietario, in altri termini i cuculi nascono sempre senza madre. Kuàn ke l kùko čànta e isùda quando il cuculo canta, è primavera; dì kùko andare a vivere in casa della sposa e vivere a sbafo dei suoceri, proprio come fa il cuculo che non si costruisce il nido, ma depone le uova in quello di altri uccelli, affidando loro la cova e il mantenimento dei piccoli fino a quando sono capaci di volare e quindi di mantenersi. Loc. vèčo kóme l kùko, vèčo kùko vecchio come il cuculo, vecchissimo; prov. se l kùko čànta, l sśguèrña se il cuculo canta, pioverà a dirotto. Filastrocche: kùko, bèl kùko da la kóda rìža, kuànte àne nkóra par èse nuìža? cuculo, cuculo dalla coda riccia, quanti anni devono ancora passare perché io trovi marito?; kùko, bèl kùko da la kóda gròsa, kuànte àne nkóra par dì nte fòsa? cuculo, bel cuculo dalla coda grossa, quanti anni di vita mi rimangono ancora?

 

kùko  sm. (solo sing.) ipoc. gioco del nascondino, gesto scherzoso. Dugà a kùko giocare a nascondino. Si tratta di un gioco molto semplice da fare con i bambini piccoli: si prende la mano del bimbo e gli si coprono gli occhi dicendo: kùko? il bimbo non vede e pensa che tutto sia scomparso, e pochi attimi dopo si sposta la mano dicendo: sià! e tutto torna come prima con una felice risata.

 

kukotàna sf. (solo sing.) gioco del nascondino. C'è un punto base, tàna, dove si fa la kónta, uno sta sotto e gli altri si nascondono, quello che sta sotto conta ad alta voce con gli occhi chiusi fino al numero prefissato, dieci per ogni giocatore, quando ha finito grida véño. Chi ha contato deve trovare quelli che si sono nascosti, gridare il nome di chi ha visto e dire dov'era, tornando di corsa alla tàna prima che quello scoperto ci arrivi. Chi è stato scoperto e arriva alla tana prima del cacciatore grida tàna méa e si libera, chi arriva dopo il cacciatore, se è il primo ad essere scoperto senza essere liberato, deve invece sta sóte, a fèi la kónta per la volta successiva. L'ultimo a esser scoperto può arrivare alla tàna prima del cacciatore e gridare tàna deliberéa dùte, in questo caso libera tutti e tocca al cacciatore fare la conta di nuovo, altrimenti sta sotto il primo dei trovati; dapò mésa don dùte a dugà a kukotàna dopo la messa andiamo tutti a giocare a nascondino; n siéra son dù a dugà a kukotàna kon ki dela me čantonàda ieri sera sono andato a giocare a nascondino con i ragazzi della mia contrada. Finita la conta si diceva: ki ke e ìnte e ìnte, ki ke e fòra e fòra chi si è nascosto, bene, chi non si è nascosto viene scoperto subito.

kulàta sf. (pl. kulàte) natica. Vàrda ke kulàte guarda che sederone; èi čapòu tante de kéle bòte ke me duó dùte le kulàte ho preso tante di quelle botte, che mi fa male tutto il sedere.

 

kulèra sf. (solo sing.) sedere, ano.

 

kulón avv. di culo, di sedere. Loc tomà n kulón cadere sul sedere; dì dó n kulón scivolare sul sedere.

 

kùna sf. (pl. kùne) culla. Ke bèla kùna che bella culla; prov. se no se muóre da kùna, se pròa pì de ùna se non si muore piccoli, si proveranno molte sofferenze, la vita cioè è fatta di molti dolori.

 

kuñàda sf. (pl. kuñàde) cognata. Me kuñàda e na gràn bràa fémena mia cognata è una gran brava donna.

 

kunéta sf. (pl. kunéte) cunetta. L àga de la kunéta va a fenì dùta nte gèbo l'acqua della cunetta va a finire tutta nel tombino.

 

kuñòu sm. (pl. kuñàde) cognato. No vàdo d akòrdo ko me kuñòu non vado d'accordo con mio cognato.

 

Kuóibe sm. (top.) località a nordest del paese dove si trovano alcune fortificazioni che vengono chiamate òpere.

 

Kuóilo sm. (top.) località su terreno a forma di colle che costituisce una spalla che fiancheggia la frana di Mižói verso est. La sommità del colle, Sómakuóilo, è un prato dove sono conservati ancora oggi numerosi fienili. Si tratta di una località d'importanza antica, a sud dell'altipiano di Pian dei Buoi, sotto la strada che conduce a Kòl Vidàl a nord di Lozzo (v. Sómakuóilo, Kóilo).

 

kuór sm. (pl. kuóre) cuore, gemma, talea, generosità. Avé tànto kuór avere tanto cuore, essere molto generosi; l e n tośàto žènža kuór è un bambino senza cuore, crudele; dàme kàlke kuór de garòfol dammi qualche talea di garofano da trapiantare; escl. màre méa de kuóre, oh mamma mia, oh povero me; avé a kuór preoccuparsi; èse de bon kuór essere generosi; dim. kuoreśìn cuoricino.

 

kuóśe vb. trans. (kuóśo; kuośèo; kuośésto, kuóto) cuocere, cucinare, bollire. Béte a kuóśe dóe patàte metti a cuocere alcune patate; kuàn ke l àga kuóśe, bìča dó la farìna e fèi polènta quando l'acqua bolle, versa la farina e prepara la polenta; vàrda ke l làte no véñe a kuóśe sta attento che il latte non bolla.

kuóta sf. (pl. kuóte) innamoramento, cotta, malanno. Čapà na kuóta prendersi un malanno, prendere una cotta, innamorarsi di qualcuno; kuóto dal frédo ghiacciato, morto di freddo; me fiól se a čapòu na bèla kuóta par to nèža mio figlio si è innamorato di tua nipote.

 

kuóto agg. (pl. kuóte, f. kuóta) cotto, stanchissimo, innamorato cotto. La menèstra e kuóta la minestra è cotta; son kuóto de kéla tóśa sono innamorato pazzo di quella ragazza; a fòrža de laurà son kuóto a forza di lavorare sono stanchissimo; prov. kuóta nò, tàka si, tàka nò, kuóta si la polenta se non è cotta rimane attaccata al paiolo, se è cotta si stacca, allora vuol dire che è pronta.

 

kurà vb. trans. (kùro; kurèo; kuròu) curare, pulire prati, campi o boschi. Se te vós guarì, kùrete n tìn se vuoi guarire, curati un po'; e óra de dì a kurà i pràs è arrivato il momento di andare a ripulire i prati. In primavera infatti, dopo lo scioglimento della neve, in montagna era necessario ripulire i prati dalle ramaglie e dai sassi che si erano depositati durante l'inverno; la stessa operazione veniva fatta nelle vàre che venivano ripulite dalle erbacce (fùfe) e da ciò che era rimasto dopo i raccolti dell'autunno precedente. Kurà i faśuói ripulire i fagioli; kurà su raccogliere; kuràse su kàlke malatiàta procurarsi qualche brutta malattia; añó sésto dù a kuràte su i peduóğe? dove sei andato che ti sei riempito di pidocchi?; loc. dì a kuràsela elemosinare; dì a kuràsele andare in cerca di guai, di botte (v. netà).

 

kuràča sf. (pl. kuràče) placenta, sia di donna che di animale; fig. donnaccia. Èi bičòu via la kuràča de la vàča ho buttato via la placenta della mucca.

 

kuraréğe sm. (inv.) paraorecchie. Si tratta di una fascia di lana che viene adoperata per proteggere le orecchie dal freddo. Va su n kalònega a tòle n tìn de kuraréğe vai in canonica a prendere dal parroco un po' di netta - orecchie; espressione senza senso rivolta ai bambini che importunavano e di cui ci si voleva liberare; il gioco finiva quando il bambino si accorgeva di essere stato preso in giro.

 

kuràto sm. (pl. kuràte) parroco, pievano. Prov. ai puaréte skopetón e al kuràto sènpre pìta i poveri devono sempre mangiare aringa e il parroco invece mangia sempre pollo; era diffusa l'idea che il parroco, spesso ben messo di corporatura, mangiasse di frequente il pollo arrosto.

 

kuriós agg. (pl. kurióśe, f. kurióśa) curioso, strano. Èse kuriós essere curioso; vàrda ke patàte kurióśe guarda che strane patate, che strana forma hanno queste patate.

 

kuriośà vb. intr. (kuriośéo; kuriośèo; kuriośòu) curiosare. Tu te vàs sènpre a kuriośà dapardùto tu vai sempre a curiosare dappertutto.

 

kursór sm. (pl. kursóre) messo, cursore. Era il factotum del comune: faceva il portalettere, il messo, il vigile e la guardia campestre. Era perciò una figura rappresentativa della comunità di cui la popolazione aveva un certo rispetto e timore (v. skursór).

 

kùrta sf. (pl. kùrte) scorciatoia. Čàpa la kùrta se te vós ruà ñànte prendi la scorciatoia se vuoi arrivare prima; fèila kùrta falla corta, non parlar tanto per niente; dì pa le kùrte andare per le spicce; loc. prèdika kùrta, lugànege lònge predica corta, salcicce lunghe, fatti non parole. Le kùrte formano una rete di sentieri, in gran parte ancor oggi percorribili, che permettono di evitare molti tornanti della strada carrabile. Si tratta di sentieri, ma anche mulattiere o tratturi larghi fino a due metri, che permettono di abbreviare il percorso tagliando i tornanti. In discesa, vengono percorsi a piedi o con piccoli carichi, slitte di fieno, fascine di legna, tronchi. Le kùrte venivano sistemate a regola d'arte, con muretti di scarpa e controscarpa. Lungo la strada inoltre veniva preparata sempre una piccola scalinata in pietra all'imbocco della Kùrta, quando questo era un sentiero, o comunque dei sentieri che davano accesso ai segativi posti lungo il percorso. Nella maggior parte dei casi si tratta della vecchie mulattiere che conducevano alla vecchia casera di Sorakrépa, a Pian dei Buoi, e che veniva percorsa prima che si costruisse la strada militare .

 

kùrto agg. (pl. kùrte, f. kùrta) corto, breve. Késta karpéta e kùrta: se te véde l kuràto questa gonna è corta: guai a te se ti vede il parroco; l a avù na vìta kùrta ha avuto una vita breve.

 

kusinéto sm. (pl. kusinéte) portaspilli. Kuàn ke te as fenìu de kośì, béte la buśèla sul kusinéto, se no kalkedùn se pónde quando hai finito di cucire, appunta l'ago sul portaspilli altrimenti qualcuno si può pungere.

 

Kùti sf. (nome) ipoc. di Francesca. Nène Kùti zia Francesca.

 

kùž sm. (inv.) giaciglio. E óra de dì a kùž è ora di andare a dormire (v. kùča).

 

kùža, kùča sf. (pl. kùže, kùče) cuccia, giaciglio. Va a kùža parkè domàn te as da levà bonóra vai a letto perché domani devi alzarti presto; la kùža del čàn la cuccia del cane; fèi kùža, se nò te le čàpe fai cuccia, mettiti buono, altrimenti le prendi. La kùža era anche la piccola nicchia scavata con le mani nel fascio di fieno o nel lenžuó per appoggiare la testa e quindi portare il carico con le spalle e con minor fatica (v. kùča).

 

kužàse vb. rifl. (me kùžo; kužèo; kužòu) accucciarsi, accovacciarsi. Me kùžo n tìn parkè son stràka mi siedo, mi riposo un po' perché sono stanca; dì a kužàse andare a letto (v. kučàse, kufàse).

 

kužažénder sm. (inv.) chi sta sempre seduto attorno al focolare, fannullone, rammollito. Te ses l sòlito kužažénder sei il solito fannullone.

 

kùžo sm. (pl. kùže) cuccia. Loc. dì a kùžo andare a cuccia, andare a dormire (v. kùž).

 

kužòu agg. (pl. kužàde, f. kužàda) accucciato, accovacciato. Spesso l'aggettivo è rinforzato dall'avverbio dó: kužòu dó accucciato, steso per terra, appostato.

 

 

 

 

 

eof (ddm 02-2009)