Il lavoro nei boschi.
La tradizione ladina dell'Alto Bellunese.

La martellata.

A differenza di altre località dolomitiche, nelle quali lo sfruttamento dei boschi d'alto fusto avveniva tramite il taglio a raso su ampie zone, in provincia di Belluno era utilizzato, per la scelta degli alberi da abbattere, un criterio selettivo. Infatti, con l'operazione della martellata, il tecnico forestale sceglieva le piante che avevano raggiunto una maturità tale per essere abbattute e procedeva contemporaneamente all'asportazione di quegli alberi mal conformati o danneggiati che potevano limitare, con la loro presenza, la crescita di altre piante più promettenti.

La massa volumica totale asportabile era precedentemente stabilita dalle direttive del piano economico (reso obbligatorio per tutti i boschi pubblici con la legge Serpieri del 1923) redatto generalmente ogni dieci, dodici anni, ma poteva all'occorrenza essere diminuita o aumentata a seconda delle esigenze economiche dell'ente proprietario. Per la sua determinazione era necessario conoscere la massa totale presente nelle varie particelle, individuata attraverso la misurazione dei diametri di tutte le piante con dimensioni superiori ai diciotto centimetri, e dalla media delle loro altezze. Definita questa, la quantità di legname asportabile veniva calcolata attraverso l'applicazione di specifiche formule. Lo strumento utilizzato per la misurazione dei diametri era il cavalletto dendrometrico, cavaleto/canaola, una sorta di grosso calibro in legno o ferro, con il quale si determinava la dimensione del fusto ad un'altezza di 1,5 metri da terra, detta "a petto d'uomo". A questo lavoro (detto cavallettamento totale) partecipavano generalmente un tecnico forestale e tre operai addetti alla misurazione. Ogni rilievo, letto ad alta voce e seguito dalla denominazione della specie, veniva sistematicamente trascritto dal tecnico su un apposito taccuino. Egli aveva anche il compito di determinare l'altezza media delle piante mediante uno strumento particolare o, più comunemente, attraverso una stima oculare. Ogni pianta misurata veniva poi marcata con due incisioni parallele marele per mezzo di un apposito ferro tagliente, detto raschietto, fer da segnà/fer dal toc, in modo da non ripetere il rilievo.

All'operazione di martellata, martelà, partecipavano, oltre al tecnico forestale, anche un rappresentante dell'ente proprietario (in genere un amministratore del Comune o della Regola), due guardie boschive o forestali e tre o quattro boscaioli. Una guardia boschiva segnava sulla tessera, tesera, la specie e il diametro degli alberi che il tecnico forestale sceglieva per l'abbattimento; l'altra guardia misurava, con il cavalletto, il diametro a petto d'uomo dell'albero prescelto e dopo aver indicato la specie, lo leggeva ad alta voce, in modo che il suo collega potesse scriverlo sulla tessera. In questo modo era sempre possibile controllare i metri cubi martellati. Sulle piante destinate al taglio venivano poi praticate due o tre specchiature sul fusto, speciadure/spiciadure, cioè asportazioni della corteccia eseguite con l'accetta, necessarie per rendere riconoscibili gli alberi da abbattere. Inoltre veniva praticata un'incisione superficiale nella zona delle radici, sulla quale veniva apposto, per mezzo di un martello, martel, opportunamente sagomato, il simbolo del tecnico forestale che aveva diretto la martellata. Questa operazione era necessaria per indicare che l'abbattimento di quell'albero era stato regolarmente autorizzato. Le specchiature e l'incisione per il martello erano praticate dai boscaioli che, nell'occasione, venivano assunti dall'ente proprietari dei boschi.

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