Dizionario della gente di Lozzo - La parlata ladina di Lozzo di Cadore

dalle note del prof. Elio del Favero  - a cura della Commissione della Biblioteca Comunale

prefazione del prof. Giovan Battista Pellegrini  

 

Comune di Lozzo di Cadore - il seguente contenuto, relativo all’edizione 2004 del Dizionario,  è posto online con licenza Creative Commons attribuzione - non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia, il cui testo integrale è consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode. Adattamento dei testi per la messa online di Danilo De Martin per l’Union Ladina del Cadore de Medo. Per ulteriori approfondimenti è a disposizione la home page del progetto “Dizionario della gente di Lozzo” alla quale si deve fare riferimento per le regole di trascrizione fonetica utilizzate in questo progetto. Il presente file è pre-formattato per la stampa in A4.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

 

fabiśuói, fabeśuói sm. (inv.) fabbisogno, necessario. Tòle su l fabiśuói e va a seà prendi tutti gli attrezzi necessari e va a falciare l'erba; no sta piurà, te as sènpre avù dùto l to fabiśuói non lamentarti, hai sempre avuto tutto quello di cui avevi bisogno.

 

fàbrika sf. (pl. fàbrike) fabbrica, opificio, edificio. Sta fàbrika e pròpio bèla questo edificio è davvero bello; serà fàbrika chiudere bottega; to pàre a lauròu n grùmo de ane n fàbrika tuo padre ha lavorato per parecchi anni in fabbrica.

 

fabrikà vb. trans. (fabrikéo; fabrikèo; fabrikòu) fabbricare, costruire. Il verbo si riferisce soprattutto alla costruzione delle case. I tuói a fabrikòu kuàn ke i se a maridòu i tuoi genitori si sono costruiti la casa quando si sono sposati; ànke ó dovaràe fabrikà anch'io dovrei costruirmi la casa (v. fèi sù).

 

fabrižiér sm. (inv.) fabbriciere, amministratore di beni ecclesiastici.

 

fabrižierìa sf. (pl. fabrižerìe) fabbriceria, amministrazione dei beni della parrocchia. Ki élo kel òn la? kel e kel ke sta davòi la fabrižerìa chi è quell'uomo? quello è colui che amministra i beni della parrocchia.

 

fadìa sf. (pl. fadìe) fatica. L a vivésto sènpre n mèdo a le fadìe è sempre vissuto nella fatica, ha sempre lavorato; siénto le fadìe n te i òs le ossa mi dolgono dalla stanchezza; prov. mànko fadìa se fa, pì polìto se sta meno si lavora, più si guadagna in salute (v. strùsie).

 

fadià, sfadià vb. intr. (fadiéo; fadièo; fadiòu) faticare, affaticarsi. No sta fadià tànto parkè fa distéso non affaticarti tanto, perché non ne vale la pena.

 

fadiós agg. (pl. fadióśe; f. fadióśa) faticoso, difficile. Fèi n laóro fadiós fare un lavoro faticoso.

 

Faé sm. (top.) Località a nordest di Lozzo, è il punto da cui parte il principale acquedotto del comune di Lozzo.

 

fagèr, fagèra sf. (pl. fagère) faggio (bot. Fagus sylvatica). Il legno di faggio viene impiegato principalmente come legna da ardere; le foglie invece, fòia, venivano utilizzate per le lettiere del bestiame. Dai tronchi diritti e senza nodi si ricavavano i manici per gli attrezzi agricoli (rastrelli, picconi e altro) nonché suppellettili e posate. Anche i audìn delle luóide venivano ricavati dal legno di faggio, non molto grossi e spesso curvati naturalmente. Bóre de fagèra tronchi di faggio; śbrége de fagèra legna di faggio da ardere; viene sezionata longitudinalmente in diverse parti con le pèndole perché si secchi più velocemente (v. véspola).

 

fageréido sm. (pl. fageréide) bosco di faggi. Élo ñànke n bèl fageréido ke te as su n Rònkole? hai davvero un bel bosco di faggi a Roncole .

 

fagotà vb. trans. (fagotéo; fagotèo; fagotòu) imbrogliare, abbindolare, coprire, avvolgere. Sta òta te me as fagotòu questa volta mi hai imbrogliato; fagotéa su kel pùpo avvolgi bene quel bimbo.

 

fagotèi agg. (pl. fagotièi, f. fagotèra, pl. fagotère) imbroglione. To bàrba e sènpre stòu n fagotèi, ma ànke to nène l e darión na fagotèra tuo zio è sempre stato un imbroglione, ma anche tua zia spesso imbroglia.

 

fagòto sm. (pl. fagòte) fagotto, imbroglio. Fèi fagòto fare fagotto, partire, ma anche morire; fèi fagòte imbrogliare.

 

fàia sf. (pl. pl. fàe) faggiola, frutto contenente il seme del faggio. Il seme del faggio viene mangiato dagli scoiattoli. Le śgiràte màña le fàe gli scoiattoli si nutrono di semi di faggio.

 

fàier, fàer sm. (inv.) fuoco. Dal tedesco “das Feuer”; fàžo dùto n fàer brucio tutto, distruggo ogni cosa.

 

fàit sf. (inv.) lotta. Dall'inglese “fight”, probabilmente il termine si rifà alla voce americana in uso presso gli emigranti in America o in Australia. Dugà al fàit giocare alla boxe.

 

falà vb. intr. (fàlo; falèo; falòu) sbagliare, commettere errori. Sta òta te as falòu questa volta hai sbagliato; falà l bus de la čàve sbagliare ad introdurre la chiave nella toppa (per gli effetti dell'alcool); kéla tóśa a falòu quella ragazza si è lasciata sedurre; prov. ki ke no fa, no fàla chi non lavora non sbaglia; prov. ki ke fàla de màn, pàga de bórsa chi rompe paga; l sol fàla la kròda l'espressione si riferisce al momento in cui il sole passa sopra la Kròda de l Medodì, alza quindi la sua traiettoria e indica l'arrivo della bella stagione (v. śbalià).

 

falaròto sm. (pl. falaròte) errore, sbaglio. Fèi n falaròto fare un errore nel lavoro a maglia; sto lenžuó a n falaròto il lenzuolo ha una trama irregolare.

 

fàlda sf. (pl. fàlde) grembiule da cucina e da lavoro, falda del tetto. Bétete la fàlda e va a lavà dó i piàte mettiti il grembiule e va' a lavare i piatti; dim. faldìna grembiule da scuola per i bambini.

 

faldón sm. (pl. faldói) grembiulone da lavoro; faldón de la karpéta piega della gonna.

 

falì vb. trans. e intr. (falìso; falìo; falìu) fallire, sbagliare. Falì l kólpo sbagliare il colpo.

 

falìsa sf. (pl. falìse) favilla, fig. pezzetto, fettina, piccolo fiocco di neve. Le falìse va su pal kamìn le faville salgono lungo il camino; tènti ke le falìse no te brùśe l vestì stai attenta che le faville non brucino il vestito; na falìsa de pàn una fettina di pane (v. sfalisà).

 

falisà vb. intr. (faliséa; falièa; falisòu) nevicare leggermente. Nkuói a falisòu dùto l dì oggi è nevicato per tutta la giornata.

 

Falìse sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

falìu agg. (pl. falìde, f. falìda) fallito, rovinato. L a risčòu e l a falìu ha rischiato ed è fallito.

 

fàlo sm. (pl. fàle) errore, sbaglio. Loc. žènža fàlo sicuramente; veñarèi žènža fàlo verrò sicuramente; te èi čapòu n fàlo ti ho colto con le mani nel sacco.

 

falòpa sf. (pl. falòpe) bugia, frottola. No sta kontà falòpe non raccontare bugie.

 

falopèi agg. (inv.) bugiardo. To fiól e n falopèi tuo figlio è un bugiardo.

 

falós agg. (pl. falóśe, f. falóśa) falloso, difettoso. Čave falóśa chiave difettosa.

 

fàlso agg. (pl. fàlse, f. fàlsa) falso, imbroglione, insicuro. Fàlso ke no te sés àutro non sei altro che un bugiardo; fèi kàrte fàlse imbrogliare; al fàlso del pè l'arco del piede.

 

fàme sf. (inv.) fame, appetito. Se te as fàme, màña n tokéto de pàn e na skàia de formài se hai fame mangia un pezzetto di pane e un po' di formaggio; lòngo kóme l an de la fàme lungo come l'anno della fame, ossia l'anno dell'occupazione tedesca dopo Caporetto (1917-18); prov. l amór fa fèi biéi sàute, ma la fàme li fa fèi nkóra pì àute l'amore fa fare grandi salti, ma la fame li fa fare ancora più alti; prov. kónža pì la fàme ke l botìro condisce più la fame che il burro, oppure, la fàme e l mèo konžiér de sto mondo la fame è il miglior condimento di questo mondo, quando cioè si ha fame qualsiasi cosa, condita o meno, va bene.

 

faméa sf. (pl. famée) famiglia. L e de bòna faméa è di buona famiglia. I membri della famiglia sono: al pàre il padre; la màre la madre; al nòno il nonno; la nòna la nonna; al biśnòno il bisnonno; la biśnòna la bisnonna; al biśàvol l'antenato; la biśàvola l'antenata; al fiól il figlio; la fìa la figlia; la nòra la nuora; al dènero il genero; al mesiér il suocero; la madòna la suocera; al bàrba lo zio; la nène la zia; al kuñòu il cognato; la kuñàda la cognata; al neódo il nipote; la neóda, nèža la nipote; al fiòžo il figlioccio; la fiòža la figlioccia; al fardèl il fratello; la suó la sorella; al darmàn il cugino; la darmàna la cugina; al sàntol il padrino; la sàntola la madrina; al parìño il patrigno; la marìña la matrigna. Fiól de faméa minorenne; pàre de faméa padre di famiglia, chi dimostra attaccamento alla propria famiglia. Te sés pàre de faméa, e óra de béte la tèsta a pósto sei padre di famiglia, è tempo quindi di mettere la testa a posto; béte su faméa sposarsi; fèi faméa mettere al mondo figli; dim. fameùta; accr. fameóna; dispr. fameàta.

 

faméi sm. (inv.) servitore. Ki ke e sióre a faméi i ricchi hanno servitori.

 

fañàn agg. (pl. fañàne, f. fañàna) fannullone, poltrone. Ka e dùte fañàne qui sono tutti fannulloni.

 

fanèla sf. (pl. fanèle) flanella. Tessuto di lana morbido e caldo adatto a far maglie, corpetti, mutande e lenzuola invernali. Se te vós sta čàudo, tìra su la màia e le mudànde de fanèla se vuoi stare caldo indossa maglia e mutande di flanella.

 

fanfàra sf. (pl. fanfàre) fanfara. Al dì de San Laurènžo n piàža i sòna la fanfàra il giorno di San Lorenzo in piazza suona la fanfara.

 

fanganèl sm. (pl. fanganiéi) fanello (zool. Cardelius cannabina).

 

fànte sm. (inv) fante, carta da gioco. Dì a bàte l fànte andare all'osteria a giocare a carte.

 

fantìa sf. (inv.) farneticare, perdere lucidità, andar via con la fantasia. Usato in forme del tipo di a la fantìa farneticare; al nòno va a la fantìa il nonno farnetica, comincia a non esser più lucido.

 

fantolìn sm. (pl. fantolìne) piccolo bambino.

 

fàr sm. (solo sing.) modo di fare, contegno, comportamento. Avé n bèl fàr avere un atteggiamento gentile; avé n brùto fàr avere un contegno scortese; avé n faràto avere un modo volgare di comportarsi.

 

fardèl sm. (pl. fardiéi) fratello. L a tré fardiéi e dóe suós ha tre fratelli e due sorelle; salùda to fardèl saluta tuo fratello; prov. fardèl, gortèl oppure fardiéi, gortiéi oppure pàn de fardèl, pàn de gortèl l'inimicizia tra fratelli è spesso la peggiore.

 

farfolà vb. trans. (farfoléo; farfolèo; farfolòu) mangiucchiare, mangiare continuamente. To nène farfoléa sènpre tua zia mangiucchia di continuo.

 

farfuià vb. intr. (farfuiéo; farfuièo; farfuiòu) farfugliare, borbottare, balbettare. Pàrla čàro, no sta farfuià parla chiaro, non farfugliare.

 

farìna sf. (pl. farìne) farina. Farìna biànka farina di frumento, farina bianca da pane (bot. Triticum aestivum / hibernum estivo/invernale); farìna dàla de sórgo farina di granoturco, mais, farina gialla da polenta (bot. Zea mais); farìna de siàla farina di segale (bot. Secale cereale); farìna de paiàn farina di grano saraceno, farina grigia (bot. Fagopyrum esculentum); se te me kàpite sóte, fàžo farìna de te se mi capiti a tiro, ti riempio di botte; ñànke tu no te sés farìna da fèi òstie neppure tu sei senza colpe; prov. mèo èse žènža farìna, ke žènža léñe è meglio patire la fame piuttosto che patire il freddo.

 

farinèla sf. (pl. farinèle) uva d'orso, uva ursina, (bot. Arctostaphylos uva-ursi).

 

farinós agg. (pl. farinóśe, f. farinóśa) farinoso. Stan le patàte le e dùte farinóśe quest'anno le patate sono tutte farinose.

 

farsóra sf. (pl. farsóre) padella, tegame. Kuóśeme na farsóra de garniéi preparami un tegame di pop-corn; al se a mañòu na farsóra ntiéra de patàte si è mangiato un intero tegame di patate.

 

farsorìn sm. (inv.) tegamino per fare il caffè, piccolo tegame per preparare il soffritto. Élo nkóra n tin de kafè nte l farsorìn? è rimasto ancora un po' di caffè nel tegamino?; èse négro kóme n farsorìn essere molto sporco, avere la faccia annerita.

 

fàs sm. (inv.) fascio. N fàs de fién un fascio di fieno; fèi de òñi èrba n fàs fare di ogni erba un fascio, trattare tutti egualmente; nte kéla čàśa le deśgràžie vién a fàs in quella casa le disgrazie capitano tutte insieme; fèi dùto n fàs fig. distruggere tutto quello che si ha davanti.

 

fàsa sf. (pl. fàse) fascia, benda, pannolino da neonati. Sta fàsa leàda l e strénta e la me fa mal questa fascia stringe e mi fa male; prov. bèl n fàsa, brùto n piàža bello in fasce, brutto da adulto; prov. su mal pìžol, fàsa grànda su male piccolo fascia grande, è meglio trovarsi nell'abbondanza che trovarsi nella penuria.

 

fasà vb. trans. (fàso; fasèo; fasòu) fasciare, bendare. Fàsete sto déido se nò te vién n panarìžo fasciati questo dito, altrimenti ti viene un giradito; prov. ki ke a mal, se fàse ognuno pensi prima a curare se stesso e poi pensi agli altri.

 

fasadùra sf. (pl. fasadùre) fasciatura. Késta mò, e na bèla fasadùra questa sì che è una fasciatura ben fatta.

 

fasèl sm. (pl. fasiéi) fascetto, piccolo fascio. Tòle su n fasèl de rìsče e npìža fuóu prendi un fascetto di rimasugli di legno e accendi il fuoco; n fasèl de bakéte un piccolo fascio di rametti.

 

fasèra sf. (pl. fasère) fascia per contenere il formaggio appena fatto. È la fascia fatta di legno, che si può stringere a piacere, all'interno della quale viene messa la pasta di formaggio appena estratta dalla caldaia. La pasta viene poi salata e si stabilisce la dimensione opportuna della pèža de formài (v. skàtol, làte).

 

faséta sf. (pl. faséte) fascetta del collo della camicia da uomo. Sta faséta e màsa strénta: okóre ślargàla questa fascetta è troppo stretta: bisogna allargarla.

 

fasìna sf. (pl. fasìne) fascina. Fascio di frasche di faggio o di altro tipo di legna da ardere, fig. rotella del cervello. Fèi fasìne fare fascine; na fasìna de spìne de làris una fascina di rami secchi di larice; loc. késta e na fasìna mal leàda questo è un fascio di legna mal legato, detto di tutto ciò che è mal fatto per imperizia o faciloneria; no l a dùte le fasìne a kuèrto sragiona; i mànča kàlke fasìna gli manca qualche rotella del cervello .

 

Fasìne sm. (nome) nomignolo di famiglia.

 

faśolù sm. (inv.) ciò che rimane della pianta secca del fagiolo dopo averla battuta col correggiato. Il faśolù veniva dato in pasto alle mucche quando avevano poco latte. Béte l faśolù nte čanà de la vàča metti il faśolù nella mangiatoia della mucca.

 

fastìde sm. (inv.) buona volontà, impegno, preoccupazione, noia. L e pién de fastìde è pieno di impegni; stà kon fastìde stare in apprensione, in ansia; me fa fastìde sono molto infastidito, fig. mi viene da vomitare; òñi dì e kàlke fastìde ogni giorno c'è qualche preoccupazione; te me fas fastìde mi disturbi, mi dai noia, mi irriti.

 

fastidiós agg. (pl. fastidióśe, f. fastidióśa) fastidioso, preoccupato, annoiato. Kél tośàto e fastidiós, l a d avé la fióra quel bimbo è irrequieto, deve avere la febbre; le mosìte e fastidióśe, te vedaràs kuànto ke l sta ke l pióve i moscerini pungono con insistenza, vedrai che presto pioverà; parkè sésto sènpre kosì fastidiós? perché sei sempre così indaffarato, così preoccupato?

 

faśuól sm. (pl. faśuói) fagiolo. Èi mañòu menèstra de faśuói ho mangiato minestra di fagioli; béte n biàndo i faśuói metti in ammollo i fagioli; deskośolà i faśuói sgusciare i fagioli; bàte i faśuói kól batadói battere i fagioli con correggiato a mano; le mèle dei faśuói i baccelli dei fagioli; faśuól žinkuantìn tipo di fagiolo che raggiunge la maturazione dopo 50 giorni; loc. i faśuói é la kàrne dei puaréte i fagioli sono la carne dei poveri; infatti la carne veniva consumata molto di rado.

 

fàta sf. (pl. fàte) modo. De sta fàta, perdarón dùto in questo modo, perderemo tutto; n òn de sta fàta un uomo di grande personalità.

 

fatéža sf. (pl. fatéže) sembianza, fattezza, aspetto. L a na bèla fatéža ha un bell'aspetto.

 

fàto sm. (pl. fàte) fatto, azione. Sto fàto no me piàśe nùia quest'azione non mi garba; dì pai fàte suói andare per i fatti propri; fèise i fàte suói farsi i fatti propri; da dìto l fàto l se a betù a neveà improvvisamente è cominciato a nevicare; loc. kél fàto ke l e dù ecco perché se ne è andato; fàto sta ke... sta di fatto che...; mànko čàčere e pì fàte meno chiacchiere e più fatti (v. nkelfàto ke).

 

fàto agg. (pl. fàte, f. fàta) maturo. Se te màñe póme ke no e fàte, te vién mal de pànža se mangi mele acerbe, ti viene mal di pancia; la e bèlo na tóśa fàta è ormai una ragazza matura.

 

fatùra sf. (pl. fatùre) imbroglio, uccisione. Disimpegnare un lavoro che stava a cuore. Èra n pèžo ke dovèo fèi la fatùra al kamìn era da molto che desideravo pulire la canna fumaria. E pròpio na bèla fatùra è proprio una cosa fatta bene; te me as konbinòu pròpio na bèla fatùra mi hai combinato proprio un bell'imbroglio; loc. fèi la fatùra uccidere; nkuói èi fàto la fatùra al ğàl oggi ho ucciso il gallo; i a fàto la fatùra lo hanno ammazzato.

 

faturòu agg. (pl. faturàde, f. faturàda) sofisticato, alterato. Sto vin e faturòu questo vino è alterato.

 

fàu, fàuž sf. (inv.) falce. Bàte la fàu ko le batadóire rifare il filo della falce con le batadóire; gužà la fàu ko la kóde affilare la falce con la cote; fig. kéla de la fàu la morte.

 

faučà sm. (pl. faučàs) manico della falce. Si tratta di un bastone lungo circa un metro e mezzo, fornito di due impugnature ricurve (žòkole), di un anello (giéra) e di un piccolo cuneo (kói) che serve per tenere ferma la falce. No e kólpa del faučà, ma del soramànego non è colpa della falce, ma del falciatore, l'espressione viene usata contro l'artigiano poco abile che attribuisce la responsabilità di un lavoro mal riuscito agli attrezzi invece che alla propria incapacità.

 

faučàda sf. (pl. faučàde) falciata. E ruón de seà nkóra dóe faučàde ancora due falciate e poi ho finito di falciare il prato (v. andèi).

 

fàula sf. (pl. fàule) seduta, riunione, adunanza per affari di pubblica amministrazione. Faula o favola era la Règola convocata in assemblea, di solito tre volte all'anno, “senza comandamento” e in via straordinaria “al triplice suono della campana”. I luoghi per le riunioni erano anticamente la piazza Da Rin a Pròu, piazza detta dele Fàule, e più recentemente nel Paveón a Mezzavilla o ancora, più recentemente, presso la sede del Comune.

 

Fàuria sf. (nome) località a sud di Lozzo vicino al paese e al cimitero.

 

fàuro sm. (pl. fàure) fabbro. Pòrta l pikón dal fàuro ke l i fàže la pónta porta il piccone al fabbro affinché gli affili la punta.

 

Fàuro sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Faurùto sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

fàva, fàa sf. (pl. fàve, fàe) fava (bot. Vicia faba). Menèstra de fàve o de fàe minestra di fave.

 

favéta sf. (pl. favéte) castagnola fritta. Màre, domàn e l ùltimo di de Karnavàl, faśéme dóe favéte mamma, domani è l'ultimo giorno di carnevale, preparatemi un po' di castagnole.

 

favór sm. (pl. favóre) piacere, favore. Solo nella loc. avé par favór essere grati, gradire.

 

favorì vb. trans. (favorìso; favorìo; favorìu) favorire, aiutare. Èi fàto dùto žènža èse favorìu da nisùn ho fatto tutto senza essere appoggiato da nessuno.

 

fàža sf. (pl. fàže) viso, cipiglio. Te as na bèla fàža, va là! hai davvero un bel coraggio; n fàža de ... di fronte a ...

 

fažàda sf. (pl. fažàde) faccia, facciata di una casa. Śbiankedéa almànko la fažàda de la to čàśa imbianca almeno la facciata della tua casa; te as dùta la fažàda spórka hai tutta la faccia sporca (v. mostàž).

 

fažènda sf. (pl. fažènde) faccenda, lavoro di casa. Fèise le so fažènde sbrigare le proprie faccende, i propri interessi.

 

fàžil, fàžile agg. (inv.) facile. E fàžil ke l véñe è possibile che venga; no e na ròba fàžile non è una cosa facile; tu te fas dùto fàžil tu ritieni tutto facile da realizzare.

 

fažilità vb. trans. (fažilitéo; fažilitèo; fažilitòu) facilitare, favorire. To pàre me a fažilitòu kuàn ke èi konpròu l luogo su a Vialóna tuo padre mi ha favorito molto quando ho acquistato il terreno a Vialóna.

 

fažilitón agg. (pl. fažilitói, f. fažilitóna, pl. fažilitóne) superficiale, facilone. Te sés sènpre l sòlito fažilitón sei sempre il solito facilone.

 

fažilitòu agg. (pl. fažilitàde, f. fažilitàda) facilitato, favorito. Pì fažilitòu de kosì no se po èse è impossibile essere più favorito di così.

 

fažoléto sm. (pl. fažoléte) fazzoletto. Fazzoletto da testa, fazzoletto da naso, fig. piccolo pezzo di terra da coltivare o da falciare. Kél la no frùa žèrto fažoléte, l a sènpre l sñarìko de lòngo quello non consuma certo fazzoletti, ha sempre il naso sporco; èi semenòu n fažoléto de salàta ho seminato un piccolo quadrato di terra a insalata.

 

fé, féde sf. (inv.) fede. No te a ñànke la féde dei bói kostùme non hai neanche la fede nei buoni costumi, sei impertinente; si, la fé santa davvero, è proprio così,

 

febràro sm. (solo sing.) febbraio. Dùte i febràre no e konpài tutti i mesi di febbraio non sono freddi allo stesso modo; prov. febrarùto pèdo de dùte febbraio cioè, pur essendo il mese più breve dell'anno, è il peggiore di tutti dal punto di vista climatico; prov. kandelòte de febràro, néve de màržo ghiaccioli in febbraio, neve in marzo, rispetto a febbraio, marzo è meno freddo.

 

féda sf. (pl. féde) pecora. N čàpo de féde un gregge di pecore; le féde begaréa le pecore belano; te somée na féda hai i capelli in disordine come il vello delle pecore; loc. te sés na féda dici sempre di sì, sai solo obbedire, espressione rivolta a chi non ha personalità; sesto bón de tondì le féde? sei capace di tosare le pecore? espressione rivolta a chi non ha personalità; féda malgóna pecora da latte, pecora da malga.

 

féda sf. (pl. féde) feda. Unità di misura per il latte: se si tratta di latte di mucca la féda corrisponde a circa un téržo de bòža, se invece si tratta di latte di capra, la féda corrisponde a un kuìnto de bòža. Secondo altri la féda corrisponde a 311 cc. (circa 1/3 di litro), ma per il latte di capra vale 466 cc. (circa 2, 1/5 di litro). Quando veniva fatta la misurazione del latte sotto il controllo del kuétro, tutte le misure eccedenti i 100 grammi, o suoi multipli, spettavano al parroco. Nprésteme na féda de làte ke èi da fèi pestariéi prestami una féda di latte, perché devo preparare i pestariéi.

 

fedà vb. intr. (féda; fedèa; fedòu) montata del latte per la pecora. Fig. mettere al mondo un agnello. l a skominžiòu a fedà la pecora ha cominciato a dar latte.

 

Fedaròla sf. (nome) località a nordest di Lozzo lungo il sentiero del Čavalón che conduce a Čanpivièi.

 

fedél agg. (pl. fedéle, f. fedéla) fedele. Èse fedél a la faméa essere fedele alla propria famiglia.

 

fedelìne, fedelìni sm. (solo pl.) capelli d'angelo. Pasta dal formato sottile e lungo; nkuói la màre ne a parečòu menèstra de fedelìne oggi la mamma ci ha preparato minestra con capelli d'angelo.

 

fedèra sf. (pl. fedère) ovile. Dal termine hanno origine i toponimi Fedèra vèča e Vèrtafedèra.

 

fedùžia sf. (solo sing.) fiducia. No èi mai vu fedùžia nte kel tośàto non ho mai avuto fiducia di quel ragazzo.

 

fèfa sf. (pl. fèfe) gentaglia. To fiól va n ğìro kon de kéle fèfe tuo figlio vagabonda con della gentaglia (v. dentàia).

 

fèfo sm. (inv.) brutta faccia, cipiglio. L avèa n fèfo da fèi paùra aveva un cipiglio da far paura; loc. teñì fèfo ribattere, tener testa; to fiól te tién sènpre fèfo tuo figlio ti ribatte sempre (v. žiribèkol).

 

fegùra sf. (pl. fegùre) figura, aspetto, fig. persona scaltra. Élo ñànke na bèla fegùra de òn guarda che bell'aspetto ha quell'uomo; te as fàto pròpio na bèla fegùra hai fatto proprio una bella figura, detto anche in tono ironico; loc. té sés na fegùra stražàda sei una canaglia.

 

fegurà, feguràse vb. intr. e rifl. (me feguréo; fegurèo; feguròu) figurare, apparire, immaginare. Le dùto la fegùra de so pàre in ogni cosa somiglia a suo padre; fegùrete ki ke èra l ladro immaginati chi era il ladro.

 

fèi vb. trans. (fàžo; faśèo; faśésto, fàto) fare, agire, partorire. Fèi n karéto costruire un carretto; fèi polìto nte la vita agire bene nella vita; la vàča a da fèi la mucca deve partorire; fèi su n tabià costruire un fienile; fèi su lugànege insaccare le salcicce; fèi ùśo abituarsi a qualcosa; fèise sóte farsi sotto; loc. a fèi kè laurà n grùmo? perché lavorare tanto?; no sta fèi ùśo tienilo per te, non spifferare quel che dico, conto sulla tua segretezza; fèi baronàde commettere monellerie, sotterfugi; fèi na ròba a la vatečàva fare le cose alla meno peggio; fèi le ròbe a tu me la pagerài fare le cose senza impegno, cioè male; la n bèl da fèi ha un bel daffare; fèi finta fingere; ko fa l diéśe de sto més quando sarà il 10 di questo mese; fèi dì far giorno, albeggiare; fèi nuóte far notte, imbrunire; fèi bèl far bel tempo; fèi brùto far brutto tempo; tànto fa, ke faśèa si dice così a chi fa qualcosa che aveva già fatto in precedenza oppure a chi compie un'azione del tutto inutile; ki la fa, la spiéte chi la fa l'aspetti, chi commette una cattiva azione, aspetti di riceverne una di ricambio; fèi su le piànte sezionare gli alberi abbattuti, scortecciarle; prov. ki ke fa, fàla chi agisce può anche sbagliare, oppure ki ke no fa, no fàla chi non agisce, non sbaglia; prov. se no se pó fèi kóme ke se vó, okóre fèi kóme ke se pó se non si può fare come si vuole, bisogna fare come si può; prov. kuàn ke se fa, se čàta quando si fa, cioè si realizza e si mette da parte qualche cosa, al momento oppartuno diventa utile.

 

félpa sf. (solo sing.) indumento di lana infeltrita.

 

Feluói, Filuói sm. (top.) zona agricola a sud del paese vicino all'ultimo tratto dell'attuale lago del Centro Cadore.

 

fémena sf. (pl. fémene) donna, moglie. La me fémena mia moglie; ròba da fémene cosa da donne; prov. e la fémena ke fa la čàśa è la donna che tiene in piedi una casa o la manda in rovina; prov. al tènpo e a le fémene no si komànda al tempo e alle donne è impossibile comandare; prov. na fémena par čàśa, na kùča par sàko, na čàura par čanà una donna in ogni casa, una noce nel sacco, una capra per mangiatoia; prov. tìra pì n péilo de fémena ke na kùbia de čavài il fascino di una donna può più di una coppia di cavalli; prov. la fémena fa dóe òte pì de n òn la donna ha una resa che è il doppio di quella dell'uomo, perché lavora fuori casa e a casa; prov. mèo nase čàura ke fémena meglio nascere capra che donna; prov. nè fémena nè téla al čàro de kandéla né moglie, né tela si debbono scegliere al lume di candela; prov. le fémene a i čavéi lònge, ma n žarvèl kurto le donne hanno i capelli lunghi, ma il cervello piccolo; dispr. femenàta; kéla la le sènpre stàda na femenàta quella donna è sempre stata una donna poco seria; dim. femenùta; to fìa e bèlo na femenùta tua figlia è ormai una piccola donna per il suo modo di comportarsi e di pensare.

 

fenèi sm. (inv.) fienile (v. fienèi).

 

fenèstra sf. (pl. fenèstre) finestra. Làva i viére de le fenèstre lava i vetri delle finestre.

 

fenì, fenìl sm. (inv.) botola del fienile. La mattina e la sera dal fenì si gettava il fieno nella greppia o nella mangiatoia delle mucche (v. grépia, čanà).

 

fenì, finì vb. trans. (fenìso; finìso, fenìo, finìo; fenìu, finìu) finire, terminare. Ñante fenìse de lavà do e daspò te puós dì a spàso prima finisci di lavare i piatti e poi sei libera di andare a spasso; l e fenìu kóme ke l a vivésto è morto così come è vissuto; fenì i ane compiere gli anni; fenì fòra dùto dar fondo a tutto, dilapidare ogni cosa, mangiare tutto.

 

fenìda, finìda sf. (pl. finìde) termine. Èse pa la fenìda essere quasi alla fine di un lavoro, essere in procinto di ultimare un lavoro, essere ormai giunti alla fine della vita.

 

fenośomìa sf. (pl. fenośomìe) fisionomia, aspetto. Avé na bèla fenośomìa avere un bell'aspetto; avé fenośomìa de... ricordare nei tratti del viso qualcuno; la tó fenośomìa no me e nuóva: de ki sesto? la tua fisionomia non mi è nuova: di chi sei figlio? (v. fruśomia).

 

fèr sm. (inv.) ferro, attrezzo. Filo de fèr filo di ferro; fèr da čàuža ferro da calza; fèr de čavàl ferro di cavallo; fèr da bàrba rasoio e lametta; fèr da sopresà ferro da stiro; fèr da señà ferro per segnare i tronchi; fèr da meśurà calibro per misurare i tronchi a once o a centimetri; fèr da fién lunetta per tagliare il fieno; fèr da rižòte ferro per farsi i riccioli; i fèr de l mestiér i ferri, gli attrezzi del mestiere .

 

fèr da dimàn sm. (inv.) attrezzo da falegname.

 

fèr da piante sm. (inv.) attrezzo impiegato nel bosco per direzionare la caduta della pianta. L fèr da piante se a čapòu sóte la tàia il ferro per i tronchi è rimasto impigliato sotto il tronco .

 

feràda sf. (pl. feràde) orma, impronta sulla neve. Dì davòi la feràda seguire le orme lasciate sulla neve.

 

feràl sm. (pl. ferài) lanterna. Tòle su l feràl e va nte stàla a guernà prendi la lanterna e va nella stalla a governare le bestie. Il feràl era una lanterna quadrangolare a vetri che conteneva una candela e veniva usata per andare nelle stalle. Quella posta dietro il carro come segnale era invece a olio oppure a petrolio. Vengono chiamate ferài anche le lanterne di ottone, di diverse forme, che vengono montate su lunghi bastoni e portate in processione. Prov. fa pì lùstro n feràl davànte ke n fogarón davòi vale più un piccolo aiuto oggi, che un aiuto più grande dato domani; loc. di a portà l feràl andare ad una processione o ad un funerale a portare il feràl; no okóre l feràl esclamazione rivolta a persona che si alza tardi dal letto; fig. n feràl de vin un fiasco di vino (v. lantèrna).

 

feràža sf. (pl. feràže) ferro vecchio. Di a vénde la feràža andare a vendere il ferro vecchio; ka e dùto feràža qui non c'è niente di buono.

 

feréto sm. (pl. feréte) uncinetto, piccolo ferro, ferro da maglia. Laurà a feréto lavorare ad uncinetto; feréte da skàrpe erano i due ferri a quattro punte acuminate che d'inverno venivano inchiodate sotto il tacco delle scarpe per evitare di scivolare sul ghiaccio; feréto de la kośìna ferro per rimuovere i cerchi della cucina economica (v. ğažìn).

 

ferì, ferìse vb. trans. e rifl. (ferìso; ferìo; ferìu) ferire. La vàča se a ferìu sóte l žòkol la mucca si è ferita allo zoccolo.

 

feriàda, firiàda sf. (pl. feriàde) grata in ferro battuto per la finestra. Le fenèstre de kéla čàśa a bèle feriàde le finestre di quella casa hanno belle inferriate.

 

ferìda sf. (pl. ferìde) ferita. Al se a fàto na ferìda nte la màn si è procurato una ferita alla mano.

 

Ferìno sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

Ferìno sm. (nome) ipoc. di Zefferino.

 

fermà, fermàse vb. trans. e rifl. (me férmo; fermèo; fermòu) fermare, arrestarsi. Se no te vós rónpete l čòu, fèrmete se non vuoi romperti la testa, fermati.

 

fermài sm. (pl. fermàlie) fermaglio, spilla. Se te stas bòna, l di de San Laurènžo te konprarèi n fermài se ti comporterai bene, il giorno di San Lorenzo ti comprerò un fermacapelli (v. pontakòtole).

 

férmo agg. (pl. férme, f. férma) fermo. Sta férmo se te puós stai fermo se sei capace, un'espressione rivolta spesso ai bambini troppo irrequieti.

 

fèsta sf. (pl. fèste) festa. È il giorno festivo, quindi non lavorativo. Nkuói é fèsta grànda oggi è festa solenne; da le fèste no se laóra nei giorni festivi non si lavora; ka e sènpre fèsta qui non si lavora mai (v. daidaòre).

 

festìn sm. (inv.) truogolo, abbeveratoio ricavato da un tronco d'albero incavato. Al festìn de l kùčo e sènpre vóito il truogolo del maiale è sempre vuoto (v. nàuža).

 

Festìn, Val de Festìn sm. (top.) località ad ovest del paese nelle vicinanze di S. Anna.

 

festinà, festinàse vb. trans. e rifl. (me festìno; festinèo; festinòu) affrettarsi, spicciarsi. Festìnete, ke e ora sbrigati che è ora.

 

Festinàte sm. (top.) località a nordest di Lozzo nell'alta Val de Faé di fronte alla Kròda Auta.

 

Festóna sf. (top.) località a nord di Lozzo, sopra Nàro.

 

festùko sm. (pl. festùke) fuscello, filo d'erba. Se te vós ke l grì véñe fòra dal bus, dòra n festùko se vuoi che il grillo esca dalla sua tana, adopera un fuscello d'erba.

 

féta sf. (pl. féte) fetta, pezzettino. Dàme na féta de polènta dammi una fetta di polenta; i sióre a sènpre la féta pì gròsa al ricco tocca sempre la fetta più grande.

 

fetìvo agg. (pl. fetìve, f. fetìva) autentico, identico. Te sés to nòno fetìvo sei identico a tuo nonno; késta e la verità fetìva questa è la pura verità (v. spakòu, kagòu).

 

fetór sm. (pl. fetóre) puzza, fetore. Siénte ke fetór senti che puzza.

 

fìa sf. (pl. fìe) figlia. Kuante fìe àsto? quante figlie hai?; me fìa é bèlo maridàda mia figlia è già sposata; te vói bén kóme a na fìa ti voglio bene come se fossi mia figlia; prov. de na fìa l vó fèi sète dènere oppure de n fiól l vó fèi sète nòre da una sola figlia vuole avere sette generi oppure da un solo figlio vuole avere sette nuore, l'espressione allude a chi da un'unica cosa pretende di ottenere un numero esagerato di vantaggi; prov. ki ke vó la fìa, téñe n žànže la màre se si vuole ottenere la mano della figlia, è necessario rivolgere i complimenti alla madre.

 

fìa, vìa prep. per (raro), moltiplicato. Tré fìa tré, fa nuóve tre per tre fa nove; sié fìa sié fa trentasié sei volte sei fa trentasei; più comunemente si usa però tré par tré fa nuóve tre per tre fa nove.

 

fiadór sm. (inv.) condensa, alito. Kuàn ke le patàte se kuóśe le fa n grùmo de fiadór quando le patate stanno cuocendo producono molta condensa; nkuói fa frédo, se vede l fiadór oggi c'è freddo: si vede l'alito uscire di bocca; i viére e piéne de fiadór i vetri sono appannati dalla condensa.

 

fiàka sf. (pl. fiàke) debolezza, flemma, fame. Tu te bàte sènpre fiàka tu hai sempre poca voglia di lavorare; fèi le ròbe ko la fiàka fare le cose con flemma; èi na fiàka ndòs ho un grande appetito; prov. ko la fiàka se tabàka perché le cose riescano bene, bisogna farle con calma e con buon senso.

 

fiakéža sf. (pl. fiakéže) spossatezza, svogliatezza. Al stonfàžo bìča fiakéža l'afa provoca spossatezza (v. fiàka).

 

fiàko agg. (pl. fiàke, f. fiàka) fiacco, debole, digiuno. Daspò kel mal són sènpre fiàko òrbo dopo la malattia sono rimasto debole; són fiàko, me mañaràe na ğèra de pàn e formài ho fame: mangerei un po' di pane e formaggio.

 

fiakón agg. (pl. fiakói, f. fiakóna, pl. fiakóne) poltrone, svogliato. Su mò, no sta èse sènpre n fiakón forza, datti una mossa, non essere svogliato.

 

fiàma sf. (pl. fiàme) fiamma, fig. dolore. Le fiàme e màsa àute: tènti ke no čàpe l kamìn le fiamme sono troppo alte: attento che il camino non prenda fuoco; l a proòu le fiàme de l infèrno ha provato dolori tremendi.

 

fiamànte agg. (inv.) fiammante. Nuóu fiamànte nuovo fiammante; késto vestì e nuóu fiamànte questo abito è nuovo, non è mai stato indossato prima di adesso.

 

fiànko sm. (pl. fiànke) fianco, anca. Èi mal nte l fiànko ho male ad un fianco (v. ànča).

 

fiapì, fiapìse vb. trans. e rifl. (fiapìso; fiapìo; fiapìu) appassire, appassirsi. Èi lasòu fiapì dùte i fiór ho lasciato appassire tutti i fiori; la salàta lavàda se fiapìse alòlo l'insalata lavata avvizzisce subito.

 

fiapìu agg. (pl. fiapìde, f. fiapìda) appassito, avvizzito. Ste ruóśe e bèlo dùte fiapìde queste rose sono ormai tutte avvizzite.

 

fiàpo agg. (pl. fiàpe, f. fiàpa) sgonfio, poco consistente. èi la pànža fiàpa ho la pancia vuota, ho fame; sto kosìn e fiàpo questo cuscino è troppo morbido, ha poca consistenza.

 

fiàstro agg. (pl. fiàstre, f. fiàstra) figliastro. Fèi n fiól e n fiàstro trattare i figli in modo disuguale; vói ben ài me fiàstre kóme ai mé fiói vere voglio bene ai miei figliastri come ai mie figli naturali.

 

fìat sm. (inv.) attimo, momento. Voce latina. Èi fàto dùto nte n fìat ho fatto tutto in un attimo.

 

fiatà vb. intr. (fiàto; fiatèo; fiatòu) fiatare, parlare, pronunciarsi. N késti kàśe e mèo no fiatà in questi casi è meglio non pronunciarsi; al parlèa, parlèa, ma ió no fiatèo lui parlava, parlava ma io non fiatavo.

 

fìbia sf. (pl. fìbie) fibbia. Àsto vedù ke bèla fìbia ke me son konpròu? hai visto che bella fibbia mi sono comperata?

 

fibiàsela vb. rifl. (me la fìbio; fibièo; me la son fibiàda) svignarsela, buscarsi. Il verbo è irregolare e, come in italiano, si appoggia sempre al pronome la; kuàn ke te puos, tu te te la fìbie quando puoi, te la svigni; te te as fibiòu na kàrega de pàke ti sei buscato un sacco di botte (v. sviñàsela, mokàsela).

 

fičà, fičàse vb. trans. e rifl. (me fìčo; fičèo; fičòu) ficcare, conficcare, fig. intromettersi. Fìča do sto čòdo pianta questo chiodo; kéla là fìča l nas dapardùto quella si intromette in ogni cosa; to màre e sènpre la prima a fičàse tua madre è sempre la prima ad intromettersi; prov. kuàn ké l fìča n čòdo no e pì nùia da fèi quando si intestardisce su qualcosa è impossibile smuoverlo.

 

fidà, fidàse vb. trans. e rifl. (me fìdo; fidèo; fidòu) fidare, fidarsi, arrischiarsi. Nó l se fìda de nisùn, ñànke de so pàre non si fida di nessuno, neanche di suo padre; no me fìdo de di a laurà parkè son nkóra débol non mi arrischio a riprendere il lavoro perché mi sento ancora debole; prov. e mèo fidàse del čan ke bàia ke del čan ke tàśe è meglio fidarsi del cane che abbaia piuttosto che del cane che tace; prov. de ki ke no se fìda, no e da fidàse non c'è da fidarsi di chi a propria volta non si fida; prov. fidàse, e polìto, no fidàse e mèo fidarsi è bene, non fidarsi è meglio; prov. ki ké se fìda de n rufiàn l se čàma gràmo dùto l an chi si fida di un ruffiano, se ne pente tutto l'anno, oppure fidàse de n rufiàn, čavàde dùto l an fidarsi di un ruffiano significa essere imbrogliati di continuo.

 

fiél sm. sf. (inv.) fiele, bile. L e trìsto kóme l fiél è amaro, cattivo come il fiele; mañà fiél essere pieni di rabbia, rodersi per la rabbia; loc. ñante l miél e daspò l fiél prima il miele e dopo il fiele, in amore prima c'è il dolce e poi l'amaro; te me fas bičà fòra la fiél mi costringi ad uno sforzo enorme (v. bila).

 

fién sm. (inv.) fieno. Spandón i kogolùže se volón fèi fién ñànte de siéra spargiamo il fieno raccolto nei covoni, se vogliamo che si secchi prima di sera; n fàs de fién un fascio di fieno; na viéstra de fién una bracciata di fieno ben compatto; fién da prà fieno d'alta montagna; fién da vàra fieno di campagna; prov. ki ke vénde fién, vénde òñi bén chi vende fieno vende ogni suo bene; il fieno era infatti alla base dell'intera economia agricola per i paesi del Cadore; prov. pàia e fién basta ké l tabià séa pién o di paglia o di fieno è importante però che il fienile sia pieno (v. autivói).

 

fienèi sm. (inv.) fienile. Il termine viene usato solo nel proverbio Sant'Antòne de denèi, mèdo pàn e mèdo fienèi a S. Antonio di gennaio, cioè il 17 gennaio, si sono ormai consumate per metà le riserve sia di grano che di fieno.

 

fiéra sf. (pl. fiére) fiera, sagra (ita.). Dì a la fiéra dei Sànte o a kéla de la Madòna del Kàrmin. In Cadore due sono le fiere veramente importanti: quella dei Santi (1 e 2 novembre) a Santo Stefano in Comelico e quella della Madonna del Carmine (16 luglio) ad Auronzo. Erano importanti anche le fiere di S. Pietro e Paolo a Pieve e di S. Martino a Valle di Cadore. A Lozzo di Cadore ci sono due fiere importanti, quella di S. Lorenzo patrono del paese il 10 Agosto e quella della ottava di Rosario la seconda domenica di ottobre. La gente approfittava allora per fare i rifornimenti di attrezzi, bestiame, cibarie, biancheria e di tutto ciò di cui aveva bisogno sia per l'inverno che per l'estate.

 

Fiés sm. (top.) località a sudovest del paese sulla strada nazionale a ridosso del centro abitato.

 

fìfa sf. (inv.) paura. Daspò dé kél òta èi sènpre fìfa de dùto dopo quella brutta vicenda, ho sempre paura di tutto.

 

fifà vb. intr. (fìféo; fifèo; fifòu) piagnucolare. No èi mai vedù n tùto ke fifèa kóme kél là non ho mai visto un piagnucolone come quello (v. koñà).

 

fìfola, fìnfola sf. (pl. fìfole, fìnfole) piega, ruga. Kéla čaméśa e dùta piéna de fìfole quella camicia è tutta spiegazzata; l a l mùśo pién de fìfole ha il viso pieno di rughe.

 

fifolàse, finfolàse vb. trans. e rifl. (fifoléo; fifolèo; fifolòu) sgualcire, spiegazzare. Nó sta sentàte dó parkè te te finfolée le bargése non sederti altrimenti sgualcisci i pantaloni; èi betù la létra nte skarsèla e la se a finfolòu dùta ho messo la lettera in tasca e si è tutta spiegazzata.

 

fifolós, finfolós agg. (pl. fifolòśe, f. fifolòśa) rugoso. L a l muśo dùto fifolós ha la faccia completamente piena di rughe.

 

fifolòu, finfolòu agg. (pl. fifolàde, f. fifolàda) sgualcito, spiegazzato, pieno di grinze. Èse dùto fifolòu essere molto sgualcito, avere molte rughe.

 

fifón agg. (pl. fifói, f. fifóna, pl. fifóne) pauroso, pieno di paura. Te sés n fifón sei un pauroso.

 

figà sm. (inv.) fegato, coraggio. Al figà de vedèl fa sàngo il fegato di vitello è indicato per gli anemici; avé figà aver coraggio.

 

figèr sm. (inv.) la pianta del fico (bot. Ficus carica).

 

fìgo sm. (pl. fìge) il frutto del fico, fig. sciocco, stupido. Nkuói èi mañòu pàn e fìge oggi ho mangiato pane e fichi; té sés pròpio n fìgo sei davvero uno stupido.

 

fìla sf. (pl. fìle) fila. Bétese n fìla mettersi in fila; na fìla de tośàte una frotta di ragazzini; béte dó na fìla de patàte e una de faśuói seminare una riga di patate e una di fagioli.

 

filà vb. trans. e intr. (fìlo; filèo; filòu) filare, scappare. Filà la lana filare la lana; filàsela scappare, tagliare la corda. Kuàn ke l a vedù la mal paràda l se là filàda quando si è trovato in difficoltà, è scappato (v. sviñàsela, mokàsela).

 

filàta sf. (pl. filàte) canapa lavorata. N lenžuó de filàta un lenzuolo di canapa; bàte la filàta maciullare la canapa con la gramola; fig. sautèi da filàta persona in continuo movimento.

 

fìlo sm. (pl. fìle) filo. Fìlo da kośì filo da cucire; fìlo da soléte o da pontidà spago per cucire le suole dei skarpéte; fìlo de fèr fil di ferro; al fìlo de la skéna la spina dorsale; fèi l fìlo al gortèl affilare il coltello; sta fàu no a pì fìlo, okóre gužàla questa falce non taglia più, bisogna affilarla; l me a dòu fìlo da tòrže mi ha creato problemi.

 

filò sm. (inv.) ritrovo. Durante le lunghe sere d'inverno, le donne si radunavano per filare assieme e per farsi compagnia. A loro si univano poi anche gli uomini e i bambini, per cui il filò diventava un'occasione per raccontare storie, per pregare e anche per chiacchierare all'interno della comunità. Fèi filò radunarsi per chiacchierare; di a filò andare a fare quattro chiacchiere.

 

filunlèla, finlunlèla sf. (pl. filunlèle) storiella priva di senso, onomatopea. Il termine è usato solo nella loc. kontà la filunlèla raccontare storielle prive di senso; čantà la filunlèla cantare canzonette allegre, ma prive di un nesso logico.

 

fìn  agg. (pl. fìn, f. fìna) fino, sottile, distinto, educato. L a i čavéi fìn kóme la séda ha i capelli sottili come la seta; to suó e sènpre stàda fìna tua sorella è sempre stata elegante; guśèla fìna ago sottile, in contrapposizione a quello da lana che ha la cruna più larga; n laóro fìn un lavoro ben rifinito; fig. èse fìn de nas avere buon naso, cioè saper scegliere bene le cose; daspò l grédo okóre dà la malta fìna all'intonaco grezzo fa seguito quello più sottile, operazioni che determinano la buona riuscita della intonacatura di una parete.

 

fin sm. (inv.) scopo, fine. Le ròbe bòne va sènpre a bón fin le cose buone hanno sempre un buon esito.

 

fin3 sf. (inv.) fine, termine. No vìnžo l ora de véde la fin de sta ròba non vedo l'ora che questa cosa finisca.

 

fin4 avv. fino. Vàdo fin sù n žìma, e tu te vas fin dó sóte io vado lassù in cima, e tu vai laggiù.

 

finamài avv. perfino, addirittura. Kéla là se ğàva finamài l pàn de bóča pa i so fiói quella si toglie perfino il pane di bocca per i suoi figli (v. parfìn).

 

finànža sf. (pl. finànže) finanziere, denaro. La kaśèrma de la finànža la caserma dei finanzieri; le finànže l a čapòu kól tabàko de kontrabàndo i finanzieri l'hanno colto col tabacco di contrabbando; fig. te sés na finànža sei arguto, astuto.

 

finéža sf. (pl. finéže) finezza, delicatezza. To màre e sènpre piéna de finéže tua madre è sempre piena di delicatezze.

 

fìnke, fin ke cong. finché, fino a quando. Fin ke te vién a čamàme òñi doi menùte, no vàdo a ora a fenì sto laoro finché tu mi chiami ogni due minuti, non riesco a finire questo lavoro.

 

fìnta sf. (pl. finte) finta. Fèi fìnta far finta, fingere, dissimulare; žèrte òte kóñe fèi fìnta de no véde certe volte è necessario dissimulare; fèi fìnta ke l fàto no séa fingere che non sia accaduto niente.

 

fìnto agg. (pl. fìnte, f. fìnta) finto, posticcio. L a i čavéi fìnte ha la parrucca; n màž de fiór fìnte un mazzo di fiori finti.

 

fintón agg. (pl. fintói, f. fintóna, pl. fintóne) falso, ipocrita. Nó sta èse sènpre l sòlito fintón non essere sempre il solito ipocrita.

 

fiódera sf. (pl. fiódere) fodera. Kéla ğakéta a la fiódera de séda quella giacca ha la fodera di seta.

 

fioderà vb. trans. (fioderéo; fioderèo; fioderòu) foderare, ricoprire. Fioderà l lìbro foderare il libro.

 

fiódero sm. (pl. fiódere) fodero, astuccio. Al fiódero de i očài l'astuccio degli occhiali; al fiódero de i lìbre la copertina dei libri.

 

fiokà vb. imp. (fiòka; fiokèa; fiokòu) fioccare, nevicare. Al fiòka kóme n sasìn nevica a larghe falde.

 

fiòko sm. (pl. fiòke) fiocco, nappa, fiocco di neve. Al fiòko de la baréta il fiocco del berretto; vién do fiòke kóme baréte nevica a larghe falde.

 

fiól sm. (pl. fiói) figlio. L a kuàtro fiói ha quattro figli; póro fiól poveretto; te sés n fiól de n kan sei un mascalzone; fiól germoglio supplementare sulle piante di larice, abete o pino; kéla piànta a n fiól quella pianta ha un doppio germoglio.

 

fióla sf. (pl. fióle) figlia, figliola. Kéle puóre fióle le tién la čàśa kóme n spèčo quelle povere ragazze tengono la casa ordinata al massimo (v. fìa).

 

fiór sm. (inv.) fiore. Tòle su dói fiór da portà a la Madòna raccogli dei fiori da portare alla Madonna.

 

fióra sf. (solo sing.) febbre, panna. Stó pùpo l skòta: l a d avé la fióra questo bimbo è molto caldo, deve avere la febbre; fig. sta kó la fióra adòs avere la febbre addosso, stare in ansia; fig. la fióra del làte la panna del latte.

 

fioràžo sm. (pl. fioràže) herpes labiale. Infezione virale, da Herpes simplex, che si manifesta con pustole alle labbra. Òñi òta ke me čàpo n tin de sol, me vién fòra n fioràžo ogni volta che prendo il sole mi esce l'herpes.

 

fióre sf. (solo pl.) fioretta bianca del vino. Stó vin a le fióre: no sta bévelo parkè l te fa bruśór de stómego questo vino ha la fioretta: non berlo perché ti può provocare bruciore di stomaco.

 

fioréto sm. (pl. fioréte, fioréti) piccola penitenza, funzione religiosa del mese di maggio. Dì a fioréte andare alla funzione religiosa; fèi n fioréto fare una piccola penitenza.

 

fiorì vb. intr. (fiorìso; fiorìo; fiorìu) fiorire, essere rigoglioso. Le ruóśe a bèlo fiorìu le rose sono già fiorite.

 

fioridùra sf. (pl. fioridùre) fioritura, sviluppo. Èi dùte i ğerànie nte na fioridùra ke no te kónto tutti i geranei stanno fiorendo in modo spettacolare.

 

fiòu sm. (inv.) fiato, alito, sorso. Čapà fiòu riposarsi un po'; bičà via l fiòu par nùia sprecare fiato, parlare senza ottenere alcun risultato; sparañàse l fiòu risparmiarsi il fiato, smettere di parlare; te as l fiòu ke spùža hai l'alito cattivo; tirà l fiòu smettere di lavorare per un attimo; no me vién l fiòu faccio fatica a respirare; èi fàto dùto nte n fiòu ho fatto tutto in un attimo. N fiòu viene usato anche con valore partitivo. Dàme n fiòu de àga dammi un sorso d'acqua; èi bevù n fiòu de kafè ho bevuto un po' di caffè.

 

fiòžo sm. (pl. fiòže, f. fiòža) figlioccio. Kuàn ke mé fiòžo e dù a la kréśema, i èi regalòu na koróna de bužolài, kuàn ke l dirarà sóte la nàia i regalarèi l arlòio alla Cresima ho regalato al mio figlioccio una corona di bužòlai, quando andrà militare gli regalerò l'orologio, secondo una tradizione del paese.

 

firiàda sf. (pl. firiàde) inferriata. L é skanpòu fòra par la firiàda è scappato attraverso l'inferriata della finestra (v. feriàda).

 

fìrma sf. (pl. fìrme) firma. No l sa ñànke fèi la so fìrma non sa neppure fare la sua firma, è analfabeta, fig. non sa fare proprio niente; béte firma apporre firma, accettare volentieri una cosa; betaràe firma a èse sènpre kośì metterei firma, accetterei volentieri di stare sempre bene come adesso.

 

firmà vb. trans. (fìrmo; firmèo; firmòu) firmare. Son bèlo stùfo e àgro de firmà kàrte sono stanco di firmare scartoffie; ñante de firmà, liéde polìto prima di firmare, leggi bene il documento; ñànte de firmà, tàete la màn prima di firmare tagliati la mano, espressione rivolta a coloro che firmano con troppa facilità documenti e cambiali senza pensare alle conseguenze; da qui il proverbio: ki ké fìrma par piažér, pàga par dovér chi firma e avalla per compiacenza, deve poi subirne le conseguenze.

 

fìs agg. (pl. fìse, f. fìsa) denso, fitto, fig. cocciuto, testardo. Sta menèstra e màsa fìsa, no se pó mañàla questa minestra è troppo densa, non è possibile mangiarla; te sés sènpre stòu fis de ponión nte le ròbe sei sempre stato cocciuto nelle tue decisioni; èi i čavéi fis avere la capigliatura folta.

 

fisà vb. trans. (fìso; fisèo; fisòu) fissare, stabilire. Kuàn ké l me vàrda, l mé fisa kóme n màto quando mi guarda, mi fissa come un matto; àsto fisòu kuàn ke té as da partì? hai stabilito il giorno della partenza?; èi bèlo fisòu kuànto ke èi da pagà ho già stabilito quanto debbo pagare.

 

fiśikà vb. trans. (fiśikéo; fiśikèo; fiśikòu) criticare, cercare il pelo nell'uovo, puntualizzare. Parkè fiśikéesto dùto? perché puntualizzi tutto?

 

fiśikós agg. (pl. fiśikósi, f. fiśikósa, pl. fiśikóse) meticoloso. Il termine è riferito alle persone che cercano sempre il pelo nell'uovo. No sta èse kośì fiśikós non essere così meticoloso.

 

fìśima sf. (pl. fìśime) fisima, fissazione. L e sènpre stàda piéna de fìśime ha sempre avuto molte fissazioni, molte manie.

 

fisìna sf. (pl. fisìne) bosco fitto di alberi. Àsto vìsto ké fisìna? hai visto quanto è fitto il bosco?; okóre restuoñà sta fisìna c'è bisogno di diradare questo bosco .

 

fità vb. trans. (fìto; fitèo; fitòu) affittare. Kuàn ke avarèi čatòu na čàśa da fità, alóra mé marìdo quando avrò trovato una casa in affitto, allora mi sposerò.

 

fituàl sm. (pl. fituài) affittuario, fittavolo. Ki élo l tò fituàl? chi è il tuo fittavolo? (v. afituài).

 

fiùba sf. (pl. fiùbe) erba angelica (bot. Angelica silvestris) non velenosa. Molto simile alla cicuta (bot. Conium maculatum) che è molto velenosa e allo spondilio (bot. Heracleum sphondylium) ombrellifera dal gambo a canna grossa. É facile che le ombrellifere vengano confuse una con l'altra perché nel segare l'erba vengono messe da parte indistintamente sia perché si essicano a fatica sia perché il gambo troppo legnoso era scartato anche dal bestiame. Sta vàra é piéna de fiùbe questo prato è pieno di piante di cicuta.

 

flàuža sf. (inv.) nevischio, poca neve. L a fàto na flàuža è venuta una spolverata di neve.

 

flaužà vb. imp. (flaužéa; flaužèa flaužòu) nevicare leggermente. Nkuói l a flaužòu dùto l santo dì è nevicato leggermente per tutto il giorno.

 

fófo agg. (pl. fófe, f. fófa) sgonfio, floscio, molle. Siénte ke fófa sta péa senti come è sgonfia questa palla.

 

fogaràda sf. (pl. fogaràde) grande fiammata. Durante le sere d'estate, quando si rimaneva pài prà cioè quando a sera non si rientrava a casa, si accendevano grandi fuochi per far luce e si raccoglievano tutte le persone della zona attorno per chiaccherare e cantare in modo da trascorrere insieme la serata prima di coricarsi (v. fogarón).

 

fogarón sm. (pl. fogarói) incendio, grande fiammata. Daspò de kel fogarón no e restòu pì nùia dopo quell'incendio, tutto è andato distrutto.

 

fogaròto sm. (pl. fogaròte) piccolo incendio, fuocherello. Basta n fogaròto par sčaudàse n tin è sufficiente un fuocherello per scaldarsi un pochino.

 

fogèr sm. (inv.) focolare. La parte della cucina costituita dal larìn con le tre bànče attorno la čadéna e la nàpa. Il fogèr era il luogo dove si cucinava, dove si stava seduti a mangiare tenendo il piatto sulle ginocchia; dove si rimaneva al caldo quando c'era brutto tempo e faceva freddo; dove si poteva riposare rimanendo sdraiati sulla bànča con la testa appoggiata alla skañèla. Nel fogèr quindi si svolgeva la vita dell'intera famiglia quando non si lavorava o si dormiva. Fogèr stava ad indicare, per antonomasia, la costruzione esterna alla casa appoggiata al muro maestro fornita di finestre e camino che delimitava al suo interno il larìn con le bànče e la nàpa.

 

fogèra sf. (pl. fogère) braciere. Recipiente, a volte ricavato da un elmo in disuso, in cui si metteva la brace per scaldare il letto durante l'inverno. Era molto importante coprire la brace con la cenere perché l'eccessivo calore non incendiasse le lenzuola. Siénte ke frédo, ğénpe la fogèra de brónže, tòle su la mónega e va a sčaudà l liéto senti che freddo, riempi la fogèra di braci, prenditi la mónega e va a scaldare il letto (v. mónega).

 

fogìn sm. (inv.) fochino, operaio addetto a far brillare le mine. Al fogìn é n brùto mestiér accendere le mine è un mestiere pericoloso.

 

fòi, sfòi sm. (inv.) foglio, giornale, pagina. Al e fin kóme n fòi è sottile come un foglio; liéde l fòi leggere il giornale; voltà i fòi del lìbro voltare le pagine del libro.

 

fòia sf. (pl. fòe) foglia, fogliame. Tòle su dóe fòe de salàta raccogli alcune foglie d'insalata; di a fòia andare a raccogliere il fogliame di faggio per fare il letto agli animali; loc. fèi la fòia a kalkedùn superare qualcuno; bósko da fòia bosco di faggi, faggeto; loc. stasiéra dón a fèi la fòia ai póme del bàrba stasera andiamo a rubare le mele dello zio (v. bósko).

 

foiòla sf. (pl. foiòle) brattea del granoturco. Al paión de foiòle il saccone riempito di foglie di granoturco usato come materasso; di a foiòle cercare le brattee per fare il pagliericcio.

 

fòl sm. (pl. fói) fisarmonica. Molà l fól suonare la fisarmonica.

 

fòl, fòla sm. e sf. (pl. fòi, fòle) mantice per ravvivare il fuoco. Tirà l fòl azionare il mantice.

 

fól sm. (pl. fói) follo o gualchiera. Si tratta dell'edificio dove si follava o si infeltriva il tessuto di lana o di mezzalana. A Lozzo se ne trovavano due lungo il Rin. Uno di questi appare sull'immagine di copertina del presente dizionario, l'altro era situato poco lontano.

 

folà vb. trans. (fólo; folèo; folòu) calpestare, pigiare, follare. Fóla ìnte se te vós ke stàe dùto pigia bene la roba (in una valigia, nella gerla) se vuoi che ci stia tutto; fóla dó se te vos veñì gran mangia molto se vuoi diventare grande; dì a folà néve andare a far strada nella neve fresca; folà karàute pigiare crauti, ballare male; folà la lana follare la lana; fig. folà àga pigiare acqua, lavorare inutilmente.

 

folàda sf. (pl folàde) folata di vento, fig. gragnuola, passata di botte. E veñésto na folàda ke kuàśi me rebaltèa c'è stata una folata di vento tale che quasi mi faceva cadere; čapà na folàda buscarsi molte botte.

 

foladór sf. (pl. foladóre) follatore, artigiano della follatura.

 

Foladór sm. (nome) soprannome di famiglia derivato dal mestiere di follatore.

 

foladùra sf. (pl. foladùre) follatura. Operazione che consiste nel rassodare la stoffa o la lana bagnandola e premendola. L'operazione era importante e permetteva di conferire ai tessuti una resistenza tale da garantirne una lunga durata e impermeabilità.

 

foléto sm. (pl. foléte) organetto, fisarmonica. Sonà l foléto suonare la fisarmonica.

 

Folòi, Kòsta de i Folòi sm. (top.) località a nord di Lozzo. Toponimo indicante probabilmente il luogo dove si follavano i tessuti di lana e di mezzalana per farli infeltrire, cioè per renderli impermeabili all'acqua e alla neve. Il top. è conosciuto anche nella forma Folói (v. čaužói, medalàna).

 

folón sm. (pl. folói) mortaio per follare la lana, follatrice. Te čàpe n folón ti dò un sacco di botte (v. foladór).

 

folpeà vb. trans. (folpéo; folpeèo; folpeòu) calpestare. Nó sta folpeà l èrba se te vós ke la krése non calpestare l'erba se vuoi che cresca; folpeà le ère de la salàta calpestare le aiuole d'insalata.

 

folpeàda sf. (pl. folpeàde) traccia, orma. Al prà e pién de folpeàde de ólpe il prato è coperto di orme di volpe.

 

fólpo agg. (pl. fólpe, f. fólpa) pieno zeppo. La piàža èra fólpa de dènte la piazza era zeppa di gente.

 

fónda sf. (pl. fónde) tasca (molto raro). Se te as frédo, tién le màn nte fónda se hai freddo alle mani, tienile in tasca (v. skarsèla).

 

fondàče, fondàči sm. (solo pl.) fondi del caffè. Bìča via i fondàči e fèi n tin de kafè bon butta via i fondi e fai un po' di caffè puro; se te mìsie i fondàči a la tèra, i fiór vién su pì biéi se mescoli i fondi di caffè alla terra, i fiori crescono meglio.

 

fónde sm. (inv.) fondo. Mañà fin sul fónde de la skudèla mangiare fino in fondo alla tazza, cioè mangiare tutto; se a róto l fónde del kalderìn si è rotto il fondo del paiolo.

 

fónde sf. (solo pl.) fondamenta. Bičà do, fèi, ğavà le fónde fare le fondamenta di un edificio.

 

fónde3 vb. trans. (fóndo; fondèo; fondésto) sciogliere, liquefare. Làsa ké l botìro sé fónde e ké l kuóśe fin ke l fa sià, se te vós ke i ñòke sée bói lascia che il burro si sciolga e che cuocia fino al punto giusto se vuoi che gli gnocchi siano più saporiti.

 

fondìna sf. (pl. fondìne) zuppiera, piatto per la minestra. Èi mañòu dóe fondìne de menèstra ho mangiato due piatti di minestra.

 

fóndo sm. (pl. fónde) appezzamento di terra. Al pàre a nbondói fónde mio padre ha parecchi appezzamenti di terra (v. sedìme).

 

fondós agg. (pl. fondós, f. fondóśa, pl. fondóśe) fondo, profondo. Nó sta di a goà do da la Piave, parkè l àga e màsa fondóśa non andare a nuotare nel Piave, perché l'acqua è troppo profonda.

 

fóngo sm. (pl. fónge) fungo. Se sta nuóte pióve, domàn bonóra vàdo a fónge se stanotte piove, domattina presto vado a cercare funghi.

 

fontàna sf. (pl. fontàne) fontana. Dì a la fontàna a tòle n kòl de àga andare alla fontana ad attingere due secchi d'acqua (v. brénte).

 

Fontàna sf. (top.) località a nord del paese. La zona, un tempo prativa, si raggiunge percorrendo una mulattiera che sale da Nàro, Festòna e Ğòu Skùro.

 

Fontànabòna sf. (top.) località ad est di Pian dei Buoi sulla mulattiera che dall'altipiano porta a Čanpeviéi.

 

fontanèla sf. (pl. fontanèle) fontanella, piccola sorgente, ulcerazione che non si rimargina. Fontanèla dei tośàte le ossa del cranio dei bambini che non sono ancora completamente formate.

 

Fontanèle sf. (top.) località a nordovest del paese sulla mulattiera che porta a Daósto e Nariéto.

 

fontaniér sm. (inv.) fontaniere. Operaio del comune che, fino all'immediato dopoguerra, era addetto alla pulizia e alla manutenzione delle numerose fontane che si trovavano in paese.

 

fóntego sm. (pl. fóntege) magazzino di riserva per le biade. Il fóntego aveva sede a Pieve e si trovava al pianterreno del palazzo della Magnifica Comunità Cadorina. Di solito però, ogni žentenàro aveva un proprio magazzino che dipendeva da quello centrale di Pieve: lì dovevano essere raccolte le provviste di viveri, biade, frumento e segala che risultavano fondamentali alla sopravvivenza della comunità, specialmente in periodi di carestia.

 

fòra avv. prep. fuori. Fòra vilò qui vicino; fòra kolà tutti i prati e i campi che si trovano a ovest di Lozzo; fèi fòra léñe preparare la legna per l'inverno; fòra pa la nuóte durante la notte; durante il giorno si diceva però via pal dì; parà fòra le skàrpe, le čàuže sfondare, consumare le scarpe, le calze; ste bràge e bèlo fruàde, se véde fòra par fòra; questi pantaloni sono già consumati e sono diventati trasparenti; fòra me čàmo con questa frase un giocatore dichiarava la propria vittoria e si ritirava, oppure ci si dichiarava estranei ad un fatto; fòra de luógo fuori posto; fòra de stó lenžuó, fàžo kanevàže da questo lenzuolo consumato ritaglio strofinacci; di fòra de tèsta andare fuori di senno, farneticare, impazzire; són dù fòra sono uscito, ho perso a carte, al gioco; kon te no se va mài fòra con te non si può mai ragionare, vuoi sempre averla vinta; bičà fòra versare; dì de fòra andare fuori; dì fòra dùto dire tutto, palesare ogni cosa; béte fòra stendere, sciorinare; dà fòra distribuire; fèi fòra consumare, dilapidare, uccidere; fenì fòra terminare, finire, completare; mañà fòra dilapidare, scialacquare; parà fòra rasserenare, schiarire; loc. veñì fòra pai òče essere nauseato di qualcosa; pasà fòra par fòra passare da parte a parte; portàsela fòra scamparla, salvarsi; èse fòra kói skèi essere esposto col denaro; fòra de ràula fuori di posto; veñì da fòra via venire dall'esterno, arrivare per vie traverse o poco legali; fòra ke tu eccetto te; dùte me a idòu, fòra ke tu tutti mi hanno aiutato, eccetto te; loc. tiràse fòra dal patùž uscire da una situazione aggrovigliata, talvolta anche grave; fèi fòra l čànpo rivoltare le zolle per trasformare un prato in campo da semina; la fòra, la ìnte là fuori, là dentro, sono indicazioni di luogo riferite alla valle, dentro vuol dire a monte, fuori vuol dire a valle, ad esempio: Maria e fòra kolà Maria è nei campi, quelli verso Domegge, Maria e ìnte kolà vuol dire: Maria è nei campi, quelli verso Gogna/Auronzo; per un abitante di Lozzo cioè è ovvio che ìnte e fòra, si riferiscono alla valle del Piave. Fòra è spesso affiancato ad una voce verbale con valore intensivo: sapà fòra zappare il campo; kurà fòra scegliere, selezionare, kel la te kùra fòra dùto quello ti carpisce informazioni riservate; senžierà fòra asciugare del tutto.

 

Forakòl sm. (top.) località alla periferia sud del paese e soprannome di famiglia.

 

fòravìa avv. fuori luogo, lontano, all'estero. Di fòravìa andare all'estero; èse fòravìa vivere lontano da casa, all'estero; Dàme àlgo fòravìa dammi qualcosa oltre il costo, di nascosto ecc. (v. via).

 

forbì vb. trans. (forbìso; forbìo; forbìu) forbire, spolverare, lucidare gli oggetti di rame di casa. Me rakomàndo, forbìse polìto kel komò mi raccomando, spolvera bene quel cassettone; forbìse l bèko pulirsi la bocca; dàme kel bèl brondìn!. te puó forbìte l bèko dammi quel bel “bronzino”! ... aspetta e spera che te lo dia, cioè non te lo darò mai.

 

fórča sf. (pl. fórče) forca bidente, tridente o quadridente. Fórča da gràsa forca da letame; fórča da fién forca da fieno.

 

forčà sm. (pl. forčàs) manico della forca. Èi róto l forčà ho rotto il manico della forca.

 

Fórče sm. (top.) località un tempo prativa a sudovest del paese che si trova tra Daósto e Prapiàn.

 

forestarìa sf. (pl. forestarìe) tutto ciò che si trova fuori paese. Sta ròba vién da la forestarìa questa roba proviene da fuori paese; di n forestarìa recarsi fuori paese.

 

forèsto agg. (pl. forèste, forèsta) forestiero, di altro paese o altra città, villeggiante. I forèste no puó èse regoliér i forestieri non possono appartenere alla Regola.

 

fòrfis sf. (inv.) forbice. Tòle la fòrfis e tàia stó filo prendi le forbici e taglia questo filo; fòrfis da sartór forbici da sarto; fòrfis da tónde forbici per tosare; fòrfis da filo de fèr cesoie; accr. forfiśóna forbiciona; dim. forfiśùta forbicetta.

 

forfiśéta, forfeśìna sf. (pl. forfiśéte, forfeśìne) forbicina (zool. Forficula auricularia). Sta tènti ke se na forfiśéta te va ìnte pa na réğa, te devènte sórdo stai attento che se una forbicina ti entra in un orecchio, diventi sordo. Si credeva infatti che questi insetti, entrando nel canale uditivo, rendessero sordi; èse na forfiśéta essere attivo.

 

fòrğa sf. (pl. fòrğe) fucina del fabbro. È il complesso formato dal focolare e dal mantice che si trova nell'officina del fabbro.

 

forinğà, furinğà vb. trans. (forinğéo; forinğèo; forinğòu) stuzzicare, frugare, solleticare. Se te vos deśgorğà l seğèr, forinğéa kol filo de fèr se vuoi sturare il secchiaio, utilizza un filo di ferro; forinğà l fuóu stuzzicare il fuoco con l'attizzatoio, detto forinğón (v. sforinğà).

 

forinğón, furinğón agg. (pl. forinğói, f. forinğóna, pl. forinğóne) ficcanaso, chi stuzzica o vuole curiosare dappertutto. Te sés sènpre l sòlito forinğón sei sempre il solito ficcanaso.

 

forinğón sm. (pl. forinğói) attizzatoio. Te as lasòu l forinğón su le brónže e adès no se puó ñànke točàlo hai lasciato l'attizzatoio sulle braci accese e adesso non lo si può nemmeno toccare.

 

Forìto sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

fórka sf. (pl. fórke) forca. Il termine viene usato nelle espressioni fèi la fórka fare lo sgambetto, tradire; sasìn da fórka assassino da mandare alla forca, delinquente pericoloso; no té as mai fàto na fórka de ben non hai mai fatto nulla di buono.

 

forkàl sm. (pl. forkài) cavallo dei pantaloni, delle mutande (v. foržèl).

 

forkéta sf. (pl. forkéte) forcina da capelli (v. petenèla).

 

forketón sm. (pl. forketói) forchettone usato per rimestare la pasta.

 

fórma sf. (pl. fórme) forma. Forma di legno usata di solito per risolettare, per mettere in forma le scarpe, o per rammendare le calze. Fórma da čàuže e da skàrpe.

 

formài sm. (inv.) formaggio. Formài de féde formaggio pecorino; formài de vàča formaggio di mucca; formài de čàura formaggio di capra; formài piaśentìn formaggio piacentino, formaggio grana; na pèža de formài una forma di formaggio; salà l formài salare il formaggio; mañà polènta e formài mangiare polenta e formaggio; na féta, na parte de formài, na stèla, na frégola, n čantón, na leśìna, n tin, n bokón, na skàia de formài tutte espressioni per dire: un po' di formaggio; formài de Mónte formaggio prodotto in malga; formài nostràn formaggio della latteria sociale di Lozzo; formài ko la góža formaggio con la goccia, cioè molto vecchio; fig. čatà kél del formài trovare chi ti mette a posto, chi ti dà una sistemata.

 

forménto sm. (solo sing.) frumento (bot. Triticum aestivum). A quanto dice la gente di Lozzo, il frumento non cresce in Cadore. Farìna de forménto farina di frumento; pàn de forménto pane di frumento.

 

formìa sf. (pl. formìe) formica. Le tegolìne e piéne de formìe i fagiolini sono pieni di formiche; èi le formìe nte na ğànba ho una gamba informicolita.

 

formièi sm. (inv.) formicaio. fig. guazzabuglio. Àrda ke te te sés sentòu sóra n formièi guarda che ti sei seduto su un formicaio, fig. sei in una posizione rischiosa.

 

fornàs sf. (inv.) fornace. Termine recente, per indicare la fornace il termine corretto è čaučèra. La fornàs de la čaužìna la fornace per ottenere la calce; la fornàs del ğèso la fornace per ottenere il gesso; lungo il Rio Rin, ai piedi di Revìs, c'era una fornace (v. čaučèra).

 

fornèl sm. (pl. forniéi) fornello, piccola stufa a legna. Sto fornèl sčàuda polìto questo fornello scalda bene.

 

fornèla sf. (pl. fornèle) cucina economica. Sta su pa la fornèla stare vicino al fornello per riscaldarsi, fig. aver poca voglia di lavorare (v. kośìna).

 

fornèr sm. (inv.) fornaio. Va dal fornèr a tòle na vìna de pàn vai dal fornaio a comperare una vìna di pane (v. pistór, panetiér).

 

fornì vb. trans. (fornìso; fornìo; fornìu) fornire, attrezzare, adornare. Fornì la kànbra ammobiliare la camera; fornì l altar de la Madòna adornare l'altare della Madonna con fiori o altro.

 

forniménte sm. (solo pl.) finimenti. Béte su i forniménte al čavàl e partón metti i finimenti al cavallo e partiamo.

 

forniménto sm. (solo sing.) corredo, mobilio di casa. Èi konpròu l forniménto de kànbra ho comperato i mobili della camera da letto.

 

fornìu agg. (pl. fornìde, f. fornìda) fornito, ben messo, prosperoso. Va là ke ànke to fìa e fornìda polìto vedi, anche tua figlia è prosperosa; àsto vedù ke polìto ke e fornìda kéla čàśa? hai visto che casa ben arredata?

 

fórno sm. (pl. fórne) forno del panettiere e della cucina economica. Béte i pès nte fórno riscaldarsi i piedi mettendoli nel forno caldo.

 

foròu agg. (pl. foràde, m. foràda) bucata. Čàža foràda schiumarola; kuàn ké i faśuói e kuóte, tìreme fòra dói ko la čàža foràda ke i màño konžàde quando i fagioli sono cotti, levane alcuni con la schiumaiola perché li mangio conditi.

 

forsiñà vb. trans. (forsìñéo; forsìñèo; forsiñòu) sporcare di fuliggine. Dì a forsiñà le tóśe andare a sporcare di fuliggine le ragazze; c'era l'abitudine scherzosa, durante il carnevale, di prendere uno straccio, sporcarlo con la fuliggine del camino o dei tegami e annerire il viso alle ragazze.

 

fortàia sf. (pl. fortàe) frittata. Fèi fortàia fare una frittata, ma anche fare fiasco; prov. ki ke se marìda o fa fortùna o fa fortàia chi si sposa o fa fortuna o fa fiasco.

 

fòrte sm. (inv.) forte, fortificazione. Al fòrte de Kòl Vidàl, al fòrte de l Tudàio il forte di Kòl Vidàl, il forte del Tudaio.

 

fòrte agg. (inv.) forte, robusto, resistente. Téla fòrte tela robusta; sñàpa fòrte grappa molto alcoolica.

 

fortùna sf. (pl. fortùne) fortuna. Fèi fortùna fare fortuna; tu te as dùte le fortùne tu sei sempre fortunato; par fortùna ke e veñésto n tin de pióva per fortuna è caduta un po' di pioggia; avé pì fortùna ke ğudìžio essere più fortunati che giudiziosi.

 

fortunòu agg. (pl. fortunàde, f. fortunàda) fortunato. Tu te sés sènpre stòu fortunòu tu sei sempre stato fortunato; spóśa biandàda, spóśa fortunàda sposa bagnata, sposa fortunata; prov. èse fortunàde kóme i čan nte čéśa essere perseguitati dalla sfortuna; prov. a ki ke nàse fortunàde, pióve sul ku ànke se i sta sentàde chi nasce fortunato, lo è in qualsiasi situazione.

 

fòrža sf. (pl. fòrže) forza. Pién de fòrža pieno di forza; par fòrža per forza; a fòrža de dài a forza di insistere.

 

foržèl sm. (pl. foržiéi) cavallo dei pantaloni. Vàrda ke te as róto l foržèl de le bràge attento che hai rotto il cavallo dei pantaloni (v. forkàl).

 

foržèla sf. (pl. foržèle) forcella, fionda, passaggio tra i monti. Àsto vòia de tirà père kón kéla foržèla? hai intenzione di lanciare sassi con quella fionda?; kuàn ke se fa na tàsa de léñe, okóre òñi tànto béte na foržèla par teñì i pàle n pè quando si fa una catasta di legna, bisogna mettere ogni tanto una forcella per tenere i pali di sostegno dritti.

 

Foržèla sf. (top.) sella prativa sul lato ovest di Pian dei Buoi. La località è caratterizzata dalla presenza di numerosi fienili, ad indicare l'intensa attività di sfalcio nei prati circostanti. Si trova tra la Kròda dei Róndoi e la Kòsta dei Vediéi e la si raggiunge percorrendo in salita una ripida mulattiera che parte dal Bus de Laržéde, chiamata stràda da luóida, tristemente nota ai più anziani per le fatiche consumate durante l'inverno per trasportare i carichi di fieno con la luóida.

 

Foržèla Basa sf. (top.) forcella prativa ai piedi del Colle dei Buoi sul crinale che separa la Val de Poórse da Valsàlega. Sulla forcella si trova un kaśón di proprietà comunale. Una seconda Foržèla Basa si trova in comune di Domegge, poco a sud del rifugio Baión, lungo il sentiero che sale sulla dorsale ovest di Val Lonğiarìn.

 

Foržèla de San Laurènzo sf. (top.) forcella ghiaiosa sui monti a nord di Lozzo. É l'ultima importante e ampia forcella sulla propaggine est delle Marmarole che separa la Torre Pian dei Buoi, ad ovest, dalla Torre di San Lorenzo, a est.

 

Foržèla de San Piéro sf. (top.) ampia forcella sulle Marmarole. Si trova lungo la dorsale dei monti che chiudono a nord il territorio di Lozzo, tra il Častelìn e il Čaréido, c'è la Forcella di San Pietro, o come dicono i locali, la Foržèla de San Piéro. In mezzo alla Foržèla de San Piéro si trova l Pùpo de San Laurènžo.

 

Forželùta sf. (top.) località prativa sul bordo settentrionale del Pian dei Buoi. La Forželùta è la conca a monte del Kòl Ròśol. Da ovest appare come una forcella tra due colli, in fondo ad un prato paludoso.

 

Foržiéi (top.) località a nord di Lozzo in Val Lonğiarìn. È la stretta alla confluenza del Ğòu Gran col Rin, dove la Val Lonğiarìn si biforca, per questo viene detta appunto i Foržiéi. Da ovest scende l Ğòu Gran, da nord scende l Rin che qui cambia direzione e gira a est verso Lozzo. Ai Foržiéi c'è un roccione, l Perón dei Foržiéi, da dove partiva la rìśina che portava le tàe fino alla Pòrta dove arriva la strada che risale il Rin, strada percorsa un tempo dai cavalli che portavano a strascico, d'inverno, le tàe fino Lozzo.

 

fòs sm. (inv.) fosso, canale. Tomà nte fòs cadere nel fosso.

 

fòsena sf. (pl. fòsene) fiocina. Tòle su la fòsena e don do da la Piave prendi la fiocina e andiamo al fiume Piave.

 

fośìna sf. (pl. fośìne) fucina, officina del fabbro. Va nte fośìna e tòle l martèl e la tenàia va nella fucina e prendi il martello e la tenaglia (v. fòrğa).

 

Fóska sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

fóta sf. (inv.) rabbia. Ei na fóta ntórneme ho una rabbia incredibile addosso; l me a fàto veñì la fóta mi ha fatto arrabbiare.

 

fóte vb. (fóte; fotèo; fotù, fotésto) ingannare, possedere carnalmente. Va a fèite fóte va a farti benedire, vai al diavolo; fig. di a fèise fóte andare in rovina economicamente.

 

frà sm. (inv.) frate. Frà Paolo frate Paolo.

 

fradelàstro sm. (pl. fradelàstre) fratellastro.

 

fradéś sf. (inv.) confraternita. La fradéś dei Batùde la confraternita dei Battuti.

 

fraià vb. trans. (fraiéo; fraièo; fraiòu) mangiare avidamente. Kel la, kuàn ke l puó, l fràia sènpre quello, quando può, mangia sempre con ingordigia; par te basta fraià a te basta scroccare.

 

fraiàda sf. (pl. fraiàde) scorpacciata. Èi fàto na fraiàda santìsima ho fatto una scorpacciata memorabile.

 

Fraìna (top.) costa prativa a nord di Pian dei Buoi. Come dice il nome è zona di frana, ma attualmente è tutta coperta d'erba e pino mugo, ora restano solo alcuni grossi massi lungo il sentiero che sale verso il rifugio Čaréido. Il nome Fraìna viene attualmente usato solo per la costa prativa al di sotto delle ghiaie.

 

Frainèla (top.) località a nord di Lozzo lungo la strada del Genio. Il toponimo si estende anche alla zona verso Mižói.

 

frakà vb. trans. (fràko; frakèo; frakòu) spingere, pigiare, imbrogliare. Fràka do polìto kel sùro, (o strópo), se nò l fiàsko pèrde premi bene il tappo di sughero, altrimenti il fiasco perde; te l èi frakàda te l'ho fatta; fràka do se te vos guarì sforzati di mangiare se vuoi guarire; bén frakàda ti sta proprio bene; nó sta frakà su l prèžio non gonfiare il prezzo; se l puó frakàtela, l te la fràka quando può, ti imbroglia.

 

frakàda sf. (pl. frakàde) stretta, raggiro. Čapà na frakàda essere schiacciato da qualcosa, subire un raggiro o ricevere molte botte.

 

frakaià, sfrakaià vb. trans. (frakaéo; frakaèo; frakaiòu) schiacciare, frantumare. Frakaià n piàto frantumare un piatto; frakaià i faśuói, le patàte schiacciare i fagioli o le patate per fare la minestra o gli gnocchi; l a sfrakaiòu dùte i vuóve ha schiacciato tutte le uova.

 

frakasà, sfrakasà vb. trans. (frakaséo; frakasèo; frakasòu) fracassare, mandare in pezzi. Tu te sés solo bòn de frakasà tu sei solo capace di rompere, di fracassare tutto.

 

fràko sm. (solo sing.) una grande quantità, molto, un mucchio. L a čapòu n fràko de bòte ha preso un mucchio di botte; al i a kontòu n fràko de bauśìe gli ha raccontato tante frottole.

 

fràko avv. sul fatto, in flagrante. Te èi čapòu sul fràko ti ho colto di sorpresa in flagrante.

 

frakòu agg. (pl. frakàde, f. frakàda) schiacciato, premuto. Tien frakòu polìto tieni ben premuto, pigiato; muśo dùro e baréta frakàda espressione rivolta a chi è sempre imbronciato.

 

framèdo avv. in mezzo. Čapàse framèdo trovarsi in mezzo (v. mèdo).

 

frànda sf. (pl. frànde) frangia. La frànda del siàl la frangia dello scialle; la frànda dei čavéi la frangetta dei capelli.

 

frànko agg. (pl. frànke, f. frànka) franco, deciso. No sta avé paura: va avanti frànko non aver paura: vai avanti deciso; fèila frànka non essere scoperto.

 

frànko sm. (pl. frànki) franco, lira. Al botìro kostèa diéśe frànki l kìlo ñante de la guèra il burro costava dieci lire al chilo, prima dell'ultima guerra; de ste tàe te pós guadañàte n bon frànko vendendo questi tronchi puoi realizzare un buon guadagno; čapà n frànko guadagnare; i mànča sènpre n skèo par fèi n frànko gli manca sempre qualcosa per essere veramente contento.

 

frankolìn sm. (inv.) francolino di monte (zool. Tetrastes bonàsia). Tetraonide come il gallo forcello e il cedrone, ma più piccolo; di colore grigio-bruno, vive in boschi dove si trova la betulla.

 

fràśego sm. (solo sing.) pelle screpolata dal freddo. Èi dùto l muśo pién de fraśégo ho la pelle del viso tutta screpolata.

 

Fràśia sf. (nome) ipoc. di Eufrasia.

 

fràsin sm. (inv.) frassino (bot. Fraxinus excelsior). Kéla rìga de fràsin fa da konfìn tra l mè e l tò quella riga di frassini segna il confine tra la mia proprietà e la tua .

 

fràsona sf. (pl. fràsone) fragola (bot. Fragaria vesca). Di a fràsone andare nel bosco in cerca di fragole; una particolare varietà di fragola di montagna, molto saporita e dallo stelo più lungo, si chiama montañèra.

 

fràta sf. (pl. fràte) ramaglia secca caduta dagli alberi durante l'inverno. Il termine indica anche ciò che rimane delle piante tagliate che, durante la pulitura primaverile dei prati, veniva ammucchiato e bruciato. Bruśà le fràte bruciare le ramaglie (v. desfratà).

 

fràte sm. (inv.) frate, monaco. Fràte da botìro frate cercatore che girava di casa in casa, al quale di solito veniva offerto un po' di burro; fèise fràte farsi frate, rinunciare al matrimonio e alla vita civile; avé i fràte avere le calze rotte sulle dita; prov. pa la konpañìa se a maridòu ànke n fràte a volte pur di ottenere qualcosa, si compiono azioni che possono sembrare addirittura impossibili; avé kàmbra pai fràte avere sempre fame.

 

Fràte sm. (nome) soprannome di famiglia.

 

fratìna sf. (inv.) frangetta dei capelli. La sta pròpio polìto ko la fratìna sta proprio bene con la frangetta.

 

fražión sf. (inv.) frazione, abitato separato dalla sede principale del comune. Il comune di Lozzo non ha frazioni, il termine viene usato però ugualmente per indicare le frazioni dei comuni più vicini. Pelós, Làio e Penié e fražión de Vigo Pelos, Laggio e Pinié sono frazioni di Vigo.

 

fražionà vb. trans. (fražionéo; fražionèo; fražionòu) frazionare, dividere, riferito sempre a terreni o boschi. Kuàn ke se fararà diviśión, okorarà fražionà kel bósko quando si faranno le divisioni per l'eredità, bisognerà frazionare quel bosco.

 

fredelìn sm. (inv.) verzellino (zool. Serinus serinus). Piccolo uccello del gruppo dei fringuelli, cardellini, lucherini tutti uccellini dai colori vivaci; di color giallo brillante striato di marron; abita nei prati e sugli alberi vicino all'abitato.

 

frédo sm. o agg. (pl. fréde, f. fréda) freddo. Ko sti fréde e fàžile čapàse àlgo con questo freddo è molto facile prendersi qualche malanno; frédo čanìžo freddo pungente; loc. no l a pì frédo nte i pès non ha più freddo ai piedi, espressione riferita a chi è diventato molto ricco e a chi si è sposato con una persona molto ricca per cui non avrà più da preoccuparsi; prov. kuàn ke i dis se ślònga, l frédo krése quando i giorni si allungano, il freddo aumenta; a partire da Natale ad esempio, le giornate si allungano, ma anche il freddo aumenta. Béve àga fréda fa mal se se e sudàde quando si è sudati, bere acqua fredda fa male; prov. màn fréde, kuór čàudo mani fredde, cuore caldo; kuàn ke son ruòu, la èra bèlo fréda quando sono arrivato, era già morta.

 

fredùra sf. (pl. fredùre) freddo pungente. Questa parola è usata solo nel proverbio San Bastiàn de la gran fredùra, San Laurènžo de la gran kalùra, l un e l àutro póčo dura San Sebastiano (20 gennaio) è il giorno più freddo dell' anno, San Lorenzo (10 agosto) è quello più caldo, l'uno e l'altro durano poco, il tempo cioè cambia in fretta.

 

frégol sm. (pl. frégoi) briciola, oggetto o animale molto piccolo. L e n frégol de tośàto è un bambino davvero piccolo; Dàme n frégol de formài dammi un pezzettino di formaggio (v. frégola).

 

frégola sf. (pl. frégole) briciola. Le frégole del pàn le briciole del pane; tu te màñe l bón e a mi te me làse le frégole tu mangi la parte migliore e a me lasci le briciole; na frégola de pàn, de formài e simili, un po' di pane, di formaggio, in casi come questo frégola è una forma per costruire il partitivo (v. dedàl, tìn, fiòu, sčùpo, déido, žékola, bèkola, skàia).

 

frégole sf. (solo pl.) farina abbrustolita con il burro. Questa pietanza viene mangiata col latte a colazione. Òñi bonóra màño frégole e làte ogni mattina mangio latte con frégole.

 

fregolós agg. (pl. fregolóśi, f. fregolóśa) facile a sbriciolarsi. Formài fregolós formaggio che si sbriciola facilmente.

 

fregolòto sm. (pl. fregolòte) piccolo rimasuglio di pane o polenta.

 

frèisa sf. (pl. frèise) frasca. Di a frèise andare nel bosco a raccogliere ramaglie per accendere il fuoco; frèise sono chiamati anche i rami verdi di nocciolo che vengono adoperati per sostenere le pianticelle di pisello .

 

freskìn sm. (inv.) cattivo odore, odor di marcio, putrido. L'odore che lasciano le uova sulle stoviglie. Sto gòto sa da freskìn questo bicchiere puzza di uovo; loc. sto piàto a čapòu su da freskìn questo piatto puzza d'uovo, sa di putrido.

 

frésko agg. (pl. fréske, f. fréska) fresco. Àga fréska, pàn frésko acqua fresca, pane fresco; nkuói fa frésko oggi fa piuttosto fresco; loc. adès te stas frésko ora sarai sistemato a dovere, ora sì sei nei pasticci; fèi frésko, freskolìn, freskòto detto in riferimento alle condizioni del tempo: fare freddo, piuttosto freddino; dim. freskolìn, freskéto.

 

freskùra sf. (pl. freskùre) frescura. Siénte ke freskùra senti che aria fresca, che arietta piacevole.

 

fréža sf. (pl. fréže) freccia. Dì kóme na fréža correre veloce come una freccia; fig. te sés na fréža sei veloce, agile, sei abile nei lavori.

 

frìde vb. trans. (frìdo; fridèo; fridésto) friggere. No sta frìde màsa le žéule, se no le devènta négre non friggere troppo le cipolle, altrimenti diventano nere; prov. dùte frìde nte l sò gras tutti agiscono secondo le proprie possibilità e la propria indole; loc. dapò l rìde vién l frìde adesso ridi, ma dopo piangerai; il detto è rivolto di solito ai bambini molto vivaci che stanno per combinarla grossa (v. desfrìde).

 

frikò, frìko sm. (solo sing.) formaggio sciolto e fritto nel burro. Èi mañòu polènta e frìko ho mangiato polenta e frìko; per dare diversità di sapore si possono aggiungere cipolla e uova.

 

friśón sm. (pl. friśói) frosone (zool. Coccothraustes coccothraustes). Uccelletto dal becco massiccio, come il fringuello, la peppola e il lucherino; tutti uccelli dal volo ondulato. Il frosone ha un corpo massiccio, becco grosso, collo grosso, molto colorato.

 

frìtola sf. (pl. frìtole) frittella dolce. Le frittelle possono essere sia grandi che piccole; si friggono nell'olio o nello strutto e si preparano di solito in occasione del carnevale. Altri dolci fritti sono le žópe. Pa l ùltimo dì de karnavàl la màre faśèa sènpre dóe frìtole per l'ultimo giorno di carnevale la mamma preparava sempre delle frittelle; fig. macchia d'unto; vàrda kuànte frìtole sul ku de le bràge guarda quante macchie d'unto ti sei fatto sul sedere dei pantaloni.

 

frìža sf. (pl. friže) cicciolo, piccolo pezzo di carne. Quando si uccideva il maiale venivano cotte le parti grasse delle interiora; si otteneva così lo strutto che si metteva nella pèra, mentre i rimasugli, o frìže, si mangiavano ancora tiepidi. Tàeme do na frìža da la pèndola tagliami un pezzetto di carne dalla pèndola.

 

Friže sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

frònte sf. (inv.) fronte. Nella locuzione fèi frònte: sostenere, affrontare; èi sènpre fàto frònte ai me dèbite ho sempre fatto fronte ai miei debiti; kàlke òta me tóča fèi frònte ànke al pàre qualche volta devo affrontare anche mio padre.

 

frontìn sm. (inv.) visiera del berretto.

 

frontón sm. (pl. frontói) puntone, trave che parte dalla kólmin e si incastra sulla trave facente parte della čadéna.

 

fruà vb. trans. (frùo; fruèo; fruòu) consumare, logorare. Èi fruòu bèlo le skàrpe ho già consumato le scarpe; se le bràge no e bòne, le se frùa derèto se i pantaloni non sono robusti, si consumano in poco tempo; prov. e mèo fruà skàrpe ke lenžuós è meglio camminare e lavorare, che rimanere a letto malati.

 

fruàda sf. (pl. fruàde) logorio. Òñi lavàda e na fruàda ogni lavaggio dei panni comporta un certo logorio.

 

frùo sm. (inv.) consumo. Nte sta čàśa e pì frùo de formài, ke de farìna in questa casa c'è più consumo di formaggio che di farina, si consuma cioè più companatico che polenta.

 

fruòu agg. (pl. fruàde; f. fruàda) consumato. I siòle i e dùte fruàde i pavimenti sono consumati.

 

frùsta, frùsta via escl. via, via di qua. Espressione usata per cacciare via il gatto.

 

frustàño sm. (solo sing.) fustagno. Añó àsto konpròu kéla bèla ğakéta de frustàño? dove hai acquistato quella bella giacca di fustagno?

 

fruśumìa, frośomìa sf. (pl. fruśumìe, frośomìe) fisionomia, aspetto, lineamento. Kel la a pròpio na brùta fruśumìa quello ha davvero un brutto aspetto.

 

frutà vb. trans. (frùto; frutèo; frutòu) fruttare, partorire (detto degli animali). Kuànto àlo frutòu l làte sto més? quanto ha fruttato il latte questo mese? ad indicare la produzione di burro, formaggio e ricotta ottenuti dal latte portato alla latteria; kuàn àla da frutà la vàča? quando deve partorire la mucca?; n tarén ke frùta un terreno fertile.

 

frùta sf. (pl. frùte) frutta. Màña n tin de frùta mangia un po'di frutta.

 

frutaruól, frutariól sm. (pl. frutaruói) fruttivendolo. E ruòu l karéto del frutaruól, se te vos konprà dói pome è arrivato il carretto del fruttivendolo, se vuoi puoi comperare alcune mele.

 

frùto sm. (pl. frute) frutto. Màña dói frùte se te vós sta polìto se vuoi star bene mangia un po' di frutta; va da ki de i frùte a tòle dóe narànže vai dal fruttivendolo e compera alcune arance.

 

fùči sm. (inv.) rovina. Loc. di a fùči andare in rovina, fallire.

 

fuféta sf. (inv.) circolo vizioso, impostura, ipocrisia. Te sés kóme la baréta de la fuféta fai e disfi le cose, lavori a vuoto.

 

la baréta de la fuféta.

 

Vàdo nžìma la paléta e me mòlo dó la me baréta

la fuféta me la čapa e no la vó pì dàmela fìnke no i dào n pàn.

Alóra vàdo da la nòna ke me dàe n pàn.

La nòna no me dà l pàn fìnke no i dào l làte.

Vàdo da la vàča ke me dàe l làte la vàča no me da l làte fìnke no i dào l fién.

Vàdo da l prà ke l me dàe l fién ma l prà no me da l fién fìnke no i dào la fàu.

Vàdo da l fàuro ke me dàe la fàu l fàuro no me da la fàu fìnke no i dào la sónda.

Vàdo da l kùčo ke me dàe la sónda l kùčo no me da la sónda fìnke no i dào la fàia.

Vàdo da la véspola ke me dàe la fàia

la véspola no me da la fàia fìnke no i pòrto l vènto.

Vàdo a Trènto e tòlo n sàko de vènto.

l vènto i lo pòrto a la véspola

la véspola me da la fàia

la fàia i la dào al kùčo

l kùčo me da la sónda

la sónda i la dào al fàuro

l fàuro me da la fàu

la fàu i la dào al prà

l prà me da l fién

l fién i lo dào a la vàča

la vàča me da l làte

l làte i lo dào a la nòna

la nòna me da l pàn

l pàn i lo dào a la fuféta

ke la me tórna la me baréta.

 

fùfiña sf. (pl. fùfiñe) imbroglio, sotterfugio. Fèi kàlke fùfiña ricorrere a qualche imbroglio, ad un sotterfugio.

 

fufiñà vb. trans. (fufiñéo; fufiñèo; fufiñòu) rovistare di nascosto, fare cose di poco conto, fig. imbrogliare. Parkè vàsto sènpre a fufiñà nte le me skarsèle? perché vai sempre a rovistare nelle mie tasche?; ke fufiñéesto de bèl? a cosa lavoricchi di bello?; kél la fufiñéa dùto l dì quello non combina niente di buono in tutto il giorno (v. trapolà).

 

fufiñón agg. (pl. fufiñói, f. fufiñóna, pl. fufiñóne) chi fruga dappertutto. Sia di nascosto per curiosità, che per interesse, ma anche chi agisce in maniera piuttosto subdola. To fardèl e sènpre stòu n fufiñón tuo fratello ha sempre agito in modo poco chiaro, in modo subdolo.

 

fùfo sm. (pl. fùfe) ciuffo d'erba. Zolla erbosa prodotta dalla zappatura del campo, fig. ciuffo di capelli. Tòle su ki fùfe e pòrteli via raccogli quelle zolle e portale via; e óra ke te te tàe kél fùfo è ora che ti tagli quel ciuffo di capelli (v. žópa).

 

fufùi, fufù sm. (inv.) caos, fretta, confusione. Kè élo dùto sto fufùi? che cos'è tutta questa confusione?; e dùto n fufùi dovunque c'è fretta, caos.

 

Fùga sf. (nome) soprannome di famiglia.

 

fugà vb. trans. e intr. (fugéo; fugèo; fugòu) riempire le fessure, fugare. Kuàn ke èi ranğòu la čàśa, èi fugòu i mùre de pèra ristrutturando la casa ho messo malta fresca nelle fessure dei muri e poi ho levigato.

 

fugàža sf. (pl. fugàže) focaccia. Dim. fugažùta, fugažéta. Le fugàže nte l kafè e n mañà da sióre le focacce intinte nel caffè sono un boccone prelibato.

 

fuìt inter. Dal latino “fuit”, fu, è scappato. Loc. fèi fuìt svignarsela; sul pì bèl, l a fàto fuìt sul più bello se l'è svignata.

 

fùlmin sm. (inv.) fulmine. Àsto vedù ke fùlmin ke a dòu dó pal tabià? hai visto che razza di fulmine è caduto sul fienile?; fig. te sés n fùlmin sei un fulmine, sei molto veloce.

 

fumà vb. trans. (fùmo; fumèo; fumòu) fumare. Fumà l kài, l žìgaro fumare la pipa, il sigaro; fig. me fùma l ànema, me fùma i koióne non ne posso proprio più.

 

fumàda sf. (pl. fumàde) fumata, scatto d'ira, caldana. Làseme na fumàda lasciami fumare un po' della tua sigaretta; me a dòu su na fumàda mi è venuto un tale scatto d'ira; me e veñésto na fumàda mi è venuta una caldana.

 

fumatèra sf. (pl. fumatère) fumo molto denso ed esteso, ambiente affumicato. Ka e sènpre na fumatèra qui c'è sempre un fumo denso ed acre (v. kalupèra).

 

fumèi sm. (inv.) apertura nel muro per permettere l'uscita del fumo in assenza di canna fumaria. Vèrde n tin kél fumèi, ké l fùmo vade fòra togli un po' quel coperchio perché il fumo possa fuoriuscire.

 

fumentà vb. intr. e trans. (fumentéo; fumentèo; fumentòu) fare suffumigi, affumicare. Èi čapòu la kostipažión e okóre ke me fumentée mi sono costipato e devo fare i suffumigi; nkuói l bólko l fumentéa la kaśèra ko l aulìvo e l inžènso oggi il capo dei pastori, secondo la tradizione, farà il giro della casera con l'olivo e con l'incenso come rito propiziatorio. Fumentà le pèndole affumicare i pezzi di carne di maiale, di pecora o altro; dopo l'uccisione dell'animale, si prendevano i pezzi di carne con l'osso, che venivano prima salati e poi appesi alla stànğa che scendeva dal soffitto della cucina; non si toccavano fino a quando non erano ben affumicati e un po' disseccati. La carne trattata in questo modo veniva adoperata per insaporire la minestra di fagioli o d'orzo oppure si accompagnava alla polenta fredda o abbrustolita sulla brace del larìn.

 

fuménte sm. (solo pl.) suffumigi. Fèite dói fuménte, se te vos guarìte de kél rafredór fatti dei suffumigi, se vuoi guarire dal raffreddore.

 

fùmo sm. (pl. fùme) fumo. Sta menèstra sa da fùmo questa minestra ha preso il sapore del fumo; loc. la fa fùmo espressione caratteristica per dire che una cosa è intollerabile.

 

funažèi sm. (inv.) l'artigiano che fa i funàže. Bèrto De Martin D'Ambros da Lòže l farèa funàže e l starèa Forakòl. Il procedimento era pressappoco il seguente: quando si uccideva una mucca, si prelevava la pelle, la si salava e poi la si privava dei peli esterni e del grasso interno; lasciatala asciugare bene, la pelle veniva tagliata in tante strisce larghe circa un centimetro e lunghe diversi metri; queste strisce venivano poi unte con la sónda per renderle più morbide, alla fine si raccoglievano in una lunga treccia. Si otteneva così il funàžo che da una parte terminava in un nodo che fermava il čònko, dall'altra in una specie di coda che impediva che la treccia si sciogliesse.

 

funàžo sm. (pl. funàže) fune di cuoio. Il funàžo era fatto con strisce di cuoio dal funažèi e serviva per legare i fasci di fieno o i carichi di legna e fieno sui karéte e le luóide. Dato il materiale di cui era fatto, il funàžo risultava praticamente indistruttibile; ogni tanto bisognava ungerlo perché non si seccasse troppo e non si rompesse. Tòle su i funàže e dón a fèi fién prendi le funi e andiamo a raccogliere fieno.

 

funžión sf. (inv.) funzione, cerimonia religiosa, vespro. Dì a funžión andare al vespero; loc. fèi la funžión al ğal uccidere il gallo.

 

fuóu, fuógo sm. (pl. fuóge, fóge) fuoco, incendio. Fèi fuóu accendere il fuoco; nvidà l fuóu accendere il fuoco con rametti, carta od altro; dà fuóu dar fuoco, incendiare; čapà fuóu incendiarsi. In tre occasioni all'anno, secondo la tradizione, venivano accesi i fuochi: a metà Quaresima (karnevalùto), in località Kòsta; a S. Lorenzo, in località Soramižói, e ad ottobre, in occasione della festività della Madonna del Rosario, in località Revìs. Questi fuochi rimanevano accesi per una settimana e, per l'occasione, si faceva a gara tra i ragazzi di Pròu e quelli di Lagùna per vedere chi li faceva più belli e più grandi. Stižà su l fuóu attizzare il fuoco; strutà su l fuóu radunare sotto il paiolo le braci e i tizzoni dispersi sul larìn; fuóu de Sant'Antòne il fuoco di S. Antonio, flogosi, infezione da Herpes zoster con pustole molto dolorose, malattia virale che dà forti bruciori detta anche varicella di ritorno; prov. kó n solo len no se fa fuóu per raggiungere alcuni obiettivi non basta un solo sforzo, bisogna farne molti.

 

incendio.

Non esiste nella parlata di Lozzo un termine che coincida con quello italiano di incendio. L'incendio, il disastro, viene detto l fuóu, e nei tempi passati era un pericolo sempre in agguato. Quando si parla del fuóu la mente dei vecchi corre alle case in legno, ai tabià pieni di fieno e agli incendi che nei tempi passati hanno devastato i nostri paesi. C'era una ronda che si chiamava la bòna guardia, due persone a turno giravano per le vie del paese durante la notte per controllare che non divampassero incendi. Anche il paese di Lozzo è stato colpito da queste calamità: si ha memoria di un incendio avvenuto nel lontano1612, nel 1800 Ronzon ne ricorda tre: il 2 ottobre 1833, la borgata Stèfin fu completamente distrutta; il 18 ottobre 1847 quasi tutta la parte orientale di Pròu fino a S. Rocco; ma il più terribile fu certamente l'incendio del 15 settembre 1867: scoppiato di domenica “...erano le 10 e mezza della notte. La gente, com'è suo costume s'era coricata da poco e non rimanevano desti che qualche gruppo di giovanotti, girovaganti per il paese cantando, o seduti in un'osteria. quand'ecco si fa sentire la terribile parola: l fuóu e da quel grido suonar le campane, ed alzarsi pallidi, sonnecchianti, semivestiti, esterrefatti, gli abitanti e chiamare ajuto e misericordia è solo un punto...”. La descrizione del Ronzon prosegue per due pagine e racconta un momento terribile della vita di Lozzo che è opportuno leggere in originale (Ronzon 1873-74, pp. 104-105). Il fuoco durò solo tre ore, ma, facilitato dal vento da oriente e alimentato dall'enorme quantità di legname con cui erano costruite le case, ebbe conseguenze disastrose: 3 morti (marito, moglie e figlia); 160 edifici distrutti; 143 famiglie senza tetto; 900 individui privi dell'indispensabile. Un altro doloroso incendio colpì la borgata Danèla il 9 marzo 1876.

 

furbarìa sf. (pl. furbarìe) imbroglio. To fiól e pién de furbarìe tuo figlio fa molti imbrogli, sotterfugi.

 

fùrbo agg. (pl. fùrbe, f. fùrba) furbo. Kel la si ke e fùrbo quello si che è furbo; spesso il termine viene adoperato in senso ironico: te sés pròpio n fùrbo sei proprio furbo! più tonto di così non potresti essere; acc. furbačón furbacchione.

 

Furiàn sm. (nome) ipoc. di Floriano.

 

furlàn agg. (pl. furlàne, f. furlàna) friulano. Prov. dime furlàn, dìme sasìn, ma no sta dìme kadorìn chiamami friulano, chiamami anche assassino, ma non chiamarmi cadorino (detto di Ampezzo dove, secondo la tradizione, si accetta qualsiasi appellativo pur di non esser detti cadorini); prov. doi furlàne fa n kadorìn, doi kadorìn fa n diau per fare un cadorino ci vogliono due friulani, per fare due cadorini ci vuole un diavolo (proverbio cadorino diffuso anche fuori del Cadore).

 

furlanàda sf. (pl. furlanàde) baggianata, scherzo balordo. Te fas sènpre kàlke furlanàda combini sempre qualche stupidaggine; no meritèo késta furlanàda non meritavo questo brutto tiro.

 

Furlanìa sf. (top.) Friuli. Vàdo n Furlanìa a konprà n tìn de formài bon e saurìu vado in Friuli (in Carnia) a comperare un po' di formaggio buono e saporito. La Carnia era infatti conosciuta per la qualità del formaggio che veniva prodotto, formaggio ke spižèa che era cioè molto saporito, per cui ne bastava poco per far da companatico alla polenta.

 

furminànto, forminànto sm. (pl. furminànte, forminànte) fiammifero. Al npìža l kài kól stiž par sparañà l furminànto accende la pipa col tizzone per risparmiare il fiammifero, è molto parsimonioso; na skàtola de forminànte una scatola di fiammiferi; ki ke no tién kónto de n furminànto no val n furminànto chi spreca un fiammifero, vuol dire che non lo vale nemmeno, la frase allude al fatto che un tempo qualsiasi spreco era condannato, perfino quello di un fiammifero.

 

fùs sm. (pl. fùśe) fuso. Anche a Lozzo si adoperava il fuso con la rocca per filare la lana; fig. te sés dréto kóme n fùs sei diritto come un fuso, oppure l kóre kóme n fùs corre, è veloce come un fuso. Il fùs era chiamato anche l'albero di trasmissione del moto delle pale del mulino alla ruota dentata. (v. ròča).

 

fuśèl sm. (pl. fuśiéi) fuscello. Kuàn ke se resteléa, se tira su ànke i fuśiéi quando si rastrella il fieno nel prato, bisogna raccogliere anche i fuscelli.

 

fuśéta sf. (fuśéte) arnese di supporto per il lavoro a maglia. Si tratta di un sostegno delle dimensioni di una matita, affusolato e forato ad un'estremità, che si infila nella cintura della gonna. Veniva usato come sostegno del lavoro e per evitare che i ferri da lavoro si infilzassero nella pancia.

 

fuśinà vb. intr. (fuśinéo; fuśinèo; fuśinòu) accendere il fuoco per azionare la fucina. Fig. mettere molta legna sul fuoco per tenere molto caldo l'ambiente. D invèrno l pàre fuśinéa tànto ke me mànča l fiòu d'inverno il papà mette così tanta legna nel fuoco da togliermi il respiro.

 

fuśión sf. (pl. fuśione) infuso, infusione. Béte dóe kamamìlie n fuśión fammi un infuso di camomilla.

 

fùter sm. (inv.) rompicollo, scavezzacollo, fig. rabbia. L e n fùter è un rompicollo, è molto vivace; kóre kóme n fùter correre velocemente; se me sàuta su l fùter, spàko dùto se mi prende la rabbia, spacco tutto.

 

 

 

 

eof (ddm 02-2009)